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Autore: Hypnotic Poison    10/11/2007    9 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Fifteen – Tiny dancer in my hand

 

 
 
 
 
 
 
 
 
« Vedi, in fondo sei un tenerone. »
Kert, steso a pancia in su con le braccia incrociate dietro la testa, aprì solo un occhio: la sagoma nitida, anche se forse adesso un po’ trasparente, di Sunao era in piedi davanti a lui, poggiata in qualche maniera al muro, a braccia conserte e un’espressione di sfida in volto.
« Di nuovo acqua, cibo, premura verso il suo stato… vuoi forse dare un’impressione diversa di te? »
Lui fece schioccare la lingua: « Hai già fatto abbastanza la spia per il Consiglio e ora ti annoi? »
Le iridi violette luccicarono di fastidio: « Tu stai diventando noioso. »
L’alieno richiuse le palpebre e si accomodò di più sul letto: « Credevo avresti apprezzato gli sforzi che faccio per la tua amica. »
« Mi pareva di più una correzione alle conseguenze delle tue azioni. Dopotutto, non c’è bisogno che m’intrufoli nella tua testa per sapere che non l’hai fatto per Espera. »
« Vedi di star ben lontana dalla mia testa. »
« Con piacere, » lei alzò un sopracciglio e mormorò soddisfatta, « Mi basterebbero altri pezzi di te. »
Kert emise un grugnito sconsolato e si voltò su un fianco, rivolgendole così la schiena mentre Sunao ridacchiava divertita.
« Se hai finito di assillarmi intergalatticamente, vorrei andarmene a dormire. »
« Hai intenzione di fare qualcosa con quell’umana o no? » il tono di Sunao si fece più ufficiale, « O pensi di divertirti ancora a giocherellarci senza ottenere nulla? »
Lui controllò lo sbuffo che gli uscì dal naso: « Ci penso domani. Sono sicuro che non avrà così tanta resistenza, ora. Non credo che si lascerà andare a grandi monologhi, ma forse qualche informazione in più riusciremo a strappargliela. »
« Vedi di fare in fretta. Indebolire la tua squadra solo per - »
Kert voltò la testa quanto bastava per lanciarle un’occhiata infastidita: « È solo un elemento a essere indebolito, elemento che non è parte della mia squadra e che è indebolito dall’alba dei tempi. »
Sunao alzò gli occhi al cielo prima di guardarlo con freddezza: « Un giorno o l’altro la tua testardaggine ti condurrà in un pantano da cui farai fatica a uscire. Ti sei sempre fatto vanto del tuo essere dedito alla disciplina, e – »
« È veramente qui solo per essere minimamente utile a Rui una volta al mese per cinque minuti? » l’interruppe con una punta di veleno che non andò ignorata, « Perché il trattamento esclusivo nei suoi confronti mi ha già ampiamente rotto il cazzo da anni, in più l’insistenza tua e del Consiglio sta cominciando a puzzarmi. »
L’aliena non si mosse: « Rinvigorente, da parte tua, pensare che io ne sappia più di così. »
« Tsk, » Kert si riappoggiò al cuscino e serrò le palpebre, « Buonanotte, Sunamora. »
L’ologramma sparì senza il minimo rumore.
 
 
 
 
« Smettila di guardarmi così, te l’ho già detto: non ce l’ho con te. »
Espera rivolse a Zaur un sorriso esortativo insieme alla boccetta di vetro con dentro il preparato analgesico; l’alieno dagli occhi scuri, però, la guardò con convinzione inesistente.
« Il bernoccolo che hai in testa dissentirebbe. »
Lei si sfiorò con le dita il risultato della sua caduta di qualche ora prima, che ancora pulsava infastidente, poi si strinse nelle spalle: « Rischi del mestiere, non trovi? E in ogni modo, non è colpa tua. Non ero io lo… scopo? »
La smorfia sofferente sul viso del ragazzo non sembrò acquietarsi: « Avrei dovuto pensarci. Ma ritenevo che le ultime calibrazioni sarebbero state sufficienti a… »
« Probabilmente è stato così, altrimenti sarei finita faccia a terra molto prima, » Espera gli diede due colpetti amichevoli sulle spalle e sbadigliò sonoramente, « Almeno così Kert si è dato una calmata. »
Zaur non poté evitare di sospirare, mentre svuotava la fialetta quasi in un sorso per placare anche il proprio mal di testa: « Ogni tanto mi chiedo come farebbe lui, se dovesse sopportare questo sforzo. »
« Kert con il mal di testa? Te ne prego, che le stelle ce ne scampino, sarebbe la fine di tutti noi, » l’aliena rise e lo salutò con una mano, augurandogli poi buonanotte sottovoce mentre si incamminava lungo il corridoio buio.
Quell’enorme casa sembrava ancora più estesa durante la notte, anche per la mancanza di luce in tutte quelle stanze che loro non avevano adibito a loro campo base, e le provocava sempre una strana sensazione.
O forse era solo l’interminabile formicolio che le tormentava la base della nuca e l’attaccatura delle spalle. Ne avvertì il fastidio anche sul viso, e soffocò una parolaccia tra i denti quando, sfiorandosi il naso con le dita, le trovò tinte di rosso.
« Tutto bene? » Rui l’accolse con voce preoccupata quando entrò nella loro camera, raddrizzandosi sul letto come già pronto a saltarvi giù in soccorso.
Espera annuì e afferrò una delle magliette del compagno, tamponandosi le narici mentre si lasciava cadere sul materasso con un sospiro.
« È stata una giornata infinita. »
Un’ombra scura passò sul viso del ragazzo: « Devo uccidere mio fratello. »
« Non c’è bisogno di essere così drastici, » Espera rise roca e chiuse gli occhi, poggiandosi alla testiera del letto non appena l’epistassi le diede pace, « Magari solo… un calcio nel sedere, o due giorni in punizione senza cibo. Sunao come compagna di banco. »
« È insopportabile. »
« Mi sembra una conversazione già avvenuta. »
Rui sospirò, le passò un braccio attorno alle spalle, portandosela stretta a sé, e le lasciò un bacio sulla tempia: « Detesto dover scegliere tra voi due. »
« Infatti, non devi, » Espera si voltò quanto bastava per guardarlo negli occhi, « Siamo io e lui che dobbiamo trovare la maniera di convincere pacificamente. Beh, più lui che io, ma… »
« Tu subisci già abbastanza. »
Lei fece spallucce e gli si accoccolò di nuovo accanto: « Sono la più piccola di sei. Non è la mia prima volta. »
Lui alzò un sopracciglio in maniera dubbiosa, carezzandole un braccio: « Stento a credere che Egle o Erizia siano così dispettose. »
Espera fece una risatina sarcastica e chiuse gli occhi, ed entrambi rimasero in silenzio per qualche istante.
« Domani dovrò mandare un rapporto al Consiglio, » sospirò poi Rui stancamente, sfiorandosi una tempia, « Sarà divertente fare giri di parole complessi per alleggerire la situazione. »
« Vedi il lato positivo, quando c’è di mezzo Kert, Sunao tende a chiudere un occhio. O tutti e due. »
« Deve aver battuto la testa molto forte, da piccola. »
Espera scoppiò a ridere di cuore, stringendoglisi addosso ancora di più e dimenticandosi della tensione di quella giornata, almeno per qualche ora.
 
 
 
 
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Minto si svegliò di soprassalto, percependo nei primi istanti solamente il tuono del suo cuore che batteva all’impazzata. Le ci volle qualche secondo per convincere i suoi polmoni a inalare a fondo per calmarsi, per scostare quel bruciore che pareva non volerla abbandonare.
Di nuovo, la penombra scura della stanza non le diede modo di valutare quanto tempo fosse passato, ma sapeva che aveva dormito profondamente, poteva sentire un accenno di ristoro nelle ossa, così come provava un minimo di sollievo anche allo stomaco.
Si detestò per dover ammettere che le aveva fatto bene cedere a quel minimo pasto, e fu quasi sollevata nel constatare che ci fossero degli avanzi da considerare colazione, insieme a una nuova coppa piena d’acqua. Anzi, forse erano pure maggiori di quanto fosse riuscita a ingoiare la notte – il giorno? – precedente.
Scosse la testa a quel ricordo, cacciandolo nell’angolino più remoto del cervello che potesse trovare (non aveva senso peggiorare la sua situazione, rimuginare su certe cose, avrebbe solo complicato ulteriormente tutto), e afferrò di nuovo la ciotola: nonostante si fosse raffreddata e un po’ rappresa, le sembrò di nuovo una delle cose migliori che avesse mai mangiato, e dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà per non lasciarsi scappare un sospiro di soddisfazione.
Fu solo alla terza cucchiaiata che si rese conto che le sue mani non erano più coperte dai guanti azzurri. Sbatté le palpebre un paio di volte, all’inizio bloccandosi confusa, poi poggiò la scodella per terra e si controllò di scatto, sussultando un po’ sollevata e un po’ sorpresa: non era certa del come, forse più del perché, ma mentre dormiva aveva sciolto la sua trasformazione da Mew Mew, e ora il suo bel vestitino nero era coperto da un desolante strato di polvere, i suoi capelli una matassa arruffata e annodata.
Si domandò in che stato fossero le sue ali, in che stato fosse generalmente lei, se il suo corpo decideva automaticamente di ritornare in forma umana – come se non avesse più le energie necessarie per sostenere i suoi poteri, per poter combattere.
Forse nuovamente l’eterna battaglia tra la sua mente cocciuta e le sue membra le stava regalando nuovi stimoli, con un tempismo ineguagliabile.
Almeno gli strati di stoffa in più le regalavano quantomeno una finta sensazione di sicurezza.
Raccolse le gambe al petto e si riconcentrò sul suo magro pasto, ora più decisa a non lasciarsi andare – d’accordo non cedere ai trucchetti dei suoi nemici, ma se aveva anche la minima possibilità di uscire da lì, avrebbe dovuto concedere al suo organismo l’energia necessaria per reagire.
Con un orecchio sempre teso verso l’esterno, terminò di mangiare, masticando il più a lungo possibile per indursi a credere di star ingerendo quantità più sostanziose. Continuava a non avvertire nulla intorno a sé se non un fastidioso ronzio che poteva benissimo essere la sua testa, completamente scombussolata.
Il peso del suo ciondolo Mew, ora in tasca, le gravava più del dovuto: un’inutile ancora di salvezza, spento e opaco esattamente come si sentiva lei. Le sarebbe bastato sentire anche solo della staticità all’altro capo della linea, solo per assicurarsi di avere almeno un filo verso gli altri, invece che essere completamente sola in quel buio.
Sola con la sua angoscia, il suo cervello riempito di immagini impossibili, e una manica di nemici fuori dalla porta.
« Vedi, sono questi trucchetti che mi interessano particolarmente. »
Suo malgrado, Minto non riuscì a evitare di sobbalzare vistosamente, lasciandosi scappare dalle mani la ciotola, che sferragliò sul pavimento in un rumore assordante dopo tutto quel silenzio. Kert rimase immobile sull’uscio, a osservarla con sguardo incuriosito mentre lei si ritirava d’istinto contro un angolo.
« Dove sono finite le tue alucce, uccellino? » le domandò « Come fate a passare da quello a… questo? »
Per qualche motivo stupido, la mora si sentì offesa da quell’affermazione, ma si limitò a digrignare i denti e stringere i pugni per convincere il suo maledetto corpo a smettere di tremare.
« In cambio della colazione, » le fece l’occhiolino e sollevò nella sua direzione un piatto, questa volta fumante e dall’odore molto più dolce, e un altro bicchiere di acqua, « Come ringraziamento della mia generosità. »
Minto sbuffò sarcastica dal naso e rimbeccò prima di poterci pensare: « Generosità questa? Non voglio niente da te! »
Lui si limitò ad alzare un sopracciglio e guardare con poca convinzione la ciotola a terra, ripulita a modo: « Mi verrebbe da dissentire. »
La mora si concentrò sul non arrossire, colta in fallo, e continuò a fissarlo con tutto l’odio di cui era capace. Kert sospirò e si avvicinò di qualche passo, poggiando sul pavimento i due contenitori.
« Allora, ti è passata un po’ la voglia di essere scortese? Sto ancora aspettando di sentire il tuo nome. »
Di nuovo, Minto esclamò le prime parole che le passarono per la testa: « Non vedo come ti possa interessare, visto quello che mi state facendo! »
« Oh, uccellino, potrebbe andarti molto peggio, non credi? » lui inclinò la testa da un lato e sogghignò ferino, « Poi mi sembra scortese sapere il nome del tuo ragazzo e non del tuo. »
Questa volta, Minto avvertì le guance andarle in fiamme mentre, di nuovo, una strana ansia acida le corrodeva lo stomaco a quella menzione.
« Cosa mi avete fatto!? » strillò, schiacciandosi ancora contro al muro, « Come avete... »
Kert agitò una mano in aria e poi sbuffò: « Sei proprio noiosa, uccellino. Non sono qui per rispondere alle tue domande. »
Ritornò verso l’uscio, e la mora – contro il suo buon senso – reagì all’improvvisa angoscia di rimanere di nuovo da sola in quel buio opprimente, di poter ricominciare ad avere gli occhi e la mente invasi da quei ricordi manipolati: « Aspet – »
Le scappò un grido mozzato, mentre allungava una mano verso di lui, ma le si bloccò in gola nello stesso istante in cui la porta si richiuse senza un tonfo.
 
 
 
 
Pai scrisse un’altra riga di codice, premette invio, e lasciò che il sistema partisse prima di concedersi gli ultimi sorsi di caffè ormai freddo. Esaurite tutte le altre alternative, tutte le altre idee, Akasaka aveva suggerito di fare un reboot del programma che aveva individuato, tutti quegli anni prima, i cinque DNA compatibili con quello degli animali Red Code tra tutta la popolazione. Forse quello avrebbe aggirato le tecnologie dei loro nemici, avrebbe ritrovato nuovamente il codice genetico di Minto in mezzo agli altri, e avrebbe donato loro la sua posizione.
Sempre che…
Tracannò il fondo e aggrottò appena le sopracciglia. Se suo fratello avesse saputo che solo intratteneva quei pensieri, avrebbe probabilmente smesso di rivolgergli la parola fino alla fine dei suoi giorni. Non che l’avrebbe biasimato, lui stesso non era sicuro di ciò che avrebbe potuto fare se al posto di Aizawa ci fosse stata Retasu.
Controllò un’ultima volta lo schermo – il programma non era stato aggiornato da un po’, anche con il DNA della mewbird in memoria ci avrebbe impiegato del tempo a completare il tracciamento. Era da poco passata l’alba, lui si era concesso qualche ora di sonno non appena anche Shirogane aveva ceduto ed era tornato a casa per ristorarsi. Riuscire ad ampliare le capacità di Taruto senza che lui fosse effettivamente presente si era rivelato più complesso del previsto, e non era stato d’aiuto il pensiero costante della Mew Mew mancante.
Lui non aveva legato particolarmente con Aizawa – non aveva legato particolarmente con nessuno di loro, tranne una – ma non era così insensibile da risultare indifferente all’angoscia provata da Retasu e dai suoi fratelli.
Mentre si avviava al piano di sopra per una doccia ristorativa, controllò il cellulare: la Mew verde gli aveva mandato messaggi fino a notte fonda, probabilmente incapace di addormentarsi come ogni volta che era irrequieta, e c’era già una comunicazione ad attenderlo.
 
From: Ocean_dreaming_mermaid
 
Tutto bene?? Novità?? Stiamo per fare colazione, tra un po’ torniamo.
Hai dormito?
 
 
Pai si sfregò il viso, avrebbe tanto voluto darle notizie differenti e al tempo stesso sgridarla per l’ostinazione a non accordarsi dell’effettivo riposo, quando poi non gli risparmiava le ramanzine. Lui poteva permetterselo, era abituato, ma lei…
Si trattenne anche dal risponderle che non c’era bisogno si affrettassero, perché sapeva sarebbe stato letto in tutte le maniere possibili e ovviamente non come l’avrebbe inteso lui – non che non ci fosse un enorme fondo di verità a voler mantenere l’ambiente circostante più tranquillo possibile – e abbozzò la risposta più diplomatica che il suo cervello in sovraccarico potesse computare.
Attese qualche istante prima di compilare un altro messaggio a un numero differente, dandosi dell’imbecille per il senso di colpa completamente ingiustificato e ricordandosi che non c’era motivo di dare altri dispiaceri alla sua ragazza, mettendola a conoscenza solo di dettagli che avrebbero moltiplicato la sua angoscia e basta.
 
 
 
 
Il mento appoggiato al palmo della mano sinistra, l’altra che stringeva pigramente la tazza di caffè, Zakuro spostò solo le iridi indaco quando il cellulare vibrò una volta sola sul tavolo della sala da pranzo. Solo anni di gelido raziocinio tennero a bada la delusione nel suo petto quando vide che l’oggetto del messaggio non portava nessuna novità.
 
From: IkisatashiPai31415
 
Mio fratello?
 
 
Lo sguardo virò quindi verso Kisshu, appollaiato sul bracciolo del divano che continuava a fissare fuori dalle finestre con occhi assenti. Non avrebbe nemmeno saputo dire se si era mosso durante la notte. Stava giocherellando con qualcosa che teneva in mano, e lei rilassò appena la fronte nel constatare che fosse solo il cellulare di Minto, recuperato probabilmente dalla borsetta che lei aveva lasciato al Caffè prima dell’ultimo attacco.
Attorno a lui, le altre tre ragazze si stavano lentamente riprendendo dal poco e turbato sonno, facendo colazione e scambiandosi poche parole: avevano capito che era meglio lasciarlo stare, avvicinarlo con cautela come si faceva con un animale ferito, stuzzicarlo il meno possibile. Un atteggiamento che lei comprendeva bene.
 
From: Loner_Wolf
 
È qui. È già un passo avanti.
 
 
Non era una risposta particolarmente confortante, lo sapeva, ma d’altronde era la verità.
Sospirò, cacciò il cellulare nella tasca del cardigan che le scendeva dalla spalla, riempì una seconda tazza e la portò all’alieno, mettendogliela sotto il naso.
« Mangia, » un consiglio che suonò più come un ordine, « Sai come funziona. »
Kisshu prese la tazza, ma invece che bere le mostrò il telefono della mew bird: « Per caso sai il codice? » domandò sottovoce, « Le è arrivato un messaggio di Seiji. Non vorrebbe lasciarlo preoccupare. »
Zakuro annui e fece un gesto con le dita per indicargli di passarglielo: « Ci penso io. È capace di non parlarmi per due settimane se scopre che ti ho detto qual è. »
Lui rise con uno sbuffo: « Almeno mentimi e dimmi che è il nostro anniversario o qualcosa del genere. »
La mew lupo rispose con un sorriso e fece dietrofront sui tacchi: « Chiediglielo dopo. »
« Come andiamo? » Purin sbucò dalla cucina con due preoccupanti borse viola sotto gli occhi e il cappuccio della felpa tirato sopra la testa, in una mise che ricordava molto Kisshu, « Io tra poco sarei operativa… »
« Non c’è fretta, scimmietta, » bofonchiò l’alieno dagli occhi dorati, concedendosi due lunghi sorsi ristoratori, « Il cervellone dorme ancora, e non è arrivato suono dal quartier generale. »
« Ryou è tornato a notte fonda, » rimbeccò Ichigo sottovoce dall’altra parte della sala da pranzo, « Non siamo dei robot. »
« Pai ha detto che è riuscito a far partire un altro sistema di controllo, » s’intromise Retasu a bassa voce, nel tentativo di suonare incoraggiante, « Però sembra che ci vorrà un po’, perché è vecchio e… »
Zakuro vide la smorfia maligna e sarcastica di Kisshu che si preparava a ribattere e scattò più veloce di lui, lanciandogli un’occhiata di monito.
« Diamo a Ryou un’altra oretta, o ci sarà inutile se non riesce a ragionare. Anche Pai e Taruto dovranno riprendersi un istante, e nel frattempo il programma farà dei progressi. Consiglio a tutti di fare un altro pisolino – Purin, tu ti reggi a malapena in piedi. Non sono neanche le otto, per le dieci torniamo al Caffè e facciamo il punto della situazione. »
Kisshu fece schioccare la lingua: « Signorsì, signor Generale, » borbottò, ma non osò insistere mentre tracannava di botto l’intera tazza.
 
 
 
 
Stese le gambe e poggiò con cautela la nuca contro al muro, imponendosi di smetterla di torturarsi la pellicina del dito medio.
Non riuscire a capire quanto tempo stesse passando la stava facendo uscire di senno: aveva provato a contare i secondi, ma perdeva il segno, la mente che vagava a rivivere ricordi o a porsi un miliardo di domande, oppure veniva distratta da una fitta di dolore in qualche punto random del corpo.
Sospirò e si tolse un paio di pelucchi dal vestito giusto per avere qualcosa da fare. Aveva di nuovo vagabondato per l’intera stanza alla ricerca di uno spiraglio di luce o di un indizio su dove potesse trovarsi, ma sembrava assolutamente anonima nel suo essere decadente e polverosa.
Non avrebbe nemmeno saputo dire che emozioni stava provando in quel momento: si sentiva svuotata, disperata, ma anche con ottomila pensieri differenti che la mandavano in tachicardia.
Quasi per abitudine, accarezzò di nuovo il suo ciondolo Mew e decise di tirarlo fuori dalla tasca. Non avrebbe ceduto alla tentazione di riprovare a mettersi in contatto con gli altri, le avrebbe generato solo più angoscia sentire solo silenzio cupo, però lo strinse in ogni caso, alla ricerca di quella sicurezza che il suo DNA modificato le dava.
Ironicamente, avrebbe detto, visto quanto poco aveva apprezzato la cosa.
Le sembrò che i suoi geni animali le sussurrassero qualcosa, o forse stava semplicemente diventando pazza dopo quella reclusione; ma non aveva niente da perdere, ormai, quindi si portò il ciondolo alle labbra e lasciò che la sua forma Mew si liberasse.
All’iniziò provò un sollievo indefinibile: arrendersi al divorare la “colazione” era stata una scelta saggia, doveva aver recuperato abbastanza energie, finalmente, anche se continuò a non avere il coraggio di estendere le ali più di un paio di millimetri, avvertendo un dolore più sordo proprio sulla schiena, e la sensazione di freddo sulla pelle nuda fu meno che piacevole.
Poi il sollievo si tramutò in sgomento in pochi attimi, quando si rese conto che nella mano sinistra stava stringendo nuovamente il suo arco.
Minto lo osservò a occhi sgranati per qualche secondo, sbattendo le palpebre: temette che fosse l’ennesima allucinazione, l’ennesimo segno di follia, ma la sensazione dell’arma tra le dita era inconfondibile.
In effetti non aveva mai pensato al funzionamento dei suoi poteri – a dirla tutta non era neanche sicura che avrebbe davvero capito come accidenti funzionavano – né si era mai ritrovata in una situazione simile: ogni trasformazione, da ambo lati, era stata volontaria, costumi, armi, ali e coda una parte di sé. Non ricordava di aver mai perso l’arco prima, semplicemente esso spariva insieme a tutto il resto, quindi aveva senso che… tornasse a ogni sua trasformazione, no?
Scosse la testa, meglio essere grata di quella stranezza invece che stare a rimuginare sui perché e i percome.
Devo assolutamente dirlo alle altre, pensò, prima che una sensazione di doloroso bruciore le risalisse la gola al pensiero delle ragazze.
Smettila! insistette con sé stessa, chiudendo la mano libera a pugno, Essere melodrammatica non ti servirà! Ora hai un vantaggio inaspettato, fai un bel respiro e pensa a come usarlo a tuo favore.
Le costò una fatica inaspettata tirarsi in piedi, dopo tutte quelle ore indefinite seduta o raggomitolata su di sé, ma si tenne al muro e continuò a prendere respiri profondi per stabilizzarsi.
Poi puntò l’arma contro la porta e attese in silenzio.
 
 
 
 
Sunamora era una rompipalle.
Le femmine erano delle rompipalle.
A cominciare da sua madre, passando per Seles e le sue turbe, e per finire anche con quella mocciosa umana testarda e cocciuta che gli stava solo creando dei mal di fegato.
Non avrebbe sopportato ancora molto il muso lungo e il trattamento del silenzio di suo fratello, che l’avevano accolto nella cucina in penombra quando si era messo alla ricerca di qualcosa per svegliarsi. Gli avevano solo fatto venire voglia di scolarsi due casse di ollit(*) già di prima mattina.
Così come gli aveva fatto bramare l’alcolismo il sorrisetto di Espera, che gli aveva fin da subito allungato un piatto caldo: lui non voleva il suo aiuto né la sua gentilezza, l’unica cortesia che avrebbe gradito sarebbe stato che sparisse e si levasse dalle scatole. Entro i successivi due giorni, se possibile.
Kert ringhiò sottovoce e compì gli ultimi passi che lo separavano dalla stanza in cui c’era l’uccellino. Forse, infine, un po’ con le buone ma soprattutto con le cattive, sarebbe stato in grado di cavarle più di insulti di bocca e ottenere informazioni importanti in più sulle sue compagne e su quei tre sfigati Duuariani.
Zaur era sempre pronto a liberare un po’ dei suoi poteri, dopotutto.
Si fermò prima di aprire e ascoltò con attenzione: nessun rumore, nessun strepitare o battere contro la porta – forse davvero sarebbe stata la volta buona.
Cambiò idea dopo un secondo, quando un dardo luminoso gli passò a mezzo millimetro dalla faccia non appena aprì la porta.
Soffocò una maledizione tra i denti e reagì d’istinto, prima che un’altra freccia riuscisse davvero a colpire nel segno. Minto era in piedi, ancora vicino al muro, e lui le volò davanti nel tempo di un battito di ciglia, causandole un urletto soffocato quando riuscì ad afferrarla e sbatterla con forza contro la parete, bloccandola contro di sé.
« Sarebbero questi… i ringraziamenti? »
Kert le premette l’avambraccio contro lo sterno, non abbastanza da soffocarla ma a sufficienza per renderle il suo affanno più deciso. Con l’altra mano le strappò di nuovo l’arco e lo lanciò lontano, premendosi poi un po’ di più contro di lei così da assicurarsi che stesse ferma; Minto, le punte dei piedi che sfioravano il pavimento, poté avvertire l’intero muro di muscoli che la stava sovrastando e smorzò un gemito di terrore quando lui le afferrò l’avambraccio e glielo spinse contro al muro con forza per bloccarla totalmente.
« Ammetto che apprezzo il tuo fegato, » esclamò lui, « Ma non apprezzo essere preso per fesso. »
Le torse il braccio per portarglielo dietro la schiena, scatenandole un singhiozzo strozzato di dolore, poi la voltò completamente, come se non avesse peso, intrappolandole entrambe gli arti e scostandole malamente le ali per afferrarla e stringerla di nuovo contro di sé, anche le piume della coda che dolsero schiacciate.
« Lasciami! » strillò lei, tentando di divincolarsi, di assestargli delle tallonate negli stinchi, nelle cosce, in qualsiasi punto potesse raggiungere, ma lui era il doppio di lei e aveva una forza tale che c’era ben poco lei potesse fare.
La sollevò di nuovo come se fosse una piuma, mormorando probabilmente imprecazioni che lei non capiva, e la trasportò dall’altra parte della stanza. La scaraventò sul letto polveroso, continuando a tenerle bloccate le braccia, e Minto smise di dimenarsi solo per il completo terrore che le raggelò le membra. Boccheggiò contro al materasso, cercando di respirare mentre sentiva gli occhi pungerle, tentando di estraniarsi con la mente mentre lo udiva armeggiare alle sue spalle – maledetto il suo costume così corto, maledetta la sua stanchezza, se solo fosse riuscita a tirargli un calcio…
Un nastro sorprendentemente morbido le fu stretto con un po’ troppa veemenza attorno ai polsi e alle caviglie, poi finalmente Kert sospirò e si allontanò da lei:
« Così forse la finirai di regalarmi sorpresine. »
Le ci volle qualche secondo per comprendere la situazione, mentre faticosamente si contorceva per guardarlo con rabbia e sgomento: « Tu… tu non… »
Gli occhi dorati vibrarono di un’emozione che lei non riuscì a capire: « Sei carina, tesoro, ma non ho bisogno di abbassarmi a certe cose. A meno che non venga chiesto. »
Minto si fece scivolare giù dal letto il più lentamente possibile, atterrando sul didietro con poca grazia e lanciandogli un’occhiata schifata a quell’ultimo commento.
« Preferirei cavarmi la lingua. »
Lui ridacchiò soddisfatto e si piegò sulle ginocchia così da essere più o meno alla sua altezza: « Attenzione a quello che desideri, uccellino. »
« Cosa vuoi da me? » sberciò per l’ennesima volta, cercando di ignorare le lacrime che le punsero gli angoli degli occhi.
« Non mi hai ancora detto come ti chiami, » replicò tranquillo lui, « Direi che quello me lo devi, visto come mi hai accolto qui dentro. »
« Non ti devo un bel niente! Io – »
« Vuoi ricominciare? » la interruppe Kert, « Basta solo chiedere, ho di meglio da fare che stare qui a discutere con te. »
La mora avvertì un brivido di terrore e si conficcò le unghie nei palmi, caricando di veleno la sua risposta: « Minto. »
Il viso del geota si aprì in un sorriso solare: « Benissimo, Minto. Il piacere è mio. Ho pensato che potremmo fare un giochino, » si sedette sul pavimento a gambe incrociate e poi stese i palmi dietro di sé, l’intrico di tatuaggi che fece capolino dallo scollo della maglia, « Ho pensato che potresti raccontarmi un po’ di cose. Non avrai mica voglia di rimanere di nuovo qui da sola con i tuoi pensieri, giusto? »
Ancora, il cuore prese a batterle furioso mentre le si bloccava il respiro e dei tremolii gelidi le risalivano il busto, però lei scosse la testa e si costrinse a parlare: « Non ti dirò un accidenti. »
Kert rise, inclinò il capo da un lato, i lunghi capelli color ghiaccio che seguirono il movimento: « Ripeto, non saresti altrettanto divertente se non avessi questo fegato. Facciamo così, tu mi dici una cosa e io ti dico una cosa. Uno scambio equivalente. Mi sembra giusto, non trovi? »
Minto si azzardò a scrutarlo per più di qualche secondo, detestando quegli occhi dorati, detestando la sua massa imponente, detestando quell’espressione di completa tranquillità che tanto le ricordava qualcuno.
« Scommetto che anche ai tuoi amici farebbe piacere sapere una cosetta o due. »
« Non ti azzardare! » esplose lei di scatto, le ali e la coda che frullarono indispettite, « Tu non sai niente di noi! »
« Proprio il fulcro della questione. »
« Perché, esattamente che piani avresti per me? » domandò lei, con un singhiozzo che non riuscì a coprire, « Vuoi forse farmi credere che… che… »
Le iridi chiare s’incupirono per un istante: « Vuoi farmi passare per molto meno onorevole di quanto non sia, Minto? » il nome le risuonò come fiele detto dalla sua voce, « Come io non so niente di te, tu non sai niente di me. »
« Onorevole prendere un ostaggio, torturarlo e legarlo! »
« Ho bisogno di informazioni, » proseguì lui, « Eri la via più veloce per ottenerle. Se fossi stata meno testarda, forse in questo momento ti troveresti in una situazione diversa. Ma ripeto, così è stato molto più interessante. »
Lei sbuffò sarcastica e cercò di nuovo di divincolarsi, di allentare la stretta su polsi e caviglie, e lanciò uno sguardo disperato al suo povero arco, sbeccato e abbandonato dall’altro lato della stanza.
« Non ci pensare nemmeno, » l’ammonì lui, indovinando, « Potrei non essere così clemente, la prossima volta. A questo proposito, come diamine funzionate tu e le tue compagne? Mi sembra di capire che non siete semplici umane. Quella tua amica bionda spara un… blob gigantesco. »
« Noi siamo le Mew Mew. »
Kert la osservò per un altro paio di secondi a sopracciglia alzate: « Ne so quanto prima, dolcezza. »
« Fattelo bastare. »
Di nuovo, un paio di istanti di silenzio, poi l’alieno scoppiò in una fragorosa risata: « Forse ora capisco perché quel Duuariano – Kisshu, hai detto che si chiama? – è così fissato con te. »
Minto perse un respiro alla menzione del nome, e Kert sembrò non mancare la sua espressione.
« Oh, non dirmi che ti aspettavi che sarebbe riuscito a trovarti, » sogghignò maligno, « Non ti facevo una donzella che aspetta l’arrivo salvifico del suo bell’innamorato. »
« Tu non lo conosci, » ribatté lei, sputando fuori lentamente e con odio ogni parola. Ottenne solo di farlo sorridere ancora di più:
« No, però mi sono divertito parecchio a osservarlo in questi giorni. Scommetto che vorresti sapere tantissimo cosa stesse facendo. »
Le immagini che le avevano avvelenato il cervello e il cuore le si accalcarono di nuovo davanti agli occhi, mentre lo stomaco le si riempiva di bile e la nausea le risaliva la trachea.
« Vaffanculo, » sussurrò con voce rotta, guardandolo con tutto l’odio di cui era capace.
« Chissà se potessi barattarti per una vostra resa incondizionata, di sicuro ci renderebbe il lavoro più semplice. Anche se non ce lo vedo, quello spilungone, a prostrarsi a certe cose. Lui se la fa con quella dai capelli verdi, non è vero? » Kert le parlò con calma assoluta, del tutto divertito dalle sue esternazioni, « A proposito, non mi è molto chiaro cosa ci facciano quei tre qua. È questo il metodo di riconquista Duuariano? »
Minto spalancò impercettibilmente gli occhi, confusa: come faceva Gaia a non sapere di Deep Blue, della Mew Aqua, di come era andata a finire la missione degli Ikisatashi sulla Terra? Erano davvero così scarsi i contatti tra i due pianeti? Non che riuscisse a capire, in quel momento, come queste informazioni potessero essere rilevanti, ma non avrebbe certo rivelato nulla.
« Duuar e la Terra non sono più nemiche, » mormorò « Se aveste ascoltato, la prima volta che ci – »
Kert sventolò una mano in aria: « Ah, sì, quella storia della pozione magica? Dubito che possa interessarci. Il nostro pianeta è in perfetto stato climatico, al contrario del vostro, solamente ci serve più spazio. Anzi, credo che saremmo comunque più in grado noi di rimediare ai danni che avete combinato di qualche mistica brodaglia. »
« Allora perché venire qui, se la Terra è in condizione così disastrose per voi? »
Il sorriso dell’alieno si allargò: « Oh, vedi che alla fine il mio giochino ha senso? » si rilassò un po’ di più sui palmi, « Te l’ho detto, Minto. Gaia ha bisogno di estendere i propri confini. La nostra popolazione cresce, e non possiamo rischiare di mettere a repentaglio l’equilibrio naturale e climatico del pianeta. Non dopo quello che la nostra gente ha passato. »
« Ci siamo noi qui adesso! Da millenni, da ben dopo che il vostro popolo aveva abbandonato la Terra. Come già detto al tempo ai vostri compatrioti, non potete venire qui a rivendicare un bel niente. »
« E infatti gli è piaciuto così tanto che sono rimasti. »
Kert ghignò soddisfatto al sottile rossore che le colorò le guance, e Minto alzò il naso, come a recuperare qualche millimetro di inferiorità:
« Sapevano che sareste arrivati, » sibilò, « Sono qua anche per impedirvi di commettere i loro errori! »
« Direi che sta funzionando, » la prese in giro ancora, « Grazie comunque per aver confermato che le nostre comunicazioni verso Duuar hanno avuto buon fine, ci sentivamo ignorati. Anche se mi stupisco che non abbiano inviato contingenti più efficaci, se così interessati al vostro destino. Oppure, tutta questa storiella dell’idillio tra i vostri pianeti non è poi così veritiera. »
La mora si morse la lingua e tentò di mettersi seduta più composta: « Vi stiamo tenendo testa in ogni modo. »
« Tu sicuramente, uccellino, te ne devo dare atto, » anche Kert si raddrizzò e il suo sguardo si fece più serio, « Quindi ci siete solo voi ad avere le alucce, immagino. Zaur ha borbottato qualcosa sul vostro DNA, ma francamente ero annoiato dopo sette secondi. »
Lei si domandò quale di loro fosse Zaur, ma questa volta scelse di rimanere zitta. L’alieno non ne sembrò molto turbato.
« Per quale diamine di motivo, poi, dovreste avere fattezze animali? »
Ancora, Minto si morse le labbra e lo guardò solo con rancore.
« Uccellino – »
« Minto. »
« Minto, » lui si corresse e rise divertito, piegandosi poi più in avanti e abbassando la voce, « Stai tornando a essere noiosa e antipatica. »
« Perfetto, » ribatté velenosa lei, anche se le piume delle ali vibrarono in allerta e uno strano rimescolio le prese lo stomaco.
Kert emise solo uno sbuffo divertito, scrutandola per pochi istanti con le iridi cariche d’interesse.
Poi fu come se tutta l’aria venisse risucchiata dalla stanza.
 
 
 
 
Purin non aveva mai trovato il Caffè così deprimente come quella mattina.
Un ennesimo acquazzone aveva deciso di abbattersi sulla città, ingrigita e fredda, e lei stava incominciando a diventare claustrofobica con tutto il nervosismo extra che aveva in corpo.
Puntò dritto contro Taruto non appena varcò la soglia del locale, ignorando più che mai il suo imbarazzo di fronte a manifestazioni pubbliche di affetto. Il ragazzo stesso, invece, fu più grato del solito all’abbraccio in cui lei lo avviluppò, stringendola a sua volta con un braccio e carezzandole il cappuccio che portava sopra la testa con fare premuroso.
Kisshu, invece, concesse ai suoi fratelli – entrambi molto vicini alla cucina e alle sue scorte alimentari – soltanto un cenno del capo e scomparve di nuovo al piano di sopra senza dire una parola.
« Non so cosa fare col nii-san, » bofonchiò Purin dopo un po’, quando fu sicura di essere il più possibile fuori dalla portata di orecchio, il volto ancora premuto contro il petto di Taruto, « Praticamente non ha detto una parola da ieri sera. »
« Non sono certo che vorremmo sentire ciò che ha da dire, » commentò laconico Pai, bevendo un altro sorso di caffè nonostante fosse già alla terza tazza in meno di due ore e guadagnandosi un’occhiataccia da parte della bionda, « Sarebbero solo sequele di parolacce e commenti poco utili. »
« Lo puoi biasimare? » rispose secco Shirogane, passandogli accanto per sfruttare anche lui la miscela fumante appena fatta.
L’alieno non criticò oltre, e annuì verso Keiichiro, anche lui con l’ombra della barba che gli scuriva il viso: « Il programma ha finito di aggiornarsi. Il codice sembra solido, ma la scansione procede lenta. »
Ichigo si lasciò andare a un sospiro angosciato: « Questo è un incubo. »
« Quante possibilità ci sono che funzioni meglio di tutti gli altri sistemi che avete già provato? »
Ryou non guardò Zakuro dopo quella domanda, concentrandosi solo sulla macchina del caffè: « Non credo che una comparazione sia efficace, a livello di meglio o - »
« Okay, quindi non cambierà niente, capito. »
Al commento acido della mewlupo, Purin finalmente si staccò da Taruto e si strofinò la manica della felpa extralarge, che non apparteneva certo a lei, contro al viso.
« Vado dal nii-san, » borbottò poi, svicolando via prima che le amiche o gli Ikisatashi tentassero di farla desistere.
Per lei non era concepibile alienarsi nel momento del bisogno: più degli altri sapeva quanto fosse necessario il sostegno degli amici, della famiglia, quando le cose si facevano difficili, e se quel testone di Kisshu non lo voleva ammettere, sarebbe andata lei a insistere, perché lei aveva bisogno anche del suo appoggio in quel momento.
Aveva bisogno lei stessa di vedere che lui non aveva perso tutte le speranze.
Lo trovò all’incontrario sul suo letto, la testa penzoloni giù dal bordo e un plico di polaroid in mano.
« Non mi serve una baby-sitter, » l’accolse piatto quando la sentì arrivare.
Purin gli scostò le gambe con malagrazia e gli si sedette accanto: « Io invece voglio compagnia. »
« Non hai un fidanzato per questo? »
« Non essere stronzo, » gli pungolò un fianco con un dito, e perfino Kisshu fu sorpreso dalla scelta di linguaggio, « Ecco, è proprio il mio messaggio principale. »
Nuovamente, lui si stupì della risatina sincera che gli risalì dalla gola: « Certo che sei proprio una rompipalle. »
« Appannaggio della sorellina minore. »
Lui fece schioccare ironico la lingua e le lanciò un’occhiata divertita: « Mi devi dire qualcosa che non so? »
« Non fare il finto tonto, sarebbe uguale anche se non ci fosse Taruto di mezzo. Passerebbe per la onee-san. »
Il viso di Kisshu s’indurì a quel commento, e lui si soffermò di nuovo sulle foto che reggeva – una panoramica di quasi un anno di relazione con Minto, da quando lei gli aveva regalato la macchina fotografica a poche settimane prima.
Si tolse dalla testa il pensiero che potevano essere tutto ciò che gli sarebbe rimasto di lei.
Purin sembrò capirlo, perché evitò pervicacemente di guardarle e gli diede un colpo col ginocchio: « Andiamo a vedere cos’ha Akasaka-san in cucina? Secondo me Ryou nii-san ha messo un bando ai dolci, perché la colazione stamattina non – »
Un insistente allarme, diverso da tutti quelli che avevano sentito nel tempo, li fece sobbalzare entrambi, seguito poi da segnali a cui erano molto più abituati. Kisshu volò giù ancor prima che la bionda potesse sbattere le ciglia, ma si affrettò a seguirlo con il cuore che batteva a mille, facendo i gradini a tre a tre fino al seminterrato.
Pai era già curvo sul computer, le dita che saettavano sulla tastiera: « Sono scattati tutti contemporaneamente, » spiegò spiccio, « Compreso quello sulla Mew Aqua. Ma non capisco cosa – »
« Qui, » Ryou gli indicò un punto sul monitor principale, poi si sbrigò a zoomare e sgranare l’immagine, « Il programma per individuare DNA compatibili ha rintracciato il profilo genetico di Minto, per una frazione di secondo… »
Kisshu quasi lo spinse di lato: « Dove?! »
« Non ha senso, » sussurrò Zakuro, scrutando lo schermo, « Perché è sparito di nuovo? »
« Shirogane, dove!? »
Il biondo silenziò gli allarmi e batté un altro paio di tasti: « Due chilometri a sud di qui. »
 
 
 
 
Minto si rannicchiò ancora di più su sé stessa mentre annaspava, i polmoni che non riuscivano a riempirsi, la gola che pareva farsi via via più stretta, gli occhi che di nuovo si riempirono di lacrime.
Forse era così che si sentiva un pesce fuor d’acqua.
« Ho un’amica davvero brava a scoprire quello che serve, » mormorò Kert e le si avvicinò, sfiorandole con un dito le delicate piume della coda, « Sei fortunata che non sia qui con noi. Ma anche io non sono proprio inutile. »
Osservò i colori iridescenti del piumaggio e attese qualche altro istante prima di parlare, degli istanti che a Minto parvero infiniti.
« Non mi faccio vanto di chissà quali capacità, ma qualche asso nella manica ce l’ho. In stanze molto ridotte, ad esempio, posso cancellare ogni traccia di ossigeno presente nell’aria. Tranne, ovviamente, per me stesso. »
Lei sussultò solo quando avvertì le sue dita percorrerle un fianco e poggiarsi sul suo collo, come a controllarle il battito: avrebbe voluto scrollarselo di dosso, ma non aveva nemmeno le energie per mugolare.
« Si rivela utile, quando qualcuno è particolarmente testardo, » continuò lui, e spostò le dita lungo la mascella di lei, « Dici che hai voglia di chiacchierare un po’ di più? »
Minto rantolò, ormai con una palla di fuoco dentro al petto al posto dei polmoni, la testa che cominciava a girarle e ogni singolo muscolo che faceva male. Anche se avesse voluto, solo per insultarlo, non avrebbe potuto nemmeno muovere la lingua, e…
Le labbra di Kert si posarono sulle sue prima che lei potesse accorgersi che si fosse mosso, le sue dita che le spinsero il mento in alto. Provò una sensazione di gelido terrore e fece per ritrarsi, quando il dolce soffio di aria respirabile le riempì di nuovo le vie aeree, schiarendole per un secondo le idee.
L’alieno si ritrasse molto più lentamente di come si era avvicinato, e la guardò sempre con quell’insopportabile sorriso soddisfatto; Minto serrò le labbra, cercando di trattenere ogni più preziosa molecola di ossigeno, cercando di togliersi l’orribile gusto di quel bacio di dosso.
« Possiamo ancora andare avanti così. Oppure possiamo – » Kert s’interruppe e inclinò appena il capo da una parte, come se stesse ascoltando qualcosa che lei non poteva sentire.
La mora, la cui riserva d’aria stava di nuovo decrescendo pericolosamente, notò solo un guizzo scocciato nella sua mascella prima che l’alieno le sorridesse di nuovo e le stuzzicasse, questa volta, le ali.
« D’accordo, divertimento finito, » tirò un po’ di più, strappandole l’ennesimo gemito di dolore, e sfilò una delle piume, rigirandosela incuriosito, « Come ricordino delle nostre chiacchierate. »
L’aria le ritornò violentemente nei polmoni e la vista le si appannò del tutto per quante lacrime le fluirono negli occhi; Minto prese quanti più respiri possibili, tossendo e boccheggiando contro la nausea e il pulsare nel suo cervello.
« Sei un essere spregevole! » esclamò con voce rotta, e lo fece solo continuare a sorridere.
« Scommetto che pensavi la stessa cosa anche dei Duuariani, quando sono arrivati qui per la prima volta, » la prese in giro sottovoce, sfiorandole il naso con la piuma prima di portarsela alle labbra, « Magari cambierai idea anche su di noi. »
Lei non fece in tempo a reagire, attraversata solo da un brivido di disgusto e terrore, che lo vide di nuovo fare una smorfia scocciata, il viso che si rivolse al muro a loro opposto, verso l’entrata della stanza. Con uno sbuffo contrariato, si alzò in piedi, infilandosi la sua piuma in tasca, e le lanciò un’occhiata un po’ contorta:
« Peccato doverti condividere, ora. »
Con un gesto annoiato, Kert finalmente aprì la porta.
L’alieno dagli occhi blu, quello che doveva essere a capo della combriccola, entrò come una furia e si diresse subito addosso al suo rapitore, senza degnarla di uno sguardo: « Ma sei impazzito?! » urlò in un sussurro, dandogli uno spintone, « Espera stava diventando blu! »
Kert rispose con un ghigno divertito: « Le ha sempre donato, come colore. »
Minto, ancora boccheggiante e molto confusa, si distrasse da quella discussione, osservando solo l’uscio spalancato, il corridoio buio oltre ad esso che sembrava però molto più luminoso della stanza dove aveva passato chissà quante ore. Se solo fosse stata libera, se fosse riuscita a slegarsi almeno le caviglie…
Tentò di librarsi in volo, ma le ali le fremettero dolenti e si sollevò forse di un paio di millimetri prima di ripiombare con un gemito sul pavimento duro. Ogni energia che aveva riconquistato durante il sonno era come svanita, tutte le sue cellule si rifiutavano di collaborare e la testa le girava più che mai. Alzò lo sguardo e si contorse il più possibile per guardare quel corridoio – una casa, quella era una vera e propria casa! – e i suoi occhi registrarono le figure dei due alieni che già aveva incontrato, più una terza che non era quella comparsa durante la battaglia notturna, ma un’altra, diversa, e che la stava osservando con…
Emise un gridolino quando si sentì di nuovo sollevare in alto per i polsi legati, Kert che la sostenne appena i suoi piedi si posarono sul pavimento perché le gambe non riuscivano a sorreggerla. Avvertì Rui dire qualcos’altro, un borbottio confuso da parte dei suoi compagni, e poi percepì un dolore sordo alla nuca e tutto divenne nero.
 
 
 
 
Kisshu nemmeno notò il muro di pioggia che gli si abbatté addosso quando apparve nel punto indicatogli da Shirogane. Quasi non aveva lasciato che l’americano finisse di parlare: si era fatto riportare le coordinate nel suo comunicatore ed era saettato fuori senza neanche aspettare che le Mew Mew reagissero.
I sai già impugnati, si guardò intorno, cercando oltre l’acquazzone per un segno di vita. Un altro parco, uno che lui non conosceva, completamente svuotato visto il tempaccio.
Dove sei?
« Ma che ti salta in testa! » la voce stridula di MewIchigo, le orecchiette nere già inzuppate, gli arrivò come un trapano all’orecchio, « La devi smettere con queste azioni alla James Bond, siamo una squadra! »
L’alieno non la degnò di uno sguardo, e la rossa digrignò i denti, la codina nera che sferzò l’aria con irrequietezza: « Non li vedo. Ryou, sei sicuro del luogo? »
Masha le fluttuò accanto per trasmettere la voce del marito: « Certo che lo sono, » il suono giunse più metallico del solito, « Il segnale dei geoti continua a provenire da lì! »
MewRetasu si mordicchiò il labbro: « Minto-chan non c’è. Non c’è nessuno. »
« State cercando qualcosa? »
Sette teste scattarono all’insù alla voce sarcastica di Kert, una macchia grigiastra contro il cielo plumbeo. Sembrava molto più soddisfatto dei suoi compagni, a triangolo poco dietro di lui, le armi già imbracciate. MewIchigo avvertì una stretta allo stomaco nel constatare che, comunque, di Minto non c’era traccia. Strinse la sua campanella e fece un passo avanti, maledicendo la pioggia che le impediva di vedere bene: « Razza di bastardi! » strillò, il pelo della coda irto, « Ridateci la nostra amica! E spero per voi che non le sia successo niente! »
Un tuono rombò sotto la risata sprezzante dell’alieno: « Non preoccuparti, umana, ci siamo molto divertiti. »
MewIchigo poté giurare di sentire Kisshu ringhiare veramente, mentre anche lui avanzava, Taruto che praticamente lo tallonava; un ringhio che si fece ancora più cupo quando, dopo un cenno d’intesa tra Kert e l’alieno coi capelli neri, quest’ultimo mosse appena il capo: la Mewbird comparve come dal nulla, imbavagliata e legata, chiaramente priva di sensi, dentro una specie di bolla d’aria sospesa nel vuoto poco lontano dai geoti.
« Avete voglia di venire a prendervela? » continuò a provocarli lui, sganciando l’accetta alla cintola e facendola roteare un paio di volte, « Perché mi costerà molto separarmi dalla sua amabile compagnia. »
« Pensiamo bene a cosa fare, » MewZakuro sussurrò veloce, « Non possiamo rischiare di metterla in pericolo. »
MewIchigo annuì, cercando di studiare la situazione mentre un altro lampo illuminava cupamente il parco. Un brilluccichio catturò la sua attenzione, facendola scrutare alla sua sinistra con la coda dell’occhio. Il campanellino in cima alla sua coda trillò innervosito non appena lei registrò esattamente quel dettaglio.
« Kisshu, cosa diavolo pensi di fare?! »
Lui fletté appena le dita su cui galleggiava pigramente un para-para: « Ammazzarlo, » rispose solo, con tutta la naturalezza del mondo.
 MewZakuro gli andò incontro e lo prese per un braccio, costringendolo a voltarsi per guardarla: « Sei impazzito? » sussurrò, lanciando un’occhiata all’enorme chimero, « Quel… coso potrebbe perdere completamente il controllo e rischiare di colpire Minto! »
Le iridi dorate la guardarono con un’espressione di stupore mista a livore: « Avrà solo un obiettivo ben preciso. »
Se la scrollò di dosso, e, di nuovo, partì prima che qualcun altro potesse anche solo aprire la bocca, lanciandosi a testa bassa tra gli alberi alla ricerca di un ospite compatibile per il para-para.
« Brutto stupido, » fu il solo commento di Pai, che però estrasse il suo ventaglio e si gettò anch’egli dietro al fratello.
Sotto il costante scrosciare della pioggia, i due gruppi si lanciarono l’uno contro l’altro, in un’esplosione di colpi e colori. MewRetasu ebbe l’impressione che i suoi attacchi fossero superflui in confronto ai litri di acqua che stavano cadendo e che rendevano il terreno erboso un pericoloso pantano sdruccioloso, ma serrò i ranghi vicina alle sue amiche e impugnò le nacchere più forte del solito.
MewZakuro, accanto a lei, si rese conto invece di essere poco concentrata, parte dell’attenzione a Minto, inerme dentro quella sfera opaca, e parte invece a Kisshu e alle sue idee poco pensate. Sferzò nell’aria con la frusta, spezzando a metà strada qualche freccia di Pharart che aveva puntato a MewPurin e Taruto, e di nuovo lanciò un’occhiata verso il boschetto ben tenuto, dove si era intrufolato il verde senza ancora farvi ritorno.
« Dove si è cacciato?! » esclamò a voce alta per superare il rumore del temporale e i sibili dei loro colpi, schivando allo stesso tempo uno degli attacchi di Rui, il quale, pur senza quello strano supporto dell’altra aliena e della Luna, aveva lo stesso una precisione micidiale.
Pai ricomparve pochi secondi dopo, annunciato da una scarica di ghiaccio puntata verso Zaur, colpevole di starsi avvicinando troppo a MewRetasu, le spalle contratte in un sintomo della sua frustrazione; la mewlupo cercò di incrociare il suo sguardo, per chiedergli qualche delucidazione, ma con la coda dell’occhio vide finalmente Kisshu sfrecciare rasoterra fuori dalla boscaglia, puntando dritto contro Kert con aria omicida.
MewZakuro non avrebbe ammesso che aveva trattenuto il fiato per un secondo.
Prima, il rombo di un tuono, poi l’urlo di un gigantesco chimero che spuntò dalle fronde: un drago, dalla cui bocca violacea, dello stesso colore del corpo, uscivano delle strane fiamme verdastre, mentre due ali dorate spiccavano da sopra una lunga criniera rossa che gli percorreva l’intera schiena.
Pharart non riuscì a mascherare una maledizione: « Che diavolo è?! » esclamò confuso, puntando subito tre frecce in una volta in direzione dell’animale.
Anche Rui imprecò tra i denti, volando a zig-zag per evitare le fiammate: « Possibile che abbiano sempre qualche trucchetto!? »
« Vai così, nii-san!! » urlò invece estasiata MewPurin, schivando una delle radici di Pharart e intrappolandola in uno dei suoi budini così che Taruto potesse tranciarla.
MewIchigo, molto meno entusiasta della situazione, si fermò a riprendere il fiato e a scostarsi la frangia inzuppata dagli occhi, studiando la bestia che ora si muoveva sinuosa tra i nemici, quasi seguendo gli stessi movimenti che Kisshu compiva contro Kert, serrandolo in duello. Aveva udito il rumore di una frenata, e si guardò appena sopra la spalla per confermare che Ryou era riuscito a raggiungerle – lei non ne era stata particolarmente convinta, ma non era riuscita a fargli cambiare idea, a conquistare il senso di colpa che lui continuava a provare nei loro confronti.
Lo vide mimare qualcosa che sicuramente era un’imprecazione in lingua madre, e si prese solo un altro attimo per indicargli la sfera in cui si trovava Minto: lui sbiancò visibilmente anche da duecento metri più indietro, poi però annuì e le fece un cenno di incoraggiamento, cui lei rispose con un sorriso tremolante.
Conosceva Kisshu, molto bene sotto certi punti di vista, e pregò solo tra sé e sé che non perdesse la testa, mandando al diavolo tutta quella situazione.
 
 
 
 
Il cuore gli rimbombava nelle orecchie così forte da ottundere tutto il resto.
Quello stronzo, figlio di puttana.
Aveva completamente smesso di pensare quando aveva visto Minto ridotta in quello stato, una figurina indifesa sospesa a mezz’aria, così vicina a lui e al tempo stesso quasi inavvicinabile.
L’unico suo obiettivo ora era metterla in salvo.
Togliendo di mezzo tutti quelli che avrebbero potuto ostacolarlo.
Kisshu strinse i sai e affondò un’altra volta, sprigionando una carica elettrica rivolta dritta al cuore del suo avversario. Non gli importava nemmeno, in realtà, dove i suoi attacchi incessanti colpissero, l’importante era colpire.
Se solo le hai storto un capello più di così…
Kert riuscì a deviare il colpo con una leggerezza che non si sposava con la sua mole e poi gli rise in faccia di gusto, tentando di ricambiare con il filo dell’accetta mentre provava a comandare l’aria attorno a sé perché lo assistesse.
« C’è forse qualcosa che non va? » denigrò, lanciandosi i capelli fradici dietro le spalla, « Pensavo saresti stato contento di rivedermi. »
« Muori, » rispose solo Kisshu a denti stretti, schizzando di nuovo a testa bassa contro di lui e poi virando all’ultimo, così che il mostro che aveva creato potesse passargli dietro e avere campo libero.
Kert soffocò una maledizione, schivò le vampate verdognole e si voltò all’ultimo per parare la lama dell’avversario, che gli era arrivato alle spalle. Non si era aspettato questa ennesima trovata dei duuariani, che lo stava facendo sudare nonostante il freddo della maglia fradicia contro la pelle. Bloccò l’ennesimo colpo coi parabraccia e sferrò un pugno a Kisshu, riuscendo solo però a sfiorargli la gota con le punte delle borchie sui guanti.
Di nuovo, si lasciò cadere all’indietro quanto bastava per allontanarsi dall’avversario e sganciare il suo amato bazooka, creando una bolla d’aria che colpì in pieno il drago: non fu abbastanza, però, per sconfiggerlo, solo per allontanarlo momentaneamente con un boato di rabbia.
Kisshu quasi non parve accorgersene: gli fu di nuovo addosso, con un’espressione di serafica furia, i dardi elettrici che si avventavano su Kert ogni secondo.
Il geota fece schioccare la lingua e ne schivò quanti più possibili, parando gli altri con l’accetta e tentando di manovrare la sua arma con una mano sola.
« D’accordo. Vogliamo fare sul serio? »
 
 
 
 
Un pigolio incessante la riscosse dal profondo torpore in cui era caduta, e da cui le pareva di non riuscire a risalire. Quando Minto finalmente aprì gli occhi, le ci volle qualche istante per comandare le sue palpebre, così come a mettere a fuoco le immagini e ricomporre i pezzi degli ultimi avvenimenti. Il cuore le schizzò nuovamente in gola quando si rese conto di stare galleggiando in aria mentre, parecchi metri sotto di lei, finalmente rivide le sue amiche.
Anche se avrebbe preferito ritrovarle in condizioni diverse.
Sicuramente non aveva previsto il dragone sputafuoco, chiara opera di qualcuno che conosceva bene. Scannerizzò velocemente la scena alla ricerca di Kisshu, e quando lo trovò, impegnato in un serrato testa a testa con Kert, il cuore prese a batterle come una furia: ma non osò fiatare, per paura di poterlo distrare, non osò nemmeno muoversi per il terrore sia di deconcentrare chiunque di loro o di forare la sua precaria protezione. Inoltre, polsi e caviglie erano ancora legati, e la benda, per quanto morbida, aveva iniziato a sfregarle la pelle in maniera fastidiosa; quindi, ogni movimento le procurava solo infinita irritazione. Ciliegina sulla torta, bendata com’era sarebbe riuscita solo a emettere mugolii incoerenti che non avrebbero aiutato la situazione.
Forse si era trovata in una posizione migliore nel covo dei geoti.
Un puntino rosa attirò la sua attenzione, e sgranò gli occhi con sollievo quando Masha – l’origine di quel pigolio così fastidioso ma così benvenuto – le fluttuò davanti, sbattendo inconsolabile contro la barriera d’aria.
« Minto! Tutto… bene? »
Lei si contorse quanto poteva, attenta a tutto, per cercare Shirogane, la cui voce risuonò preoccupatissima attraverso il robottino. Quando finalmente lo trovò, poco più indietro rispetto alla battaglia a scendere dalla macchina, si limitò ad annuire e mormorare incoraggiante.
Lo vide passarsi una mano tra i capelli biondi mentre probabilmente il suo cervello lavorava a mille miglia all’ora: « Adesso cerchiamo una maniera di tirarti giù da lì. »
Sobbalzarono entrambi all’ennesimo tuono, seguito dal ruggito della bestia: Minto si incurvò dalla parte opposta per osservarla venire colpita da un getto d’aria di Kert in un turbinio di fiammate e scagliata lontano, schiantandosi contro degli alberi e sollevando una nuvola di terriccio e sabbia che per qualche secondo peggiorò la visibilità ancora di più.
Un altro barrito, e il chimero ritornò alla carica, le ali che sferzarono l’aria vicinissimo alla sua cella. La Mewbird, il cuore che le schizzò in gola, sentì chiaramente lo spostamento della sfera, il tremolio delle sue pareti a quel contatto sfiorato, così come udì la parolaccia di Shirogane sopra al pigolio terrorizzato di Masha.
« Minto-chan! Stai bene!? » la voce affaticata e inquieta di MewIchigo le parve lontanissima, e lei non riuscì ad individuare l’amica in quel macello, mentre le gocce di pioggia sembravano farsi più intense, abbattendosi come proiettili contro la superficie leggera della bolla.
« Bisogna tirarla fuori da lì! »
« Grazie, Shirogane! » sberciò la mewrosa, in un battibecco che a Minto sembrò la cosa più familiare del mondo, « Hai anche idee oltre a – »
La comunicazione s’interruppe quando il chimero di Kisshu, le fauci spalancate, piombò davanti alle Mew Mew, le grosse unghie nere che s’infilarono nel terreno e lo fecero tremare, spaccandolo e facendo vacillare le ragazze. La coda sferzò e quasi colpì MewRetasu, che scattò all’indietro all’ultimo e poi si coprì le orecchie con le mani quando la bestia lanciò un urlo belluino e sprigionò una fiammata divampante in direzione dei geoti.
Minto osservò a occhi sgranati la scena, Kisshu dritto nella linea di tiro di quelle vampate ora smeraldo: l’alieno non sembrò farvi caso, concentrato com’era solo su Kert. Vide l’alieno dai capelli azzurri evitare per un soffio la carbonizzazione con una carambola al contrario, l’ennesima bolla d’aria lanciata stavolta a mo’ di protezione, e il verde dietro di lui, i sai inghiottiti dalla luce dorata delle scariche elettriche.
« Io lo sapevo che l’idea di Kisshu era un’idea del cazzo. »
Non avrebbe potuto essere più d’accordo con la sua onee-sama.
 
 
 
 
Rui avvertì il calore quasi prima di accorgersi delle fiamme dirette verso di loro. Schivò il colpo rosato dell’umana con le orecchie da gatto e lanciò un’allerta ai suoi compagni, la gola che gli si strinse nel vedere suo fratello così vicino al pericolo. Non ebbe il tempo di riflettere, si concentrò solo sul volare quanto più lontano possibile e attirare a sé abbastanza acqua da rimandarla indietro verso quel mostro, spegnendo appena la potenza dell’attacco. Dall’altro lato, Kert fece lo stesso con un getto d’aria, e lui riprese a respirare un po’ più facilmente.
Se solo fosse riuscito ad andare ad aiutarlo… non che gliel’avrebbe permesso, ma non gli piaceva per niente come fosse palese che la questione fosse diventata personale tra lui e quel duuariano.
Si tolse una ciocca fradicia dagli occhi e lanciò un altro getto d’acqua verso la bestia, notando però come avesse intralciato anche le sue nemiche.
Forse poteva voltare la situazione a loro vantaggio.
« Pharart! » chiamò a gran voce, « Vai! »
 
 
 
 
« Minto-chan è sveglia! » MewIchigo saltellò tra le sue compagne e tirò in piedi MewRetasu, ancora rintontita da quell’ultima trovata del chimero davanti a loro, « Dobbiamo portarla giù! »
MewZakuro tenne gli occhi fissi sulla coda dell’animale che scudisciava irritata mentre esso sembrava riprendere il fiato dopo tutto il caos provocato: « Se Taruto o Pai potessero –  »
Il richiamo di Rui giunse fino a loro. Tre frecce, e poi tre altre ancora, sibilarono poco distanti, conficcandosi tutt’attorno al chimero: il tempo di sbattere le ciglia e la terra tremò di nuovo, le Mew Mew che caddero come birilli, mentre radici grosse quanto tronchi spuntarono di scatto dal terreno per aggrapparsi al drago e bloccarlo.
Il lucertolone lanciò un urlo devastante di dolore, e prese a dimenarsi come un ossesso per potersi liberare. Le quattro tentarono di rimettersi in piedi, ma le scosse provocate dal bestione erano incessanti e la sua coda, rimasta libera, era una frusta impazzita.
« Taruto, fa’ qualcosa! »
« Non mi rispondono! » il più giovane degli Ikisatashi urlò di rimando al grido di Purin, volandole accanto per aiutarla a rialzarsi e al tempo stesso cercando di stabilire un contatto con quelle radici.
« Sbarazzatevene! » tuonò Pai, creando una potente corrente per parare le ragazze dai colpi dei nemici, « Togliete di mezzo questo coso impazzito! »
« È stata un’idea di tuo fratello! »
« Vi sembra il momento di pensare a una cosa del genere!? »
MewIchigo strinse i denti, e fece per prendere la sua campanella e rivolgerla alla povera bestia quando Rui piombò su di lei come un lampo, portandosi dietro ancora più pioggia.
Lei barcollò all’indietro, pericolosamente vicino agli artigli del drago, e fu solo grazie agli innati riflessi felini che riuscì a incastrare la sua arma nella punta della spada di lui, fermandola e respingendola per un soffio.
Un getto d’acqua da MewRetasu, alle spalle di Rui, le venne in soccorso, ma la mewverde fu poi incalzata da Zaur, e le venne quasi naturale allontanarsi il più possibile, combatterlo da lontano, memore dell’ultima volta in cui se l’era ritrovato vicino.
Il terreno tremò ancora all’ennesimo ruggito del chimero, e MewIchigo traballò e provò a girargli intorno, continuando ostinatamente a lanciare lampi di luce rosata verso l’alieno; lo stivale, però, incontrò un pezzo di roccia divelta e lei sentì il pavimento mancarle da sotto i piedi mentre scivolava e cadeva a terra.
« Non ci provare! » MewPurin le fu accanto come per magia, e uno dei suoi anelli si schiantò con forza contro la guancia dell’alieno, stoppandolo quanto bastava per poi immobilizzarlo dentro uno dei suoi budini.
« Grazie, » esalò MewIchigo, accettando la mano che le porse per tirarsi su e prendendo un respiro profondo per calmare i battiti impazziti del suo cuore.
La bionda le fece l’occhiolino e impugnò di nuovo le proprie armi: « Non c’è di che, leader. Andiamo! »
 
 
 
 
Anche a distanza di metri, e con Kisshu che non gli lasciava spazio per respirare, Kert si accorse dell’imprecazione del fratello: lo vide con la coda dell’occhio venire colpito dalla piccoletta in giallo e poi inghiottito da quel blob di cui lui non si poteva ancora capacitare.
Strinse i denti e, per una volta, fu lui a lanciarsi contro il duuariano in un eccesso di rabbia, riuscendo finalmente ad assestargli un cazzotto nel plesso solare che lo fece volare lontano e gli bloccò il respiro per qualche istante.
Questa storia del loro duello stava cominciando a stressarlo, era finito il divertimento, e avrebbe preferito tornare a combattere a fianco di Rui, per essere certo che il fratellino stesse bene.
E dover continuare a sostenere quella sfera d’aria in cui dentro c’era l’uccellino…
Kisshu tornò a testa bassa e armi puntate contro di lui, evitò per un soffiò la corrente d’aria che il bazooka gli sparò contro, e fu in grado di sfiorarlo con il filo della lama, aprendogli uno squarcio nella maglia.
Kert fu svelto ad allontanarsi e imprecò, controllando con le dita di non essere ferito, e poi guardò con disprezzo il suo avversario: « Ora mi hai un po’ rotto le palle. »
Il verde fece schioccare la lingua e roteò i sai: « Il sentimento è ricambiato. »
Il geota ghignò, alzò la mano destra, e lo guardò con estremo divertimento, prima di schioccare le dita.
 
 
 
 
Non sapeva se da quel momento in poi avrebbe sofferto di vertigini, ma sicuramente le sarebbe piaciuto rimanere un po’ più vicino al suolo, per un po’. Soprattutto con la nausea che era ritornata a farle visita, ora che era costretta a osservare i suoi amici battersi senza che lei potesse fare nulla.
Il chimero era ancora legato dalle radici di Pharart, e le ragazze stavano dando il loro meglio, premute com’erano dai geoti. Non avrebbe osato dirlo, ma le sembrava pure che Pai fosse in difficoltà.
La pioggia, inoltre, continuava a cadere copiosamente e le gocce colavano lungo le pareti, creando uno strano effetto che non faceva che aumentare il suo voltastomaco. Masha era ancora accanto a lei, a trasmetterle la voce di Shirogane che cercava di essere rassicurante, ma Minto provava tutto tranne che conforto.
Se fosse successo qualcosa alle sue amiche per colpa sua… perché non era stata capace di tirarsi fuori da quella situazione…
Le risalì un singhiozzo dalla gola e tentò di nuovo di liberarsi con attenzione, ma non era nemmeno in grado di dispiegare le ali senza provare un dolore lancinante lungo tutto la schiena.
E non poteva distrarle, non poteva permettere che…
La bile le gelò lo stomaco quando, più in là, vide di nuovo Kisshu e Kert scontrarsi da troppo vicini, questa volta colpirsi sul serio, le parve addirittura di vedere il rossore spargersi sullo zigomo del verde. Tentò ancora di spalancare le alucce, ma le si riempirono solo gli occhi di lacrime alla fitta che le fece tremare la spina dorsale.
Osservò Kert fermarsi, dire qualcosa, alzare la mano.
Le si bloccarono i battiti quando vide con chiarezza assoluta, quasi al rallentatore, la superficie della sua sfera vibrare di nuovo.
E iniziò a cadere.
 
 
 
 
Shirogane era certo che quella scena gli avrebbe fagocitato i sogni per il resto della vita.
Aveva provato a tenere compagnia a Minto per tutto quel tempo, utile a ben poco altro in quel frangente; l’aveva sentita lamentarsi piano, sussultare insieme a lui quando le ragazze si erano trovate in un momento complesso, provare a liberarsi senza successo.
Non avevano avuto un momento di pausa per poter pensare a un piano, per poter permettere a uno dei tre alieni di avvicinarsi e tentare di fare breccia in quella sfera, per lui poco più che un tremolio controluce di cui non distingueva i contorni sotto al temporale, per liberarla e portarla a casa.
E poi aveva sentito il suo urlo disperato anche da dietro alla benda che le copriva la bocca.
Agì senza pensare, mentre il mondo rallentava: si mise a correre nella sua direzione, gli occhi fissi su di lei che combatteva per spiegare le ali, e gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
« PURIN! »
Con la coda dell’occhio, vide la biondina voltarsi, cercarlo, poi sgranare gli occhi in una smorfia di puro terrore.
 
 
 
 
Non riuscire a volare nel momento di maggiore bisogno l’annientò più della sensazione di caduta libera; le distrusse anche quell’ultimo tassello di autocontrollo che aveva. Ci provò, con tutte le sue forze, a distendere le ali, ma riuscì solo a frenare di poco la sua caduta, il vento che piagò le sue povere piume già martoriate e stanche.
Si accorse che stava gridando solo dal dolore nella gola, e chiuse gli occhi, per contrastare il capogiro provocato dalla vista del suolo che si avvicinava inesorabile, per non pensare a niente, per lasciarsi solo andare.
Il suo urlo si smorzò tutto in un colpo solo quando si scontrò contro qualcosa di freddo, gelatinoso, ma soprattutto morbido.
Minto aprì gli occhi di scatto: le ci volle qualche istante per decifrare il perché all’improvviso vide tutto giallo. Si rese appena conto di essere avviluppata da Pudding Ring Inferno, o meglio, un grappolo di essi, che avevano fermato il suo volo, quando il braccio di Shirogane spuntò dall’esterno e l’afferrò, tirandola a sé con tutte le sue forze.
La pioggia era così forte che praticamente sciacquò via i rimasugli del budino non appena Minto si lasciò cadere a terra con un singhiozzo strozzato, inalando quanta più aria possibile. Ryou le girò attorno e armeggiò veloce con le bende che ancora la legavano per liberarla, poi l’abbracciò di slancio, come mai aveva fatto prima, e lei sentì tutta l’adrenalina crollare di botto mentre si lasciava andare tra le braccia del ragazzo.
« It’s okay, it’s okay, I’ve got you, » le mormorò all’orecchio, « I’ve got you now. »
« Oh, kami-sama, Minto nee-san! » MewPurin esalò un sospiro di sollievo incredibile attraverso Masha, « Ragazzi, l’abbiamo presa! Sei tutta intera? »
« A posto, » replicò spiccio Shirogane, staccandosi da lei quanto bastava per lanciarle un’occhiata da capo a piedi, gli occhi chiari che furono attraversati da un’ombra, « La porto al sicuro, voi vedete di chiudere la partita. »
Minto tentò di deglutire un paio di volte, la gola completamente secca, e guardò oltre la spalla del ragazzo, cercando quello sguardo dorato.
Lo sguardo dorato che la scrutò solo per un istante, prima di rilanciarsi a testa bassa nella mischia.
« Andiamo, » Ryou la sollevò di peso e la portò in macchina, adagiandola con cura nel sedile posteriore, « Let’s go home. »
 
 
 
 
Quell’urlo era stata la goccia finale che aveva fatto traboccare il vaso.
L’avrebbe ammazzato con le sue stesse mani, l’avrebbe squarciato in una maniera tale che di lui non sarebbe rimasto nulla se non l’impronta della sua cenere.
Era stato come se il mondo si fosse fermato, in quell’istante. La battaglia stessa aveva subito un’interruzione, i volti di ciascuno trasfigurati dall’orrore.
Tutti tranne uno.
Kisshu aveva distolto lo sguardo, anche se non l’avrebbe nemmeno ammesso a sé stesso. Mentre Minto cadeva, lui aveva guardato il ghigno soddisfatto di Kert. Anche se forse c’era stata una punta di dispiacere in quell’espressione, e lui quello non gliel’avrebbe mai permesso o perdonato.
Non aveva avuto il coraggio di guardarla. Non aveva avuto il coraggio di crederci, perché aveva saputo che – ancora una volta – non sarebbe mai arrivato in tempo.
Che sarebbe stata di nuovo tutta colpa sua.
Si era sentito come davanti a Deep Blue, il cuore gli si era squarciato una seconda volta, aveva sentito le carni riaprirsi e dolere mentre tutto smetteva di avere un senso.
Poi quel grido di Shirogane, la figurina di MewPurin che esitava per un istante, l’attacco salvifico che aveva avviluppato Minto come un abbraccio.
Tutto era ripreso di scatto: il rumore della pioggia, il battito del suo cuore, il ruggito del chimero che finalmente riusciva a liberarsi da quelle radici.
Kert ridacchiò e gli fece l’occhiolino: « Tutto è bene quel che finisce bene, non trovi? »
Kisshu gli fu addosso in un istante.
 
 
 
 
MewIchigo riprese a respirare non appena la voce di Ryou – molto poco convinta, ma non ci si soffermò molto – le rassicurò che Minto, perlomeno, era con lui e sulla via del ritorno. Le cedettero le ginocchia per un istante e lei vacillò, ma inspirò dal naso e si fece forza, re-impugnando la propria arma e scagliando un colpo contro Zaur.
Il dragone scelse proprio quell’istante per librarsi di nuovo in aria e zigzagò tra i tre geoti impegnati a fronteggiarli, mentre anche l’urlo di Kisshu riempì l’aria. MewIchigo trattenne il respiro quando lo vide lanciarsi contro Kert, riuscire ad afferrarlo per il bavero della maglietta, e poi schiantare entrambi contro il bosco, lasciando una scia di alberi spezzati dietro di loro.
I tre nemici si bloccarono all’unisono: Rui mandò una chiara maledizione e si tuffò dietro al fratello, seguito subito dai suoi compagni, così come dalle Mew Mew e i due duuariani.
Il polverone si diradò, spinto dal vento del temporale, per mostrare i due in un solco del terreno, che si disincastravano da un groviglio di rami, le vesti tagliate e visi feriti, entrambi con un’espressione di pura rabbia sul viso, le armi già sguainate.
Pharart agì senza pensare, scoccando una freccia che sfiorò Kisshu solo perché Pai riuscì a intercettarla con un Fuu Hyou Sen, mentre nello stesso momento Rui si teletrasportò di fianco a Kert e lo acchiappò per un braccio. Sparirono entrambi, la bestemmia del secondo che rimbombò nell’etere, e i loro due compagni li seguirono poco dopo.
Cadde un silenzio tombale anche sotto la tempesta, interrotto solo dall’ansimare di Kisshu, che si tirò in piedi appoggiandosi a un tronco e vacillò pericolosamente, e dal guaire pietoso del chimero, rimasto senza un obiettivo. Pai si avvicinò al fratello e lo prese per una spalla, ma lui se lo scrollò di dosso e si asciugò un rivoletto di sangue che gli scese dal labbro spaccato.
« Dov’è? »
MewZakuro gli fu davanti con ferocia: « Sei una testa di cazzo, » gli sputò velenosa, « Niente, niente di quello che hai fatto oggi è stato strategico o quantomeno intelligente! Abbiamo solo avuto fortuna, te ne rendi conto?! »
Kisshu la guardò senza dire nulla, boccheggiando pesantemente, gli occhi dorati percorsi da un’emozione indescrivibile e le nocche che sbiancarono attorno all’elsa dei sai.
« Okay, basta così, » Pai s’infilò tra di loro a mani alzate, « Liberiamoci del chimero e andiamo a casa. »
Nessun altro osò fiatare.
 
 
 
 
Non si rese molto conto del tragitto in auto, né di essere di nuovo sollevata di peso e portata via, finché il calore del Caffè non la investì con prepotenza. Keiichiro andò loro incontro con un’espressione di totale sollievo, e prese Minto dalle braccia di Ryou, avvolgendola con premura in una coperta di lana morbida e che profumava di sapone di Marsiglia. La trasportò fino al laboratorio, bisbigliando cose con il suo protetto che lei non si prese la briga di ascoltare, perché le sembrava di essere di nuovo in una bolla, poi la adagiò con cura su uno sgabello della cucina, tirandole la coperta fin sopra la testa.
Minto tentò di ringraziarlo, come tentò di farlo quando il pasticcere le offrì, senza aggiungere nulla, una tazza di tè bollente, ma la sua gola sembrava completamente riarsa e riuscì solo a esprimersi con un sorriso tentennante mentre si stringeva il panno ancora di più addosso. Non era decisamente elegante, ma non se ne curò minimamente.
Udì i ragazzi parlottare appena fuori la porta, probabilmente per controllare la situazione delle Mew Mew e dare loro un resoconto, e soffiò piano sul liquido bollente che irradiava calore dalle dita a tutto il corpo, facendola rabbrividire più forte di quanto non stesse già facendo. Le ci volle un attimo per distinguere la voce aggiuntiva a quella di Ryou, che ritornò nella stanza e le rivolse uno dei suoi rari sorrisi genuini, rimanendo a una rispettabile distanza da lei ma inginocchiandosi per essere più alla sua altezza: « Hai bisogno di qualcosa? »
Di nuovo, Minto cercò di parlare e si schiarì la gola: « No, » gracchiò, deglutendo un altro paio di volte per tentare di lubrificare le corde vocali, « No, sto… okay. »
Lui annuì, decisamente poco convinto e non potendo non lanciare un’occhiata ai visibili segni sul suo corpo: « Possiamo solo… controllare? »
La mora guardò di nuovo di sbieco la soglia, e difatti vi ci spuntò Joel con in mano una valigetta e un sorriso incoraggiante: « Hey there. Do you mind if I take a quick look at ya? »
Minto si agitò sullo sgabello e prese un altro sorso, le ali che fremettero di dolore: « Non… non c’è bisogno, davvero. »
Ryou continuò a sorriderle mentre si tirava in piedi: « Sai che sono meticoloso. »
La mora sbuffò, poi aggrottò la fronte e sospirò, prima di annuire: « Shirogane, ce ne bastava uno che abbaiava ordini in inglese. »
Il biondo le prese la tazza e si avvicinò al muro per lasciare spazio a Joel: « L’unica che abbaia ordini qui sei tu. »
Il texano le offrì la mano a mo’ di saluto, prima di aprire la valigetta per estrarne una lucina con cui le controllò gli occhi; poi le tastò delicatamente la testa, le controllò le ferite più visibili, medicandole con un unguento fresco, sempre bofonchiando in inglese stretto con il suo connazionale.
« I ain’t a vet, though. And the head – »
« Thank you. Maybe tomorrow. »
Joel annuì e le rivolse un altro sorriso, mentre Shirogane si riavvicinava e le porgeva di nuovo la tazza.
« Non c’è niente di grave, » la rassicurò, « I geni dei Red Data sono efficaci, di solito, a rimettervi in sesto. Però ci terrei mi dicessi se ti venisse mal di testa, e sarei più sicuro se potessimo farti qualche esame in più. »
« Va bene così, » gracchiò lei, « Sto bene. Non è successo nulla. Davvero. »
Il biondo la scrutò qualche istante, poi fece di sì col capo: « Puoi sciogliere la trasformazione, ora. Starai più al caldo. »
E sei al sicuro, sapeva che era ciò che intendeva e che non aveva bisogno di dirle.
Lei annuì e stirò le dita quasi bruciate intorno alla tazza, prendendo un respiro lento. Non era mai stata trasformata tanto a lungo, e non le venne naturale sciogliere la trasformazione dopo che ne era stata costretta fuori a causa della poca energia. Si era sentita impotente, e la sensazione di accresciuta sicurezza che la sua forma Mew le dava era stata l’unica cosa a cui appigliarsi. Si ricordò anche che avrebbe dovuto condividere il particolare della sua arma, ma di nuovo una stanchezza incredibile l’assalì e lei, con un ultimo brivido si lasciò andare.
Un deciso trambusto dal piano di sopra le fece capire che le ragazze erano tornate; non fece in tempo a contare fino a dieci che Purin fu la prima a lanciarsi nella stanza, stritolandola tra le braccia senza dire niente, seguita da Ichigo che invece non riuscì a frenare un singhiozzo mentre l’agguantava da dietro.
« Minto-chan, sono così sollevata…! » mugolò Retasu, infilandosi a forza tra le altre due per abbracciarla a sua volta, e la mora tentò di sorridere mentre sbirciava oltre le teste delle tre verso Zakuro, che allungò solo un braccio per prenderle la mano e guardarla con tutto il sollievo del mondo.
« Sto bene, ragazze, davvero, » mormorò lei con un fil di voce, non tentando però di sottrarsi da quell’affetto.
« Sono morta di paura, » esclamò Ichigo, la codina nera che sferzava l’aria con un crescente tintinnio della campanella, « Quando ti hanno… e oggi che… ah! Non ho mai lanciato così forte il mio attacco. »
« E io non sono mai stata più contenta di poter creare budini. »
Una risatina sincera rimbombò tra le pareti spoglie, e le Mew Mew lasciarono lentamente andare la mora, soprattutto quando udirono degli altri passi veloci scendere le scale.
I tre Ikisatashi apparvero sulla soglia del laboratorio con Taruto in testa, che le rivolse un sorriso sinceramente rincuorato e sembrò tentennare se avvicinarsi o meno, solo per essere spinto da parte, con poco garbo, dal fratello maggiore. Kisshu, le armi ancora in mano e la frangia che gli gocciolava sugli occhi, si bloccò dopo pochi passi e il suo viso quasi trasfigurò a vederla seduta sullo sgabello, le spalle che contemporaneamente si rilassarono del tutto. Minto sentì il cuore perdere un paio di battiti mentre precipitava nello stomaco e la gola le si strinse un po’ di più, non sapeva se per l’angoscia che ancora provava, per quanto le fosse mancato, o per la strana espressione che gli leggeva in viso, di sollievo misto a senso di colpa.
« Stai bene? »
Minto annuì, alzandosi lentamente, e all’improvviso vide solo nero; lui l’aveva stretta a sé d’istinto, una mano persa tra i suoi capelli sciolti, così veloce che non si era nemmeno resa conto del movimento. Inspirando a fondo l’odore del ragazzo, non notò neanche lo strappo del teletrasporto al suo ombelico, né che l’ambiente circostante fosse diventato quello familiare della sua camera da letto, né che avesse iniziato a piangere senza accorgersene.
Rimase solo lì, ferma a stropicciargli con forza la maglietta sulla schiena e a cercare di placare i sobbalzi delle sue spalle, volendo soltanto sentire il calore e il profumo di Kisshu. Non seppe nemmeno quanto rimasero in quella posizione, lui fermo come una roccia a stringerla a sé; Minto poteva ancora avvertire l’elsa di uno dei sai premere contro l’incavo della sua schiena, come se il ragazzo non volesse nemmeno fare il minimo movimento per paura che si spezzasse qualcosa. Solo quando, alla fine, il peso di quelle giornate calò su di lei facendola rabbrividire da capo a piedi, lui la allontanò appena, scrutandola con attenzione.
« Ho bisogno di una doccia, » pigolò solo lei con la voce ancora roca, « Ho freddo e voglio… »
La sua voce si affievolì e fece solo un gesto per spiegarsi, senza che ce ne fosse bisogno. Gli occhi di Kisshu, scuri nel buio della camera, continuavano a guardarla come se avessero potuto trapassare i vestiti e accertarsi davvero che stesse bene, e lei, ben conscia dei lividi e dei graffi, non aveva ancora voglia di affrontare quel discorso.
Fece fatica a staccarsi da lui ed essere davvero investita dalla temperatura della stanza, nonostante la coperta ancora sulle spalle, e avvertì anche lui tentennare a lasciare andare i suoi capelli.
« Vuoi che…? »
Lei scosse la testa, forse con un po’ troppa decisione, guardando il suo collo più che i suoi occhi, e Kisshu annuì, facendo solo un passo indietro, la mandibola contratta in una rabbia che ancora non riusciva a dissipare.
Minto strascicò i piedi fino al suo bagno privato e vi si barricò dentro con un giro di chiave, desiderosa solo di chiudersi fuori dal mondo e sentire le quattro mura che più conosceva a sua protezione; Kisshu sarebbe potuto entrare ugualmente e una chiave non l’aveva di certo mai fermato, ma sapeva che non l’avrebbe fatto.
Almeno non la prima mezz’ora.
Riempì la vasca da bagno, lei che preferiva sempre le docce, e vi spremette pressoché mezza bottiglia di sapone; l’acqua era quasi troppo bollente, ma vi si immerse di fretta, cercando il ristoro nei profumi e nel silenzio. I suoi sensi, così provati dall’essere stati all’erta per giorni, si rilassarono di colpo e lei scivolò giù, il naso a pelo d’acqua e il corpo completamente sommerso. Non seppe se si addormentò o se semplicemente il suo cervello entrò in una specie di stasi, ma rimase così finché non si accorse di quanto si fosse intiepidita e di quanto fossero grinzose le sue dita.
Ben attenta a non incrociare il suo riflesso nello specchio per non vedere davvero le condizioni in cui verteva, agguantò l’accappatoio più morbido che riuscì a trovare nella pila dentro l’armadietto e vi si avviluppò dentro, legandosi i capelli bagnati in una crocchia scomposta di cui non le importò più di tanto. Il suo corpo le mandò segnali della fame, ma lei voleva solo buttarsi a letto e dormire il più a lungo possibile.
Quando rientrò nella camera, Kisshu aveva riposto i sai e acceso la luce, ma sembrava essersi mosso di poco; era poggiato con una spalla a una delle colonne del baldacchino, il viso rivolto verso la porta ma l’espressione persa in chissà quali pensieri. Alzò appena la testa quando la udì avvicinarsi, i piedi scalzi per lei inudibili sul tappeto soffice, e la scrutò da sotto la frangia scura.
« Dovresti mangiare, » le disse a bassa voce, « Qualcosa almeno. »
Minto scosse di nuovo la testa, stringendosi le falde dell’accappatoio mentre si avviava verso il letto: « Credo di essermi addormentata, ma ho ancora sonno, non ho voglia di fare altro. »
Si chiese come lui potesse rimanere così immobile, seguendola solo con lo sguardo e prendendo un respiro: « Tortorella, dovremmo - »
« No, » lei lo interruppe ferma con un movimento della mano, scostando le coperte e infilandocisi dentro direttamente così, « Non ora. Per favore. »
In un movimento che sembrò costargli molta fatica, finalmente Kisshu annuì e si spostò, volando alla porta finestra per assicurarsi fosse chiusa a chiave e tirare le tende, compiendo la stessa azione con la porta della camera. Minto si accoccolò tra i cuscini rabbrividendo, la coperta tirata fin sotto al naso, e lo osservò in silenzio, sentendosi quasi a disagio per la rabbia che avvertiva emessa da ogni poro della pelle del verde, una versione di lui che non vedeva da anni. Infine, compiuto il giro di ricognizione della stanza, Kisshu si passò una mano nella frangia, sospirò pesantemente, e le si sedette accanto, carezzandole la guancia con il dorso: « Credevo sarei impazzito, » le rivelò in un sussurro che le strinse lo stomaco, mentre il cuore vi si precipitava all’improvviso, ancora poco avvezzo ai suoi scatti di sincerità, « Non lascerò mai più che ti succeda qualcosa. »
Lo disse in una maniera così gelida e al tempo stesso così rovente, decisa, solenne, che Minto poté solo rabbrividire intanto che allungava una mano per passarla dietro al suo collo e tirarlo contro di sé, solo per sentire il sapore della bocca contro la sua invece che quello salato delle lacrime.
Kisshu si stese accanto a lei e la strinse forte, respirando a fondo l’odore dei suoi capelli, di nuovo fermo come se la sua immobilità le potesse segnalare che sarebbe sempre rimasto lì, anche quando finalmente la mora si addormentò con un ultimo singhiozzo.
 
 
 
 
« Mannaggia, che giornata! » Purin rilassò d’un colpo le spalle e buttò la testa all’indietro non appena varcò la soglia della propria camera, Taruto subito dietro di lei, « Mi sembra di aver perso tre anni di vita solo oggi! »
L’alieno tentò di sorriderle, anch’egli con tutta la stanchezza del mondo che gli gravava sulle membra.
« Sono contento che Minto-san sia… tornata. »
Lo sguardo caramello della biondina si scurì per un istante, mentre cercava di sorridere: « Già… ma ora voglio prendere a cazzotti più che mai quegli schifosi! »
Taruto ridacchiò e le si avvicinò con le mani in tasca, poggiando la fronte contro la sua: « Non pensare di allontanarti troppo. »
Lei sbuffò supponente e gli avvinghiò le braccia al collo: « So badare a me stessa. Sono loro che non devono avvicinarsi troppo a me, o vedrai come li riduco! »
Il ragazzo rise di nuovo a labbra strette, sfiorandole la curva bassa della schiena mentre la stringeva un po’ di più: « Mio fratello sarà da tenere a bada più che mai, ora. »
« Non l’avevo mai visto così… » ammise Purin, mordicchiandosi una guancia, « Cioè, sì, ma… be’, lo sai. »
Lui l’accarezzò di nuovo quando la sentì rabbrividire e sfregò ancora le loro frangette: « Non posso biasimarlo. »
« Anche tu devi promettermi che starai attento, però, » dichiarò la mewscimmia, tirandosi sulle punte per farsi più vicina, « È tutto più complicato del previsto, e… e mi preoccupo per te. »
Taruto poté percepire le proprie orecchie farsi più calde mentre deglutiva piano, fissandola negli occhi: « Anche io mi preoccupo per te. »
Uscì più un sospiro mozzato che una vera e propria affermazione, ma non gli importò più di tanto perché Purin prese a baciarlo mezzo secondo dopo. Lui la strinse a sé così forte che la sentì perdere un fiato, ma al contempo la biondina ricambiò, le mani che si spostarono a perdersi nei suoi capelli mentre camminava all’indietro.
L’alieno registrò appena la caduta sul letto di lei, che cigolò pericolosamente, perché tutti i suoi neuroni erano focalizzati soltanto sul respiro di Purin mischiato al suo, al calore delle sue curve premute morbidamente contro di lui, al sapore della sua bocca e della sua pelle sulle labbra.
Né annotò con troppa convinzione il fatto che le dita veloci della ragazza gli stavano già allontanando la maglietta e scorrevano impudenti lungo tutta la sua schiena e il suo torace, le unghie che sfiorarono decise oltre il bordo dei suoi pantaloni. L’unica cosa di cui era conscio era il galoppare incessante del cuore nelle orecchie che echeggiava quello di lei, furioso sotto al suo palmo quando s’azzardò ad accarezzarla lì dove batteva strappandole un ennesimo sospiro impaziente.
Galoppare che s’interruppe di scatto con un incendio nel petto non appena il corpo nudo di Purin s’allineò al suo.
Non erano mai stati così vicini, senza niente tra loro due, e Taruto dovette soffiare tra i denti per guadagnare un minimo di lucidità e valutare le opzioni successive.
« Purin… » mugugnò con voce roca, nascondendo il viso contro la spalla della ragazza e al tempo stesso approfittandone per continuare a saggiare il suo sapore.
Le unghie di Purin si piantarono un po’ più sotto al suo bacino: « Non ti azzardare a fermarti, Taruto. »
Gli scappò uno sbuffo divertito a sentire, per una volta, il suo nome e non uno strano e imbarazzante appellativo, soprattutto con quel tono appena scocciato; le lasciò un paio di baci sotto l’orecchio e le accarezzò il fianco, muovendosi di millimetro in millimetro con tutta la cautela del mondo.
« Volevo solo essere sicu - »
« Sì, » lei lo interruppe ancora e gli prese il volto tra le mani, costringendolo a guardarla mentre alzava appena i fianchi verso di lui, « Assolutamente sì. »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Dal termine finlandese olut che significa birra.

 

   
 
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