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Autore: TeddySoyaMonkey    21/04/2013    10 recensioni
[Interattiva]
"Ambarabà ciccì coccò
Un tributo mi schiattò,
era in vita da troppe ore
e di funghi avvelenati mangiò le spore.
La fine degli Hunger Games decretò,
Ambarabà ciccì coccò."
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Piccoli assassini crescono
D'8>D'12

 

Parte I
Helle e Georgie: tra convenienza e pietà.

 

Helle aveva più che intenzione di infilarsi nella postazione dei nodi, appiattirsi alla parete e rimanere lì fino alla fine dell'addestramento.
Aveva già percorso a passo svelto tutto il perimetro della palestra ed era in procinto di scegliere una corda e sistemarsi a intrecciarla e annodarla, ma il suo piano non andò a buon fine.
Mentre infatti si chinava per osservare meglio le qualità delle corde ai suoi piedi che l'addestratore aveva preso ad elencare con entusiasmo uno strillo acuto l'aveva fatto voltare.
A pochi metri di distanza, sulla pedana per il lancio dei coltelli, una ragazza dai capelli scuri raccolti in una crocchia alla base della testa se ne stava in ginocchio, con le lacrime agli occhi, reggendosi la mano destra con la sinistra, che ormai si era sporcata di un vischioso liquido rosso. Helle riconobbe il dodici appuntato sulla sua maglietta, cercò di associare il numero ad un nome, ma non gli venne in mente e, comunque, non ebbe molto tempo di riflettervi.
Proprio in quel momento, infatti, l'istruttrice che controllava le postazioni delle armi da taglio e che in quel momento stava elogiando i favoriti percorse la distanza che separava i manichini di lattice dalla postazione di lancio dei coltelli per soccorrere la ragazza, palesemente infastidita che una sciocca incapace del dodici avesse distolto la sua attenzione dagli assassini esperti dell'uno, del due e del quattro.
Helle vide con chiarezza le lacrime sul viso del tributo e la sua tuta coperta di sangue mentre la donna la portava in un angolo della palestra per medicarla, ma la cosa che gli rimase più impressa fu l'espressione gelida sul viso degli strateghi che, dopo aver raggiunto la ragazza ferita, avevano preso a scribacchiare sulle loro cartelline qualcosa che di sicuro non poteva essere positivo.
-Be'...- L'istruttore dei nodi lo costrinse a voltarsi, porgendogli un pezzo di corda parecchio ruvida. -direi che puoi iniziare ad esercitarti con questa, ragazzo.-
Helle afferrò lo strumento che gli era porto, ma prima di sedersi e iniziare ad annodarlo lanciò un altra occhiata alla palestra alla ricerca della ragazza del dodici.
L'istruttore, seguendo il suo sguardo, gli rivolse un sorriso mesto.
-Non ti conviene provare pena per lei.- Gli disse.
Helle lo guardò, con un sopracciglio inarcato.
-Non dovrei dare consigli in merito ai tributi, ma evita quella ragazza. Provare pena non aiuta, qui.- Continuò l'uomo.
Helle pensò a diverse risposte da dargli, non tutte gentili; era ovvio che gli Hunger Games non erano un gioco di pietà, ma non si poteva chiedere ai tributi di smettere di essere umani. Certo, da quando era arrivato a Capitol City quell'uomo era probabilmente stato l'unico a parlare così francamente al ragazzino rosso del nove, e Helle non se la sentì di rispondergli per le rime, così si limitò ad annuire e a sedersi per intrecciare la sua corda.
Rimase alla postazione per parecchio tempo, imparò a fare diversi nodi scorsoi, qualche cappio e persino un lazo in miniatura. L'istruttore si rivelò molto soddisfatto.
-Impari in fretta, Dee.- Gli disse ed Helle trasalì nel sentirsi chiamare come il gemello; ancora non si era abituato del tutto. -Se ti dedichi a qualche arma e ti applichi come per i nodi hai buone possibilità di sopravvivere.-
Il ragazzo si sforzò di sorridergli. -Lo farò.- Gli rispose e si allontanò in direzione del poligono di tiro con l'arco.
Non aveva davvero intenzione di dedicarsi alle frecce, ma quella era la postazione più lontana da quella dei nodi e voleva dare l'impressione al suo nuovo amico di seguire i suoi consigli, e poi proprio lì accanto c'erano le panche su cui l'addestratrice delle armi da taglio aveva lasciato la ragazza del dodici a riprendersi.
Così Helle ignorò le faretre piene e si diresse verso il tributo, che ormai aveva smesso di piangere, ma ancora si reggeva la mano, ora avvolta in un panno bianco sporco di sangue.
Le si avvicinò lentamente, per darle il tempo di vederlo arrivare. La ragazza alzò lo sguardo su di lui quando ormai era abbastanza vicino da tenderle la mano e aspettare che lei la stringesse.
-Ciao.- Le disse quindi, compiendo il gesto. -Io sono Helle.-
L'altra alzò lo sguardo sul viso del ragazzino, poi, esitante, gli afferrò la mano con la sinistra, che evidentemente doveva essere stata lavata considerando che era pulita.
-Georgie.- Rispose, poi un lampo di dubbio le attraversò il viso. -Non ricordo di aver sentito il tuo nome in TV.-
Helle sorrise. -Lo so.-

Parte II
Storia di come il ciclone Ailanda interruppe i peccaminosi Bisteccone ed Evangeline e minacciò il povero, piccolo Justin 

-Ehi, Bisteccone, secondo me la principessina laggiù ci sta provando.-
Evangeline fece una risatina seducente, appoggiando il mento alla spalla di Soar per osservare Justin che, qualche metro più in là, davanti alla fila, stava aspettando il suo turno di arrampicarsi, e lanciava, di tanto in tanto occhiare al ragazzo del dieci, soffermandosi sui muscoli del petto che quello esibiva.
Soar osservò il ragazzo con un sorrisetto provocante, prima di voltarsi e cingere i fianchi di Evangeline per stringersela al petto nudo e sudato, giusto per deridere la vena speranzosa che era così palese nello sguardo di Justin.
Contro il suo petto Evangeline iniziò a fare le fusa come un gatto, iniziando a strusciare il bacino contro quello di Soar.
-Mmh, fai così per la principessina o saresti capace di concludere la cosa solo tra me e te? Stasera al nono piano, magari?-
Il ragazzo le sorrise, ammiccante, solitamente preferiva ragazza semplici, dolci e con molta fibra morale da far "passare al lato oscuro", per così dire, ma in quel caso si sarebbe potuto accontentare di una come Evangeline.
Stava per intimarle qualche accenno a quanto sarebbe successo quella sera, quando una piccola furia li travolse, separandoli e facendo finire Eve a gambe all'aria.
-Ma che diamine...?!- Sbottò quella, fulminando con lo sguardo la ragazza che li aveva appena divisi.
Soar lanciò a sua volta un'occhiataccia alla ragazza ma quella non lo degnò di uno sguardo, passò avanti e si diresse a passo rapido e deciso verso la parete d'arrampicata, scansando Justin appena più gentilmente di come aveva fatto con Soar ed Evangeline.
Si avvicinò alla parete, posizionò il piede sul primo punto cavo che trovò e solo allora si voltò per guardare il compagno di distretto, con un'espressione furibonda sul viso.
-Li hai sentiti, perchè so che li hai sentiti.- Ringhiò, gli occhi lampeggianti e la cicatrice a forma di "X" che si contorceva sul viso fino a renderla selvaggia e quasi mostruosa. -E se non li ammazzi appena entri in quella fottutissima Arena come si meritano...-
Lasciò la minaccia in sospeso, prima di cominciare ad inerpicarsi agilmente su per la parete, lasciando basiti tutti i tributi che vi stavano al di sotto.

Parte III
Helen e Gunnar, bugiardo alla seconda 

-Avevamo una mucca, al dieci, sai?-
Elen fece un piccolo sorriso al ricordo di Annachiara e smise per un secondo di sfregare le selci che aveva in mano nel tentativo di accendere un mucchietto di sterpaglie.
-Anche io ne avevo una.- Disse Gunnar. -Ne avevo un sacco, un allevamento intero.-
Elen lo guardò con un sopracciglio inarcato. -Un allevamento di mucche? Al dodici?-
Nelle scuole del distretto insegnavano unicamente le basi dell'economia del dieci, ma Elen era sicura che il dodici si occupasse di carbone e che non ci fossero molti animali.
Gunnar fece spallucce. -Certo, mio padre è un ricco uomo d'affari che viaggia spesso per i distretti per ordine di Snow in persona e si occupa di macellazione di mucche.-
-Oh, capisco.- Replicò Elen. Non sapeva bene se credere a quanto diceva quel ragazzo. A dire il vero era poco saggio parlargli considerando che da lì a qualche giorno sarebbero stati nemici mortali.
Gli lanciò un'occhiata, soffermandosi sulla carnagione scura e sulla cicatrice vicino al sopracciglio.
Chi se ne importa, Si disse. conoscerlo meglio non può che aiutarmi a... eliminarlo.
Non avrebbe mai voluto pensare una cosa del genere, ma doveva tornare a casa come vincitrice e vivere in pace con Kevan, per farlo doveva uccidere, anche se odiava quel pensiero.
Ovviamente non aveva messo in conto che era praticamente impossibile conoscere il bugiardo del dodici.
Gunnar strofinò un paio di volte due legnetti e grazie alla sua forza e a quella innata e strana abilità che aveva nell'appiccare fuoco alle cose presto il suo mucchietto di paglia prese fuoco.
Elen osservò le fiamme zampillare sempre più alte e quindi spostò lo sguardo su Gunnar.
-Che c'è?- Le chiese il ragazzo, sentendosi osservato.
Elen scrollò le spalle e tornò alle sue selci. -Niente, pensavo solo che mi piacerebbe averti come alleato.- ...così da averti vicino e farti fuori alla prima occasione.
Gunnar sorrise e disse:- Pensavo la stessa cosa.-
Ma, ovviamente, anche lui mentiva.

Parte IV
Meredith e le profezie discordanti

 

Meredith fissò per un attimo la palestra che le stava al di sotto: c'erano istruttori che spiegavano, strateghi che scrivevano e giudicavano e tributi che si preparavano a morire, non sapendo che qualcuno che non era loro avrebbe vinto, che lei avrebbe vinto.
Sarebbe tornata al distretto otto e avrebbe continuato la sua vita.
Lo percepiva con una forza tale da rimanere tranquilla anche quando la belloccia dell'uno dallo sguardo assassino le lanciò un'occhiataccia, dal basso, evidentemente infastidita dal dover aspettare di fare il suo giro sulla parete delle arrampicate. Probabilmente quello era uno sguardo che diceva:"Ti ucciderò perchè mi stai facendo aspettare per niente", ma Meredith non ne fu preoccupata.
Quella povera, piccola illusa sarebbe morta e lei avrebbe vinto.
Era così stupito da parte di quella ragazzina credere il contrario, la figura che faceva agli occhi di Meredith era patetica.
Fu per questo che rivolse a Eyeliner un'occhiata di superiorità.

 -Ma che...?- Fece Lyn, stranita, osservando la ragazza in preda ad un misto di rabbia e stupore, senza riuscire ad assumere le sue solite movenze fredde ma sinuose.
-Che succede?- Le chiese James con finta innocenza, materializzandosi quasi magicamente al suo fianco. Era ovvio che aveva osservato quello scambio d'occhiate, perchè disse:- Una stupida lavandaia dell'otto di mette i piedi in testa?-
Eyeliner dovette dar fondo a tutta la sua scorta di autocontrollo per fare un sorrisetto e guardare James, arrotolandosi una ciocca bionda tra le dita.
-Tranquillo, la ucciderò appena prima di fare lo stesso con te, così porterai all'inferno il ricordo che Eyeliner Millerh non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.-
James rise e scosse la testa, prima di lanciare un'occhiata in direzione di Meredith, ancora acciambellata in cima alla parete, che lo osservava con uno sguardo sereno, sicuro di sè fino all'inverosimile.
Il fatto lasciò James interdetto, facendo sì che si ritrovasse a chiedersi se Lyn sarebbe davvero riuscita a ucciderla per prima.

Parte V
Inglès e la sorriso-dipendenza

 Inglès aveva passato tutta la durata degli allenamenti ad osservarla.
Non si era mai allontanata dalla postazione del tiro dell'arco fino alla fine, facendo un centro dopo l'altro, un centro dopo l'altro senza mai smettere di sorridere.
Era una reazione strana, insolita, da parte di un tributo, eppure piacevole. Sembrava quasi che la ragazza del cinque fosse felice, e non felice nel modo sadico in cui lo erano i favoriti, ma felice nel modo più ingenuo e sincero in cui lo si può essere.
E ad Inglès piaceva la felicità; nella sua vita al distretto otto ce n'era stata così poca che non poteva fare a meno di essere attratto da quella ragazza.
Ora che gli allenamenti erano finiti e Artemide aveva riposto arco e frecce per dirigersi verso la porta, Inglès non potè fare a meno di seguirla.
La raggiunse, camminò per qualche secondo appena dietro di lei e alzò la mano per scrollarle la spalla, farla voltare e poi presentarsi, magari.
Ma proprio quando le sue dita stavano per sfiorare la stoffa elastica e scura della tuta della ragazza, si fermò.
Perchè? Perchè non ebbe il cuore di intaccare quel sorriso felice con l'orrore della sua vita.
Emise un sospiro, in fondo stava per morire, che senso poteva avere sperare di assaggiare la felicità che quel tributo gli sembrava promettere? Aveva passato tredici anni come una persona triste, poteva durare un altro paio di giorni.

 

 

Angolo di Ted:

Sono stata piuttosto veloce con gli aggiornamenti oggi (e per questo ho snobbato i compiti, ma tanto domani ho intenzione di balzare allegramente, quindi...)
Non ho molto da dire, se non che adoro gli strusciamenti di Eve, i ringhi di Ail e l'istruttore della postazione dei nodi.
-Teddy
Ps. Mmmh, chissà a che capitolo toccherà mai adesso.

  
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