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Autore: grenade_    22/04/2013    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Mi infilai la camicia, passando le dita dall’alto verso il basso per abbottonarla. Andai poi alla ricerca delle scarpe, trovandole ad uno degli angoli della stanza, abbandonate. Mi chinai per acciuffarle e mi sedetti sul letto, intento a vestirmi. Sarei dovuto essere a casa entro mezz’ora, e ci sarei riuscito tutto sommato.
Sentii poi un dito pressare lievemente sulla mia spalla, disegnare qualcosa di indefinito e scendere lungo la spina dorsale, sino a fermarsi alla base della schiena. Sorrisi e mi voltai, incontrando gli occhi verdi di Sarah, illuminati come sempre dopo una buona dose di sesso.
«Già te ne vai?»
Finsi di ignorare il tono seducente e lo sguardo ammaliatore che aveva appositamente utilizzato nel solo scopo di farmi restare a donarle un altro orgasmo, così mi voltai nuovamente e mi accinsi ad abbottonare gli ultimi due bottoni della camicia. «Non posso restare – sviai – mi dispiace.»
In realtà non mi dispiaceva affatto. Non per fraintenderci, Sarah era una bellissima donna e un ottimo passatempo, solo era praticamente instancabile, e un’irritante sanguisuga. Risucchiava le energie come la tua voglia di starci insieme, e cosa peggiore di tutte non se ne accorgeva neppure. Quando mi aveva raccontato del divorzio con l’ ex marito ricordo di aver pensato se quell’uomo fosse per caso pazzo a lasciare una donna che non gli chiedeva altro che sesso, poi mi ero accorto di quanto in realtà fosse assillante e parassita. Ma al contrario del suo ex marito io non avevo né la fortuna né la possibilità di lasciarla, altrimenti i miei voti sarebbero calati a picco. E non potevo assolutamente permettermelo, non all’ultimo anno.
Sarah si portò una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio, inarcando le labbra in un broncio e cominciando a sbattere le ciglia in modo ripetitivo e continuo. «Non puoi proprio restare?» domandò, le dita a segnare un percorso immaginario sul mio petto. Scese lungo gli addominali con lo stesso tocco leggero, ma la bloccai prima che potesse arrivare al cavallo dei pantaloni e qualsiasi mio tentativo di andarmene finisse in fumo.
«Non posso.» ribadii, scostando la sua mano dai miei jeans per portarla sul lenzuolo. «Sarà per un’altra volta.» aggiunsi, e lei annuì seppure delusa, nonostante io sperassi con tutte le mie forze mi dicesse di no. Forse se mi avesse lasciato lei io non avrei corso alcun rischio, ma il problema era: come riuscire a farsi lasciare senza trattarla male e quindi suscitare il suo rancore, che sarebbe andato solo a discapito del mio rendimento a scuola? Era un’impresa praticamente impossibile. Mi ero ficcato in una spiacevolissima situazione prendendola come un gioco, ma adesso che volevo uscirne non sapevo come fare.
Mi alzai e posai un bacio sulle labbra di Sarah, che tuttavia cercò di approfondirlo con un intreccio di lingue. Quando staccandosi dichiarò di essere ‘sazia’ le rivolsi un piccolo sorriso, presi la giacca ed uscii dall’appartamento, lasciandomi quel letto alle spalle per la terza volta in una settimana.
L’aria fuori non era più pungente come un mese prima, decisamente i segni della primavera cominciavano a farsi sentire seppur in ritardo. Ero felice di non dover più imbottirmi per uscire e subire i rimproveri di mia madre se me ne dimenticavo appositamente, inoltre era piacevole stare fuori più a lungo. Non riuscivo affatto a concepire come Martin riuscisse a restare segregato in casa a studiare quando fuori il clima era diventato così mite, ma mi ritrovai a pensare che forse io avrei dovuto seguire il suo esempio, anziché fare avanti e indietro dall’appartamento di una professoressa per qualcosa che avrei potuto ottenere soltanto studiando.
Avevo parlato con Sarah degli imminenti esami, e lei era stata tranquilla e rassicurante: ‘rilassati, ci sono io’ mi aveva detto, ma la verità era che ancora non ero riuscito a capire come avrei fatto a superarli con una media decente senza mettermi a studiare. Era risaputo fosse una delle professoresse più influenti nel consiglio, ma dubitavo potesse procurarmi una buona media, a meno che non mi sostituissero con Martin.  Avevo persino pensato di cominciare a mettermi sotto con lo studio, ma non se ne parlava neanche di recuperare un intero programma di un anno in un mese e mezzo. Sarebbe stato terribilmente difficile e, nel mio caso, impensabile.
Scossi la testa, non volevo pensarci. Quel pensiero non faceva altro che tormentarmi e procurarmi un forte mal di testa tutte le volte, ed io odiavo avere mal di testa. Così assorto non mi accorsi nemmeno di essere arrivato a casa fin quando non mi ci ritrovai davanti, e sorrisi.
Quando entrai un forte odore di carne mi investì, la cena era quasi pronta. Scorsi mio padre in giardino con l’espressione corrucciata, chiaro segno della sua incompatibilità con il grill. Erano rare le volte in cui riusciva ad accenderlo al secondo tentativo, e per il più delle volte era mamma a farlo. Lui si occupava della cottura, ma anche durante quella il grill sembrava dargli problemi, tanto che papà lo definiva ‘aggeggio infernale’.
Mamma invece era in cucina, intenta a sciacquare l’insalata. Andai nella sua direzione e la abbracciai da dietro, baciandole la guancia. Lei si voltò, sorridendomi e ricambiando il bacio. Portò l’insalata ormai pulita in una coppa, e scoccò un’occhiata attraverso la finestra, a papà. Scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. «Non capisco perché si ostini ad usare il grill, se deve solo picchiarlo.» commentò.
Seguii il suo sguardo e ridacchiai, notando papà portarsi repentino la mano alla bocca, probabilmente dopo essersi scottato.
«E’ papà, non si arrende tanto facilmente.»
«Ma il grill sì – replicò – Guarda, il suo tempo di vita diminuisce ogni volta che tuo padre ci mette addosso le sue manacce.»
Risi ancora ed annuii, vedendo mamma massaggiarsi la fronte come alle prese con un principiante. «Cosa vuoi fare?» chiesi, sicuro che se non fosse entrata in scena per interrompere quella scenata ci saremmo ritrovati a comprare il secondo grill in tre mesi il giorno successivo.
Sembrò rifletterci, poi mi sorrise. «Picchiare lui, così smetterà di picchiare il grill.» rispose, rivolgendomi un occhiolino. Si disfò del grembiule che aveva indosso e si diresse verso la porta che dava sul retro, ma prima di spingere la maniglia verso il basso si voltò a guardarmi.
«Potresti andare a chiamare tuo fratello per la cena? Io sarò un po’ impegnata.»
Annuii sorridente e lei uscì, mentre io salii le scale gradino per gradino. Mi fermai davanti alla porta della stanza di mio fratello ma non entrai, più interessato ad origliare le sue conversazioni attraverso il legno. Mi appostai con l’orecchio contro di esso e restai così per qualche secondo, prima che riprendesse a parlare.
«Non ci penso nemmeno ad accettare, è fuori discussione!»
Aggrottai la fronte, perplesso. Quella non era la voce di Martin, bensì di qualcun altro. Pensavo Martin fosse da solo nella sua stanza a studiare, ma evidentemente Stephanie era venuta a fargli visita come quasi tutti i giorni, rinchiudendosi in stanza con lui e passando lì il resto del pomeriggio sino a cena. Quello che facessero insieme per così tanto tempo mi era del tutto ignoto: possibile passassero davvero quelle quotidiane quattro circa a parlare e studiare insieme? Sapevo questa fosse l’unica verità plausibile dati i due soggetti, eppure non riuscivo a credere fosse l’unica: nella mia mente correva l’idea di loro due in una possibile relazione, una delle più durature e nascoste in assoluto, vista la loro discrezione. D’altra parte, con questa nuova versione dei fatti, avrei potuto giustificare i loro continui abbracci sin troppo amichevoli.
Un sospiro attirò nuovamente la mia attenzione, così tornai ad ascoltare le loro voci.
«Perché? Non è un’idea così cattiva, dopotutto. L’intera faccenda non è così male come pensi, sei così abituata a vedere il lato negativo delle cose che ti dimentichi dell’esistenza di uno positivo.»
«Potrei dire lo stesso di te, sai?»
Si udì uno sbuffo, probabilmente da parte di mio fratello. «Io sono realista, tu solo una codarda.» continuò infatti la sua voce.
«Potrei anche essere codarda, ma sai che ho ragione.»
Qual’era l’idea che Stephanie non voleva accettare? E perché Martin cercava di convincerla a fare il contrario? Avrei dato qualsiasi cosa per sapere riguardo a cosa stessero blaterando, ma tutto quello che mi limitavo a fare era continuare ad origliare appostato contro la porta, sperando di cogliere qualcosa di determinante nella loro conversazione.
«Non posso saperlo io, e neanche tu se non ci provi.»
Per qualche secondo non sentii nulla oltre un leggero scricchiolare del letto, ma quando avevo finalmente deciso di entrare in scena Stephanie sbuffò rumorosamente, poi riprese a parlare. «Ti odio quando hai ragione.» disse.
Martin dovette probabilmente sorridere vittorioso come suo solito e, appurato che la conversazione fosse terminata e non ne avrebbero più parlato, mi alzai dalla mia sistemazione e mi ricomposi. Inspirai profondamente e, stampandomi in faccia un’espressione indifferente palesemente finta, tirai giù la maniglia. Quando entrai entrambi si trovavano distesi sul letto, di libri neanche la minima traccia, e mentre Martin la abbracciava Stephanie si divertiva a dargli pizzicotti. Si voltarono verso di me e notai bene il sorriso della mora scomparire per far posto ad una smorfia, ma dopotutto ci ero abituato.
Sfoderai il mio solito sorriso strafottente in risposta, poi mi rivolsi unicamente a Martin. «La cena è quasi pronta, se papà non gli ha dato fuoco.» annunciai, ma il mio sguardo rimase fisso sulla ragazza tra le sue braccia.
Indossava i soliti jeans chiari a fasciarle le gambe lunghe, una semplice maglietta a maniche corte con al di sopra un cardigan dello stesso colore delle scarpe, che al momento giacevano ai piedi del letto assieme alle pantofole di Martin. I capelli lunghi erano sciolti lungo spalle e schiena, e me la sarei volentieri portato a letto se non avessi avuto il dubbio che mi sarei ritrovato senza testicoli se solo ci avessi provato. Ma la sua acidità nei miei confronti era qualcosa che la caratterizzava e la rendeva più interessante ai miei occhi, oltre che eccitante. Non avevo idea del perché si ponesse in attacco ogni qualvolta le nostre strade si incrociavano, ma la sua riluttanza rendeva il tutto così diverso dal solito che mi divertivo a provocarla e osservare le sue reazioni come un bambino.
Martin sorrise, annuì e poi si voltò verso Stephanie. «Rimani a cena?» le chiese, ma lei denegò l’offerta scuotendo il capo da destra a sinistra. «Devo tornare a casa.» spiegò.
«Allora io scendo, tu intanto prendi le tue cose. Ti aspetto giù.»
La mora annuì e mio fratello sciolse l’abbraccio per indossare le pantofole, poi le sorrise e oltrepassò la porta, senza evitare di lanciarmi un’occhiataccia prima di uscire. «Tu non scendi?» mi domandò, scettico.
«Devo prendere una cosa in camera, poi scendo.»
Martin mi osservò con le sopracciglia incurvate incerto se credermi oppure no, ma riuscii comunque a convincerlo con quella banale scusa e un sorriso innocente e andò via, lasciandomi da solo insieme a Stephanie. Questa intanto aveva recuperato le scarpe, intenta ad intrecciare i lacci. Solo quando ebbe finito alzò lo sguardo, accorgendosi di me. «La tua stanza è dal lato opposto.» mi ricordò, indicando la porta dietro di me.
Diedi una veloce occhiata alle mie spalle ingenuamente e poi mi voltai sorridendo, osservandola alzarsi e dirigersi verso la sedia girevole, al cui schienale era poggiata la sua giacca. Mi imposi di non fissare la lieve scollatura della maglietta, concentrando la mia attenzione sul suo viso per quanto mi fosse possibile.
«Sai – iniziai – mi sono sempre chiesto se tra te e Martin ci sia qualcosa oltre la forte amicizia che sembrate condividere. Magari tu puoi illuminarmi.»
Stephanie alzò il capo lentamente, la fronte aggrottata. Inclinò le labbra in un sorriso forzato e finto, poi sospirò.
«E’ davvero un peccato che tu utilizzi il cervello così raramente e solo per tirarne fuori delle idiozie, davvero triste Zack. Forse potresti usarlo in modo più intelligente, per esempio per illuminarti da solo, dandoti fuoco.»
Risi in risposta alla sua provocazione e il suo sorriso ingenuo, poi mi preparai a ribattere.
«Non è un’idiozia, al contrario è una cosa seria. Mi sento in dovere di sorvegliare le relazioni di mio fratello, è solo un gesto premuroso da fratello maggiore.»
Fece una smorfia. «Sei il suo fratello maggiore solo di due minuti, non sei mai stato premuroso nei suoi confronti e non lo sei neanche adesso, ti diverti soltanto a darmi fastidio perché sai di irritarmi profondamente.» mi rammentò, intenta a indossare la giacca. Prese la borsa e si diresse verso la porta, il cui passaggio era ostacolato dalla presenza del sottoscritto. Mi lanciò un’occhiata intimandomi di spostarmi, ma finsi di ignorarla.
«E’ esattamente questo quello che non capisco. – continuai, imperterrito – Insomma, io e Martin siamo gemelli, no? Siamo identici, eppure il tuo comportamento nei nostri confronti è del tutto differente. Ogni cosa che dico o faccio sembra farti andare in bestia, invece nutri un amore sproporzionato verso Martin. E’ una cosa che riesco a spiegarmi solo supponendo che sei innamorata di lui.»
Rimase in silenzio per alcuni istanti, poi scosse il capo. «L’unica enorme e determinante differenza tra voi due è che Martin è umano, Zack. Lui si comporta come una persona normale.»
Incurvai le sopracciglia, confuso da quell’affermazione. «Anch’io sono una persona normale.» replicai.
Scosse la testa, contrariandomi. «Non hai centrato il punto. – ‘come sempre’, aggiunse – Tu sei solo un corpo che vaga da una parte all’altra e che agisce senza pensare alle conseguenze, inoltre sono quasi certa che tu non possieda davvero dei sentimenti. Non puoi davvero definirti una persona, solo un animale che agisce per istinto, – si fermò, riflettendo – tipo una scimmia.»
Sorrise soddisfatta del suo discorso, poi divenne seria.
«Ora, se vuoi scusarmi, dovrei tornare a casa mia, e non posso farlo se non togli la tua carcassa da davanti ai miei piedi. Tu puoi anche procedere con l’evoluzione se ne sei capace, io ho solo bisogno di riempirmi la pancia e andarmene a letto.»
Ridacchiai e la lasciai passare ritirandomi ad un lato, distendendo il braccio destro e imitando un inchino che lei accolse con una alzata d’occhi e un sospiro annoiato. Seguii i suoi passi quando scese le scale, concentrando il mio sguardo sul suo fondoschiena.
Ad aspettarla c’era Martin, intento a porre l’ultimo piatto sulla tavola. Papà intanto era rientrato, lasciando il lavoro sporco a mamma, che proprio in quel momento stava rientrando in casa. Insistette per un po’ per convincere Stephanie a restare, ma lei fu irremovibile, così sorrise a tutti (tranne a me) e insieme a Martin si diresse verso l’ingresso, uscendo dopo aver abbracciato brevemente mio fratello, che tornò in cucina e si sedette di fronte a me. Mamma portò la carne e i vari contorni in tavola, ma prima di iniziare a mangiare, la interruppi per una domanda.
«Secondo te sono una scimmia?»
Tre paia di occhi si puntarono su di me, che sorrisi soltanto facendo spallucce. Martin in particolare mi guardò come fossi impazzito, poi roteò gli occhi e cominciò a mangiucchiare l’insalata. Mamma rimase perplessa, ma sorrise.
«No, tesoro.»
Sorrisi anch’io ringraziandola silenziosamente, poi cominciai a mangiare.


ed ecco il secondo capitolo! :) qui entra in scena Zack, che è molto differente dal suo fratello gemello ahah
come sempre, spero il capitolo vi piaccia, e mi farebbe piacere una piccolissima recensione, così che posso sapere il vostro parere :3
vi ricordo che sto scrivendo un'altra fan fiction in contemporaneo a questa (cliccare sull'immagine sotto) , potete farci un salto se vi va :)
a presto!




  
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