Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |       
Autore: grenade_    14/04/2013    4 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
               
La velocità è il rapporto tra lo spazio percorso e il tempo impiegato per percorrerlo.
Per calcolare lo spazio finale non dobbiamo far altro che sommare allo spazio iniziale il prodotto tra la velocità e il tempo.
Spazio e velocità sono direttamente proporzionali.
Un moto rettilineo uniformemente accelerato è caratterizzato da traiettoria rettilinea e accelerazione costante.
La velocità finale la calcoliamo sommando alla velocità iniziale il prodotto tra accelerazione e tempo. Per lo spazio basta sommare alla velocità iniziale la metà del prodotto tra accelerazione e tempo alla seconda. Se non abbiamo il tempo, possiamo ricavarci il doppio prodotto di accelerazione e spazio, sottraendo alla velocità finale quella iniziale, senza dimenticare di elevare alla seconda.
Quando un corpo è in caduta libera l’accelerazione è sempre espressa dalla gravità, che è di 9,8 sulla Terra. Quando il corpo è lanciato verso il basso l’accelerazione è positiva, mentre se lo lanciamo verso l’alto si ha una decelerazione.
«Buongiorno Smartie!»
Non spostai lo sguardo né ad accennai ad un saluto, intento a fissare la parabola in bella mostra sulla pagina del mio libro di fisica. Mi accingevo a studiare quella materia da ben tre anni, eppure non avevo ancora compreso né il suo significato né il suo scopo, fermamente convinto che mai in vita mia avrei avuto bisogno di misurare la mia accelerazione in metri al secondo quadrato, né mi sarebbe servito sapere la funzione dei vasi comunicanti, o distinguere se uno schiaccianoci è una leva di prima o secondo genere. Era semplicemente insignificante, quattro ore settimanali piazzate lì con l’unica intenzione di mandare gli studenti in una profonda crisi di nervi, istigarli al suicidio forse. Fatto sta che la odiavo con ogni fibra del mio corpo, e avrei volentieri  sostituito quelle ore di disperazione comune con educazione fisica, nonostante tamburellare col piede a ritmo di musica fosse da sempre la mia unica attività durante quelle ore. Così il professor Kingley passava i suoi 60 minuti più a fissare la professoressa Kennedy dall’altro lato del campo e sorriderle come un ebete che ad arbitrare le abituali partite di calcio, ed io riuscivo a svignarmela tranquillamente, ma la mia A in pagella rimaneva imperturbata e intoccabile. Sì, forse sarebbe stato meglio. D’altro canto, quella C in fisica era il mio unico ostacolo dall’avere una media scolastica pressoché perfetta.
Velocemente due mani entrarono nella mia visuale, e prima che potessi ribattere il pesante tomo era stato chiuso e strappato dalle mie mani, quindi alzai lo sguardo con espressione indignata verso l’autrice del misfatto, che mi sorrideva innocente. «Ho detto buongiorno, Martin.» ripeté.
Osservai il suo sorriso sornione, le sue palpebre che sbattevano ripetutamente, e non potei fare a meno di ridacchiare. Stephanie invece incatenò gli occhi scuri ai miei, poi scosse la testa. Si avvicinò e schioccò un bacio sulla mia guancia, prima di stringere la mia vita con le braccia e posare la testa sulla mia spalla, i capelli lunghi a solleticarmi il collo come da perfetta routine quotidiana. E anche quella mattina portai il mio braccio dietro le sue spalle e la cullai per qualche secondo, mentre il suo profumo alla vaniglia mi inebriava le narici. Era strano, profumava sempre di vaniglia, ed io la adoravo per questo. Era ormai la mia migliore amica da nove anni, quando per sbaglio il suo gelato alla vaniglia, per l’appunto, aveva causato la prima macchia sulla mia camicia nuova. Mi aveva preso per mano dopo essersi accorta del disastro e portato da sua madre, pregandola di tornare a casa e lavarla lei stessa. Io avevo insistito per non farlo, ma due giorni dopo la mia camicia era perfettamente lavata e profumata, esattamente come nuova se non per un lieve e piacevole odore di vaniglia.
«Come va con la fisica?» domandò, i polpastrelli ad accarezzare il mio palmo.
Sospirai, affranto. «Il mio odio per lei cresce in modo uniformemente accelerato.»
Stephanie ridacchiò, prima di liberarsi della mia presa ed alzarsi, coi boccoli pendenti ad un lato. Afferrai la mano che mi tese, e quando fui in piedi mi riconsegnò il libro, prendendomi sotto braccio. «Non capisco il tuo bisogno di eccellere in qualsiasi cosa, hai praticamente la media più alta della classe.»
«Dici così solo perché tu non hai mai preso una C. E’ frustrante, credo quella donna mi detesti.»
«Tu credi che qualunque professore ti detesti, solo perché prendi delle B ogni tanto.» mi schernì.
Le diedi un leggero spintone per controbattere, ma la mia attenzione fu catturata da qualcos’altro, in piedi davanti a me. Emma Desmore, bassa e dal fisico minuto, gli occhi scuri coperti dalla frangia di capelli rossi, era di spalle, pertanto non poteva notarmi. Non l’avrebbe fatto in ogni caso. Credo di essermi innamorato di lei all’età di 13 anni, quando lei ne aveva solo 10 ed io la seguivo praticamente ovunque. Ho sempre creduto che ad incantarmi fossero stati i suoi lunghi capelli rossi, la voce stridula e le fossette sulle guance, che la rendevano adorabile. Era estremamente fuori controllo, un vero uragano, il sorriso illuminava il suo volto perennemente, e ogni cosa facesse o dicesse non faceva altro che immobilizzarmi, farmi entrare in un completo stato di trance solo quando i suoi occhi incrociavano i miei.
Si voltò e sentii le ginocchia molli quando mi sorrise calorosamente, mentre le farfalle erano nel bel mezzo di un torneo di pugilato nel mio stomaco. Ricambiai il sorriso impacciato, non sapendo bene cosa fare, quindi mi fermai ad analizzare il suo sguardo. Era più in alto di qualche centimetro, non era puntato verso di me ma verso qualcosa alle mie spalle. Sospirai, desolato. Come avevo potuto pensare che stesse sorridendo a me? Non lo aveva mai fatto, perché avrebbe dovuto cominciare proprio adesso, quando neppure mi conosceva se non per nome e cognome? Stupido, stupido Martin.
Quando però mi voltai per intercettare il suo sguardo il broncio scomparve dalla mia bocca, per trasformarsi in un ghigno furioso. Zack Payne camminava lentamente per il vialetto scolastico, con lo zaino ad una spalla e il sorriso dipinto sulle labbra, intento a lanciare occhiate a ciascuna delle ragazze che gli sorrideva imbarazzata, quasi stessero ammirando un adone greco sceso in terra. Capelli castani abitualmente sistemati in maniera maniacale, profondi occhi azzurri, alto e dal fisico magro e piazzato, studente dell’ultimo anno e capitano della squadra di basket, conosciuto per la sua fama da incorreggibile casanova. Per me, era solo il mio irritante fratello gemello, per il quale oltretutto la mia Emma aveva una cotta da circa tre anni. E lui non faceva altro che lusingarla per farmi un dispetto, aumentando di gran lunga la mia voglia di spiaccicare la sua faccia al suolo o tagliargli la lingua, così che non avrebbe più potuto darmi fastidio in nessun caso.
Si fermò davanti a noi e rivolse un caloroso sorriso ad entrambi, indugiando a dovere su Stephanie, che sostenne il suo sguardo con una smorfia. Poi tornò a me, nonostante stesse osservando qualcosa alle mie spalle.
«E’ davvero carina oggi la Desmore, non è vero?»
Assottigliai lo sguardo con espressione minacciosa, avrei voluto sferrargli un pugno dritto nello stomaco se l’avesse ancora degnata di un’occhiata, ma il suono della campanella me lo impedì. Gli studenti cominciarono a disperdersi nell’abitacolo, mentre Zack ci rivolse un ultimo saluto.
«Ci vediamo in classe, fratellino.»
Racchiuse la guancia di Stephanie tra pollice ed indice e vi posò un bacio, che lei cancellò strofinando così a lungo la pelle da farla diventare rossastra. Si voltò ad osservarlo entrare, scuotendo la testa con espressione disgustata. «Fatico a credere che abbiate gli stessi geni.»
Sospirai, non potendo fare altro. Cosa potevo farci? Forse avrei semplicemente dovuto rassegnarmi all’idea che lui avrebbe sempre ottenuto quello che desiderava, io no. La sua vita sarebbe stata sempre più facile, il suo aspetto migliore, la sua popolarità maggiore, e poi lui aveva Emma. Lo studio era l’unico campo in cui primeggiavo al posto suo, ma avrei di gran lunga preferito avere una sfilza di C, purché i suoi occhi scuri guardassero me e non lui.
Stephanie sbuffò sonoramente, attirando la mia attenzione.
«Andiamo in classe, ci aspettano due entusiasmanti ore di storia.»
 
Ore 14.00. Il momento tanto atteso era giunto, e mai come allora ero stato più nervoso. Avevo studiato in qualsiasi ora della giornata nonostante le continue lamentele di Stephanie, saltato la pausa pranzo ed adesso ero seduto al mio abituale posto in seconda fila, intento a ticchettare con la penna in attesa che la professoressa arrivasse. Tutti gli studenti erano al proprio posto e sembravano tranquilli, ma forse erano solo stanchi e assonnati per permettersi di preoccuparsi. O forse ero solo io quello fuori di testa.
Sentii il cellulare vibrare in tasca, e così in modo discreto lo tirai fuori, leggendo velocemente il nuovo sms da parte di Stephanie. ‘Buona fortuna per il test, ricorda di stare calmo e andrà tutto bene. Ti aspetto fuori per eventuali crisi di depressione cronica :) x’ recitava,  ma non potei fare in tempo a rispondere che la professoressa Wellington fece il suo ingresso sorridendo cortese, nonostante il mio sguardo attento notò prima la pila di fogli che aveva tra le mani.  
Ci intimò di fare silenzio e svuotare i banchi, poi puntò lo sguardo su di me. «Dov’è il tuo gemello?»
Uscii dal mio stato di trance giusto per qualche secondo per guardarmi attorno, appurando che effettivamente di Zack non ve n’era nemmeno l’ombra. Mi ricordai di non averlo neppure visto a pranzo, dunque supposi avesse finto un malanno e fosse corso a casa a farsi coccolare da mia madre, ma ovviamente non dissi nulla del genere alla professoressa, limitandomi ad una scrollata di spalle.
La professoressa sospirò e cominciò a distribuire i fogli banco per banco, e fui seriamente tentato di strappare il mio quando mi fu consegnato. Era pieno zeppo di formule, figure, diagrammi e roba varia, ma sorrisi quando mi resi conto di saper svolgere la maggior parte degli esercizi se non tutti quanti.
Cominciai a muovere velocemente la matita sul foglio bianco con tratti leggeri, fin quando la mia attenzione non venne catturata da una figura sulla soglia, fintamente trafelata e col respiro affannoso. Era chiaro Zack non avesse mai avuto tutta quella fretta di arrivare a lezione, oltretutto per un test, ma riuscì comunque ad ammaliare la professoressa con un innocente sorriso di scuse, che questa ricambiò, accompagnando il gesto da un dolce ‘prendi posto, Zack’.
Ignorai l’apposito tono smielato che aveva usato, scossi la testa e tornai al mio compito, con il solo unico obbiettivo di prendere una A, la mia prima A in fisica.
Erano passati ormai tre quarti d’ora quando consegnai il test, portato a termine nelle minime peculiarità. Stephanie aveva avuto ragione, il compito era stato più facile di quanto pensassi, ed io ero più che soddisfatto di me stesso per aver svolto tutti i quesiti e, almeno credevo, nel migliore dei modi.
Sorrisi fiero alla Wellington che ricambiò il mio entusiasmo e tornai al mio posto, osservando i miei compagni disperarsi. C’era chi fissava il foglio impassibile, chi suggeriva e si passava bigliettini ripiegati più volte, chi letteralmente dormiva chinato sul banco. Ma io avevo finito il mio compito, dunque ero sollevato.
Sentii la voce familiare di mio fratello chiamare la professoressa, così mi voltai per assistere alla scena, convinto che Zack fosse disperato come quasi tutta la classe. E lo era, lo si poteva leggere dal suo sguardo smarrito. Sorrisi esternamente, felice che avesse almeno una piccolissima lezione, così magari avrebbe imparato ad usare i libri per studiarci, non come soprammobili.
La professoressa Wellington,  i capelli biondi sulle spalle, si avvicinò a lui col solito sorriso addolcito che rivolgeva a quasi tutti gli studenti, e Zack ricambiò calorosamente. Il loro movimento continuo delle bocche era senza dubbio la prova che stessero nel procinto di un discorso, ma non riuscii a capire bene cosa si stessero dicendo. Tutto quello che vidi fu la mano di Zack risalire furtivamente la coscia della professoressa, che si immobilizzò per qualche istante. Poi assunse lo stesso sorriso e si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre Zack la teneva inchiodata con lo sguardo. Fu uno scambio veloce, e in pochi secondi quelli che credevo essere i risultati del test furono nelle mani di mio fratello, che ringraziò la professoressa con un sorriso sincero, mentre questa tornava alla cattedra, come se nulla fosse.
La campanella trillò quindici minuti dopo, dichiarando la fine delle lezioni. Le facce abbattute e i corpi trascinati dei miei compagni si accalcarono alla cattedra per consegnare i test, la maggior parte dei quali, ci avrei scommesso, erano del tutto bianchi se non per la presenza di nome e cognome. Anche mio fratello posò il suo sull’ammasso, salutando la professoressa con un cordiale ‘buo n pomeriggio, Mrs. Wellington’. Lei lo salutò altrettanto sorridente e fece lo stesso con me, che seguii il mio gemello fin fuori al corridoio, furioso come mai.
Quando gli fui abbastanza vicino lo afferrai per le spalle, costringendolo a voltarsi, visibilmente annoiato. «Non ci posso credere, ti sei fatto dare i risultati del test!» lo accusai, incurante del mio tono di voce, che era diventato stridulo.
Zack mi rivolse un’occhiata, come se fossi matto, poi replicò. «No, non è vero.»
«Certo che è vero, ti ho visto!» continuai. «Hai palpato la coscia della Wellington e lei ti ha dato i risultati!»
Zack sbuffò, poi inclinò la testa. Posò la mano sulla mia spalla destra, come sempre quando si preparava a lanciarmi una delle sue battutine poco sarcastiche, e avrei potuto fulminare il suo dorso solamente con lo sguardo, se solo ne fossi stato capace. «Mio caro Martie, devi davvero imparare a vedere tutti i lati di una faccenda, prima di lanciare un’accusa di questo spessore.» proclamò, mentre aveva passato un braccio attorno alle mie spalle. «E’ stata lei a consegnarmeli, non io a chiederli. Forse non sono io a meritare il comportamento da papino severo, non credi?»
Inarcò le labbra in un broncio derisorio e poi le sciolse in un sorriso, battendo dei colpi sulla mia spalla. «Ci vediamo a casa, fratellino.» , e girò i tacchi.
Non feci nient’altro, tranne rimanere imbambolato nel bel mezzo del corridoio, ad osservarlo andar via. Stephanie accennò ad un’occhiataccia quando si imbatté in lui, andando nel verso opposto, poi mi raggiunse correndo. Si fermò davanti a me, e il sorriso scomparve per far posto ad un’espressione confusa.
«Cos’è successo, Martin?»
Sospirai e scossi la testa lentamente, rassegnato.
«Vorrei solo essere figlio unico, tutto qui.»



Ciao! :) nuova fan fiction, nuova ambientazione, nuovi personaggi. 
La storia sarà raccontata da quattro diversi punti di vista e pertanto utilizzerò un colore diverso per ognuno di loro, per contraddistinguerli. Martin sarà blu, Stephanie viola, Zack verde, ed Emma rosso
Nient'altro da dire, alla prossima e recensite! :)
  
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: grenade_