Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: WinterRose    24/04/2013    2 recensioni
Eric, ragazzo apparentemente privo di qualità eccetto che per un corpo da urlo, e Kathrine, ragazza studiosa, matura e responsabile, si conoscono praticamente da sempre; peccato che non si sopportino a vicenda e che i rispettivi genitori vogliano che i due ragazzi si sposino. Ma le cose possono sempre cambiare giusto? Umorismo, ironia, gelosia e tanto, tanto amore.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve a tutti!

Con la festa della liberazione porto anche il capitolo “Inferno e paradiso” così avrete tempo di leggerlo con calma senza scuola/lavoro ad opprimervi.
Siamo alla fine, questo è in pratica il penultimo capitolo, tenetevi forte :)
Niente ringrazio
gasparella e oana_1995 che sono state carinissime a commentare e a tenermi su, spero che questo capitolo riceva altri commenti e recensioni. Mi tira sempre su sapere cosa ne pensate.

Un bacio :)
 

WinterRose



Inferno e Paradiso

 

If my body was on fire

you'd watch me burn down in flames

you said you loved me, you're liar

'cause you never, ever, ever did baby”

(Grenade, Bruno Mars)

 

 

 

 

I giorni successivi Kathrine li passò in casa. I signori Wood, invece, si mostrarono più indaffarati del solito, correndo da una parte all'altra della casa, per quanto questa fosse piccola. La ragazza attribuì quest'insolita frenesia ai giorni di assenza da Fairview, agli affari da sistemare insomma. Per lei, invece, non furono giorni particolarmente produttivi: qualche film strappa lacrime, quantità industriali di cioccolato e lunghe telefonate con Jessica. Lei sosteneva che stava a Kathrine andare a casa Wood e cercare Eric per chiarire o “ rimarrai chiusa in casa per il resto dell'estate, strafogandoti di schifezze e rovinando quell'invidiabile fisico che ti ritrovi”. Ma c'era una percentuale per niente trascurabile- che per Kathrine si aggirava intorno al 60, 70%- secondo cui al biondo non importasse nulla di lei, di come si sentisse. Che per lui fosse stata solamente una bambolina con cui divertirsi?Una bambolina diversa dalle altre, più difficile da ottenere e quindi più interessante? Non lo sapeva.

Ed era proprio quest'incertezza a tenerla asserragliata in casa, senza alcun tipo di reali rapporti umani da tre giorni. E andava sempre peggio: ogni minuto, ogni ora, ogni giorno che passava senza che lui mostrasse un minimo segnale, un qualcosa che le facesse capire che pensava a lei, anche un insulto sarebbe andato bene. Ma quella fase di impasse in cui lui non dava il minimo segno di vita, be', non faceva che rafforzare i propri sospetti, che a lui non interessasse più nulla, o, peggio, che non gli fosse mai interessato nulla alla fin fine. Quell'indifferenza che Eric continuava a portare avanti, a trascinarsi dietro da giorni le faceva credere che tutti i sorrisi, tutti quei piccoli ma non trascurabili segnali che le avevano fatto credere che lui la tenesse in buona considerazione, fossero in realtà una finzione, un inganno e che lei ci fosse caduta in pieno, senza neanche la forza di rendersene conto.

Passò tre giorni in quello stato, crogiolandosi nel suo malumore e nella sua amarezza, senza voler mettere piede fuori di casa, rimuginando sull'accaduto, biasimando Eric per quello che le aveva fatto e le stava facendo, ma soprattutto biasimando se stessa per non avere avuto l'intelligenza e la lucidità di accorgersene.

Il quarto giorno l'ingranaggio della sua vita- quell'ingranaggio che era rimasto immobile per più di tre giorni- iniziò a muoversi, spinto da chissà quale forza naturale.

Erano le quattro del pomeriggio, Kathrine era sdraiata sul letto sfogliando disinteressatamente una vecchia rivista di moda che aveva trovato in una pila di roba da buttare; qualcuno suonò alla porta ma non vi fece caso. Pensò che si trattasse sicuramente di un'amica di famiglia venuta a far visita a sua madre, come spesso capitava, o semplicemente il postino a recapitare una noiosa lettera per suo padre: lasciò, quindi, che ad aprire la porta fosse uno dei suoi genitori.

La voce di sua madre che le urlava di scendere la fece scattare come una molla.

E' lui.

Fu questo il primo pensiero che le attraversò la mente, come una folata d'aria fresca in una torrida mattina estiva.

E' lui, è venuto per me.

Fece per scendere di corsa ma la sua immagine riflessa allo specchio la bloccò di colpo. Non poteva scendere in quello stato, no, non poteva. I capelli erano in disordine- non aveva avuto il tempo né la voglia di passarseli con il phon quella mattina-, sembravano la chioma di un leoncino africano, le labbra troppo pallide e screpolate e occhiaie abbastanza evidenti.

Lucidalabbra, estrema necessità di un lucidalabbra.

Presa da un insolita frenesia iniziò a svuotare l'intero contenuto della sua borsa: portafoglio, fazzoletti, penna, taccuino, elastico... Elastico! Si posizionò davanti allo specchio e velocemente iniziò a raccogliersi i capelli:

<< Kathrine! Sbrigati! >> sua madre sembrava alquanto spazientita.

<< Arrivo, un attimo! >> urlò con l'elastico trai denti.

Quando ebbe finito ritornò alla ricerca del lucidalabbra. Improvvisamente le venne in mente che poteva trovarsi sullo scaffale del suo bagno. Vi si precipitò sperando con tutto il cuore che si trovasse lì; quando vide accanto al lavandino il tubetto rosa sgargiante si rasserenò. Ma fa un attimo. Lo afferrò e corse giù per le scale, mentre cercava di applicarsene un po' sulle labbra senza sbafare. Fece irruzione in salotto con il fiatone, piena di speranza. Ma si fermò sulla soglia quando vide girato di spalle un ragazzo non altissimo e bruno intento ad osservare alcune foto poggiate sul ripiano del camino:

<< Mi dispiace, Bennet, ma non sono chi ti aspettavi >> disse girandosi e aprendosi in un sorriso strafottente:

<< Cosa vuoi, James? >>

La delusione che non fosse Eric, bensì l'amico insopportabile, la fece sprofondare nell'umore più nero. Il ragazzo, da parte sua, sembrava piacevolmente divertito:

<< Come siamo maleducati. Non me l'aspettavo da una come te >> incrociò le braccia al petto guardandola con un sopracciglio alzato.

Kathrine si morse la lingua per non rispondergli a tono, e si limitò ad aspettare una spiegazione di quell'inattesa e anche poco gradita visita con le mani sui fianchi.

James prese allora a passeggiare con lentezza calcolata per la stanza:

<< Non voglio che tu fraintenda, sia chiaro, ma poiché tengo molto a Eric penso che un mio intervento non possa che essere d'aiuto. Quindi... >> e qui si fermò a guardarla direttamente negli occhi << a che gioco stai giocando, cazzo? >>

James sembrava seriamente infastidito mentre le poneva quella domanda poco garbata, ma Kathrine non aveva la minima idea a cosa si stesse riferendo. Non aveva la minima idea di cosa rispondergli:

<< Scusa cosa intendi? >> gli chiese sinceramente con le sopracciglia aggrottate.

Un lampo d'ira guizzò negli occhi del moro:

<< A cosa mi sto riferendo? Mi sto riferendo al fatto che lo hai fatto impazzire e, intanto, te la facevi con quello sfigato di Burke. Predichi bene ma anche tu non è che sia migliore delle altre >> .

Kathrine percepì la stessa nota di disprezzo che avevano accompagnato le ultime parole che il biondo le aveva rivolto giorni addietro. Allo stesso modo non reagì, solo che qui non si trattava dell'emozione o della consapevolezza del proprio errore, no, voleva solo andare più a fondo e far emergere una volta per tutte la verità, facendo leva su quel poco che sapeva del moro:

<< Impazzire? Ma stiamo parlando della stessa persona? >>

Andò volontariamente a stuzzicare quella che era la parte più sensibile di James. Non le era mai piaciuto manipolare le persone, ma in quel caso si trattava di scoprire come stavano veramente le cose: era il proprio istinto di autoconservazione che la spingeva ad osare più del solito, perché sapeva che da quella conversazione sarebbe potuta dipendere la sua felicità.

James fece la sua parte reagendo come previsto:

<< Tu non ti rendi conto, Bennet. L'hai distrutto, cosa pensi? Non è più quello di una volta, ce l'hai portato via >>

Eccola la verità, la vedeva da lontano, come uno spiraglio di luce in una stanza immersa nel buio più profondo. Ancora un poco, si disse, ancora un poco e la luce sarebbe stata alla sua portata:

<< James, seriamente, a Eric non è mai importato nulla di me e mai gli importerà nulla. Siamo troppo diversi >>

La recita continuava ad andare avanti ininterrotta. Il protagonista maschile era perfetto, ogni suo gesto, ogni sua reazione, ogni sua risposta era quella scritta sul copione:

<< Non prendermi per il culo. L'hai visto tu stessa che è cambiato. Non hai idea di come Fred sia in panico >> esclamò indicando fuori dalla finestra << lui è cambiato per te, cosa pensi? Non gli è mai importato nulla? L'hai ridotto uno schifo e hai persino la sfacciataggine di venirmi a dire che a lui non è mai importato mai nulla? >>

James era furioso: espirava dalle narici rumorosamente, come un toro davanti ad un drappello rosso a tal punto che Kathrine si aspettava che da un momento all'altro potesse fuoriuscirvi del fumo. Ma quando sentì l'accusa che James le rivolgeva e cioè che era lei quella insensibile, non riuscì più a recitare: fu lei a mandare a monte la recita, lei che ne era l'artefice:

<< Ah certo >> rise sarcastica << è lui quello che ne è rimasto distrutto, no? James, potrai conoscere bene Eric ma non sai niente di me e questo non ti dà il diritto di parlarmi in questo modo. Secondo te cosa ho fatto questi giorni, eh? Me la sono spassata con Burke? Per tua informazione, Sean non lo sento da lunedì mattina, e ho passato tutto il tempo in casa, certamente non a divertirmi >> non ebbe il coraggio e la modestia di aggiungere “e a disperarmi” << E sai una cosa? Io avrò fatto anche i miei errori, ma se è vero quello che dici tu, che a Eric importa qualcosa di me, be', che abbia almeno le palle da venirmelo a dire in faccia, che venisse a dirmi in faccia di questo tormento terribile che gli strugge il cuore e non mandi uno che parli al posto suo. Dopo tutto quello che mi ha fatto passare in questi anni, dopo come mi ha trattata lunedì, come pensi che possa essere io ad andare da lui, eh? Come? >> urlò con le lacrime agli occhi << tu non sai niente di me, James. Non sai cosa vuol dire credere che sia tutto perduto, non sai cosa vuol dire passare ogni singola ora con l'aspettativa che lui ti cerchi, che dimostri quello per cui sembra tanto arrabbiato e distrutto come dici tu. Da come si sta comportando l'unica deduzione che ne posso ricavare è che a lui non interessi minimamente di me >>

Kathrine si fermò con il fiato corto e rotto dai singhiozzi; le lacrime che ormai le aveva scavato solchi di dolore sul viso continuavano inarrestabili il loro cammino. Ma non per questo smise di guardare fermamente negli occhi il ragazzo che invece si mostrava del tutto indifferente a quel lungo discorso.

Il lungo momento di silenzio che seguì e che parve per Kathrine durare anni fu spezzato da un lungo sospiro di James che le si avvicinò di un passo:

<< Hai ragione, Bennet, non ho la minima idea di come tu ti sia sentita o di come tu ti senta in questo momento. Ma permettimi una cosa: cosa pensi di risolvere con questo tuo nasconderti ed evitarlo? Ti aspetti che sia lui a venire da te? Per quanto possa essere cambiato rimane sempre Eric Wood ed il suo orgoglio è parte profondamente radicata nel suo carattere. Molto probabilmente più del tuo >>.

Detto questo il ragazzo prese il giubbotto abbandonato sul divano del soggiorno, se lo mise in spalla e si infilò un paio di occhiali da sole.

<< Pensaci. Ti dico solamente che comportandoti in questo modo non risolverai nulla >> disse sorpassandola con nonchalance << Ci vediamo >>

Accennò un gesto con la mano e sparì dietro la porta del salotto lasciandola immersa nel mare dei suoi pensieri.

 

L'aria fresca della sera le scorreva veloce e silenziosa sul viso; il rumore sordo delle ballerine sull'asfalto e il suo respiro affannato era l'unico rumore che le ricordava che non stesse sognando. Non sapeva da quanto corresse ormai: cinque, dieci minuti forse? Ma ci era quasi, si disse, mancava poco.

Erano passati due giorni da quando James aveva fatto irruzione in casa sua presentandole le famose accuse, le quali accuse, la stessa Kathrine faticava a crederci, avevano sortito l'effetto desiderato.

Eccome se ci aveva pensato. Non aveva fatto altro. E poi, finalmente, nel tardo pomeriggio di quel giorno era stata graziata dalla luce divina che le aveva infuso la forza e l'arditezza di provare. Aveva indossato le prime cose che aveva trovato a portata di mano ed era uscita di fretta e furia di casa; non aveva con sé nemmeno il cellulare. Ma non le sarebbe servito, non in quel momento, non quando stava andando da lui.

Mentre percorreva a perdifiato le vie di Fairview si sentiva felice, sapeva che mancavano pochi minuti e tutti si sarebbe chiarito, avrebbe iniziato una nuova vita e avrebbe potuto stare con lui, sempre. Al diavolo cosa avrebbe pensato Faith, al diavolo i litigi, le incomprensioni: sarebbe stato tutto perfetto.

Arrivò a casa Wood, attraversò ancora più velocemente se possibile il vialetto che portava all'ingresso e si fermò a pochi centimetri dal portone. Le parve di aver già vissuto quel momento, quando era arrivata quasi due settimane prima con le valige e con l'animo rassegnato.

Suonò decisa al campanello. Aspettò qualche secondo senza sentire alcun movimento provenire dall'interno dell'abitazione.

Ci devono essere.

Il suo sguardo si posò sul tappetino davanti l'ingresso che recava la scritta “Welcome”. Kathrine si lasciò sfuggire un sorriso sincero.

Certo, in paradiso.

Il suo paradiso personale era lì, a separarli solamente una stupida porta di legno.

All'improvviso sentì la porta aprirsi.

Rimase un poco delusa quando le si parò davanti la figura della madre di Eric:

<< Oh ciao Kathrine >> disse salutandola con voce stanca.

Ora che ci faceva caso, la signora Wood non era in ottima forma a giudicare dalle profonde occhiaie che le cerchiavano gli occhi e la postura leggermente gobba. Diane si strinse ancora di più nella vestaglia giallo canarino:

<< Disturbo? >> chiese distratta Kathrine allungando il collo verso l'interno dell'abitazione.

Dov'era Eric?

Diane si affrettò a negare riprendendo un poco quella che era la sua abituale energia e vitalità:

<< Potrei vedere Eric? >>

La donna si adombrò un poco e Kathrine per un attimo temette il peggio. Cosa c'era che non andava? Un'altra abituale e comunissima litigata tra madre e figlio?:

<< Certo, cara, credo sia in salone >> disse sforzandosi di sorridere << io torno sopra in camera, ultimamente non sono stata troppo bene >>.

E con passo strascicato la signora grassottella intraprese la lunga ascesa verso il primo piano.

Ecco il momento tanto agognato, pochi passi e sarebbe stata tra le sue braccia, disse rincuorandosi. Così, con quelle sensazioni che le facevano attorcigliare lo stomaco su se stesso, aprì la porta semichiusa del soggiorno pronta a recitare quella che considerava l'ultima scena di un'opera iniziata anni addietro.

Ed eccolo.

Lui era lì, seduto sul divano, come un dio colto in tutta la sua radiosa e splendente bellezza. Kathrine sentì il cuore perdere un colpo per poi ricominciare a battere impazzito. Era lì a pochi passi da lei, ce l'aveva fatta.

Eric era felice, vedeva quei occhi d'argento ridenti con un che di malizioso.

Ma perché rideva?

Rideva per lei, si disse Kathrine gonfiando il petto di orgoglio. Era contento perché anche lui in quel momento sapeva che tutto sarebbe andato per il meglio, che avrebbero potuto stare insieme.

Ma lo sguardo di Eric non guardava Kathrine.

No.

Kathrine ne seguì perplessa la traiettoria.

Solo in quel momento si accorse della presenza di un'altra persona. Un'altra ragazza. No, non era Faith, né la sorella si Sean, non era una ragazza di Fairview. Una cascata di boccoli bronzei incorniciavano un visino ovale nel quale erano incastonati due occhi verdi abete incorniciati da fitte e lunghe ciglia nere.

Niente in confronto a dei capelli castani in disordine, ad un paio di banali e comuni occhi marroni.

Una bocca a forma di cuore rossa come il sangue in contrasto con il colorito perlato dell'incarnato.

Niente in confronto ad un colorito mortale e a due occhiaie violacee.

In quel preciso momento la ragazza, accortasi della presenza di Kathrine, si alzò dal divano con eleganza avvicinandosi e offrendole la mano, scoprendo una fila perfetta di denti bianchissimi. Una volta che fu in piedi, Kathrine fece attenzione all'abbigliamento della sconosciuta. Una maglietta rosa aderente a giro maniche con un copri spalle color panna, pantaloni bianchi strettissimi, infine dei sandali salmone con un tacco vertiginoso. Un corpo perfetto, slanciato, che si muoveva con sinuosità ed eleganza mentre si dirigeva verso di lei.

Lei invece era lì con un'anonima t-shirt bianca, dei jeans non nuovissimi e delle ballerine raso terra.

Era la ragazza provenuta dal suo inferno privato per abbatterla, quella ragazza che le porgeva la mano l'avrebbe distrutta, pensò all'istante.

Automaticamente strinse la mano alla sconosciuta:

<< Tu devi essere Kathrine >> ipotizzò con voce melodiosa << io sono Jane >>

<< La mia fidanzata >> aggiunse Eric alzandosi.

Le si spezzò il respiro.

Fidanzata.

Kathrine si svegliò improvvisamente dal torpore in cui era caduta, come se presa in pieno da una secchiata d'acqua gelida, come se le avessero conficcato un pugnale nel petto e solo in quel momento si stesse rendendo conto che veniva girato e rigirato aprendole uno squarcio sempre più esteso nel busto.

Fidanzata.

Ci era cascata di nuovo. Un'altra pugnalata. Non era bastata la prima volta quando si era fatta ammaliare dal suo fascino, dal suo apparente interessamento nei suoi confronti. Anche ora che era tornata da lui, che aveva messo da parte il suo orgoglio e i suoi pregiudizi, che era andata da lui inerme, lui l'aveva distrutta con quei pugnali che le martoriavano il corpo.

Fidanzata.

Come una candela la cui fiamma vivace muore vacillando per mancanza d'aria così Kathrine si sentì venir meno sotto lo sguardo intenso del ragazzo che le scrutava l'anima e che la guardava morire senza fare nulla: noncurante del suo dolore conficcava sempre nuovi pugnali con quasi un piacere perverso nel vederla soffrire. Il fiorellino sarebbe appassito con lo stelo strappato, la fiamma si sarebbe spenta priva di ossigeno, se non lui non l'avesse impedito.

Ma la restò a guardare e lei sprofondò nel buio.

 

 

 

C'era chi vedeva il matrimonio come qualcosa di non necessariamente indispensabile, chi lo riteneva un obbligo solo in caso di una gravidanza inaspettata, chi, invece, lo considerava una rovina o semplicemente un foglio di carta dove veniva una volta per tutte ristretta e limitata la propria libertà, chi, ancora, vedeva nella cerimonia religiosa un occasione nella quale sfoggiare un vestito mozzafiato ed essere al centro dell'attenzione per un giorno intero.

Kathrine non la pensava affatto così: per lei il matrimonio era sempre stato e sarebbe sempre stato il coronamento della propria vita affettiva.

Il matrimonio era una responsabilità, perciò pensava che molte persone sopratutto negli ultimi decenni, fossero piuttosto restie allo sposarsi perché ciò implicava una serie di valori ai quali bisogna attenersi: fedeltà, condivisione, fatica e rispetto reciproco.

C'era stato un periodo in cui credeva di essere pronta a tutto questo, pronta a legarsi con un tale vincolo ad Eric perché, soprattutto alla luce delle attenzioni che lui le mostrava, era convinta che per quanto il cuore del ragazzo potesse essere duro e freddo, con dolcezza, calore e un po' di amore avrebbe potuto scioglierlo e farlo suo.

Ora era cambiato tutto perché si era fatta viva una ragazza aristocratica quanto lei ma sicuramente più ricca di lei.

E più bella.

Kathrine era una bella ragazza: glielo avevano sempre detto. La sua era una bellezza candida, come un prato innevato illuminato dai primi raggi di sole. Una bellezza semplice e timida. Ma per quella Jane le cose erano andate ancora meglio: no, non era una di quelle bellezze appariscenti e sfacciate come poteva essere quella di Faith. Era di una bellezza cristallina, lucente e abbagliante. Come una rosa rossa sbocciata nel bel mezzo di un campo pieno di margherite. Una bellezza che acceca gli occhi di chi la guarda, in confronto alla quale anche un prato innevato illuminato dai primi raggi di sole sarebbe sembrato insignificante.

Ora tornava tutto: l'ansia dei suoi genitori, il malumore della signora Wood, il fatto che Eric non si fosse più fatto vivo. Interrogata sua madre, le aveva detto che Anthony Wood, in uno dei gala a cui aveva partecipato recentemente aveva conosciuto i genitori di Jane Fithsher: anche i Fithsher potevano vantare nobili natali proprio come i Bennet, con l'unica differenza che la loro situazione economica era, non certo ai livelli dei Wood, ma comunque più agiata rispetto a quella dei genitori di Kathrine. A tutto ciò andava aggiunto il fatto che Jane avesse appena terminato gli studi liceali, diplomandosi con il massimo dei voti e la lode, e fatta una richiesta di ammissione ad Harvard, era stata subito accolta senza lettere di raccomandazione.

In poche parole bella, intelligente e ricca.

Kathrine si era sempre sentita in qualche modo superiore alle altre ragazze, o per un aspetto o per un altro. Per esempio Faith aveva certamente un seno più grande- enormemente più grande- del suo e dei capelli color miele, ma era superficiale e certamente non perspicace. Ma in questo caso, Kathrine non era superiore in niente alla nuova arrivata. Era lei la vincente. E Kathrine si sarebbe dovuta arrendere una buona volta e farsi da parte, com'era giusto che fosse. Una sorta di selezione naturale, alla fine. Vinceva chi aveva i cromosomi migliori, le carte giuste, e purtroppo in questo caso, lei non li aveva.

Si disse che avrebbe lasciato andare Eric e si sarebbe fatta una vita con qualcun altro, qualcuno che l'apprezzasse per quella che era: per i suoi capelli castani, i suoi grandi occhi cioccolato, il suo poco denaro, il suo orgoglio, la sua eccessiva permalosità e il suo romanticismo portato all'esasperazione. Qualcuno che le dicesse ogni giorno quanto fosse bella, quanto fosse straordinaria*. Qualcuno che le portasse delle rose senza un apparente motivo, che gliele portasse così, perché gli andava.

Ed era sicura che ci fosse qualcuno disposto a farlo, Sean ne era un esempio.

Così quando era arrivato l'invito per il gala in onore del fidanzamento di Eric e Jane, l'aveva accettato senza alcuna dimostrazione esplicita di dolore, con una finta indifferenza che lasciò molto perplessi i signori Bennet i quali, invece, erano alquanto angustiati dalla piega che avevano preso gli ultimi avvenimenti.

Stavolta, però, era sicura che quello sarebbe stato davvero l'ultimo atto da recitare, con il quale sarebbe uscita di scena con dignità e pudore una volta per tutte.

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: WinterRose