Film > Pirati dei caraibi
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Autore: Blackmoody    13/11/2007    6 recensioni
– Vi parlo di tanti anni fa. – esordì la donna, lisciandosi la stoffa consunta della gonna.
– Vi parlo di quando il Mare era ancora giovane e libero, e giovani erano molti degli uomini che allora lo plasmarono - con il sudore delle loro fronti e la forza delle loro schiene, come amavano dire. Sono qui per narrarvi una vicenda vecchia di quarant’anni e forse più. – aggiunse poi riacquistando durezza: – Per narrarvi di quel tempo in cui il mondo sembrava ancora non avere confini e in cui i pirati solcavano le onde cantando canzoni e brindando alle vele. Di un tempo in cui tutto e niente, e tutti e nessuno, significarono ‘appartenersi’.

| sospesa |
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Davy Jones, Hector Barbossa, Joshamee Gibbs, Nuovo Personaggio, Tia Dalma
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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seven

 

 

seven .  s e v e n t h  t a l e

 

 

 

 

L’àncora piombò in acqua con un tonfo sordo, seguita dal cigolare dell’argano.

La Scarlatta si era messa alla fonda poco distante dalla costa ovest di Kìthira, quella segnalata dalla mano ossuta del vecchio Pat sul suo pezzo di cuoio liso – dopo aver accuratamente evitato il lato a meridione per non farsi notare dalle vedette della cittadina omonima. E adesso, sotto il sole abbagliante del pomeriggio greco, l’equipaggio e i tre capitani attendevano che la calura scemasse per potersi mettere in azione.

Teague osservava minuziosamente la terra di fronte a loro, cannocchiale alla mano: c’era una spiaggia abbastanza grande per ormeggiarvi le lance, da cui un sentiero si dipartiva tra la vegetazione bassa e secca, conducendo dritto nel cuore dell’isola; più a nord s’indovinava la presenza di una scogliera, coronata da un ampio tratto di rive rocciose e pressochè impraticabili. Dalla coffa, Maeve comunicò che oltre le sponde il territorio era coperto per lo più da macchia mediterranea – unici alberi olivi ed eucalipti – e che ancor più in lontananza sembrava esserci una costruzione, una casa. Hector e gli altri incamerarono l’informazione in silenzio, mentre gli uomini cominciavano a scegliere le armi da portarsi appresso, e chi di loro sarebbe sbarcato. Jackie, elettrizzato, scalpitava sul ponte, si affacciava alle murate, si beveva con lo sguardo ciò che li circondava e si sistemava ogni due secondi la fascia che portava sulla testa, sicuro che gli avrebbero permesso di partecipare all’azione o quanto meno di accompagnarli a terra. Ma il suo vecchio Tea-cup non parve del medesimo parere, quando lo acchiappò per la collottola e lo portò di peso sul cassero, dove già si trovava Tia Dalma: raccomandò a quest’ultima di tenerlo d’occhio e si scusò per il disagio, e la donna, per tutta risposta, si chinò sul bambino con un sorriso seducente e si divertì ad osservarne la reazione, conscia del proprio fascino.

Jackie si sentì arrossire, più per come gli adulti lo trattavano che per quel bellissimo viso a pochi centimetri dal suo.

Venne deciso, dopo una svogliata discussione, chi avrebbe fatto parte del gruppo di spedizione: i tre capitani scelsero subito Wyvern e Barrett, il primo ufficiale di Sparrow, preziosi per il loro indiscutibile titolo di veterani; Cotton accettò di buon grado di restare a bordo in qualità di quartiermastro, essendo il più coscienzioso in quella banda di scalmanati. Infine, furono additati i fratelli Gibbs e Bill Turner – considerato che i due giovani erano due teste calde e ottimi combattenti, e che nessuno vantava la stessa vista d’aquila della Lince, cosa che le era anche utile per sparare.

Così, una volta che il sole si fu abbassato di un po’ nell’arco abbacinante del cielo e che l’aria si fu fatta più fresca grazie all’arrivo di qualche soffio di maestrale, Jones decretò che era giunto il momento di muoversi. Dietro suo ordine, la lancia di babordo venne calata in mare, e i sette pirati si munirono di sciabola in vita, polvere da sparo di scorta e pistole ben cariche legate ai cinturoni, e scavalcarono uno dopo l’altro la murata, scendendo nella barcaccia. Maeve avvertiva distintamente una pungente sensazione che la rendeva agitata, con i sensi all’erta: girò la testa ora a destra, ora a sinistra, controllando che non vi fossero navi nere nei paraggi – accorgendosi con malcelato sollievo che così era. Si accomodò nella scialuppa per ultima, mentre gli uomini rimasti sulla Scarlatta gridavano loro frasi d’incoraggiamento ricambiate, ed evitò lo sguardo dei compagni. Non voleva che si accorgessero della sua ansia.

I remi, manovrati da Wyvern e Barrett, scivolarono nelle acque calme dell’Egeo, scandendo il tempo man mano che si avvicinavano alla riva sabbiosa. Tutti stavano in silenzio, scoccandosi occasionali occhiate e allungando il collo verso la mappa del vecchio Pat, che Hector teneva tra le dita dando l’impressione di essere più che intento a studiarne le rozze forme. In realtà la conosceva ormai a memoria. Ma gli faceva comodo apparire impegnato, in modo da non lasciar trapelare niente della sua completa mancanza di preoccupazione. Era sicuro che, bene o male, sarebbero riusciti nell’intento.

E lui era ad un passo dall’ottenere la Bussola. Non era forse un buon motivo per sperare nel meglio?

Inoltre, una volta conclusa quella faccenda sull’isola avrebbe potuto dedicarsi alla seconda questione che particolarmente gli premeva. Nessuna preoccupazione, nemmeno qui. Soltanto puro e semplice desiderio. Questo si disse osservando in tralice il viso corrucciato di Maeve.

La risacca li sospinse fino alla spiaggia candida, e ivi, ormeggiata la lancia ad un paletto piantato nel terreno, gli otto si misero in marcia verso l’interno di Kìthira; il grande veliero immobile, con le vele porpora all’imbando, sembrava osservarli con benevolenza, e la ragazza riprese un po’ di coraggio nel pensarlo. Seguì i compagni imitandone i passi felpati e spavaldi, gli arbusti fruscianti tutt’intorno, intanto che Joshamee e Bill, di fronte a lei, si sottoponevano ad uno sforzo notevole per mantenersi attenti nonostante l’attrazione che provavano nel far scorrere gli occhi meravigliati sul paesaggio circostante: il cielo di quell’azzurro così intenso contro il verde secco degli olivi, le zolle di terra brunita scaldate dal sole, il profumo sconosciuto degli eucalipti e del mirto. Il sentiero si snodava bianco e polveroso attraverso la vegetazione, conducendoli più in alto, più in dentro, più prossimi alla loro meta. I segni del vecchio Pat, a discapito delle apparenze, dovevano essere più chiari del previsto, dato che il biondo capitano, che apriva la fila, camminava spedito come se sapesse dove andare.

Si fermarono d’improvviso in una zona ombreggiata dagli alberi. Oltre i tronchi sbiaditi faceva capolino la sagoma della costruzione che Maeve aveva scorto dalla coffa qualche ora prima, e un’occhiata bastò ai comandanti per capire che non era disabitata. Era fatiscente, con i nudi muri di pietra visibili a tratti oltre l’imbiancatura a calce tipica del Mediterraneo e il tetto malmesso, ma la soglia sembrava pattugliata da due o tre persone e dall’interno giungevano stralci di voci che il vento portava sino alle orecchie degli otto in attesa. Teague strappò il pezzo di cuoio di mano a Barbossa:

- Non si era parlato di case – fece notare, burbero. Di case con inquilini, oltretutto.

- E io non vedo tigli, qui. Sei sicuro che il posto sia giusto? – rincarò Davy corrugando le sopracciglia.

Hector roteò gli occhi: - Ne sono sicuro per quanto mi permette di esserlo questo disegno, signori.

- Potremmo costeggiare il terreno dove sorge l’edificio mantenendoci a debita distanza e controllare se il punto corretto si trova più avanti – propose Barrett, una mano alzata a schermarsi dal chiarore. La sua era un’osservazione sensata.

Maeve, nel frattempo, si era arrampicata sull’eucalipto più alto e, nascosta tra il fogliame odoroso, fissava la vecchia costruzione. Gli occupanti di essa erano uomini, di età differenti, per quel che riusciva a scorgere, e aveva il sospetto che si trattasse di furfanti indigeni, a giudicare dalla rozzezza della parlata e dei gesti. Spostandosi con cautela sul ramo soprastante ebbe una visuale più chiara – e si rese conto che il tetto di tegole e pagliericcio era crollato al centro, e che dal largo buco spuntava qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi là: la sommità di una verde chioma d’albero.

- Capitani! – chiamò, concitata – Forse ho individuato il tiglio.

Gli altri sollevarono di scatto il capo nella sua direzione, i volti improvvisamente interessati.

- E mi duole annunciarvi che, se è lui, dovremo entrare in quella casa per toccarlo.

- Spero che la tua conoscenza in fatti d’alberi sia affidabile, Lince – commentò il rosso, freddo.

La ragazza si strinse nelle spalle e si calò giù dall’eucalipto con qualche difficoltà, finendo praticamente addosso al fratello.

- Che facciamo, allora? – s’intromise quest’ultimo, sorreggendola.

- Ci avviciniamo – rispose Hector – Rimaniamo tra la macchia e ci portiamo sul lato posteriore della costruzione. Una volta lì decideremo sul da farsi – fece una pausa ed estrasse una pistola dalla cintola – E armi pronte. Non intendo permettere a chicchessia di ostacolarci.

- Andata – concesse il moro Sparrow.

- Tieni gli occhi aperti, Lince – si raccomandò Wyvern.

- E voi due – disse Davy a Josh e Bill – Niente mosse azzardate.

Così, gli otto pirati ripresero a camminare, riparati dalla vegetazione, in punta di piedi per evitare che l’erba e le foglie secche scricchiolassero troppo al loro passaggio; era evidente, tuttavia, che gli uomini dell’edificio non si erano affatto ammoscati della loro presenza. Il retro della casa era completamente privo di finestre, con olivi ed eucalipti che ne sfioravano il muro scrostato, ombreggiandolo e fornendo un’ottima via per arrivare al tetto. Difatti, la prima idea che tutti ebbero fu quella di spedire una sbuffante Maeve in cima all’albero più imponente, quello che con i rami toccava le tegole – e lei, strisciando sopra di esse con la paura di farne cadere una e farsi scoprire, si portò fino al bordo del buco e guardò in giù: il tiglio era effettivamente un tiglio, se ricordava bene la forma delle foglie vista un giorno su un vecchio libro. Sbucava dalla metà in su dal pavimento di legno del piano superiore della costruzione, lasciando indovinare come questa gli fosse stata edificata intorno quando ancora il suo tronco era modesto; nella stanza sedevano alcuni figuri intenti a vociare sopra casse, botti e bauli e oggetti di varia natura sparsi qua e là, quasi certamente frutto di mediocri scorribande. Non avevano l’aria di essere bucanieri, bensì semplici contrabbandieri isolani.

La giovane donna, trattenendo il fiato, rotolò di nuovo sullo scrimo del tetto e scivolò sull’eucalipto:

- Sono una quindicina almeno all’interno, più altri sul davanti, di sicuro – riferì parlando piano – Qualcuno dovrebbe attirarli fuori dalla stanza del tiglio, altrimenti ci sarà impossibile cercare la Bussola, cosa per la quale mi offro volontaria.

Teague annuì e guardò il suo primo ufficiale: - Barrett, tu sai qualche parola di greco, no?

- Il minimo indispensabile, capitano. E so improvvisare – sogghignò l’uomo di rimando.

- Allora ci sarai utile per tenere impegnati questi gentiluomini. Tu, io ed Hector ci occuperemo di distrarli per dare modo alla Lince di fare il suo dovere là dentro, mentre voialtri rimarrete nascosti e sul chi vive, qui, e accorrerete se sarà necessario.

Il biondo si rivolse a Maeve: - Quanto tempo ti serve?

La ragazza inarcò un sopracciglio: - Lo chiedi a me? Se lo sapessi saprei già dov’è quel maledetto aggeggio.

- D’accordo, più tempo ti procuriamo e meglio sarà – concluse lui ridacchiando.

Si divisero rapidi, quattro sul retro ad aspettare, tre a interpretare la loro commedia, una sui rami e poi sul tetto. Maeve si riportò nella posizione iniziale, presso il margine della voragine, e tese l’orecchio per cogliere i cambiamenti che avvenivano sotto di lei: udì gli uomini nella stanza zittirsi d’improvviso, quando la voce di Barrett si levò stentorea dal cortile anteriore, li udì alzarsi in fretta e furia e correre fuori, mentre sul lato opposto della casa si riunivano parlate differenti e agitate, comprese quelle dei suoi compagni. Per un attimo la giovane donna temette di sentire spari, o clangori di sciabole, o grida rabbiose, ma i due capitani e il primo ufficiale non dovevano esser nuovi a giochi di quel genere – poiché passati quei pochi istanti di confusione le cose si acquietarono.

La Lince, allora, prese un profondo respiro e pose piedi e mani sul tiglio, iniziando a scendere. Le foglie larghe le solleticavano il naso e le guance, e il legno era antico e saldo sotto le dita, e rassicurava. L’albero era robusto e non troppo alto, e Maeve toccò il pavimento prima di quanto pensasse; la luminosità diffusa di quella strana sala, data dai raggi del sole e dal riverbero del cielo che filtravano attraverso la chioma verde, la colpì subito, lasciandola meravigliata in mezzo al pulviscolo che danzava tra le zone d’ombra. Non aveva mai visto niente di simile in vita sua.

Stava però sprecando minuti preziosi, e non poteva permetterselo. Non che le interessasse granchè della Bussola: lei non era un capitano, era una vedetta, un marinaio semplice, e come tale seguiva volentieri i suoi comandanti nelle imprese che essi desideravano compiere. Sarebbero stati loro ad utilizzare la leggendaria proprietà di Morgan, com’era giusto. Perciò il solo motivo per cui si affannava, adesso, attorno al tronco, battendovi sopra, controllandone gli interstizi, saggiandone la superficie tiepida – era quello di tornare vittoriosa con la Bussola, mostrandosi così agli occhi di Hector, recandogli il suo premio.

Contava anche il suo orgoglio, certo. Eppure non le venne in mente subito.

Finalmente, quando ormai era sul punto di mandare tutto al diavolo, lo sguardo le cadde su una fessura che non aveva considerato, a circa due piedi da terra: si inginocchiò, con lo stomaco che le pungeva dall’agitazione e i polsi che tremavano leggermente, e infilò le dita nello spazio scuro, scoprendolo più profondo di quel che appariva. L’interno era caldo, pieno di trucioli e polvere, e Maeve sfiorò, ad un tratto, un oggetto più freddo, metallico, spinto talmente in fondo alla piccola cavità da non riuscire ad afferrarlo. E l’apertura era troppo stretta perché vi potesse spingere il braccio intero.

Imprecando, la ragazza ritirò la mano con una certa violenza, gettando occhiate a destra e a manca per individuare qualcosa che potesse servirle per allargare la spaccatura. Passò in rassegna bottiglie, archibugi arrugginiti, dadi abbandonati e la massa confusa di bottino ammassata contro le pareti, finchè non individuò ciò che cercava: un’ascia sottile e lucente, da boscaiolo più che da guerra, abbastanza affilata da essere utile. Controllando che non stesse arrivando nessuno – e ammirando la capacità d’intrattenimento di Hector, Teague e Barrett – corse ad impossessarsi dell’arma, tornò al tronco e sferrò un colpo. La vibrazione si ripercosse lungo i suoi tendini, provocandole una punta di dolore, ma Maeve strinse i denti e i pugni sul manico dell’accetta e continuò.

Sudava, il fiato le usciva affannoso, non sapeva per quanto la recita degli altri l’avrebbe coperta. E non voleva mollare.

Piano piano, il legno cedette, rovinando in schegge appuntite sul pavimento: ora l’interstizio era largo a sufficienza, constatò la giovane donna con un sorrisetto soddisfatto, asciugandosi il viso con una manica della camicia. Gettò l’ascia in un angolo, facendola tintinnare, e si ributtò carponi a terminare il lavoro.

Fu con il cuore in tumulto che estrasse dal tiglio un forziere di dimensioni minute, rozzamente decorato, il cui contenuto ciotolava ad ogni movimento. E fu con notevole sorpresa che, rialzandosi, vide sulla soglia della stanza un ragazzetto di circa sedici anni che la fissava con evidente stupore, le braccia ciondoloni lungo i fianchi. Maeve si bloccò sul posto, e l’altro si precipitò giù per le scale che si dipanavano oltre la porta, urlando qualcosa.

Che gli imprevisti fossero maledetti, pensò: era stata colta in flagrante.

 

 

Greedy Dalma inspirò a pieni polmoni l’aria tiepida, ritto sul cassero della sua bella nave nera. Aveva fatto leva sulla propria astuzia una volta di più, mettendosi alla fonda sul lato della costa est di Kìthira, invece di inseguire la sua preda fin sul versante occidentale – cosicchè, adesso, poteva mandare i suoi uomini all’attacco da lì, e quando Jones e i suoi se ne fossero accorti sarebbe stato troppo tardi. Sarebbe piombato loro alle spalle.

Lui non sarebbe sceso a terra. Quella era un’impresa fin troppo facile per fargli decidere di scomodarsi, e si fidava delle capacità del suo quartiermastro e dei membri della sua ciurma di manigoldi cui aveva affidato l’incarico di carpire la Bussola ai capitani avversari e di, possibilmente, ucciderli: non voleva ritrovarseli alle calcagna qualora si fossero messi in testa di riprendersi il loro prezioso oggettino. Sarebbe stato un vero fastidio.

E frattanto che l’Avido osservava i suoi ragazzi addentrarsi nella macchia mediterranea dell’isola, nell’aia malandata della casa dei contrabbandieri la farsa finora ben riuscita di Hector, Teague e Barrett venne bruscamente interrotta dall’arrivo di un sedicenne agitatissimo che, gesticolando verso il piano superiore dell’edificio, annunciò al capo la presenza di un intruso nella sala dell’albero – e il primo ufficiale della Tigresse, capendo le parole, dette allarmato di gomito ai due comandanti, che non impiegarono più di un istante a rendersi conto che Maeve era stata scoperta. E che loro, com’era ovvio, non erano nella posizione di fingersi ignari della cosa.

I contrabbandieri, latrando come dannati, si divisero in due gruppi: uno restò nel cortile, le armi puntate contro i tre pirati; il secondo manipolo rientrò nella vecchia magione, salendo i gradini due a due, agitando le lame e piombando nella stanza con lo stesso impeto di un’orda infernale.

Erano rozzi e sempliciotti, però non amavano essere ingannati, nè che sconosciuti trafugassero il loro meritato bottino.

La giovane Gibbs fece appena in tempo a stringere il nodo del laccio con cui si era assicurata il piccolo forziere alla cintura, prima di buttarsi di lato per evitare un pesante fendente e sguainare la propria sciabola con un grido frustrato. Stava andando tutto a puttane, e lei non era affatto convinta di riuscire a cavarsela in una situazione del genere. Era avvezza a combattere, dopo gli innumerevoli arrembaggi perpetrati in quei dieci anni, e tuttavia non aveva ancora imparato a sentirsi a suo agio con la spada in mano, con i nemici che premevano da ogni parte, confondendola e facendola oltremodo innervosire.

Aveva sempre preferito usare le pistole, infatti; lì dentro, però, il farne uso era improponibile. Così continuò a danzare intorno al tiglio, tra le nuvole di polvere dorata che i duellanti sollevavano nella foga dello scontro, affondando e parando, schivando e incrociando, e si disse confusamente che l’unica via per uscire di là era passare di nuovo dal tetto: doveva quindi mantenersi a tutti i costi vicina al tronco.

Fuori il bailamme era, se possibile, anche più atroce. Barbossa, Sparrow e Barrett erano stati raggiunti da Davy e Wyvern, seguiti a ruota da Josh e Bill, i quali, eccitati com’erano dall’adrenalina della lotta, non delusero le aspettative che i capitani si erano prefigurati riguardo ai due. Lo spiazzo di fronte alla casa era ormai un carnaio vociante, il sole si rifletteva sul metallo e la massa colorata ed eterogenea che si era creata era quanto di più visibile potesse esistere per i campioni di Dalma che si approssimavano con ampie falcate, da est. I greci erano superiori di numero, ma non potevano competere con l’abilità di quella mezza dozzina di bucanieri spuntati dal nulla che si giostravano con le sciabole al pari dei matematici con i calcoli. E poi erano feroci, e sfrontati, e ghignanti, ed esotici con quelle palandrane pretenziose ed i grandi cappelli di foggia astrusa. Non erano abituati, loro, a simili figuri.

Finalmente, a fatica e con un taglio sulla coscia destra, Maeve colse l’attimo e saltò, aggrappandosi al ramo più basso; tirò su le gambe per portarsi fuori tiro e, pur rallentata dalla spada stretta in pugno, cominciò la scalata verso l’alto, concedendosi di beffarsi delle urla rabbiose degli uomini sotto di lei; lo scrigno le batteva sull’anca, indifferente. La ferita le bruciava un po’, e questo rese meno fluida la fuga, e quando potè infine distendersi, ansimante, sulle tegole, le sembrò che al mondo non ci fosse niente di più sublime del sollievo che la invase – svanendo quasi subito: non poteva riposarsi. Doveva scendere di lassù, riunirsi ai compagni e scappare alla lancia. Madida di sudore, la ragazza si mise in piedi, con cautela, e scrutò il paesaggio come per sua consuetudine.

In basso, individuò Hector e gli altri impegnati nel combattimento. A ovest, stagliata contro il cielo meno luminoso, scorse la Scarlatta. Poi guardò a oriente, e il cuore le balzò dritto in gola. Riconobbe il veliero nero, minaccioso nella sua immobilità, e si avvide della quindicina di sagome scure che correvano nella loro direzione. Non le piacque affatto la morsa di angoscia che le prese lo stomaco.

- Capitani! – sbraitò dal bordo del tetto, in bilico – Ci hanno trovati!

La reazione fu fulminea. Il biondo scattò, nell’udire il suono della voce di Maeve, rischiando di venir colpito ad una tempia, e non gli ci volle molto a comprendere a chi lei si stesse riferendo. La notizia volò alle orecchie di Teague, del rosso, di Joshamee e Turner e dei due veterani, e presto i sette iniziarono ad arretrare, muovendo verso la boscaglia da cui erano arrivati, ancora pungolati dai contrabbandieri rimasti illesi.

- Maeve! Sbrigati a raggiungerci! – ordinò Hector, tenendo a bada un avversario.

- E come accidenti faccio? – strillò la giovane Gibbs di rimando. Non c’era tempo per calarsi dall’eucalipto.

- Buttati, no? – rispose prontamente Barbossa, ridendo mentre affondava la lama.

L’idea era folle, considerò Maeve, ma era l’unica. In attesa di raccogliere il coraggio necessario si premurò di scaricare due pistole contro quelli che avrebbero potuto costituirle un problema una volta toccato il suolo, gettò un’ultima occhiata alle foglie del tiglio dietro di sé e serrò palpebre e mani, balzando nel vuoto.

L’impatto fu violento, le mozzò il respiro. Si ritrovò a sputare terra e a tossire come una disperata, stesa sul selciato dell’aia, miracolosamente priva di ossa spezzate e ricca, in compenso, di vistose ammaccature disseminate ovunque. Un po’ inciampando e un po’ menando fendenti si riscosse, e si precipitò dai compagni prima che i greci usciti in quell’istante dall’edificio la riacciuffassero. Era talmente concentrata sui dolori e sulla stanchezza che aveva in corpo da accorgersi a malapena delle dita robuste di Hector che le avevano cinto i fianchi per non farla cadere.

- Hai la Bussola, Lince? – domandò Davy, il fiato corto.

La ragazza indicò il forziere che le pendeva dalla cinta: - Ho la Bussola.

- Allora via di qui! – esclamò Wyvern. Gli uomini di Dalma erano vicinissimi.

Gli otto si lanciarono a rotta di collo giù per il lieve pendìo che conduceva alla spiaggia, tallonati dagli instancabili inseguitori; erano, questi, più feroci, e sfrontati, e ghignanti di quanto non fossero apparsi tali i tre capitani e i tre marinai ai contrabbandieri. Maeve sentiva il loro fiato sul collo e ricordava la notte dell’attacco di Nassau, ricordava quegli sguardi e le risate rauche, e il pulsare dello squarcio sulla schiena. Rabbrividì di disgusto.

- Perché nessuno ha visto quella dannata nave? – urlò Teague ad un tratto.

- Sono ormeggiati a est! – riferì la vedetta – Per prenderci alle spalle.

Ci fu un’imprecazione generale. E poiché le forze scarseggiavano ad ogni ulteriore passo e quel tratto di vegetazione non finiva mai, d’improvviso Hector si fermò, allargando le braccia per frenare i compari, e si inoltrò svelto in un punto in cui gli arbusti e gli alberi erano particolarmente fitti; gli altri lo seguirono sconcertati, in silenzio, e si accovacciarono tra i rami a debita distanza dal sentiero. Affannati, osservarono i nemici bloccarsi e cercarli, stizziti, e si ritrassero nell’ombra il più possibile. Il pomeriggio volgeva al suo termine, e certo non nella maniera che avevano sperato.

- Ascoltatemi bene – bisbigliò Barbossa – Muoverci in gruppo non ci aiuterà. Se ci disperdiamo, per tornare alla Scarlatta, li confonderemo e li costringeremo a dividersi a loro volta, dato che non sapranno con certezza chi di noi avrà con sé la Bussola.

- È rischioso – borbottò il primo ufficiale.

- Qualsiasi mossa è rischiosa, mastro Barrett – replicò il capitano biondo.

- Chi prenderà il forziere? – s’intromise Bill, paonazzo in volto.

Hector si rivolse a Maeve: - Della Bussola mi occuperò io, tranquilli – disse disinvolto, parlando però a tutti.

- E se ti catturano cosa pensi di fare? – lo aggredì lei in tono strozzato.

L’uomo le si avvicinò: - Vorresti seguitare ad occupartene tu, Lince? Ti sto facendo un favore.

- In ogni caso, mia sorella ha ragione – sussurrò Josh – Corri più veloce che puoi, capitano.

- Preoccupatevi delle vostre gambe, voi. Maeve, coprimi la fuga – aggiunse Hector, additando la pistola carica.

- Ci vediamo sulla Scarlatta – grugnì minacciosamente Teague.

Lui, Jones, Wyvern, Barrett e i due giovani scattarono per primi. Zigzagarono tra gli olivi e risbucarono urlando sul sentiero, attirando l’attenzione di circa sei degli uomini della nave nera, che li inseguirono senza esitazioni. Protetti dai tronchi degli eucalipti e dalle bacche del mirto, Maeve e Barbossa si alzarono per ultimi e si fissarono, l’uno slegandole lo scrigno dalla cintura, l’altra sfilando da essa l’arma da fuoco.

- Non deludermi, Lince – si raccomandò Hector.

- L’ho mai fatto? – mormorò la ragazza.

Il biondo sorrise, e poi partì. Piombò sui marinai a lama sguainata, li colse di sorpresa, ne ferì un paio e infine scappò nella direzione contraria a quella dei compagni, braccato. Dandogli mentalmente dell’idiota, Maeve uscì allo scoperto e andò loro dietro per un buon tratto: sparò uno, due, tre colpi, e tre degli avversari caddero a terra esanimi. Il biondo non si voltò, accelerando l’andatura, e la giovane Gibbs girò i tacchi riluttante.

Se HectorBarbossa avesse fallito non gliela avrebbe mai, mai perdonata.

Ma il capitano della Sheridan sapeva il fatto suo. Corse, corse e corse, sentendosi non un pusillanime che tagliava la corda, bensì tremendamente bene – perché il piccolo forziere ed il suo prezioso contenuto erano nelle sue mani, finalmente. Corse verso nord, rammentando la scogliera intravista al mattino: se gli impedivano di raggiungere la spiaggia, lui ripiegava su strade alternative. E, in fondo, più dirette.

Corse, intanto che il sole calava, finchè non arrivò sul ciglio dello strapiombo. Da un lato, la mezza dozzina di scagnozzi dell’Avido latrava, a meno di cinque metri di distanza; dall’altro, il mare sconfinato, calmo, di un blu cupo e invitante, e la Scarlatta che dondolava immota.

Hector sogghignò e scoppiò a ridere di gusto. Si godette la sferzata amichevole del vento sulla faccia, quando saltò nel vuoto, accompagnato dalle grida impotenti dei nemici sopra la sua testa. Si godette quella caduta infinita con un ruggito di trionfo nel petto.

E amò l’impatto con l’acqua fredda, quando vi sprofondò.

 

 

 

 

seventh tale : end

 

 

 

piccole note (volendo trascurabili):

questo capitolo è stato un parto. Giuro, ho faticato abbastanza per buttarlo giù, perché non era semplice.

E adesso sono qui, con il III film in sottofondo e l’idea che domattina devo anche alzarmi presto,

ma tutta bella soddisfatta perché comunque sono riuscita a finirlo.

Beh, ovviamente ho i miei buoni dubbi. Ad esempio, se non risulta troppo confuso, o affrettato, o che.

A voi l’ardua sentenza, come si suol dire – e come al solito.

Tanto per gradire, eccovi il piccolo Jackie come me lo vedo io: Jack Sparrow  (alla prossima… boh, vedremo)

Uno Scrigno di grazie alla matey Laura, a MalkContent (e il suo moroso), a Sesshy, alla nuova arrivata Nekomi,

alla collega Kairi e alle compari Sparriku e Peeves (che hanno praticamente recensito in diretta).

E grazie, ovviamente, a chi legge soltanto. I vostri commenti e il vostro entusiasmo sono meglio del rum!

Seguitemi, seguitemi, e non cambiate rotta.

Alla prossima, dunque, se vorrete essere inclini ad ottemperare alla mia richiesta  Black ~

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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