seven .
s e v e n t h t a l e
L’àncora piombò in acqua
con un tonfo sordo, seguita dal cigolare dell’argano.
La Scarlatta si era messa
alla fonda poco distante dalla costa ovest di Kìthira, quella segnalata dalla
mano ossuta del vecchio Pat sul suo pezzo di cuoio liso – dopo aver
accuratamente evitato il lato a meridione per non farsi notare dalle vedette
della cittadina omonima. E adesso, sotto il sole abbagliante del pomeriggio
greco, l’equipaggio e i tre capitani attendevano che la calura scemasse per
potersi mettere in azione.
Teague osservava
minuziosamente la terra di fronte a loro, cannocchiale alla mano: c’era una
spiaggia abbastanza grande per ormeggiarvi le lance, da cui un sentiero si
dipartiva tra la vegetazione bassa e secca, conducendo dritto nel cuore
dell’isola; più a nord s’indovinava la presenza di una scogliera, coronata da
un ampio tratto di rive rocciose e pressochè impraticabili. Dalla coffa, Maeve
comunicò che oltre le sponde il territorio era coperto per lo più da macchia
mediterranea – unici alberi olivi ed eucalipti – e che ancor più in lontananza
sembrava esserci una costruzione, una casa. Hector e gli altri incamerarono
l’informazione in silenzio, mentre gli uomini cominciavano a scegliere le armi
da portarsi appresso, e chi di loro sarebbe sbarcato. Jackie, elettrizzato,
scalpitava sul ponte, si affacciava alle murate, si beveva con lo sguardo ciò
che li circondava e si sistemava ogni due secondi la fascia che portava sulla
testa, sicuro che gli avrebbero permesso di partecipare all’azione o quanto
meno di accompagnarli a terra. Ma il suo vecchio Tea-cup non parve del medesimo
parere, quando lo acchiappò per la collottola e lo portò di peso sul cassero,
dove già si trovava Tia Dalma: raccomandò a quest’ultima di tenerlo d’occhio e
si scusò per il disagio, e la donna, per tutta risposta, si chinò sul bambino
con un sorriso seducente e si divertì ad osservarne la reazione, conscia del
proprio fascino.
Jackie si sentì arrossire,
più per come gli adulti lo trattavano che per quel bellissimo viso a pochi
centimetri dal suo.
Venne deciso, dopo una
svogliata discussione, chi avrebbe fatto parte del gruppo di spedizione: i tre
capitani scelsero subito Wyvern e Barrett, il primo ufficiale di Sparrow,
preziosi per il loro indiscutibile titolo di veterani; Cotton accettò di buon
grado di restare a bordo in qualità di quartiermastro, essendo il più
coscienzioso in quella banda di scalmanati. Infine, furono additati i fratelli
Gibbs e Bill Turner – considerato che i due giovani erano due teste calde e
ottimi combattenti, e che nessuno vantava la stessa vista d’aquila della Lince,
cosa che le era anche utile per sparare.
Così, una volta che il
sole si fu abbassato di un po’ nell’arco abbacinante del cielo e che l’aria si
fu fatta più fresca grazie all’arrivo di qualche soffio di maestrale, Jones decretò
che era giunto il momento di muoversi. Dietro suo ordine, la lancia di babordo
venne calata in mare, e i sette pirati si munirono di sciabola in vita, polvere
da sparo di scorta e pistole ben cariche legate ai cinturoni, e scavalcarono
uno dopo l’altro la murata, scendendo nella barcaccia. Maeve avvertiva
distintamente una pungente sensazione che la rendeva agitata, con i sensi
all’erta: girò la testa ora a destra, ora a sinistra, controllando che non vi
fossero navi nere nei paraggi – accorgendosi con malcelato sollievo che così
era. Si accomodò nella scialuppa per ultima, mentre gli uomini rimasti sulla
Scarlatta gridavano loro frasi d’incoraggiamento ricambiate, ed evitò lo
sguardo dei compagni. Non voleva che si accorgessero della sua ansia.
I remi, manovrati da
Wyvern e Barrett, scivolarono nelle acque calme dell’Egeo, scandendo il tempo
man mano che si avvicinavano alla riva sabbiosa. Tutti stavano in silenzio,
scoccandosi occasionali occhiate e allungando il collo verso la mappa del
vecchio Pat, che Hector teneva tra le dita dando l’impressione di essere più
che intento a studiarne le rozze forme. In realtà la conosceva ormai a memoria.
Ma gli faceva comodo apparire impegnato, in modo da non lasciar trapelare
niente della sua completa mancanza di preoccupazione. Era sicuro che, bene o
male, sarebbero riusciti nell’intento.
E lui era ad un passo
dall’ottenere la Bussola. Non era forse un buon motivo per sperare nel meglio?
Inoltre, una volta conclusa
quella faccenda sull’isola avrebbe potuto dedicarsi alla seconda questione che
particolarmente gli premeva. Nessuna preoccupazione, nemmeno qui. Soltanto puro
e semplice desiderio. Questo si disse osservando in tralice il viso corrucciato
di Maeve.
La risacca li sospinse
fino alla spiaggia candida, e ivi, ormeggiata la lancia ad un paletto piantato
nel terreno, gli otto si misero in marcia verso l’interno di Kìthira; il grande
veliero immobile, con le vele porpora all’imbando, sembrava osservarli con
benevolenza, e la ragazza riprese un po’ di coraggio nel pensarlo. Seguì i
compagni imitandone i passi felpati e spavaldi, gli arbusti fruscianti
tutt’intorno, intanto che Joshamee e Bill, di fronte a lei, si sottoponevano ad
uno sforzo notevole per mantenersi attenti nonostante l’attrazione che
provavano nel far scorrere gli occhi meravigliati sul paesaggio circostante: il
cielo di quell’azzurro così intenso contro il verde secco degli olivi, le zolle
di terra brunita scaldate dal sole, il profumo sconosciuto degli eucalipti e
del mirto. Il sentiero si snodava bianco e polveroso attraverso la vegetazione,
conducendoli più in alto, più in dentro, più prossimi alla loro meta. I segni
del vecchio Pat, a discapito delle apparenze, dovevano essere più chiari del
previsto, dato che il biondo capitano, che apriva la fila, camminava spedito
come se sapesse dove andare.
Si fermarono d’improvviso
in una zona ombreggiata dagli alberi. Oltre i tronchi sbiaditi faceva capolino
la sagoma della costruzione che Maeve aveva scorto dalla coffa qualche ora
prima, e un’occhiata bastò ai comandanti per capire che non era disabitata. Era
fatiscente, con i nudi muri di pietra visibili a tratti oltre l’imbiancatura a
calce tipica del Mediterraneo e il tetto malmesso, ma la soglia sembrava
pattugliata da due o tre persone e dall’interno giungevano stralci di voci che
il vento portava sino alle orecchie degli otto in attesa. Teague strappò il
pezzo di cuoio di mano a Barbossa:
- Non si era parlato di
case – fece notare, burbero. Di case con inquilini, oltretutto.
- E io non vedo tigli,
qui. Sei sicuro che il posto sia giusto? – rincarò Davy corrugando le
sopracciglia.
Hector roteò gli occhi: -
Ne sono sicuro per quanto mi permette di esserlo questo disegno, signori.
- Potremmo costeggiare il
terreno dove sorge l’edificio mantenendoci a debita distanza e controllare se
il punto corretto si trova più avanti – propose Barrett, una mano alzata a
schermarsi dal chiarore. La sua era un’osservazione sensata.
Maeve, nel frattempo, si
era arrampicata sull’eucalipto più alto e, nascosta tra il fogliame odoroso,
fissava la vecchia costruzione. Gli occupanti di essa erano uomini, di età
differenti, per quel che riusciva a scorgere, e aveva il sospetto che si
trattasse di furfanti indigeni, a giudicare dalla rozzezza della parlata e dei
gesti. Spostandosi con cautela sul ramo soprastante ebbe una visuale più chiara
– e si rese conto che il tetto di tegole e pagliericcio era crollato al centro,
e che dal largo buco spuntava qualcosa che non avrebbe dovuto trovarsi là: la
sommità di una verde chioma d’albero.
- Capitani! – chiamò,
concitata – Forse ho individuato il tiglio.
Gli altri sollevarono di
scatto il capo nella sua direzione, i volti improvvisamente interessati.
- E mi duole annunciarvi
che, se è lui, dovremo entrare in quella casa per toccarlo.
- Spero che la tua
conoscenza in fatti d’alberi sia affidabile, Lince – commentò il rosso, freddo.
La ragazza si strinse
nelle spalle e si calò giù dall’eucalipto con qualche difficoltà, finendo
praticamente addosso al fratello.
- Che facciamo, allora? –
s’intromise quest’ultimo, sorreggendola.
- Ci avviciniamo – rispose
Hector – Rimaniamo tra la macchia e ci portiamo sul lato posteriore della
costruzione. Una volta lì decideremo sul da farsi – fece una pausa ed estrasse
una pistola dalla cintola – E armi pronte. Non intendo permettere a chicchessia
di ostacolarci.
- Andata – concesse il
moro Sparrow.
- Tieni gli occhi aperti,
Lince – si raccomandò Wyvern.
- E voi due – disse Davy a
Josh e Bill – Niente mosse azzardate.
Così, gli otto pirati
ripresero a camminare, riparati dalla vegetazione, in punta di piedi per
evitare che l’erba e le foglie secche scricchiolassero troppo al loro
passaggio; era evidente, tuttavia, che gli uomini dell’edificio non si erano
affatto ammoscati della loro presenza. Il retro della casa era completamente
privo di finestre, con olivi ed eucalipti che ne sfioravano il muro scrostato,
ombreggiandolo e fornendo un’ottima via per arrivare al tetto. Difatti, la
prima idea che tutti ebbero fu quella di spedire una sbuffante Maeve in cima
all’albero più imponente, quello che con i rami toccava le tegole – e lei,
strisciando sopra di esse con la paura di farne cadere una e farsi scoprire, si
portò fino al bordo del buco e guardò in giù: il tiglio era effettivamente un
tiglio, se ricordava bene la forma delle foglie vista un giorno su un vecchio
libro. Sbucava dalla metà in su dal pavimento di legno del piano superiore
della costruzione, lasciando indovinare come questa gli fosse stata edificata
intorno quando ancora il suo tronco era modesto; nella stanza sedevano alcuni
figuri intenti a vociare sopra casse, botti e bauli e oggetti di varia natura
sparsi qua e là, quasi certamente frutto di mediocri scorribande. Non avevano
l’aria di essere bucanieri, bensì semplici contrabbandieri isolani.
La giovane donna,
trattenendo il fiato, rotolò di nuovo sullo scrimo del tetto e scivolò
sull’eucalipto:
- Sono una quindicina
almeno all’interno, più altri sul davanti, di sicuro – riferì parlando piano –
Qualcuno dovrebbe attirarli fuori dalla stanza del tiglio, altrimenti ci sarà
impossibile cercare la Bussola, cosa per la quale mi offro volontaria.
Teague annuì e guardò il
suo primo ufficiale: - Barrett, tu sai qualche parola di greco, no?
- Il minimo indispensabile,
capitano. E so improvvisare – sogghignò l’uomo di rimando.
- Allora ci sarai utile
per tenere impegnati questi gentiluomini. Tu, io ed Hector ci occuperemo di
distrarli per dare modo alla Lince di fare il suo dovere là dentro, mentre
voialtri rimarrete nascosti e sul chi vive, qui, e accorrerete se sarà
necessario.
Il biondo si rivolse a
Maeve: - Quanto tempo ti serve?
La ragazza inarcò un
sopracciglio: - Lo chiedi a me? Se lo sapessi saprei già dov’è quel maledetto
aggeggio.
- D’accordo, più tempo ti
procuriamo e meglio sarà – concluse lui ridacchiando.
Si divisero rapidi, quattro
sul retro ad aspettare, tre a interpretare la loro commedia, una sui rami e poi
sul tetto. Maeve si riportò nella posizione iniziale, presso il margine della
voragine, e tese l’orecchio per cogliere i cambiamenti che avvenivano sotto di
lei: udì gli uomini nella stanza zittirsi d’improvviso, quando la voce di
Barrett si levò stentorea dal cortile anteriore, li udì alzarsi in fretta e
furia e correre fuori, mentre sul lato opposto della casa si riunivano parlate
differenti e agitate, comprese quelle dei suoi compagni. Per un attimo la
giovane donna temette di sentire spari, o clangori di sciabole, o grida
rabbiose, ma i due capitani e il primo ufficiale non dovevano esser nuovi a
giochi di quel genere – poiché passati quei pochi istanti di confusione le cose
si acquietarono.
La Lince, allora, prese un
profondo respiro e pose piedi e mani sul tiglio, iniziando a scendere. Le
foglie larghe le solleticavano il naso e le guance, e il legno era antico e
saldo sotto le dita, e rassicurava. L’albero era robusto e non troppo alto, e
Maeve toccò il pavimento prima di quanto pensasse; la luminosità diffusa di
quella strana sala, data dai raggi del sole e dal riverbero del cielo che filtravano
attraverso la chioma verde, la colpì subito, lasciandola meravigliata in mezzo
al pulviscolo che danzava tra le zone d’ombra. Non aveva mai visto niente di
simile in vita sua.
Stava però sprecando
minuti preziosi, e non poteva permetterselo. Non che le interessasse granchè
della Bussola: lei non era un capitano, era una vedetta, un marinaio semplice,
e come tale seguiva volentieri i suoi comandanti nelle imprese che essi
desideravano compiere. Sarebbero stati loro ad utilizzare la leggendaria
proprietà di Morgan, com’era giusto. Perciò il solo motivo per cui si
affannava, adesso, attorno al tronco, battendovi sopra, controllandone gli
interstizi, saggiandone la superficie tiepida – era quello di tornare
vittoriosa con la Bussola, mostrandosi così agli occhi di Hector, recandogli il
suo premio.
Contava anche il suo
orgoglio, certo. Eppure non le venne in mente subito.
Finalmente, quando ormai
era sul punto di mandare tutto al diavolo, lo sguardo le cadde su una fessura
che non aveva considerato, a circa due piedi da terra: si inginocchiò, con lo
stomaco che le pungeva dall’agitazione e i polsi che tremavano leggermente, e
infilò le dita nello spazio scuro, scoprendolo più profondo di quel che
appariva. L’interno era caldo, pieno di trucioli e polvere, e Maeve sfiorò, ad
un tratto, un oggetto più freddo, metallico, spinto talmente in fondo alla
piccola cavità da non riuscire ad afferrarlo. E l’apertura era troppo stretta
perché vi potesse spingere il braccio intero.
Imprecando, la ragazza
ritirò la mano con una certa violenza, gettando occhiate a destra e a manca per
individuare qualcosa che potesse servirle per allargare la spaccatura. Passò in
rassegna bottiglie, archibugi arrugginiti, dadi abbandonati e la massa confusa
di bottino ammassata contro le pareti, finchè non individuò ciò che cercava:
un’ascia sottile e lucente, da boscaiolo più che da guerra, abbastanza affilata
da essere utile. Controllando che non stesse arrivando nessuno – e ammirando la
capacità d’intrattenimento di Hector, Teague e Barrett – corse ad impossessarsi
dell’arma, tornò al tronco e sferrò un colpo. La vibrazione si ripercosse lungo
i suoi tendini, provocandole una punta di dolore, ma Maeve strinse i denti e i
pugni sul manico dell’accetta e continuò.
Sudava, il fiato le usciva
affannoso, non sapeva per quanto la recita degli altri l’avrebbe coperta. E non
voleva mollare.
Piano piano, il legno
cedette, rovinando in schegge appuntite sul pavimento: ora l’interstizio era
largo a sufficienza, constatò la giovane donna con un sorrisetto soddisfatto,
asciugandosi il viso con una manica della camicia. Gettò l’ascia in un angolo,
facendola tintinnare, e si ributtò carponi a terminare il lavoro.
Fu con il cuore in tumulto
che estrasse dal tiglio un forziere di dimensioni minute, rozzamente decorato,
il cui contenuto ciotolava ad ogni movimento. E fu con notevole sorpresa che, rialzandosi,
vide sulla soglia della stanza un ragazzetto di circa sedici anni che la
fissava con evidente stupore, le braccia ciondoloni lungo i fianchi. Maeve si
bloccò sul posto, e l’altro si precipitò giù per le scale che si dipanavano
oltre la porta, urlando qualcosa.
Che gli imprevisti fossero
maledetti, pensò: era stata colta in flagrante.
Greedy Dalma inspirò a
pieni polmoni l’aria tiepida, ritto sul cassero della sua bella nave nera. Aveva
fatto leva sulla propria astuzia una volta di più, mettendosi alla fonda sul
lato della costa est di Kìthira, invece di inseguire la sua preda fin sul
versante occidentale – cosicchè, adesso, poteva mandare i suoi uomini all’attacco
da lì, e quando Jones e i suoi se ne fossero accorti sarebbe stato troppo
tardi. Sarebbe piombato loro alle spalle.
Lui non sarebbe sceso a
terra. Quella era un’impresa fin troppo facile per fargli decidere di
scomodarsi, e si fidava delle capacità del suo quartiermastro e dei membri
della sua ciurma di manigoldi cui aveva affidato l’incarico di carpire la
Bussola ai capitani avversari e di, possibilmente, ucciderli: non voleva
ritrovarseli alle calcagna qualora si fossero messi in testa di riprendersi il loro
prezioso oggettino. Sarebbe stato un vero fastidio.
E frattanto che l’Avido
osservava i suoi ragazzi addentrarsi nella macchia mediterranea dell’isola,
nell’aia malandata della casa dei contrabbandieri la farsa finora ben riuscita
di Hector, Teague e Barrett venne bruscamente interrotta dall’arrivo di un
sedicenne agitatissimo che, gesticolando verso il piano superiore dell’edificio,
annunciò al capo la presenza di un intruso nella sala dell’albero – e il primo
ufficiale della Tigresse, capendo le parole, dette allarmato di gomito ai due
comandanti, che non impiegarono più di un istante a rendersi conto che Maeve
era stata scoperta. E che loro, com’era ovvio, non erano nella posizione di
fingersi ignari della cosa.
I contrabbandieri,
latrando come dannati, si divisero in due gruppi: uno restò nel cortile, le
armi puntate contro i tre pirati; il secondo manipolo rientrò nella vecchia
magione, salendo i gradini due a due, agitando le lame e piombando nella stanza
con lo stesso impeto di un’orda infernale.
Erano rozzi e
sempliciotti, però non amavano essere ingannati, nè che sconosciuti trafugassero
il loro meritato bottino.
La giovane Gibbs fece
appena in tempo a stringere il nodo del laccio con cui si era assicurata il
piccolo forziere alla cintura, prima di buttarsi di lato per evitare un pesante
fendente e sguainare la propria sciabola con un grido frustrato. Stava andando
tutto a puttane, e lei non era affatto convinta di riuscire a cavarsela in una
situazione del genere. Era avvezza a combattere, dopo gli innumerevoli
arrembaggi perpetrati in quei dieci anni, e tuttavia non aveva ancora imparato
a sentirsi a suo agio con la spada in mano, con i nemici che premevano da ogni
parte, confondendola e facendola oltremodo innervosire.
Aveva sempre preferito
usare le pistole, infatti; lì dentro, però, il farne uso era improponibile. Così
continuò a danzare intorno al tiglio, tra le nuvole di polvere dorata che i
duellanti sollevavano nella foga dello scontro, affondando e parando, schivando
e incrociando, e si disse confusamente che l’unica via per uscire di là era
passare di nuovo dal tetto: doveva quindi mantenersi a tutti i costi vicina al
tronco.
Fuori il bailamme era, se
possibile, anche più atroce. Barbossa, Sparrow e Barrett erano stati raggiunti
da Davy e Wyvern, seguiti a ruota da Josh e Bill, i quali, eccitati com’erano dall’adrenalina
della lotta, non delusero le aspettative che i capitani si erano prefigurati
riguardo ai due. Lo spiazzo di fronte alla casa era ormai un carnaio vociante,
il sole si rifletteva sul metallo e la massa colorata ed eterogenea che si era
creata era quanto di più visibile potesse esistere per i campioni di Dalma che
si approssimavano con ampie falcate, da est. I greci erano superiori di numero,
ma non potevano competere con l’abilità di quella mezza dozzina di bucanieri
spuntati dal nulla che si giostravano con le sciabole al pari dei matematici
con i calcoli. E poi erano feroci, e sfrontati, e ghignanti, ed esotici con quelle
palandrane pretenziose ed i grandi cappelli di foggia astrusa. Non erano
abituati, loro, a simili figuri.
Finalmente, a fatica e con
un taglio sulla coscia destra, Maeve colse l’attimo e saltò, aggrappandosi al
ramo più basso; tirò su le gambe per portarsi fuori tiro e, pur rallentata dalla
spada stretta in pugno, cominciò la scalata verso l’alto, concedendosi di
beffarsi delle urla rabbiose degli uomini sotto di lei; lo scrigno le batteva
sull’anca, indifferente. La ferita le bruciava un po’, e questo rese meno fluida
la fuga, e quando potè infine distendersi, ansimante, sulle tegole, le sembrò
che al mondo non ci fosse niente di più sublime del sollievo che la invase –
svanendo quasi subito: non poteva riposarsi. Doveva scendere di lassù, riunirsi
ai compagni e scappare alla lancia. Madida di sudore, la ragazza si mise in
piedi, con cautela, e scrutò il paesaggio come per sua consuetudine.
In basso, individuò Hector
e gli altri impegnati nel combattimento. A ovest, stagliata contro il cielo
meno luminoso, scorse la Scarlatta. Poi guardò a oriente, e il cuore le balzò
dritto in gola. Riconobbe il veliero nero, minaccioso nella sua immobilità, e
si avvide della quindicina di sagome scure che correvano nella loro direzione. Non
le piacque affatto la morsa di angoscia che le prese lo stomaco.
- Capitani! – sbraitò dal
bordo del tetto, in bilico – Ci hanno trovati!
La reazione fu fulminea.
Il biondo scattò, nell’udire il suono della voce di Maeve, rischiando di venir
colpito ad una tempia, e non gli ci volle molto a comprendere a chi lei si
stesse riferendo. La notizia volò alle orecchie di Teague, del rosso, di
Joshamee e Turner e dei due veterani, e presto i sette iniziarono ad arretrare,
muovendo verso la boscaglia da cui erano arrivati, ancora pungolati dai
contrabbandieri rimasti illesi.
- Maeve! Sbrigati a raggiungerci!
– ordinò Hector, tenendo a bada un avversario.
- E come accidenti faccio?
– strillò la giovane Gibbs di rimando. Non c’era tempo per calarsi dall’eucalipto.
- Buttati, no? – rispose prontamente
Barbossa, ridendo mentre affondava la lama.
L’idea era folle,
considerò Maeve, ma era l’unica. In attesa di raccogliere il coraggio
necessario si premurò di scaricare due pistole contro quelli che avrebbero
potuto costituirle un problema una volta toccato il suolo, gettò un’ultima
occhiata alle foglie del tiglio dietro di sé e serrò palpebre e mani, balzando
nel vuoto.
L’impatto fu violento, le
mozzò il respiro. Si ritrovò a sputare terra e a tossire come una disperata,
stesa sul selciato dell’aia, miracolosamente priva di ossa spezzate e ricca, in
compenso, di vistose ammaccature disseminate ovunque. Un po’ inciampando e un
po’ menando fendenti si riscosse, e si precipitò dai compagni prima che i greci
usciti in quell’istante dall’edificio la riacciuffassero. Era talmente concentrata
sui dolori e sulla stanchezza che aveva in corpo da accorgersi a malapena delle
dita robuste di Hector che le avevano cinto i fianchi per non farla cadere.
- Hai la Bussola, Lince? –
domandò Davy, il fiato corto.
La ragazza indicò il
forziere che le pendeva dalla cinta: - Ho la Bussola.
- Allora via di qui! –
esclamò Wyvern. Gli uomini di Dalma erano vicinissimi.
Gli otto si lanciarono a
rotta di collo giù per il lieve pendìo che conduceva alla spiaggia, tallonati
dagli instancabili inseguitori; erano, questi, più feroci, e sfrontati, e
ghignanti di quanto non fossero apparsi tali i tre capitani e i tre marinai ai
contrabbandieri. Maeve sentiva il loro fiato sul collo e ricordava la notte
dell’attacco di Nassau, ricordava quegli sguardi e le risate rauche, e il
pulsare dello squarcio sulla schiena. Rabbrividì di disgusto.
- Perché nessuno ha visto
quella dannata nave? – urlò Teague ad un tratto.
- Sono ormeggiati a est! –
riferì la vedetta – Per prenderci alle spalle.
Ci fu un’imprecazione
generale. E poiché le forze scarseggiavano ad ogni ulteriore passo e quel
tratto di vegetazione non finiva mai, d’improvviso Hector si fermò, allargando
le braccia per frenare i compari, e si inoltrò svelto in un punto in cui gli arbusti
e gli alberi erano particolarmente fitti; gli altri lo seguirono sconcertati,
in silenzio, e si accovacciarono tra i rami a debita distanza dal sentiero. Affannati,
osservarono i nemici bloccarsi e cercarli, stizziti, e si ritrassero nell’ombra
il più possibile. Il pomeriggio volgeva al suo termine, e certo non nella
maniera che avevano sperato.
- Ascoltatemi bene –
bisbigliò Barbossa – Muoverci in gruppo non ci aiuterà. Se ci disperdiamo, per
tornare alla Scarlatta, li confonderemo e li costringeremo a dividersi a loro
volta, dato che non sapranno con certezza chi di noi avrà con sé la Bussola.
- È rischioso – borbottò il
primo ufficiale.
- Qualsiasi mossa è
rischiosa, mastro Barrett – replicò il capitano biondo.
- Chi prenderà il
forziere? – s’intromise Bill, paonazzo in volto.
Hector si rivolse a Maeve:
- Della Bussola mi occuperò io, tranquilli – disse disinvolto, parlando però a
tutti.
- E se ti catturano cosa
pensi di fare? – lo aggredì lei in tono strozzato.
L’uomo le si avvicinò: -
Vorresti seguitare ad occupartene tu, Lince? Ti sto facendo un favore.
- In ogni caso, mia
sorella ha ragione – sussurrò Josh – Corri più veloce che puoi, capitano.
- Preoccupatevi delle
vostre gambe, voi. Maeve, coprimi la fuga – aggiunse Hector, additando la
pistola carica.
- Ci vediamo sulla
Scarlatta – grugnì minacciosamente Teague.
Lui, Jones, Wyvern,
Barrett e i due giovani scattarono per primi. Zigzagarono tra gli olivi e risbucarono
urlando sul sentiero, attirando l’attenzione di circa sei degli uomini della
nave nera, che li inseguirono senza esitazioni. Protetti dai tronchi degli
eucalipti e dalle bacche del mirto, Maeve e Barbossa si alzarono per ultimi e
si fissarono, l’uno slegandole lo scrigno dalla cintura, l’altra sfilando da
essa l’arma da fuoco.
- Non deludermi, Lince –
si raccomandò Hector.
- L’ho mai fatto? –
mormorò la ragazza.
Il biondo sorrise, e poi
partì. Piombò sui marinai a lama sguainata, li colse di sorpresa, ne ferì un
paio e infine scappò nella direzione contraria a quella dei compagni, braccato.
Dandogli mentalmente dell’idiota, Maeve uscì allo scoperto e andò loro dietro
per un buon tratto: sparò uno, due, tre colpi, e tre degli avversari caddero a
terra esanimi. Il biondo non si voltò, accelerando l’andatura, e la giovane
Gibbs girò i tacchi riluttante.
Se HectorBarbossa avesse
fallito non gliela avrebbe mai, mai
perdonata.
Ma il capitano della
Sheridan sapeva il fatto suo. Corse, corse e corse, sentendosi non un
pusillanime che tagliava la corda, bensì tremendamente bene – perché il piccolo
forziere ed il suo prezioso contenuto erano nelle sue mani, finalmente. Corse verso
nord, rammentando la scogliera intravista al mattino: se gli impedivano di raggiungere
la spiaggia, lui ripiegava su strade alternative. E, in fondo, più dirette.
Corse, intanto che il sole
calava, finchè non arrivò sul ciglio dello strapiombo. Da un lato, la mezza
dozzina di scagnozzi dell’Avido latrava, a meno di cinque metri di distanza;
dall’altro, il mare sconfinato, calmo, di un blu cupo e invitante, e la
Scarlatta che dondolava immota.
Hector sogghignò e scoppiò
a ridere di gusto. Si godette la sferzata amichevole del vento sulla faccia,
quando saltò nel vuoto, accompagnato dalle grida impotenti dei nemici sopra la
sua testa. Si godette quella caduta infinita con un ruggito di trionfo nel
petto.
E amò l’impatto con l’acqua
fredda, quando vi sprofondò.
seventh tale : end
piccole
note (volendo trascurabili):
questo capitolo
è stato un parto. Giuro, ho faticato
abbastanza per buttarlo giù, perché non era semplice.
E adesso sono
qui, con il III film in sottofondo e l’idea che domattina devo anche alzarmi
presto,
ma tutta bella
soddisfatta perché comunque sono riuscita a finirlo.
Beh, ovviamente
ho i miei buoni dubbi. Ad esempio, se non risulta troppo confuso, o affrettato,
o che.
A voi l’ardua
sentenza, come si suol dire – e come al solito.
Tanto per
gradire, eccovi il piccolo Jackie come me lo vedo io: Jack
Sparrow (alla prossima… boh,
vedremo)
Uno Scrigno di
grazie alla matey Laura, a MalkContent (e il suo moroso), a Sesshy, alla nuova arrivata Nekomi,
alla collega Kairi e alle compari Sparriku e Peeves (che hanno praticamente recensito in diretta).
E grazie,
ovviamente, a chi legge soltanto. I vostri commenti e il vostro entusiasmo sono
meglio del rum!
Seguitemi,
seguitemi, e non cambiate rotta.
Alla prossima, dunque, se vorrete essere inclini ad
ottemperare alla mia richiesta ♥ Black ~