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Autore: L_Fy    15/11/2007    15 recensioni
Una ragazza nuova e i due fratelli più contesi della scuola: Verena, Teo e Dieci. Cos’altro se non il classico triangolo? Ma non dimentichiamo Oleana, la nuova, frizzante amica di Verena: quindi, un insolito rettangolo. E il cattivo di turno, Scaturro il Terribile, non lo consideriamo come vertice? Vediamo, così dovrebbe essere un pentagono: ma se ci aggiungiamo anche una pseudo-fidanzata pseudo-aristocratica, una madre finlandese, un cane formato roditore, un diario segreto e un bel po’ di fantasia, che figura geometrica salta fuori? Forse una così articolata che può calzarle un solo nome: adolescenza!!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1: Il giorno prima

Capitolo 1: Il giorno prima

 

Verena era una ragazza che sfuggiva a qualsiasi clichè, ma in una definizione la si poteva di sicuro inquadrare: era una che si faceva gli affari suoi. A causa del mestiere del padre, era stata costretta a spostarsi continuamente e quindi non aveva amici. Le occasioni per averne, a dire il vero, non erano mancate perchè era anche una ragazza piuttosto bella, anche se in una maniera un po’ gotica. A sue spese aveva però scoperto che la combinazione di carattere riservato + bella faccia + nessuna amicizia era altamente esplosiva nell’ambiente scolastico: le frequentatrici autoctone della scuola non amavano l’intromissione di qualche sconosciuta dal fascino tenebroso nella loro riserva di caccia e spesso la snobbavano. A volte diventavano sin crudeli senza nemmeno sapere perché…

Verena lo sapeva, invece, e quindi stava molto attenta a chi dava confidenza. Lì al liceo Montessori, per esempio, non ne aveva data ancora a nessuno. Non che la cosa le dispiacesse: stava piuttosto bene con se stessa, studiare le piaceva e a casa aveva la sua chitarra e il suo computer. A che diavolo le potevano servire oche starnazzanti o ragazzi tentacolari? A niente di niente.

Era quindi a tutt’altre cose che stava pensando mentre camminava lungo il corridoio del primo piano gremito di gente. Mentre passava alcuni sguardi si giravano ancora a fissarla: d’altronde, come già detto, Verena si faceva guardare. Era mediamente alta, sottile come un giunco, con lunghi capelli neri, lisci e lucidi; aveva un bel viso dal mento a punta e occhi a mandorla, scuri e decisi; quel giorno aveva deciso di infagottarsi in una giacca militare della U.S. Navy e portava grossi scarponi da montagna abbinati a una vezzosa cloche parigina e a una pashmina di seta indiana coloratissima. L’effetto era vagamente inquietante, come vedere un sergente maggiore col tutù. A Verena piacevano quegli abbinamenti: la classica divisa All Star/jeans a vita bassa/magliettina Guru/cinturina borchiata simil-emo-punk, proprio non faceva per lei! Le ragazze intorno la guardavano con diffidenza, chiedendosi se quella tizia stramba fosse una potenziale superfiga o una potenziale sfigata psicolabile. Verena stava ricambiando gli sguardi sgranando l’occhio a palla per far propendere l’opinione generale verso la sfigata psicolabile quando la sua attenzione venne catturata da due persone davanti alla finestra: un tizio alto e belluino modello guardaroba quattro stagioni era chinato in maniera poco amichevole su una figura snella e aggraziata di cui copriva quasi completamente la visuale.

“Eddai, cocchino!” stava gorgogliando con evidente spacconeria il tizio modello armadio “Dimmi dove l’hai messo!”

Strattonò il compagno e Verena finalmente ne vide la faccia: era un ragazzo dal viso angelico sorprendentemente bello anche se, in quel momento, irritato e spaventato.

“Ti dico che l’ho perso!” rispose il ragazzo con una voce sottile e coraggiosa e Verena, suo malgrado, si trovò a studiare la scena con maggiore attenzione.

Riconobbe nel tizio modello armadio un suo compagno di classe, tale Scaturro Pasquale dalla faccia bovina e dall’intelletto circa lì. L’altro ragazzo, invece, aveva in mano un bicchiere di carta il cui contenuto era finito sul davanti della camicia, evidentemente a opera di quel gentiluomo di Scaturro. Verena realizzò che aveva incrociato quel tizio in mensa un paio di volte… impossibile non notarlo. Primo perché era davvero bello, con i lineamenti minuti dei putti preraffaelliti e il corpicino sdutto da ballerino di samba; secondo perché si conciava come un cartone animato giapponese, coi fini capelli biondissimi sparati in tutte le direzioni come se li avesse pettinati con i petardi, gli occhi evidentemente truccati e con addosso striminzite camicine dagli improbabili colori pastello; terzo perché camminava col naso per aria con una tale convinzione di essere magnificamente osservato che era impossibile non guardarlo e condividere la sua opinione.

A Verena era risultato subito vagamente simpatico. Certo, odorava di checca lontano un chilometro (infatti nessuno, né maschio né femmina, osava avvicinarsi per paura di rimanere contaminato) e dava l’idea di avere un ego grande come l’Oceano Pacifico; però sorrideva sempre, aveva due enormi occhi azzurri del colore del cielo in primavera e nonostante l’aria così bizzarra da rasentare il ridicolo, la sua porca figura la faceva.

Ovviamente, non le era nemmeno passato per la testa l’idea di rivolgergli la parola. Un eccentrico solitario è figo: due eccentrici insieme sono l’inizio del carnevale di Rio e no, grazie, Verena Bassi non gradiva nessun carnevale, al momento.

“Non mi fare incazzare, Cenerella” borbottò pazientemente Scaturro, scrollando leggermente il biondino come se fosse una bambola di pezza “O ti do una sberla che ti faccio diventare verde lo smalto delle unghie.”

Il biondino si arrabbiò: forse per l’idea dello smalto verde, pensò remotamente Verena rallentando suo malgrado l’andatura.

“Non chiamarmi Cenerella!” strillò il ragazzo con un convincente acuto da mezzo soprano: aveva una leggera erre rotolante per niente fastidiosa, anzi piuttosto simpatica.

“Oh oh oh, la fanciulla si è offesa!” gorgogliò Scaturro strapazzandolo ancora un po’ “Credi che non l’abbiano capito tutti che ti piacciono i maschi, frocetto?”

I piedi di Verena si mossero da soli anche senza l’impulso generato dal cervello che in quel momento era molto occupato a gestire l’incandescente ondata di rabbia che quello sprezzante “frocetto” aveva scatenato. Si diresse decisa verso il duo, con molta grazia e velocità tolse il biondino dalle mani dell’armadio e gli mollò un manrovescio non troppo gentile.

Al biondino, non all’armadio: la cosa sorprese tutti, persino lei stessa. Ancora il suo cervello non aveva elaborato del tutto la tattica, ma c’era di sicuro una valida motivazione, pensò fiduciosa. Intanto il biondino si era portato una mano alla guancia offesa e le aveva sgranato in faccia due liquidi occhioni stupefatti.

“Ahio?” disse incerto, evidentemente tramortito dalla sorpresa.

“Perché non mi hai chiamato?” tuonò con voce decisa Verena piazzandosi bellicosa i pugni sui fianchi.

D’un tratto aveva capito dove la sua mente bacata stava andando a parare: l’aveva visto fare in un film, l’aveva trovato piuttosto efficace e ora lo stava applicando con una certa sicurezza, convinta che l’armadio sciovinista e fallocrate non avesse guardato “La rivincita delle bionde” per poter intuire la scopiazzatura.

“Eh?” domandò il biondino con un filo di voce, se possibile ancora più stupito: forse non l’aveva visto nemmeno lui, quel film.

“Perché non mi hai chiamato” ripeté Verena con un ringhio “Mi fai una corte spietata finché non cado tra le tua braccia, mi fai passare una notte rovente col migliore sesso sfrenato dell’universo e alla fine non ti degni nemmeno di sprecare dieci secondi del tuo tempo per chiamarmi?”

“Eh?” ripeté con un filo di voce il biondino: stavolta aveva lo sguardo vagamente perso e allarmato, come se stesse valutando l’idea di essere finito dalla padella di Scaturro alla brace di questa malata di mente con cappello a preservativo e scarponi da minatore.

“Che cazzo stai blaterando Bassi?” si intromise in quel momento la voce di Scaturro, doverosamente sorpresa e incazzata.

Verena lo degnò di uno sguardo di striscio come se a malapena si accorgesse di trovarlo lì: in realtà stava cominciando a sudare freddo e l’idea di scopiazzare la performance di Reese Witherspoon non le sembrò più così brillante.

“Allora?” continuò tornando a guardare il biondino e cercando di trasmettere complicità dallo sguardo: non le uscì molto bene, probabilmente, perché il ragazzo sembrò ancora più sospettoso e allarmato.

“Ehm…” balbettò retrocedendo di un passo “Io, ah… scusa ma non ho capito…”

“L’ho capito io, invece” ruggì Scaturro con evidente offesa nella voce “Miss Mondo qui si crede tanto furba!”

Le lanciò un’occhiata malevola e Verena si ricordò d’un tratto che Scaturro era uno di quelli a cui aveva dato il benservito, nei primi giorni di assalto mediatico. Merda secca, pensò accorata senza che un solo ciglio vibrasse sulla sua espressione altezzosa.

“Dici a me?” domandò con l’alterigia di una baronessa snob giusto per prendere tempo.

“Dico a te” rispose Scaturro aggressivo “Chi credi di prendere per il culo con queste scene da cinema? Funzioneranno nel mondo di Oz da dove vieni, ma non qui in Italia, capito?”

Ops…

“Di cosa stai parlando, cervello di acaro?” si  oscurò Verena in modo davvero convincente: intanto, un discreto gruppetto di persone si era soffermato lì intorno a godersi la scena interessato e Verena provò la strisciante sensazione di essere stata buttata per sbaglio su un palcoscenico.

“Di te che vuoi fami credere di aver scopato con questa violetta qui” rispose Scaturro con sublime volgarità “Non ci crederei nemmeno se lo vedessi, perché sarebbe un fotomontaggio.”

C’erano due cose a cui Verena proprio non resisteva: un Buondì Motta tiepido ripieno di Nutella e un’aperta provocazione. I suoi occhi scuri lampeggiarono e, pubblico o non pubblico, si girò verso il biondino (che continuava a guardarla come se le fossero usciti un centinaio di tentacoli uncinati dalla schiena), lo afferrò per il bavero della camicia (color sedano e con spumeggianti ruches sul davanti, per la cronaca), lo tirò verso di sé e lo baciò.

Un bel bacio accessoriato di lingua che le riuscì piuttosto bene, visto che il biondino aveva la bocca aperta dallo stupore. Dalle masse radunate intorno a loro si levò un sommesso “Ooooh!” di sorpresa che Verena recepì appena in lontananza. A dire il vero, la più sorpresa di tutti era lei. No, forse era il biondino a giudicare dalla rigidità modello marmo di Carrara delle sue membra. Ma al secondo posto c’era sicuramente Verena stessa: era un pezzo che non baciava qualcuno e anche allora non era stata un’esperienza granché esaltante. Il biondino invece sapeva di buono, un misto di frutta e spezie davvero piacevole su quelle labbra morbide e arrendevoli. Quando lui le mise le mani sulle spalle, a Verena quasi sembrò che la volesse attirare verso di sé e meditò svagata che la cosa non le sarebbe dispiaciuta poi così tanto. Poi realizzò che forse lui la voleva allontanare per riprendere fiato e chiamare Polizia, Guardia Medica ed Esercito a salvarlo. Per reazione, interruppe in fretta il bacio: ci mancava solo che arrivasse all’orecchio di suo padre la notizia che aveva molestato sessualmente un ragazzo a scuola per completare il suo curriculum di mean girl e farla finire dritta dritta in un collegio militare svizzero. Va bene la provocazione del gorilla di montagna, va bene che il biondo era carino e sapeva di more e susine, ma c’era un limite a tutto, no?

Per un attimo lei e il ragazzo si guardarono negli occhi, da vicino: quelli del biondino erano enormi e stupefatti, con un vago sottofondo di orrore piuttosto mortificante. Questo adesso mi sputa, pensò una parte di Verena, esilarata: meglio concludere la faccenda finché le rimaneva un briciolo di dignità da giocarsi, o non avrebbe potuto far altro che rinchiudersi in una clinica per cerebrolesi per il resto dei suoi giorni.

“Tu sei un maledetto stronzo” disse al biondino mollando sdegnosa la sua camicia “E anche se baci come un Dio e a letto sei meglio di un maratoneta olimpico, non voglio mai più rivedere la tua faccia nemmeno in cartolina!”

Poi, repentinamente, si girò verso Scaturro che evidentemente aveva qualcosa da dire e lo precedette di un soffio.

“Per quanto riguarda te, Lord Scaturro, ti informo che mentre rimanevi fermo all’età del bronzo a lucidare la tua clava, il mondo si è evoluto, una persona omosessuale si definisce gay, non frocetto come tuo nonno, e la gente ha il diritto di vestirsi come le pare senza che uno zappatore beduino razzista e omofobico come te le rompa i coglioni.”

Detto questo, si aggiustò la pashmina intorno al collo come se fosse il mantello di Zorro, puntò il naso per aria e si avviò con lunghe falcate lungo il corridoio, fendendo la folla come Mosè con le acque. Era certa che da un momento all’altro Scaturro le avrebbe tirato dietro qualche anatema o un qualche corpo contundente (centrandola, ovviamente), o che il biondino avrebbe iniziato a vomitare bile verdastra sugli astanti per reazione al suo bacio o, peggio di tutto, che qualcuno avrebbe cominciato a ridere. Invece, arrivò alla fine del corridoio immersa nel più religioso silenzio. Girò l’angolo e poco lontano vide la porta del bagno delle femmine che la aspettava come un’oasi aspetta il classico moribondo che arranca nel deserto. Si fiondò dentro al bagno e finalmente, iniziò a respirare: il cuore le batteva a mille e le mani le si erano trasformate in blocchi di ghiaccio artico, ma almeno aveva scampato una figura di merda cosmica. Per stavolta, le ricordò la vocina petulante dentro la testa.

 

  
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