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Autore: Unsub    27/04/2013    2 recensioni
Qualcuno è un amico, qualcuno è un nemico, qualcuno è qui per aiutare, qualcuno è qui per fare del male. Decisioni difficile da prendere, fiducia mal riposta o meno, niente è quello che sembra e tutti hanno un secondo fine. Le regole a volte vanno infrante, ma cosa succede quando non conosci le regole del gioco?
La mia prima fanfiction, riveduta e corretta. Della storia originale rimane la trama e qualche spezzone, per il resto sono stati introdotti nuovi capitoli e le situazioni sono state approfondite. Ormai non mi soddisfaceva più come era all'inizio e ho deciso di riscriverla. Ringrazio Ronnie89 che mi fa da beta: sei sempre una grande! Enjoy!
Genere: Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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capitolo 7

Novembre 2007 – Accademia F.B.I., Quantico, Virginia


Morgan, Prentiss e Reid entrarono, prendendo posto attorno al tavolo e guardando Collins per poi lanciarsi occhiate dubbiose fra di loro. Per ultime arrivarono Garcia e JJ, quest’ultima aveva il cellulare in mano e stava mandano un messaggio, alzò la testa e mise via l’apparecchio per prendere subito il telecomando ed illustrare il caso. Sul monitor apparve il corpo letteralmente sventrato di quella che una volta era una persona.

-        Jessica Hernandez, 24 anni, di origini messicane. E’ la terza ragazza trovata uccisa al Central Park di New York nell’arco di un mese. Le altre due vittime sono: Mary Farinacci e Kimberly O’Connor, entrambe di 21 anni. – spiegò JJ rivolta verso la squadra.

Mentre la ragazza parlava le immagini sul monitor cambiavano accompagnando il suo racconto,  mostrando le foto delle tre vittime prima e dopo aver incontrato la furia omicida del S.I.

-        Mary Farinacci, residente a Brooklyn studiava alla Columbia, mentre Kimberly O’Connor studiava alla Juilliard. La Hernandez era cameriera in un bar di Manahattan.

-        Quindi, ricapitolando, abbiamo una studentessa, una musicista e una cameriera. – sintetizzò Morgan strofinandosi i polpastrelli – Gruppo piuttosto eterogeneo.

-        Tutte giovani, tutte carine. – Rossi si lisciava il pizzetto.

-        Fisiognomicamente le vittime non hanno nulla in comune. – intervenne Reid guardando verso Hotch.

Mentre la squadra continuava a parlare del caso, Sarah fissava lo schermo senza battere ciglio, la mano sul block-notes ogni tanto prendeva un appunto. Di punto in bianco si volto verso JJ e chiese:

-        Segni di violenza sessuale?

-        Ehm… ecco… difficile dirlo, l’utero delle tre vittime è stato esportato totalmente.

-        Causa della morte? Le vittime sono state uccise sul posto o semplicemente abbandonate lì?

JJ cominciò nervosamente a cercare nei fogli su cui aveva preso appunti.

-        Queste sono le domande basilari quando si esamina un caso. – rincarò la dose Sarah – Non sappiamo neanche se ci troviamo davanti a degli omicidi.

-        Perché? Pensi che si siano suicidate? – ironizzò Derek.

-        Visto che la nostra agente di collegamento non ce lo sa dire, potrebbero essere morti naturali e qualcuno ha profanato dei cadaveri. – lo sguardo della ragazza si fece duro – Accettiamo dei casi senza sapere esattamente cosa abbiamo per le mani?

-        Agente Collins, la pregherei di moderare i toni. – intervenne Hotch guardandola severamente – Sono sicuro che le risposte alle sue domande sono nei fascicoli che contengono i referti medici.

Lo sguardo di Sarah si spostò sul caposquadra e un sorriso sarcastico le apparve sul bel viso.

-        Immagino che sia così che vi approcciate ai casi. Colpa mia, dovrò abituarmi al lavoro approssimativo degli altri. – afferrò la cartella di pelle e si alzò con piglio deciso – Posso sapere almeno quando partiamo, oppure anche questo è indefinito?

-        Partiamo fra venti minuti. – disse Aaron al resto della squadra per poi tornare a fissare Collins – Gradirei parlare in privato prima di partire.

I loro sguardi si fissarono, Hotch era molto arrabbiato e Sarah lo stava sfidando apertamente con un sorriso divertito stampato sul volto. Rossi fece cenno gli altri di andarsene e la squadra si allontanò alla chetichella, mentre l’aria all’interno della sala riunioni si era fatta irrespirabile. Aaron aspetto che la porta si richiudesse e guardò David che non aveva seguito gli altri e non sembrava intenzionato a lasciarli solo. Aaron fece finta che la cosa fosse normale e si girò a fronteggiare la sua subalterna.

-        Mi ascolti bene, agente Collins, qui sono io il capo e se c’è qualcosa che non le va bene in merito alla gestione dei casi sarò lieto di spiegarle quello che la lascia perplessa. – il tono era bellicoso e si avvicinò di un passo alla ragazza con fare intimidatorio – Non si permetta mai più di riprendere una sua collega in quel modo. Se ha dei problemi li deve risolvere con me. Sono stato chiaro?

-        Visto che ha detto che mi spiegherà quello che mi lascia perplessa… - cominciò la ragazza con voce cantilenante – Permette sempre ai suoi legami interpersonali con il resto della squadra di avere la meglio su quello che sarebbe il suo dovere? E’ esatto, non dovevo essere io a riprendere l’agente Jereau… Quello era un compito che sarebbe spettato a lei.

-        Direi di calmarci. – intervenne Rossi, sperando di fare da paciere – Collins, sei nervosa e non ti sei ancora ambientata. Questo però non giustifica il tuo attacco ad una collega con più esperienza di te...

-        E dove sarebbe questa esperienza? A cosa serve un agente di collegamento se poi le informazioni le devo reperire da sola? – sbatté con forza la cartella sul tavolo – Fate come volete, risolviamo presto questo caso e poi provvederò a fare subito richiesta per andare in un’altra squadra.

-        Non è necessario. – provò a calmarla Rossi.

-        Mi aspetto di vedere il modulo firmato sulla mia scrivania appena torneremo da New York.

Hotch pose fine alla conversazione uscendo dalla stanza, mentre Collins lo seguiva con lo sguardo e stringeva i pugni. Era visibilmente furiosa e, non avendo altro interlocutore, rivolse la sua rabbia contro Rossi.

-        Mi meraviglio che un agente con la sua esperienza e la sua fama possa tollerare questi atteggiamenti. – incrociò le braccia.

-        Infatti non tollero il tuo di atteggiamento. – David sembrava molto calmo e si mise a sedere – So che non sei abituata a lavorare in squadra e quindi è normale che all’inizio tu sia un po’ spaesata, ma aggredire così una collega e il tuo diretto superiore non è fra le cose più intelligenti che tu possa fare.

-        Quindi la colpa sarebbe mia? – inarcò un sopracciglio – Le sembra normale esporre un caso senza sapere quelle cose?

-        No, ma questo è un problema che risolverà l’agente Hotchner e che non ti riguarda. – l’uomo sorrise – Si prendono più mosche con il miele che con l’aceto: non te lo hanno insegnato? La prossima volta, passaci sopra e poi parlane con calma a Hotch.

-        Non ci sarà una prossima volta. – poggiò le mani sullo schienale della sedia – Il capo è stato chiaro, no? Vuole che firmi il modulo di trasferimento.

-        Parole dette in un momento di rabbia. – minimizzò agitando una mano – Se proprio non puoi sopportare il fatto che il nostro lavoro sia “approssimativo”, esci di qui e dimostraci come si comporta un agente sul campo. Sii professionale.

Sarah gli gettò un’ultima occhiata prima di avviarsi verso la porta. Era ormai con la mano sulla maniglia quando Rossi parlò di nuovo.

-        Spero che tu abbia portato tutto il necessario. – disse mentre si alzava.

-        Molto gentile a preoccuparsi, agente Rossi. Ma non affatichi troppo la sua mente, so cosa necessita per fare BENE il mio lavoro. Sono abituata a badare a me stessa senza bisogno che la mamma venga in mio aiuto già da un bel po’ di tempo. – gli rispose la ragazza uscendo dalla stanza.

 

 
Interno dell’aeroplano

Prentiss, Rossi e Hotch occupavano la postazione da quattro, mentre Reid e JJ erano seduti sul divano laterale e Morgan rimaneva in piedi appoggiato allo schienale della poltrona e guardava di tanto in tanto Collins che se ne stava da sola in fondo all’aereo. La ragazza non aveva più parlato con nessuno da quando avevano lasciato l’accademia e, appena salita a bordo, lei si era accomodata per leggere i referti medici e i vari fascicoli. Nessuno sembrava prestarle molta attenzione mentre cominciavano a discutere del caso.

-        Quindi potrebbero essere raptus improvvisi. – disse Prentiss in risposta ad alcune osservazioni di Rossi.

-        Non credo proprio. – si intromise Collins alzandosi e andando verso di loro con un block notes in mano – Anzi, credo che sia tutto pianificato scrupolosamente e che il nostro S.I. sia molto organizzato e metodico.

-        Cosa glielo fa dire, agente Collins? – Hotch non la guardava neanche mentre sfogliava uno dei dossier.

-        Direi “dottoressa” Collins, vero francesina? – la voce allegra e squillante di Garcia arrivò dagli altoparlanti mentre il viso gioviale della donna appariva sugli schermi dell’aereo – Sono lieta di annunciarti che è finalmente arrivato il tuo dossier, dottoressa.

Si voltarono tutti a guardarla stupiti mentre lei superava Morgan e si accomodava sulla poltrona vuota vicino a Rossi.

-        Grazie della precisazione, Garcia, ma non è mia abitudine usare i miei titoli accademici. – si portò il ciuffo lungo dietro l’orecchio – Anzi, mi infastidisce alquanto.

-        Io sarei fiera di avere conseguito un dottorato in antropologia a solo sedici anni, per non parlare della laurea a quattordici. – si stupì l’informatica.

-        Avevi saltato solo un “paio di classi”, vero? Laurea a quattordici, dottorato a sedici… cosa hai fatto nei quattro anni fra il dottorato e l’ingresso all’accademia? – chiese Rossi sorridendo.

-        Ha preso un altro dottorato in psicologia. – rivelò Penelope – Decisamente sei una persona piena di sorprese.

Sarah aggrottò le sopracciglia, infastidita da tutta l’attenzione destata dai suoi titoli accademici. Odiava ricordarli, perché appartenevano al suo passato, ad una vita che non le apparteneva più e le ricordavano solo tutto quello che aveva perso. Per una frazione di secondo la sua mente tornò indietro, al giorno della cerimonia per il suo dottorato.

 

 

Maggio 1998 – Università di Harvard, Boston, Massachusetts

Era nervosa ed emozionata mentre finiva di vestirsi davanti allo specchio, sapeva che i suoi genitori sarebbero stati puntualissimi e aveva paura di fare tardi. Idolatrava suo padre e lui ricambiava quel trasporto: fin da quando era piccola, nei momenti importanti della sua vita, lui era sempre stato al suo fianco. Sentì bussare alla porta della sua camera e andò ad aprire credendo che fosse la sua coinquilina che aveva dimenticato qualcosa prima di uscire.

Appena aprì la porta si trovò davanti i suoi genitori e rimase di stucco. Per quanto potesse ricordare i suoi erano sempre state due persone molto attente all’abbigliamento, sempre eleganti e vestite come richiedeva l’occasione. Si era aspettata di vederli particolarmente curati, immaginando sua madre con un tailleur dai colori pastello e suo padre in un completo da giorno con tanto di cravatta coordinata. Le sue aspettative non erano state disattese, però sui vestiti portavano due magliette nere con sopra scritto in bianco: “staff personale della dottoressa Collins”. Stavano ancora ridendo dopo avere urlato “sorpresa”.

-        Ma dico, siete impazziti? – chiese scioccata, aggiustandosi i capelli raccolti in una coda.

-        No, siamo solo tanto fieri di te. – rispose il padre abbracciandola e baciandola sulla fronte.

 

 

Novembre 2007 – Interno aeroplano F.B.I.

Sarah si riscosse prontamente, rimproverandosi per essersi lasciata andare a ricordi ormai lontani. Doveva concentrarsi sul caso e sulla sua missione, non perdersi in stupide nostalgie.

Reid, dal canto suo, la guardava di sottecchi: ogni volta che scopriva qualcosa di più sulla sua nuova collega e cercava di farle domande in proposito, lei si limitava a rassicurarlo di essere ancora il più intelligente, il genio della squadra. C’erano così tante domande che gli frullavano nella mente e si chiedeva fino a che punto il suo passato e quello di Collins fossero simili. Finiva sempre con il rispondersi che dovevano essere stati molto diversi: in fin dei conti lei era così fredda, strana, aggressiva. Soppesò l’ultimo aggettivo che gli era venuto in mente, giudicandolo troppo duro per definirla. In fin dei conti era stata molto gentile la notte prima, quando l’aveva scoperto fermo sul marciapiede davanti all’appartamento che una volta era stato di Gideon. L’aveva fatto salire in piena notte, si era preoccupata che avesse preso freddo, gli aveva preparato un latte caldo con del whisky per farlo scaldare; era stata molto premurosa. Eppure durante la riunione era stata molto sgarbata con JJ e, ricordando tutta la situazione, “aggressiva” era la parola che meglio definiva l’atteggiamento che aveva avuto. Si voltò leggermente per osservare JJ di sottecchi mentre l’agente di collegamento si limitava a tenere lo sguardo su Hotch e Prentiss.

-        Garcia, possiamo tornare al caso? – Aaron guardò l’ultima arrivata con uno sguardo duro.

-        Certo, capo. – cominciò a battere furiosamente sulla sua tastiera – Le vittime non sembrano essere legate fra di loro in nessun modo. Vivevano in zone diverse, studiavano in istituti diversi, estrazione sociale simile per Farinacci e la Hernandez, ma non sembra esserci alcun legame fra le due.

-        Quindi le vittime sono diverse per estrazione sociale, quartiere, aspetto e razza. – ricapitolò Morgan – Le prime due vittime erano bianche, mentre l’ultima era ispanica.

-        La Farinacci e la Hernandez erano more, la O’Connor bionda. – continuò Reid, riflettendo a voce alta, per poi girarsi verso Collins – Non hai risposto.

-        A cosa? – Sarah sbatté le palpebre interdetta.

-        Hotch ti aveva chiesto cosa ti fa dire che è organizzato e metodico. – le ricordò il ragazzo.

-        Ho letto i referti delle autopsie e le conclusioni del medico legale. – guardò JJ con aria di sfida – A quanto pare sul luogo dei ritrovamenti non ci sono tracce di sangue, quindi le uccide da qualche parte e poi le scarica a Central Park. Le analisi hanno evidenziato la presenza di tubocurarina e tiopentale nell’organismo.

-        Quindi le paralizza e le addormenta. – osservò Spencer, tornado a guardare i referti.

-        Peccato che non si preoccupi di intubarle. – rispose Sarah con una smorfia – Sono tutte morte per asfissia.

-        Le soffoca? – chiese Morgan.

-        No, la tubocurarina è un miorilassante. – cominciò a spiegare Reid, ben presto rendendosi conto che nessuno lo seguiva.

-        Un miorilassante? – chiese infatti Prentiss.

-        Praticamente è un alcaloide che blocca le funzioni muscolari – si intromise Collins cercando di spiegare al resto del team – Viene usata in medicina, in combinazione con altri farmaci, per anestetizzare completamente il paziente. Ha però un effetto collaterale: blocca anche il riflesso alla respirazione. Mentre il tiopentale è un ipnotico e serve a far addormentare il paziente.

-        Quindi, visto che non le intuba, le vittime muoiono soffocate. – meditò Prentiss guardando verso Hotch.

-        Stiamo cercando qualcuno che ha conoscenze mediche e facilità a procurarsi farmaci. – Hotch riprese il controllo della discussione – Stiamo parlando di un uomo bianco, fra i trenta e i trentacinque anni.

-        Non dimentichiamoci che il tiopentale causa la perdita di coscienza. – interloquì Spencer – Quindi non è il controllo in sé che lo eccita.

-        Usa quei farmaci solo per tenerle inermi e poter far loro quello che vuole, non è sintomatico della sua mania di controllo? – chiese Morgan.

-        Non necessariamente. Ci sono farmaci che hanno lo stesso effetto ma che non fanno perdere i sensi. – riferì Collins – Io personalmente userei la chetamina, l’atracurio o il doxacurio, che lascerebbero le vittime paralizzate ma coscienti.

-        Sono farmaci più adatti ad un maniaco del controllo. – si trovò d’accordo Reid.

-        Potrebbe essere chiunque. – fece notare Prentiss – Il campo di ricerca è ancora troppo ampio.

-        Garcia, comincia a controllare se ci sono state denuncie per il furto dei medicinali che contengono tubocurarina.

-        Subito, capo. L’oracolo di Quantico si mette all’opera. – Penelope non interruppe il collegamento e fece una faccia strana – Collins, un’ultima cosa, mi dispiace per i tuoi genitori.

-        Sì, mio padre è morto in un incidente d’auto. Ora lo sa anche il resto della squadra. – sbottò la ragazza girandosi verso il monitor – Credevo che i dossier degli agenti fossero riservati. Faccia una bella cosa, invece di tenerlo nel suo ufficio, vada in una tipografia e faccia fare i cartelloni. Così non dovrà più preoccuparsi di informare le persone.

La ragazza chiuse di colpo il fascicolo che teneva in mano e lo gettò in malo modo sul tavolo, per poi alzarsi e tornare al posto che aveva occupato fino all’inizio del confronto con il resto della squadra.

Morgan la seguì con lo sguardo, non l’aveva mai persa di vista e aveva notato il modo in cui la mascella della ragazza si era contratta alle parole di Garcia. La cosa strana era che per un attimo, una frazione di secondo, aveva avuto la netta impressione che la ragazza mentisse a proposito della morte di suo padre.

Garcia chiuse il collegamento senza aggiungere altro, ma tutti erano consci del fatto che fosse rimasta malissimo per le parole della nuova collega. Hotch fece finta di niente e guardò l’orologio, per poi girarsi a guardare Rossi e riprendere la parola.

-        Tra poco atterreremo: Prentiss e Rossi andate dal medico legale; io ricontrollerò gli interrogatori di parenti e amici delle vittime; Reid si occuperà della vittimologia e del profilo geografico; JJ raduna tutto il materiale e cerca di tenere occupata la stampa; Morgan e Collins andate sulle scene dei ritrovamenti.

Collins si limitò a fare spallucce e a guardare il suo nuovo partner di sfuggita, per poi voltarsi verso il finestrino e osservare le nuvole.

 

 

Continua…

 

N.d.A. Ho cercato di informarmi il più possibile sui farmaci usati per le anestesie e sui loro effetti. Non essendo laureata in medicina, mi scuso fin d'ora se dovessero esserci inesattezze relativamente alle sostenze e ai farmaci nominati.

   
 
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