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Autore: ehyitsanerd    30/04/2013    0 recensioni
"Ecco che tutte queste domande ed i pensieri più sbagliati venivano a farmi compagnia. Ed io lì, accovacciata a terra, con le ginocchia alla stessa altezza degli occhi, la testa abbassata, gli occhi socchiusi, quasi in transe, mentre le lacrime bagnavano il mio corpo e il freddo dell'Inverno asciugava tutto con le sue folate di vento fredde e gelide come il cuore della gente."
Genere: Drammatico, Malinconico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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WHO'S FAITH?


"Perché sono così sbagliata? Perché non valgo nulla? Perché le persone mi costringono a non essere me stessa? Perché sono una delusione per tutti? Perché sono grassa? Perché non possiedo un nome agli occhi degli altri?"
Ecco che tutte queste domande ed i pensieri più sbagliati venivano a farmi compagnia. Ed io lì, accovacciata a terra, con le ginocchia alla stessa altezza degli occhi, la testa abbassata, gli occhi socchiusi, quasi in trans, mentre le lacrime bagnavano il mio corpo e il freddo dell'Inverno asciugava tutto con le sue folate di vento fredde e gelide come il cuore della gente.
Mi sentivo così impotente, incapace di far niente, senza forze, così sola.
"Questa volta ho davvero esagerato" pensavo mentre cercavo di rialzarmi da terra, non appena sentì la voce di mamma che pian piano si avvicinava alla porta del bagno.
"È tutto okay?" frase molto frequente, amava sentirsi dire bugie che credeva fossero verità.
"Sì, sì, è tutto okay... sto cercando di farmi una doccia, arrivo tra un quarto d'ora" risposi io, con una voce squillante, cercando di nascondere i singhiozzi ed il rumore del pianto.
"Vabbé, cerca di sbrigarti e scendi giù che devo raccontarti una cosa".
"Certo mammina" risposi, cercando di sembrare sempre più felice "un quarto d'ora e sono da te".
Ecco, la sento allontanarsi da me, ed improvvisamente la mia mente viene acconsentita, adesso può sfogarsi e piangere, continuare ancora per un quarto d'ora.
Lo specchio era davanti a me. Io davanti ad esso. Proprio come uno scontro ci guardavamo entrambi, senza staccarci gli occhi da dosso. Esso però sembrava molto più agguerrito di me, mi guardava con pregiudizi, quasi a volermi sconfiggere anche senza armi, con la prepotenza di un giudizio.
Io, molto vulnerabile e debole, decisi di abbassare lo sguardo. Ancora una volta ci era riuscito, era stato capace di farmi star male, come se non bastassero i miei compagni di classe.
Erano già passati 6 minuti, wow, me ne rimanevano ancora 9 per ripensarci.
Eggià, ripensarci. Pensare a quel pensiero, così maledettamente stupido agli occhi della società, ma così importante per me.
"Sei una nullità, non riesci a mantenere nemmeno una promessa" mi ripetevo mentre le lacrime sgorgavano dai miei occhi come un fiume in piena.
Ma, proprio non ci riuscivo. Non riuscivo a non pensarci, a non sfiorare l'idea di maneggiarla, toccare quella lametta ed incidere i miei peccati, i miei sbagli sotto forma di segni, di semplici righi sul braccio.
"Oh, no" mi lamentavo "non posso, gliel'ho promesso..." continuavo a ripetermi mentre il pensiero di prendere in mano la lametta si allontanava da me.
"Dai, allontanati, scappa via, corri, fuggi da quella tetra stanza" cercavo di persuadermi da sola.
Ecco, un altro monologo. Uno di quelli che facevo tanto tempo fa, ma che ora mi perseguitavano il pensiero. Mi obbligavano a pensarci.
"Okay, per oggi non lo faccio, penso a papà e a tutto il bene che gli voglio, l'ho deluso così tante volte che questo sarebbe stato solamente un altro momento da aggiungere al mio album di debolezze e delusioni".
Così, dopo aver abbandonato quel pensiero, almeno per quel momento e dopo aver nascosto quell'oggetto che fa star bene/soffrire alcune persone mi truccai per nascondere le macchie delle lacrime che rigavano il mio viso proprio come desideravo fare con il mio braccio, e scesi giù, con un sorriso che padroneggiava il mio volto quando mi sentivo troppo, troppo, troppo, troppo, troppo, troppo sbagliata.
E mia madre era lì, che mi aspettava, poteva offrirmi tutto l'aiuto di cui avevo bisogno, solamente con un abbraccio. Ma io no, cercavo di non farla preoccupare. Se solo le avessi confidato uno dei miei problemi, l'avrebbe detto a mio padre, che a sua volta si sarebbe rattristato e avrebbe cercato di mandarmi da uno psichiatra.
Ancora con la vista abbagliata, ma il viso ben nascosto dalla cipria, mi sedetti, allora.
Mia madre assunse subito un'espressione seria, non era da lei... era sempre così sorridente. Il suon sorriso era una delle motivazioni che mi facevano svegliare al mattino.
Si sedette anche lei. Cominciammo a guardarci, ma si focalizzò sul colore della mia pelle, visibilmente coperta da quel prodotto orribile che usavo solo in casi d'emergenza come questo.
"Ehy, tesoro" così introdusse il dialogo.
Risposi semplicemente con un bacino sulla guancia sinistra.
"Come va? Perché mi hai mentita?"
"No" cercai di replicare. "Stavo per lavarmi, poi ci ho ripensato perché ho bisogno di studiare, e tu sai bene che non rinuncerei allo studio per nessun'altra cosa al mondo, e poi..." Mi interruppe con un altro dei suoi "ehy, tesoro".
Continuò poi, "se hai qualche problema, io sono qui, le mamme servono anche per questo..." "NO" questa volta la interruppi io "non ho bisogno di niente, sto bene! Posso andare a studiare adesso?"
"Ma, stai bene?" "Certo mammina, adesso vado sù, in camera mia, non aprire, rispetta i miei silenzi" dissi con tono umoristico.
"Vabbé hahaha", si lasció scappare una risatina più falsa dei miei sorrisi quotidiani, "dai vai che sono le 16:00".
Conclusi il dialogo con un occhiolino... non sapevo farli, per niente, ma a lei faceva ridere il fatto che ci provassi mentre mi inceppavo e chiudevo l'occhio sinistro, come se avessi un difetto all'occhio. A volte mi incolpavo anche di questo.
Salii le scale a chiocciola che amavo sin da quando ero bambina e, saltellando mi rinchiusi in camera. Subito tolsi quella maschera felice che mi permetteva di non far preoccupare mamma, mi affacciai alla finestra, un raggio di sole mi circondava il volto ed illuminava il mio cuscino, quasi ad invitarmi a dormire, ignorare tutti i miei problemi e risolverli così, facendoli intrecciare con i miei sogni. Ma no, amavo lo studio più di qualsiasi altra cosa al mondo. Quindi, cominciai a studiare, a ripetere, Latino, Greco, Inglese, Italiano, Matematica. Amavo studiare, sul serio. Forse scaricavo i miei problemi cimentandomi nell'apprendimento.
Adoravo anche la mia stanza, era tutta bianca. Metteva un senso di inquietudine ma tranquillità a chiunque vi entrasse. Infondo era come me, così contrastante sotto qualsiasi punto di vista. Aveva una scrivania, un laptop, un armadio con su appeso il poster del mio idolo, un letto ed una tenda azzurra.
"Faith, scendi, a mangiare", senza che me ne rendessi conto si era fatto tardi, erano le 21:00. La sveglia di mamma per andare a cenare rispettava quasi sempre l'orario di chiusura dei libri.
"Arrivo", balzai dalla sedia e raggiunsi le scale.
"Ops" pensai, ho dimenticato la mia maschera.
La misi, improvvisando allo specchio dei gesti buffi per sembrare divertente e raggiunsi mamma che mi guardava insospettita.
Per rompere il ghiaccio dissi:"mamma è intile, per quanto io mi ostini a non crederci, hai rispettato ancora una volta l'orario di chiusura dei libri, a volte ho l'impressione che mi spii" abbozzai un sorriso.
Lei stette al gioco e risposte con un:"Le mamme conoscono i propri figli"
Mi stetti zitta, assaggiai le bietole e la carne, era tutto così buono. Feci qualche battuta di suo gradimento sul cibo e dissi: "ho sonno, vado in camera"
"Hai bisogno della musica e del computer, vero?" Rispose subito lei, a conoscenza di ciò che facevo quando me ne uscivo con un "ho sonno".
"Mamma, tu sì che mi conosci bene" le diedi un bacino sempre sulla guancia sinistra e salii le scale.
Prima di entrare nella mia camera, passai nella stanza di mia sorella, mi mancava così tanto. Era davvero importante per me, ma era al collage, sarebbe dovuta ritornare tra 2 giorni, a Natale, come mio padre,
Decisi di telefonare a quest'ultimo, che lavorava a Milano sotto le vesti di direttore di un supermercato, gli raccontai la mia giornata e lui la sua. Le nostre telefonate avvenivano tutte a quell'ora della sera e avevano quasi tutte la stessa durata di mezz'ora. Conclusi il tutto con un "ti voglio bene, a domani". Lui amava quelle parole. Sia perché ogni giorno gli ero grata di tutto ciò che faceva per noi, sia perché, "a domani" era la più bella promessa che potessi mai fargli.
Staccai e mi sedetti sulla sedia, accesi il computer, collegai le cuffie e il mondo svanì.
La prima canzone a partire, dalla playlist era "When you're gone" di Avril Lavigne. Avevo cominciato ad ascoltarla da poco solo grazie ad un'amica speciale!
Amavo quella canzone. Riusciva a trasmettermi pace, voglia di andare avanti, ma allo stesso tempo dolcezza e costanza. Era tutto ciò di cui avevo bisogno quando ero triste, oltre che Selena.

ANGOLO AUTRICE
protrei avere tanti nomi , e tanti me ne affibbiano , non ho un volto, o meglio ce l'ho ma per voi un vero volto non esiste, non sono qui per dirvi il mio nome , quanto sono alta e che taglia di reggiseno porto ,sono semplicemente qui per farvi vedere cosa c'è oltra la maschera felice che tutti vedono :D
  
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