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Autore: plateau_    01/05/2013    3 recensioni
Modern!Au, Parigi 2012/2013, liceo. JehanxBahorel, con leggeri accenni a EnjolrasxGrantaire, MariusxCosette, JolyxMusichetta, CombeferrexEponine.
Bahorel, tipico ragazzo che non ha niente da perdere: alcol, risse e ragazze sono il suo pane quotidiano. Jehan, tipico ragazzo che ha tutto e niente: non amici, ma dei fogli bianchi, una penna e un flauto traverso.
Un incontro nel cortile della scuola in una situazione burrascosa; cosa nasce di buono dall'unione di un cardo e un'orchidea?
La storia si sviluppa sulle note del primo cd dei Mumford and Sons, "Sigh no more": un capitolo per ogni canzone.
Spero la storia possa piacervi, malgrado il pairing non sia uno dei più considerati dal fandom... in ogni caso, buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“But I will hold on hope
And I won’t let you choke
On the noose around your neck
And I’ll find strength in pain
And I will change my ways.”
Mumford and sons, The Cave.
 
 
Bahorel.
 
È successo un bel gran affare dopo l’episodio del cortile: Apollo ha chiesto al preside una punizione esemplare per i quattro idioti, e quest’ultimo non se l’è fatto ripetere due volte.
Espulsione per tutti. “Perché in questa scuola non c’è spazio per l’odio”, ha detto quel vecchio che a volte – ma solo a volte – combina qualcosa di buono.
È passato ormai un mese, e Jehan è diventato mio amico, uno dei tanti. Ed io probabilmente sono il suo unico amico: credo però che diventare mio amico non sia stata una delle sue scelte migliori.
La sua solitudine mi mette tristezza: solo una volta sono stato nella sua cava – come lui stesso chiama solitamente il suo minuscolo appartamento – e sono rimasto a bocca aperta. Ovunque, ovunque ci sono fogli con poesie, testi, schizzi; un flauto traverso giace abbandonato sul letto e almeno dieci piante diverse crescono rigogliose e cariche di fiori nei pochi angoli della casa.
Le finestre sono sempre spalancate, così da permettere al sole di entrare e illuminare tutto.
Jehan mi affascina, devo ammetterlo. È una di quelle anime pure che raramente si vedono di questi giorni, con i ragazzi troppo presi a cercare un’ideale canone di bellezza perfetta e ricercata, senza però rendersi conto che questa si trova nelle cose più semplici, e non nel sofisticato.
Jehan è genuino, e per un ciarlone dalle mani bucate come me, questo significa tanto. Essere genuini è difficile, ed è una delle più alte forme di coraggio. Essere sé stessi merita rispetto; io non riesco ad essere me stesso la maggior parte delle volte.
Jehan è un genio, le sue poesie sono oro – ne ho lette poche e di sfuggita, non vuole mostrare i suoi lavori al mondo – ma non è difficile realizzare che non è una persona felice. Malgrado il sorriso non sia poi così raro da scorgere sulle sue labbra, i suoi occhi esprimono tutt’altro.
Nella speranza di risollevargli il morale in qualche modo, ho iscritto entrambi all’associazione di Apollo dove si riunisce tutta la banda, gli Amici dell’ABC: ho scoperto che non ero poi così in torto parlando di droga.
Sono un gruppo con intenzioni e motivazioni serie, ma la maggior parte delle volte non riescono a concludere niente. La riunione tipo dell’ABC si svolge così: Enjolras e Combeferre cercano di sensibilizzare noi poveri ragazzi ignoranti parlando della situazione disastrata nella quale stiamo vivendo – in Francia, ma così come anche in tutta Europa – ma riescono a controllare il tutto solo per massimo quaranta minuti. Nel giro di meno di un’ora Grantaire è in piedi ubriaco sul tavolo mentre inscena uno spogliarello usando Courfeyrac come palo, Joly tartassa Bossuet con le sue malattie immaginarie, Feuilly distribuisce il vino insieme a me, Jehan chiacchiera sereno con Marius. Combeferre, invece, si ritrova confortare un Enjolras devastato dalla visione di così tanta infantilità e disinteresse nei confronti della sua nobile causa.
A fine serata siamo tutti ubriachi, chi più, chi meno. Ma siamo tutti sorridenti, Jehan compreso.
Più morti che vivi io, Jehan e Grantaire stiamo camminando verso casa sua per la strada buia. Non se ne parla di prendere la macchina, finiremmo dritti fuori strada alla prima curva: anche solo stare in posizione eretta è una sfida. Menomale che è sabato, perché sbornie di questo tipo sono colossali.
«Avete mai provato ad immaginare la solitudine del Sole?» Chiede improvvisamente Jehan scrutando il cielo, ubriaco pure lui questa volta, ma sicuramente il più sobrio fra tutti.
Grantaire risponde: «Non dovrebbe essere la Luna quella sola?»
«No, la Luna ha le stelle. Possono essere lontane o vicine, ma ci sono. Il Sole non ha nessuno, se non sé stesso. È abbastanza triste.»
 «Ho sempre visto la Luna come quella svantaggiata, perché insegue il Sole ogni giorno senza mai poterlo raggiungere.»
«E chi ti assicura che è il Sole a scappare dalla Luna? È costretto a muoversi, perché da lui dipende la vita di molti. Secondo me preferirebbe fermarsi.»
Il silenzio cala. E tu chi sei, Jehan? Il Sole o la Luna? La risposta è semplice: nessuno dei due. Una stella che risplende di luce propria, ma è troppo piccola per diventare il centro di una galassia; una stella che vive nell’ombra di qualche altro stupido Sole.
Se solo tu capissi quello che sei, Jehan…
“...E se solo tu ti accorgessi che sei ubriaco fradicio, Bahorel, smetteresti di pensare queste cose da dodicenne innamorata.”
Grantaire cambia strada, e sparisce, dicendomi che mi aspetta al solito posto. Entriamo nella cava, e Jehan crolla sul letto matrimoniale che occupa la stanza più grande di casa sua.
Lo osservo: lo sto forse portando sulla cattiva strada?
Forse dovrei cambiare i miei modi di fare quando sono con lui: un conto è devastare me con alcol, fumo e risse, un conto è devastare lui.
Devo preservarlo dalla rovina, perché rovinarlo sarebbe rovinare una delle cose più pure che io abbia mai conosciuto.
Mi riprometto di comportarmi bene con lui. Ha solo me, e non devo essere un cattivo esempio.
Però l’ho salvato. Quel giorno nel cortile l’avrebbero pestato se non fossi intervenuto. Eppure sento che, salvato o meno dai bulli, iscritto o no all’ABC, la vita di Jehan non è migliorata. Devo essere io a migliorargliela?
Non credo di esserne in grado; posso a stento badare a me, prendermi cura di un’altra persona sarebbe abbastanza difficile. Impossibile, quasi.
So che è triste, posso vederlo. Sono quello che porta avanti la baracca, fa risse e crea problemi di ogni tipo, ma non sono stupido.
Devo chiederlo? Sì, devo. Perché sono l’unico amico di Jehan, e perché voglio parlargli. La sua voce a tratti dolce a tratti virile è bella da ascoltare.
«Ti senti solo, Jehan?»
Attendo una risposta.  
“Mi piacerebbe farti sapere che ci sono, Jehan. Mi piacerebbe farti sapere che non sei solo, perché io ti ammiro. Ma tu sei così distante, sembri venire da un’altra galassia. Vieni forse da un pianeta fatto di arte e parole…? Non puoi essere umano. Ma sei costretto a stare sulla Terra: esci dalla tua tana, e permettimi di farti esplorare il mio mondo. Non voglio che tu sia triste.”
Attendo una risposta, ma tutto quello che sento è il suo respiro farsi pian piano pesante. Dorme, dorme come un bambino.
Mi guardo attorno a disagio, e il mio sguardo distratto si fissa sulle orchidee rosa nell’angolo. Jehan è strano. Solo e felice, triste e forte. Sembra una contraddizione vivente: quello che un minuto è un agnello,  un minuto dopo è un leone dalle fauci spalancate; è possibile esistere essendo così diverso?
In silenzio sgattaiolo via: Grantaire mi aspetta al pub per il secondo round, perché alcol e botte non sembrano essere mai abbastanza.
“La cava non ti tratterrà più, Jehan. Non soffocherai qui dentro, nel cappio della tua solitudine: ci sono io”.
  
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