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Autore: Ivola    01/05/2013    11 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Ecco il capitolo due, con un bel po' (?) di novità.
Ammetto che è uno di quelli che mi piace di meno, ma mi rimetto al vostro giudizio. Credo che i prossimi siano decisamente migliori. Temo di star battendo il record degli aggiornamenti più veloci della storia D: Non abituatevici troppo.
Piccolo avviso per prepararvi psicologicamente: non cominciate a considerare solo Klaus/London e Ben/London come coppie, ecco. *si sente malvagia*
Buona lettura ♥


Il titolo del capitolo viene da “X & Y” dei Coldplay (se ne consiglia vivamente l'ascolto!)

Il banner appartiene a pandamito ♥

















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Blur
∞ 
(Tied to a Railroad)




 
 
002. Second Chapter – Drifting into outer space.


Il giorno della mietitura era sempre accolto con paura da tutti i cittadini. I più piccoli tremavano dal terrore, mentre i più grandi speravano di passarla liscia un altro anno. C’era poi quella ristretta categoria di persone che si preoccupava giusto il minimo indispensabile, non avendo la necessità di prendere delle tessere aggiuntive. E, ancora, quella piccola cerchia di persone che considerava quello della mietitura un giorno come un altro. Era il caso dei Bridge e dei Wreisht, naturalmente, così sicuri che i figli non sarebbero mai stati estratti.
London, però, quell’anno sperò in un miracolo. Non che volesse essere sorteggiata, chiaramente; non era certo come quelle favorite dei primi Distretti che sembravano voler accogliere la morte a braccia aperte, offrendosi addirittura volontarie. Desiderava ardentemente, piuttosto, che qualcuno in particolare fosse estratto come tributo maschile. Klaus.
Se il nome di Klaus fosse stato estratto, tutti i suoi problemi si sarebbero risolti, perché il ragazzo sarebbe di sicuro morto nell’arena. Non aveva un carattere ideale a conquistare sponsor, né delle particolari abilità, del resto.
Quella era la sua ultima occasione, perché ormai entrambi erano diciottenni. Si trattava, dunque, del loro ultimo anno.
Mentre si apprestava ad indossare un candido vestito bianco, come i suoi capelli, e si faceva aiutare da sua madre ad appuntarlo, incrociò le dita. Quei giovani tributi che venivano mandati al macello ogni anno non meritavano di morire più di Klaus. Anzi, lui avrebbe dovuto avere un posto speciale nella lista di un'ipotetica personificazione della morte.
Sospirò. Era pronta e raggiante, come sempre.

« Sei bellissima » le disse sua madre con un’espressione orgogliosa. « Un gioiello di figlia! » Le posò un bacio sulla guancia.
London sorrise. « Ben è pronto? »
« Sì, ti sta aspettando in giardino. »
« Allora ci vediamo più tardi » salutò la ragazza, scendendo le scale e raggiungendo il fratello.
Anche Ben indossava un vestito chiaro; insieme sembravano due fiocchi di neve nel posto sbagliato, data la mite giornata di fine maggio.
London gli strinse una mano e insieme s’incamminarono a passo tranquillo. Non si erano mai curati degli sguardi degli impiccioni. Erano liberi di fare quello che volevano, che agli altri piacesse o meno non importava. Potevano gridare all'incesto, all'abominio, ma nulla sarebbe mai cambiato tra loro due, nessuno avrebbe distrutto l'equilibrio perfetto che rappresentavano sin dalla nascita.
La piazza era gremita di persone e il palchetto per la capitolina era stato allestito di fronte a tutta quella gente come un avvertimento. Su di esso si stanziavano due enormi bocce, una contenente i biglietti con i nomi femminili e l’altra i nomi maschili.
Hanja, così si chiamava l’accompagnatrice di Capitol City, quell’anno aveva optato per un abito decisamente corto color verde mela, che spiccava in contrasto con il grigio perenne del Distretto.
London si guardò intorno, spostando gli occhi sulla folla di ragazzi tra i dodici e i diciotto anni, leggermente più inquieta rispetto agli altri anni. Come voleva la procedura, si separò dal fratello che le lasciò un leggero bacio sulla guancia così come aveva fatto sua madre prima di uscire e si fece pungere il dito dal solito Pacificatore scorbutico. Ormai non sentiva neanche più il dolore.
Si sistemò tra le sue coetanee, che come al solito la guardarono di sottecchi e con invidia – non solo dovuta alla sua leggiadra bellezza aristocratica. London era ricca, bella, carismatica e tutti al Distretto si erano fatti una certa idea sulla sua famiglia, oltre che sui Wreisht. A lei non era dato sapere che tipo di idea, ma dopotutto non le importava.
Hanja stava sproloquiando da un bel po’, mentre i due mentori se ne stavano seduti con espressioni serie sulle proprie poltrone, accanto a quella del sindaco. London si ricordava bene di Ludmille Schnee, la donna che aveva vinto a soli dodici anni. Per qualche strano motivo, sentiva di rispettarla; il suo sguardo austero e di ghiaccio incuteva una certa inquietudine a tutti.
Trasmisero il solito fasullo filmato sui Giorni Bui, dopodiché Hanja si sfregò le mani, impaziente di scoprire i tributi di quell’anno. Con quei trampoli che si ritrovava al posto delle scarpe zampettò per avvicinarsi ai biglietti delle ragazze, dove vi immerse una mano guantata.
Prese una sola strisciolina vergata in bella grafia e lesse con tono trepidante: 
« Ruthie Abberleen. »
Il cuore di London si rilassò. Non sono io.
Era finita, almeno per lei. Ora le toccava vedere cosa sarebbe successo con il tributo maschile. Un pensiero le attraversò la mente come una lama. Ben. Anche Ben poteva essere estratto.
Le mani cominciarono a sudarle e per un secondo impallidì, decisamente terrorizzata dalla possibilità che suo fratello finisse ai Giochi. Strinse i pugni e attese. Sul palco salì intanto una ragazzina dalla fila delle quattordicenni, impaurita e con il volto terreo.

« E ora veniamo ai nostri baldi giovani! » trillò la capitolina sorridendo a trentaquattro denti. Era giunto il momento, ora o mai più. Hanja mescolò le striscioline di carta con le dita e, infine, ne prese una sul fondo, estraendola vittoriosa.
La aprì lentamente.
Le mani di London ebbero un tremito.

« Oh, spero di leggerlo bene » biasciò l’accompagnatrice. « Klaus… Hector… Ludvig… Frantz… Vrist. »
La folla mormorò qualcosa e la ragazza ci mise qualche secondo a capire cosa fosse successo.
Non è possibile...
Un miracolo, il miracolo.
Non credeva a certe cose, ma quello sembrava un segno del destino, un triste scherzo del fato.
I ragazzi fecero spazio al neo tributo, spostandosi di lato. London poté finalmente di vedere il volto di Klaus e le sue aspettative non furono deluse. Era interdetto, vagamente confuso. Una voce gridò nella propria testa, forse con trionfo.
Il ragazzo, con le mani in tasca, si avviò verso il palco cercando di darsi un contegno, mentre tutti lo fissavano stupiti. Probabilmente l'intera popolazione del Distretto Sei non si sarebbe mai aspettata che proprio il figlio dei Wreisht sarebbe diventato il tributo di quell’anno.

« E’ Wreisht, puttana. »
Hanja gemette. « Come? »
« Wreisht » ripeté Klaus, evitando di calcare l’insulto per non essere fucilato in diretta nazionale. London notò che la stava guardando, con occhi pieni d’odio e rancore. Non seppe come reagire a quell'occhiata.
La voce nella sua testa diventò un lamento, fino a spegnersi quando i due tributi furono scortati nel Palazzo di Giustizia.
 

 

*



Klaus se ne stava scompostamente appollaiato su una poltrona di pelle rossa nella stanza del Palazzo di Giustizia in cui l’avevano praticamente gettato. Aveva la mente annebbiata, così tanto da non avere quasi la forza di pensare a nulla. Sarebbe morto?
Era questo il pensiero fisso che gli stava corrodendo il cervello. Klaus non ci aveva mai pensato prima, come non aveva mai pensato di poter finire agli Hunger Games, proprio il suo ultimo anno, per di più. Era stato come un violento tuffo nell’acqua fredda.
Non era spaventato – non tanto da ammetterlo a se stesso, almeno – ma scosso, confuso. Si domandava soltanto come fosse possibile. Klaus Wreisht aveva sempre fatto quello che più gli pareva e ora l’idea di essere buttato in un’arena come carne da macello lo innervosiva. Klaus non sottostava agli ordini di nessuno, o meglio non sottostava a nessuno e basta. Ma la consapevolezza di una quasi morte certa lo stava turbando nel profondo e per un secondo gli attraversò la mente la possibilità di star vivendo gli ultimi istanti della sua vita.
A distoglierlo dai suoi pensieri entrò un Pacificatore. 
« Hai visite » gli disse in tono incolore.
Klaus roteò gli occhi. Ora avrebbe dovuto sopportare le chiacchiere dei suoi genitori finché il tempo a disposizione per gli ultimi saluti non si sarebbe esaurito. Non era un buon modo per cominciare i suoi Hunger Games, decisamente.
A entrare nella stanza, tuttavia, non furono Frantz e Shyvonne, bensì l’ultima persona che avrebbe desiderato vedere prima di andare al patibolo.
London entrò con le braccia incrociate e un’espressione indecifrabile dipinta sul viso delicato. Sembrava divertita, ma anche crucciata.

« Sei venuta a rompermi le palle anche qui? » le domandò Klaus alzando un sopracciglio.
La ragazza sbuffò. 
« Sono solo venuta a dirti addio. Dovresti ringraziarmi. »
«
 Oh, certo » biascicò l’altro. « Morivo dalla voglia di vederti, sul serio. »
London si mise le mani sui fianchi. « Apprezza, perché saranno le ultime parole che sentirai da parte mia prima di morire. »
« Come fai ad essere così sicura che non tornerò indietro? »
Lei fece un piccolo ghigno nervoso. « Nessuno ti sponsorizzerà mai, mio odiato»
Klaus si alzò dalla poltrona, comprendendo che non sarebbe riuscito a rispondere alle sue provocazioni con il sarcasmo di sempre. Non quella volta, non in quella situazione. « Non puoi dirlo. »
« Posso, invece » ribattè l’altra, non ancora capace di arrendersi. « Ti conosco. »
Il ragazzo le si avvicinò, più serio di quanto fosse mai stato. « Perfetto, mi hai detto addio. Ora vattene. »
« Me ne andrò quando sarà scaduto il tempo. »
« E nel frattempo hai intenzione di rimanere ad insultarmi finché non rientra quel Pacificatore? »
London fece un sorrisetto furbo. « Può darsi. »
Klaus la prese per un braccio. « Esci. » Il suo tono non era stato mai così minaccioso fino ad allora.
« Altrimenti? » Il ragazzo strinse la presa, ma London si liberò facilmente e, vedendo che lui esitava a rispondere, gli sussurrò all’orecchio: « Lo so che non vedevi l’ora di salutarmi, Klaus. »
« Cosa te lo fa pensare? » sibilò Klaus a una spanna dal volto aristocratico di lei.
« Insomma, non mi hai baciata per nulla l’altra volta, no? » London lo vide irrigidirsi. 
« Come? »
La ragazza sorrise divertita. « Ah! Davvero non ricordi? »
« Quando è successo? » chiese, corrucciando lo sguardo.
« A novembre, dopo la cena di fidanzamento. »
« Non ricordo di averti baciata, stupida puttana. »
« Ovvio, eri ubriaco. »
Il ragazzo si girò, dandole le spalle. « La mia testa deve aver rimosso una cosa tanto inutile, ti pare? »
« Certamente. » London girò in tondo, parandoglisi di nuovo di fronte.
Klaus la fissò con la fronte corrugata. Probabilmente si stava chiedendo come avesse potuto fare una cosa del genere. Ci fu qualche istante di silenzio, dopodiché lo stesso Pacificatore di prima riaprì la porta. 
« Tempo » annunciò, invitando la ragazza a congedarsi.
London, inaspettatamente e contro la sua stessa volontà, si sporse giusto quel poco che bastava per far combaciare una seconda volta le sue labbra con quelle di Klaus. Fu un bacio diverso, veloce e inatteso per entrambi.

« Muori bene, d’accordo? » gli disse tentennando, prima di uscire, con la stessa espressione spenta con cui era entrata.
Non si era accorta che suo fratello Ben, proprio fuori la porta, aveva visto quella scena impallidendo.

Uscita London, Klaus si sfiorò le labbra con una mano.
Non poteva essere accaduto. Loro si odiavano, tutti l’avevano sempre saputo. Perché smentire una cosa del genere, ora? Diede un calcio alla poltrona, sfogando la sua rabbia. 
Era colpa di London. Tutto era colpa di London. Klaus si trovava in catene per colpa sua; ogni cosa che faceva riguardava indirettamente anche lei. Di conseguenza, quegli Hunger Games sarebbero stati una fortuna per la giovane erede dei Bridge. In un solo colpo si sarebbe liberata della persona che odiava di più al mondo. Che botta di culo, pensò Klaus, prima di veder entrare la seconda persona che meno si sarebbe aspettato di vedere.
Il Pacificatore chiuse la porta, dopo aver introdotto un Benjamin dal viso cupo. Se ne stava con le braccia lungo i fianchi di fronte a lui, attendendo che l’oggetto della sua visita parlasse per primo.

« Anche tu. » Era una constatazione dal tono infastidito.
« Già » gli fece eco Ben. « Anche io. »
« Dunque » cominciò Klaus, « preferisci augurarmi una morte lenta e atroce oppure una fine veloce e serena? A te la scelta. »
« Per me fa lo stesso » disse l’altro. « Non mi importa il modo in cui morirai. »
« Apprezzo la sincerità » lo schernì il giovane Wreisht.
« Klaus... non sono venuto qui per salutarti. »
« E per quale motivo, allora? » domandò lui. « Per venire a ricordarmi le nostre passate… incomprensioni»
Aveva usato un tono irrisorio, come al solito, ma Ben capì al volo di quali incomprensioni stesse parlando. Impallidì di colpo, dopodiché arrossì. « Ti ho già detto che quella volta- »
« Sì, sì » lo liquidò il moro. « Era la tua prima sbornia, avevi litigato con London… ricordo. » Klaus fece un sorrisetto sarcastico. « Ricordo bene. »
Ben sembrò diventare di fuoco, febbricitante, un po’ per la rabbia e un po’ per il ricordo di quella notte limpida di luglio, rimasta segretamente custodita solo da loro due. Nel Distretto Sei sarebbe stato un bello scandalo venire a sapere che Benjamin Bridge era stato a letto con il promesso di sua sorella, che inoltre sosteneva di amare più di se stesso. Incestuoso e sodomita, l'avrebbero chiamato. Nessuno avrebbe dovuto saperlo.
Affari di famiglia, potevano definirsi.
O meglio, affari di famiglia che dovevano rimanere tali.
Ben decise che ignorare quella parentesi sarebbe stato più producente, o il tempo a disposizione sarebbe finito. Stese un velo sul discorso che, lo sapevano entrambi, sarebbe rimasto irrisolto probabilmente per sempre. 
« Comunque, volevo soltanto chiederti una cosa. »
Klaus incrociò le braccia. « Sono tutt’orecchi. »
« Ecco, ascolta bene e rispondimi sinceramente » fece Ben, serio. « Tu odi davvero London? … oppure la ami»
L’altro sembrò assorbire quelle parole, rimanendo interdetto. Dopodiché, scoppiò a ridere aspramente.
« Devo saperlo! » protestò il ragazzo.
« Certo che la odio » rispose Klaus con tono ovvio. « Avevi dubbi sulla cosa? »
Ben alzò un sopracciglio, replicando velocemente, come se stesse aspettando di fargli quella domanda con impazienza: « Allora perché l’hai baciata? »
Questa volta il moro sulle prime non seppe rispondere. Doveva dedurre che London gli avesse parlato della famigerata cena di fidanzamento, oppure li aveva visti qualche istante prima, quando il Pacificatore aveva aperto la porta? Puntò sulla seconda opzione.
« E’ stata lei a baciarmi » ribatté con un ghigno, riuscendo a recuperare parzialmente la propria ironia. « Probabilmente dopo anni di resistenza si è accorta del mio fascino irrestistibile. »
« Piantala » disse Ben, esasperato. « Dimmi la verità, se ne sei capace. »
Klaus ripeté, cercando di apparire più serio: « E’ stata lei. »
« Non ti credo. »
« Come vuoi. Non credermi. Cosa vuoi che ti dica? »
« Perché sei così odiosamente falso, Klaus? » chiese l’altro con tono pungente ma anche arrabbiato.
Il moro corrugò la fronte. 
« Per quanto tu possa sostenerla, la tua amata sorellina non è una santa. Chiedilo a lei, magari saprà darti qualche altro dettaglio. »
Ben avrebbe tanto voluto replicare, ma non trovò le parole adatte. E se quello che Klaus stava dicendo fosse stato vero? Il ragazzo non aveva mai dubitato di London, ma di fronte alla scena di poco prima qualcosa lo aveva turbato. Si disse che stava cercando di buttare fango su sua sorella, come al solito, eppure la cosa gli suonò stonata. « London non lo farebbe mai. »
« Ah, sì? » fece retoricamente l’altro. « Ti fidi così ciecamente di lei? »
« Sì. »
« Fantastico, allora tante buone cose » disse Klaus, dandogli una sarcastica pacca sulla spalla.
Ben gli avrebbe volentieri dato un pugno in pieno viso, ma fu fermato dal Pacificatore che entrò chiamando il tempo. 
« Sai una cosa, Klaus? Anche io ti odio » gli disse con un'occhiata di frustrazione.
« Meraviglioso » ribatté semplicemente, scocciato. Lo guardò uscire a passo sostenuto, chiedendosi se ne avrebbe parlato con la gemella.
E quando la porta si chiuse, Klaus si rese conto che probabilmente quella era stata l’ultima volta che avrebbe visto i fratelli Bridge, parte integrante della sua vita e causa di tutti i suoi problemi.
Gli fece uno strano effetto.

E, infine, arrivarono i signori Wreisht.
Quando Klaus li vide entrare, non ebbe neanche il tempo di reagire che sua madre gli buttò le braccia al collo, scossa dai singhiozzi, sussurrando ripetutamente parole senza senso. Frantz, dietro di lei, indossava la solita maschera di ferro, leggermente incrinata dalla situazione.
Il ragazzo non aveva mai sopportato le dimostrazioni d’affetto, quindi si liberò di Shyvonne in men che non si dica. 
« N-non… non avremmo mai… » biascicò sua madre, « immaginato… una cosa del genere… »
Klaus strinse i pugni. « Lo so. »
« Ho parlato con il sindaco » disse il padre. « Ha detto che non può farci nulla. »
Il ragazzo avrebbe tanto voluto replicare che era ovvio, ma provò ad apprezzare il tentativo dei suoi di corrompere le autorità per evitargli la morte.
« Tu non morirai, Klaus » mormorò Shyvonne, più a se stessa che al figlio, ma Klaus non aveva più voglia di rispondere, per cui si sedette nuovamente sulla poltrona e provò ad ignorarli.
Ci furono istanti di pesante silenzio, dopodiché Frantz disse con tono duro: 
« Tu devi vincere. » Qualcun altro al posto dell’erede dei Wreisht avrebbe gradito quell’incoraggiamento, se d’un incoraggiamento si fosse trattato. Klaus lo vide per quello che era: un ordine, come tutte le cose che suo padre gli diceva.
« Ma certo » fece il ragazzo con ironia. « Vado a farmi una scampagnata e torno. »
Il cipiglio solitamente serio di Frantz s’indurì più del dovuto. « Preferisci essere ammazzato da qualche stupido favorito? »
« Farò di tutto pur di vincere » ribatté Klaus, « ma di sicuro non se me lo comandi tu. »
Shyvonne gemette, il marito fissò il figlio negli occhi. 
« Devi tornare in tempo per sposarti. »
Klaus roteò gli occhi e sbuffò. « Ah, è per questo allora che non mi vuoi morto? »
« Non parlare a tuo padre così » disse la donna, ma fu ignorata bellamente da entrambi.
« Devi vincere, o la nostra famiglia andrà in rovina » fece Frantz alzando il tono di voce.
« Sai quanto mi importa… »
« Deve importarti! » gridò l’altro. « Sei l’unico Wreisht in dodici generazioni che si ostina a non collaborare! »
Klaus si alzò per la seconda volta, fronteggiando l’uomo. « Mi pare ovvio, con un padre come te anche i pezzenti inorridirebbero. »
Frantz gli diede uno schiaffo, in preda alla rabbia, ma lui non si arrese e si slacciò l'orologio di famiglia, unico cimelio che avrebbe potuto portare con sé a Capitol City, per poi scagliarlo contro il muro. « Vincerò, ma state certi che non mi rivedrete mai più! »
A interromperli entrò il Pacificatore, annunciando la fine delle visite. Shyvonne provò ad abbracciare di nuovo il figlio, ma Klaus si scostò bruscamente da lei. « Andatevene! » urlò.
Frantz non seppe dire o fare altro che guardarlo
 con rancore, dopodiché uscì scortato dalla moglie.
Baciato dalla sua peggior nemica, sfottuto dal fratello di questa e schiaffeggiato da suo padre. Quelle visite erano state inutili come aveva previsto.
Si passò una mano sul viso e tra i capelli scuri, ebbe giusto il tempo di realizzare cosa stesse accadendo che fu trascinato fino alla stazione, dove già una decina di cameramen lo inquadravano ripetutamente. 
In catene, di nuovo.
Klaus Wreisht salì sul treno senza guardare nessuno in faccia, eppure senza rimpianti e senza rimorsi.
Gettato nello spazio, alla deriva.
Mentre la locomotiva cominciava a prendere velocità, diede un ultimo sguardo complessivo al Distretto Sei. Stava lasciando la sua vita, ma non gli importava più di nulla. Da quel momento in poi ci sarebbero stati soltanto lui e i Giochi.
E che gli Hunger Games abbiano inizio, Klaus Wreisht.








 
 
 
   
 
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