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Autore: altraprospettiva    01/05/2013    3 recensioni
- Ti piace il tuo professore di matematica- sentenziò mentre mi andavo vestendo. -No!- esclamai forse con troppa enfasi senza neppure guardarla in faccia. -Tu non me la dai a bere ragazzina. E poi come darti torto? Non è messo per niente male- le lanciai una maglia -Vedi che lo dico a Francesco- dissi ridendo -Ha-ha ti ho beccato, non hai negato. Ad Alice piace Edoardo ad Alice piace Edoardo- si mise a canticchiare come una bambina. -Senti, non ti mettere nei guai e non mettere nei guai neppure lui. È il tuo professore!- disse ad un tratto tornando seria.
mi hanno detto che dal terzo capitolo migliora molto, quindi continuate a leggere!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Quando dissi a mia madre che probabilmente ci sarebbe stato il prof a Natale mi guardò perplessa, ma quando le spiegai che era rimasto solo mi disse che avevo fatto bene ad invitarlo.
«Settantotto, settantanove, ormai un posto in più non cambia».
Settantanove. Settantanove per quattro trecentosedici. Avevo almeno trecentosedici posate da lavare. Evviva! Dato che non davo una mano a cucinare (perché anche se ognuno portava una pietanza anche noi preparavamo qualcosa da mangiare) toccava a me lavare le stoviglie. Per piatti e bicchieri si utilizzavano quelli di plastica, ma per quanto riguarda le posate c’erano sempre lamentele sul coltello che non tagliava, la forchetta che non si infilzava, così mamma si era attrezzata e aveva comprato una quantità industriale di posate. Si poteva caricare una lavastoviglie solo di posate? No! E toccava a me lavarle.
Mi sistemai per bene i ricci. Fortunatamente grazie al loro taglio e alla schiuma non era difficile tenerli ordinati. Pescai nell’armadio il vestito che misi per il mio diciassettesimo compleanno, verde smeraldo con uno scollo a V non troppo profondo, le maniche larghe e la gonna che mi arrivava fino ai piedi. Cercai le scarpe, gli orecchini e la collana abbinata. Era quasi un anno che non indossavo il tutto. Mia sorella Elena entrò nella stanza e rimase a guardarmi stupita.
«È Natale no? Mi trucchi?» chiesi io prima che potesse dirmi qualcosa.
 «Stai male?» venne verso di me sorridendo e poggiandomi una mano sulla fronte.
«È festa ho quasi diciotto anni, posso truccarmi no?»
 «Avevi quasi diciotto anni anche tre settimane fa quando andasti alla festa dei diciotto anni di Vanessa eppure ho dovuto pregarti per farti mettere un po’ di mascara».
Feci spallucce ed Elena andò a prendere la sua porchette con i trucchi.
«Devo fare in fretta però, fra poco viene Francesco» Il suo ragazzo.
Mi fece sedere e cominciò a stendermi il fondotinta sul viso.
«Questo serve per rendere uniforme il colore della pelle» mi spiegò in tono canzonatorio e continuò così per ogni cosmetico che usava.
Quando finì mi guardai allo specchio. L’ombretto grigio accentuava i miei occhi verdi e con un po’ di matita aveva messo in risalto pure le labbra. Non mi sentivo molto a mio agio truccata, però, per qualche motivo, volevo essere perfetta quella sera.
«Mamma mi ha detto che viene il tuo professore di matematica?» mi chiese Elena mentre prendeva i suoi vestiti dall’armadio.
«Già, ma non è sicuro. Si è trasferito da poco ed era solo».  
«Bah».
Diedi un bacio a mia sorella per ringraziarla e uscii dalla mia stanza per andare ad aiutare mia madre ad apparecchiare la tavola. In cucina trovai mia sorella maggiore Sara con mio nipote Giulio in braccio.
«Tsia Lice» mi gridò il piccoletto cercando di scendere dalle braccia di mia sorella.
Diedi un bacio a Sara e presi Giulio tra le braccia.
«Andiamo a giocare?» chiesi contenta di poter far altro che stare a sistemare la tavola.
Sono sempre stata più portata per i lavori fai-da-te che per le faccende domestiche.
La sala dove avremmo passato la notte di Natale una volta era una stalla. Era enorme. Una serie di tavoli erano messi uno dopo l’altro, grandi lampadari illuminavano l’ambiente e il tutto era riscaldato da due caminetti. Un’altra serie di tavoli era nella stanza adiacente. La seconda sarebbe stata la stanza dove si sarebbero seduti i giovani, più per questione di spazio che per privacy. Mio zio Saro, seduto attorno al camino insieme ad altri miei zii, diceva che anche lui si sarebbe seduto nel tavolo dei giovani, perché era “un giovane di sessantasette anni”. I miei cugini più piccoli correvano lungo la stanza e alcune mie cugine più grandi erano sedute a spettegolare. Suonarono alla porta e mi precipitai ad aprire. Francesco.
«Wow! Stai male?» mi chiese non appena mi vide.
«Dovete stare meno insieme tu ed Elena, dite le stesse cose ormai» gli risposi mentre prendevo la sua giacca con il braccio libero.
«Giulio perché non vai a giocare con gli altri?» dissi posando il bambino per terra e vedendolo correre via.
«Stai bene veramente» mi disse Francesco.
«Grazie. Elena è quasi pronta, ha perso tempo per truccarmi»
«Eccomi!» disse una voce alle mie spalle, parli del diavolo.
Mi allontanai dai due piccioncini impegnati a baciarsi e ritornai nella sala grande. Cominciai a girare il cellulare tra le mani. Perché non mi ero fatta dare il suo numero? Dovevo aspettarlo? Suonarono alla porta e scattai per andarla ad aprire. Mia zia Anna con la sua numerosa famiglia mi salutò sorridendo, non li vedevo dallo scorso Natale.
«Caara!» mi disse mia zia abbracciandomi.
«Ma sei cresciuta tantissimo, non ti avrei riconosciuta se ti avessi incontrata per strada» continuò stampandomi un bacio sulla guancia. Salutai il resto della famiglia ed andai a sedermi nuovamente nella sala grande. Mia cugina Monica si venne a sedere accanto a me inondandomi del suo profumo.
«Allora ci farai conoscere il tuo fidanzato oggi?» Mi chiese facendomi sobbalzare.
«Io non ho un fidanzato!» risposi piccata.
Ogni anno la solita solfa, mai che si parlasse di film, sport o amiche, sempre e solo di fidanzati.
«Mia cara cugina, ti conosco troppo bene, sei agitata come se aspettassi qualcuno e sei troppo signorina» mi disse facendomi scoppiare a ridere.
Monica era mia cugina di terzo grado e tre anni più grande di me. Prima che lei si trasferisse per l’università uscivamo insieme.
Una sera, dopo la mia prima passeggiata sui tacchi, tornai a casa esausta dicendo: “quanto è duro essere una signorina” e da quel giorno Monica ed Elena utilizzavano la parola signorina quando mi vedevano vestita un po’ più femminile.
«È Natale» risposi io.
Monica mi sorrise e mi strinse la mano.
«Sono fiera di te» era orgogliosa come se le avessi detto di aver vinto un prestigioso premio. «Vedi che hai lo smalto tutto rovinato» continuò.
Io guardai le mie dita: aveva ragione, avevo dimenticato lo smalto rosso messo da Paola. Andai nella mia stanza e presi il flacone di acetone dalla mensola di Elena, poi, mentre cercavo il cotone, mi arrivò un sms.
 
Sono ancora in tempo per venire?
Edoardo
 
Con le dita che mi tremavano dall’emozione digitai
 
Certo che si! L’aspetto.
 
Memorizzai il numero e levai lo smalto in fretta e furia e andai nella sala grande alla ricerca di Monica. La sala si era riempita quasi tutta. Buona parte dei miei parenti era già seduta a tavola, ma non mi fu difficile trovare mia cugina. Era in compagnia di Roberto, il suo ragazzo, infilato in un completo gessato che lo faceva sembrare molto più grande della sua età.
«Sta per venire il mio professore di matematica a cena, mi raccomando non fare commenti» le dissi.
Monica mi guardò con aria stupita.  «Hai invitato il tuo professore? Ah, ho capito, sei di maturità, stai cercando di ingraziartelo…»
«No. no».
«Tranquilla, non faccio battute di matematica io» mi diede una pacca sulla spalla.
Non era quello il tipo di battute che intendevo io, ma non volli prolungare oltre la nostra conversazione. L’altra persona che poteva fare commenti inappropriati era mia sorella Elena. La trovai a conversare con mio cugino Ludovico.
«Elena, sta venendo il mio professore di matematica alla fine. Ti dico solo che non è il tipico professore che ci si aspetta di vedere». Lei mi guardò confusa ma non ebbi il tempo di scegliere parole migliori perché suonarono alla porta. Mio cugino Maurizio con moglie e figli mi riempirono di baci. Li lasciai passare e stavo per chiudere la porta quando vidi il prof. Teneva una bottiglia di liquore in una mano e un vassoio di dolci nell’altra.
«Ciao Alice».
«Salve. Sono contenta che sia venuto» appoggiò la sua guancia sulla mia, prima la destra e dopo la sinistra levandomi il fiato per alcuni secondi ed entrò a casa.
«Non doveva portare alcunché» gli dissi prendendo il vassoio e la bottiglia e posandoli momentaneamente sul mobile all’entrata.
Appesi il cappotto nell’appendino e vidi che stava con le mani in tasca e si guardava intorno.
«Ho i parenti molto discreti non fanno domande ai nuovi arrivati. Sanno che sono tanti e se ognuno si mette a fare domande farebbero scappare il nuovo arrivato per l’imbarazzo. Venga di là, le presento mia madre e poso il vassoio e la bottiglia in frigo».
Mia madre aveva levato il look di casalinga, indossava un vestito elegante di toulle e aveva lasciato che i boccoli le cadessero morbidi sulle spalle.
«Tesoro, non c’è più nulla da fare qui, tranquilla» mi disse non appena mi vide entrare, poi vidi che guardò oltre la mia spalla e fece una faccia stranita.
«Mamma, è venuto il professore Coco, te lo avevo detto».
Il professore levò le mani dalle tasche e ne porse una a mia madre. Era visibilmente imbarazzato.
«È un vero piacere conoscerla signora e vorrei ringraziarla di cuore per l’invito» mia madre era attonita e capii subito perché. Il prof indossava un gilet su una camicia a fantasia scozzese blu scura che teneva fuori dai pantaloni. Si era rasato, aveva tagliato un po’ i capelli lasciando intravedere ancora di più l’orecchino. Gli si davano al massimo ventitré anni.
«Piacere mio e si figuri, nessuno deve passare il Natale da solo. Non si doveva scomodare a portare qualcosa. Cara aspetta che ti aiuto a trovare spazio in frigo per il vassoio» mia madre mi si avvicinò mentre chiudevo le ante di un frigo e stavo per aprire le ante di un altro.
«Ma tesoro…è il tuo ragazzo e non sai come dircelo perché è più grandicello di te? Tranquilla, lo sai che tuo padre è più grande di me di otto anni» mi disse a bassa voce mentre cercava di recuperare un po’ di spazio da un ripiano.
«No mamma, è il professore di matematica e fisica».
«Ma è giovanissimo!»
Feci spallucce e mia madre, dopo aver posato il vassoio ritornò verso il professore.
«Avevamo messo la sua sedia nella stanza dei più grandi, forse preferisce che la sieda insieme ai giovani?»  
«Sì mamma, si mette accanto a Francesco» dissi e poi quasi istintivamente lo presi per un braccio e lo portai nell’altra stanza.
«Cavoli se è grande questa stanza, non scherzavi quando dicevi che eravate tanti, l’ho notato pure nella difficoltà a trovare parcheggio a dire il vero» io sorrisi e notai che mio zio Saro mi fece l’occhiolino mentre andavamo nell’altra stanza.
«Era una tenuta che apparteneva al principe delle zone. Mio bisnonno era uno dei suoi più fedeli servitori e comprò questo edificio per pochi soldi».
 
Dopo alcuni momenti un po’ di imbarazzo un po’ di stupore, il prof si sedette tra Francesco (che gli si deve riconoscere, è molto socievole) e alla mia sinistra (che ero ultra emozionata e speravo di riuscire a dire frasi sensate).
Alcune mie cugine più grandi portavano a tavola le cibarie e ci si serviva da soli. Sembrava più un pasto in un agriturismo che un cenone di Natale, ma eravamo in troppi per poter cucinare. Francesco parlò molto col prof e Monica, seduta accanto a me alla mia destra mi aveva sussurrato: «Hai capito il professore? Ma se sono così mi iscrivo di nuovo al liceo!» facendomi ridere.
Tra un’oliva, qualche fetta di formaggio e di speck, mia madre venne per assicurarsi che andasse tutto bene e mio padre per presentarsi.
Poi fu il turno di mio zio Saro. Arrivò tutto sorridendo e con le gote rosse dovute più al vino che al calore. Posò entrambe le mani sulle spalle del professore e disse sorridendo: «Benvenuto tra noi giovanotto».
Vidi il rossore espandersi sul volto del professore fino alla punta delle orecchie.
«Zio, lui è il mio professore di matematica e fisica» dissi prima che potessero esserci fraintendimenti.
Mio zio sbatté le palpebre più di una volta e levò le mani dalle spalle del prof.
«Ma come? Pensavo fosse…scusami…mi scusi».
Il professore, liberato dalla “morsa” di mio zio, si girò verso di lui e gli tese la mano.
«Edoardo Coco. Professore Edoardo Coco» disse.
«Sono Saro Mainardi, fratello del nonno di Alice. Mi scusi avevo frainteso…ad ogni modo, benvenuto tra noi comunque» aggiunse sorridendo.
«Posso chiedere un favore?» abbassò il volume della voce e si avvicinò a noi facendo sentire l’olezzo del vino.
«Fra poco è mezzanotte…in genere io mi vesto di Babbo Natale, ma ho visto che Stefano, che ormai ha undici anni, mi tiene d’occhio da tutta la sera. Penso che sospetti qualcosa. Avevo pensato, dato che tu…lei…è un volto nuovo, poteva travestirsi da Babbo Natale. Non ci vuole nulla…»
«Zio! Ma può farlo qualcun’ altro. Ci sono Roberto, Francesco…» lo interruppi.
«Tranquilla, posso farlo. È il minimo che possa fare per ringraziarvi» rispose il prof con mia meraviglia.
Inarcai le sopracciglia «Davvero?»
Il prof annuì. «Sì, che ci vorrà?»
 
Entrammo nella camera dei miei genitori che stava accanto al soggiorno, dove i regali erano stati già depositati sotto l’albero. Il prof sarebbe entrato con il sacco sulle spalle con qualche altro regalo dentro e non appena i bambini sarebbero arrivati per guardarlo, lui avrebbe depositato gli ultimi regali, li avrebbe salutati e sarebbe uscito fuori dal balcone.
Chiusi la porta e il cuore mi batté all’impazzata. Eravamo chiusi dentro una stanza matrimoniale io e lui solamente.
Alice, che stai pensando?
Presi il costume dall’armadio mentre lui si stava sbottonando il gilet.
Alice calma.
«Che bella tradizione che avete» disse forse per rompere un po’ il silenzio.
 «Sì, fino agli undici anni, poi si dice la verità su Babbo Natale, principalmente perché non si possono fare tutti quei regali, infatti solo fino a undici anni ricevi regali».
«Veramente? Allora io questo dove lo metto?» disse tirando fuori dalla tasca interna del gilet una scatolina incartata.
«Cosa è?» chiesi mentre sistemavo i peli della barba.
«Il regalo per te».
«Il regalo per me?» chiesi sorpresa «Ma che regalo? Mi ha comprato un regalo?»
Lui annuì e io sbattei le palpebre per un paio di secondi.
«Non doveva!»
«Ormai l’ho fatto. Sono sicuro che non ti piacerà…diciamo che sono andato più sulla praticità, non conoscendoti bene».
Mi porse il regalo.
«Vuoi aprirlo ora o aspetti che te lo porti Babbo Natale?»
Guardai la scatolina incartata con il cuore che mi batteva all’impazzata. Mi aveva comprato un regalo!
«Lo apro ora ovviamente» dissi prendendo forse un po’ troppo entusiasticamente la scatola dalle sue mani. «Io non le ho fatto alcun regalo però. Mi spiace».
«Come no? Avrei passato la notte di Natale a casa da solo, avrei mangiato una fettina di carne e alle dieci sarei andato a letto. Invece mi ritrovo a fare Babbo Natale». Sorrise levando il gilet e cominciando a sbottonarsi la camicia. Oddio si sarebbe spogliato? Sarei dovuta uscire dalla stanza, purtroppo. Con le mani tremanti, perché iniziavo a vedere la sua canottiera, aprii la scatola. Rimasi senza parole, per lo stupore.
«Wow…una calcolatrice scientifica. Grazie» dissi senza entusiasmo.
Che mi potevo aspettare che mi regalasse?
«Ho notato che non ce l’avevi, ti tornerà utile soprattutto se ti iscriverai a chimica»
Sorrisi. In fondo aveva avuto un pensiero carino. Poi posai la calcolatrice sul comò e presi la pancia finta.
«Si deve mettere questa, la devo aiutare. Per il resto si può vestire da solo».
«Per quest’anno avremo un Babbo Natale muscoloso» dissi per cercare di non pensare al fatto che si fosse levato la camicia ma avendo fatto forse ancora più danno.
Brava Alice. Adesso che avresti detto? Che trovavi Babbo Natale estremamente sexy? Che saresti voluta essere caricata come il sacco dei regali e poi buttata su di un letto?
Il prof scoppiò a ridere.
«Ma che muscoloso? Sono fuori forma, fra poco non ci sarebbe stato bisogno neppure della pancia finta» quanto era bella la sua risata. C’era una parte di lui non bella? Non credo.
 
La serata finì subito dopo l’arrivo di un bellissimo Babbo Natale. Ci scambiammo gli auguri, i bambini scartarono i regali e a poco a poco i miei parenti andarono via.
Toccò anche a lui andare via, purtroppo. Salutò Francesco ed Elena, i miei genitori, mio zio Saro e lo accompagnai alla porta.
«Grazie della bellissima serata» mi disse.
Chissà se lo diceva solo per cortesia.
«Grazie a lei per essere venuto e…per la calcolatrice…e per aver fatto Babbo Natale».
«Ci vediamo domani pomeriggio per le ripetizioni di matematica?»
«Uh?» le ripetizioni? Ah…sì.
«Sì, certo, a che ora vengo?»
«Cinque?»
«A domani allora».
Si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia.  «A domani» e andò via, lasciandomi sulla soglia di casa con il cuore che rischiava di uscire dalla gabbia toracica.
 
 
  
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