Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: Johnee    01/05/2013    3 recensioni
“Perché hai solo bisogno di sapere che il senso di vuoto se ne andrà in un momento.”
Una ricerca minuziosa, nata da una semplice supposizione.
Shepard dovrà affrontare un conflitto interiore che la porterà a dubitare della sua stessa natura e, assieme ai suoi compagni, sarà protagonista un'indagine delicata ed estenuante per trovare un senso alla sua esistenza.
#Tra ME:2 e ME:3 #Shakarian #Progetto Lazarus
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Lenore'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

15. Eabor

 

[x]

 

 

Odore di caffè.
Una tazza si presentò davanti agli occhi di Lenore, gliela porgeva il Maggiore Klein, proteso verso la branda dove Shepard era stata adagiata, nell'infermeria di bordo. Era stata portata lì poco prima, sorretta sia dal padre che da Garrus.
Una ferita che ha perso troppo sangue” aveva sintetizzato il Dottor Solus, sostenendo lo sguardo di una Chakwas incerta. Il bigliettino contenente la ricetta era scritto in modo sintetico, con le lettere tondeggianti della lingua galattica.
Del Valium, eh? Non è che mi state nascondendo qualcosa?” aveva chiesto la dottoressa, protendendosi in uno sguardo scettico verso il collega.
Poi Lenore aveva grugnito qualcosa e tutto si era risolto con un'alzata di spalle.
-Stai invecchiando, Claymore- constatò il Maggiore, osservandola sorseggiare avidamente quella brodaglia scura -Catfish mi aveva assicurato che non eri rimasta ferita durante lo scontro... dovrò richiamarla all'ordine-
Shepard si ritrovò a dover posare la tazza su un ripiano, in parte soddisfatta dal caffè, in parte disgustata che quella bevanda fosse gelida, quindi intrecciò le dita, sorridendo lievemente -Non l'ho notata nemmeno io, a dire il vero- ammise, per poi rivolgere uno sguardo divertito verso il suo vecchio commilitone -Volevi parlarmi?-
Klein serrò la mandibola, poi si sedette sul bordo della branda, incrociando le mani sulle ginocchia -Cat mi ha riferito di aver visto un tumore, nei tuoi dati clinici, volevo assicurarmi che così non fosse...-
Lenore si morse un labbro, affondando la testa sul cuscino. Klein, di certo, era un individuo molto diretto -Cosa ti ha detto esattamente?-
-C'è una massa maligna nel tuo cervello, ripresa da più angolazioni...- replicò lui, cercando il contatto visivo.
Il sapore di caffè l'aiutò a mettere chiarezza, mentre si umettava le labbra, aiutandosi a cacciare via ciò che restava della bevanda con l'indice.
-Non è un tumore- esalò la donna, puntando uno sguardo stanco altrove. Quegli occhi gelidi sarebbero stati l'ultimo approdo, l'ultima spiaggia che avrebbe raggiunto. Per ora, non se la sentiva assolutamente di incrociarli, l'avrebbero intimorita.
-E che cos'è, un muffin?- ribadì brusco Klein, osservandola con un'espressione palesemente seccata -'via, non cercare di indorarmi la pillola, quanto tempo hai?-
Shepard rise sommessamente, carezzandosi lo stomaco coperto appena da un lenzuolo, infine chiuse gli occhi -Non ne ho la minima idea...- asserì -Penso comunque di riuscire a mantenere il controllo, prima che mi entrino ufficialmente nella testa-
Klein corrugò la fronte -Si è già esteso così tanto?-
Involontario, il parallelismo con un'operazione chirurgica; fattostà che Lenore non poté fare altro che sorridere tristemente, mentre lui iniziava a trarre delle conclusioni che non erano distanti dalla verità, bensì abbastanza simili da poter essere tranquillamente accettate per la loro validità razionale.
-Pensiamo alla battaglia- deviò brusca lei -I tuoi uomini sono pronti?-
-I miei uomini sono sempre pronti, Claymore...- replicò il Maggiore, con una tono di voce seccato, come recuperava il caffè dal ripiano. Poi le rivolse un'occhiata d'impazienza -Senti, se posso fare qualcosa io...-
Fu allora che Lenore decise di guardarlo negli occhi.
-Credimi- lo interruppe.
Klein sollevò un sopracciglio, dubbioso, poi annuì -Quella storia dei Razziatori è pura pazzia-
-Non mi resta altro che combattere, King, questo è il mio scopo- Shepard sorrise lievemente, sollevando appena un braccio -E ho bisogno di persone che ci credano, che vedano con lungimiranza a quello che accadrà... Per i crimini che ho commesso, l'Alleanza mi metterà sotto processo e io non potrò agire liberamente. Ho bisogno di braccia, mani, ombre... persone che prevengano l'invasione, che ci aiutino a contrastarli, a sopravvivere.-
Logan “King” Klein serrò le labbra, assumendo un'espressione pensosa. Evidentemente, riteneva ancora che si trattasse dei vaneggi di uno spirito pazzo... non c'era la volontà di affidarsi, nell'espressione del suo viso, solo una brutta cicatrice che fremeva sopra muscoli scettici.
-Ci proverò...- esalò il Maggiore, dopo qualche minuto di silenzio, perso ad osservare il viso distrutto della sua companach. Un viso che sembrava essere stato ricavato da una roccia calcarea.
-King, fare o non fare, non esiste provare-
Si scambiarono un'occhiata intensa, lui sorrise, avvicinandosi a lei e posandole una mano sul braccio -Vivrai- fece, raggiungendo la sua mano e stringendola. Questa era la sua soluzione definitiva.
Era un uomo che faticava a credere a quei fatti, il Maggiore, non potendo affidarsi ad un malato, per lui, terminale. Quella di elargire una frase consolatoria per aggirare il discorso era l'unica soluzione che gli vorticava in testa: Lenore doveva vivere, doveva rendersi conto dell'errore.
I Razziatori per lui erano solo un modo per identificare un problema di identità, erano la valvola di sfogo che le avrebbe permesso di fare finalmente i conti con il fantasma di Torfan.
Lei diede una smorfia, mentre Klein si sollevava in piedi, poi sorrise a sua volta -Stiamo diventando un po' troppo teneri, qui dentro- replicò, a mezza voce, all'abbarbicarsi del suo sguardo sulla linea perfetta dell'armatura del suo vecchio superiore.
Osservò il profilo della sua schiena mentre lui prendeva la via della porta.
Ecco un frammento di passato che quella guerra l'aveva costretta a lasciare alle spalle. Lo rivide inginocchiato davanti a lei, in occasione del loro primo anniversario, mentre apriva un involto di cartone con l'insicurezza di un adolescente.
Vuoi essere mia...”
No.
L'anello era finito in terra, assieme forse ad un bel progetto, di fronte alla verità che la loro relazione non era nient'altro che un modo per passare il tempo quando non si trovavano ad affrontare una missione. A Lenore parve di risentire dopo millenni il tintinnio di uno zircone da pochi soldi che si stacca dalla montatura in rame, che scivola sotto il divano dov'erano seduti lei e Strike, una birra ciascuno e una sbornia assicurata per l'indomani. Quel ricordo, dalle lise tonalità di una pergamena, fece presente a Lenore che il suo vecchio companach, Logan Klein, aveva deciso per andarsene... dopo quell'incomprensione, lui cambiò priorità, scegliendo di fare carriera, e in quell'impresa volle sotto di sé le uniche persone che nutrivano ancora dell'affetto per Lenore, forse per toglierle ciò che le era di più caro, forse per farle capire che aveva sbagliato. O forse, avevano deciso loro di allontanarsi, per diversi motivi... Lenore non è mai stata una donna facile da comprendere.
Ricominciare una vita daccapo, per Lenore, era diventata una scelta obbligata; aveva scelto di ascoltare i consigli del Capitano Anderson, subentrato dopo Klein al comando della squadra a cui lei era stata assegnata.
Poi la Normandy, Saren, l'investitura a Spettro e la discesa agli inferi.
Aveva potuto scorgere nuovamente i volti dei suoi omicidi, avvolta tra le lingue cremisi del Flegetonte, poco prima che gli occhi azzurri di Miranda le indicassero la pedana dove giaceva un'armatura N7.
La porta dell'infermeria si chiuse con un secco gemito.
Sei una donna patetica, Lenore.
Le donne forti possono anche permettersi di ammettere i propri errori e di chiedere scusa, non possono sempre pretendere. Sei una debole, Lenore.
Ti costringi ad amare quando in realtà non puoi più farlo, perché non sei in te, sei un sintetico.
Sei impregnata di tecnologia dei Razziatori, sei vuota, riempita di dati che simulano con accuratezza quello che senti.
Hai una massa nel cervello che non è altro che una banca dati che elargisce informazioni in tutto il tuo organismo, sei una copia del Comandante Shepard. Non sei tu, non sei lei.
-Non so che farmene...- rispose, di fronte a quei pensieri -Non so che farmene di tutte queste notizie, non so più a cosa pensare... vorrei solo... solo imbracciare un fucile e fare quello per il quale mi sono addestrata...-
Carneficine nel nome di un nemico che forse vedi solo nella tua testa, husk.
Perché hai voluto diventare un soldato N7, Lenore?
-Perché è una responsabilità che mi posso assumere, perché so di essere forte, di riuscire dove gli altri falliscono-
E ora? Ora che hai scoperto che quell'addestramento su cui tanto hai sudato non è il tuo ma quello del tuo predecessore? Che farai?
Lenore gemette, portandosi le mani sul viso -Ho bisogno d'aiuto...-
E a chi lo chiederai, stavolta? Di nuovo a Garrus? Si stancherà delle tue pretese, del tuo chiedere sempre, della tua cocciutaggine e del tuo impuntarti... non puoi dargli una relazione, lo ferirai e basta. Com'è successo con King, con Liara.
-No, siamo diversi... siamo consapevoli...- replicò Lenore, esasperata da quell'interrogatorio -Lui mi aiuterà, mi sosterrà, e io aiuterò lui... l'ho già aiutato e...- perché prendersi in giro... lei non poteva dargli nulla in cambio.
Si ritrovò ad osservare una proiezione del suo subconscio, colei che la costringeva a far fronte a tutti i suoi problemi, alle paranoie, all'insicurezza.
E Lenore in quel momento capì che tutta quella storia non era lei la vittima. Lei era stata creata per un motivo, lei era rinata per un motivo... e guardò dritta negli occhi la sua immagine riflessa nel vetro dell'infermeria, con piglio determinato.
-Io sono il Comandante Lenore Shepard, Marina dell'Alleanza,- pronunciò, a denti stretti -non mi arrenderò davanti alla prima situazione negativa, non mi arrenderò di fronte all'insicurezza o al primo ostacolo. Vincerò.-
Non ne sei esattamente convinta, Leno...
-Chiudi quella cazzo di bocca e ascoltami: non crollerò, non cederò all'ennuie, non ti permetterò di vincermi. Sei un riflesso, che vuole far leva su ciò che temo per farmi distogliere l'attenzione dal vero problema. Io so benissimo chi sono e cosa devo fare, e non sarai di certo tu a fermarmi... mi hai sentito, Shepard?-
Silenzio.
Silenzio scandito dall'incedere della lancetta dei secondi, dal borbottio dell'acqua che raggiunge l'ebollizione.
-Mi hai sentito?-
Di nuovo, il silenzio. Un silenzio che viene risucchiato dalle pareti insonorizzate dell'infermeria, che viene sostituito dall'odore intenso del cloro.
Lenore sorrise, incredula.
Si passò una mano sul viso, trovandosi ridicola a volersi ostinare a parlare con una figura fittizia. Intravide della gente in sala mensa, attraverso i vetri unidirezionali, mentre correvano da una parte all'altra della nave, indaffarati a rendere operativa la sua Normandy.
La sua, non di un vecchio spettro.
Sorrise di nuovo, ricordandosi che doveva assolutamente fare una cosa, prima di buttarsi a capofitto sui doveri, prima di perdersi un'altra volta nell'ombra del Comandante Shepard. Prima che riprendesse di nuovo il comando della sua nuova forma.
Sembrava come essersi risvegliata da un sogno, la povera Eleonora.
Si sollevò a sedere, poi si infilò la camicia, ridendo per come era stesa su quel lettino, ancora a indossare gli anfibi. Era vicina, dannatamente vicina. Loro erano vicini. E lei non poteva perdersi, in virtù della sua nuova e immediata impresa.
Uscì dall'infermeria, sorridendo a uno specialista che le aveva appena fatto il saluto militare. Sorridere.
Anche quella era una sensazione diversa, una sensazione nuova. Era puro benessere.
Shepard avrebbe sorriso in quel modo? No, non davanti a un'inezia come quella.
Salì le scalette che l'avrebbero portata alla Batteria Primaria, le sue gambe le divorarono, così come divorarono la distanza che la divideva dalle batterie.
Spalancò la porta e lo chiamò. Rimase ferma sulla soglia, un sorriso smagliante sulle labbra, le guance tinte di rosso.
Ciò che era gioia scemò. Lo cercò con lo sguardo, scandagliando le pareti, ogni angolo.
-IDA- chiamò, disperata -Dov'è Garrus?-
-Sono qui...- rispose una cassa, a poca distanza da lei. Lenore tornò a sorridere, poi, di nuovo, il sorriso scemò.
-Che succede?- chiese lei, accucciandosi al suo fianco.
Era seduto giusto tra un paio di casse, nascosto alla vista, una bottiglia di qualche liquore di infima categoria tra le mani e una custodia nera in grembo. Le rivolse uno sguardo accigliato, poi appoggiò la bottiglia poco distante, trattenendola per il collo, scavando l'etichetta con il pollice.
-Ho rinunciato a tante cose per ciò che ritenevo giusto fare- annunciò un Turian, scrollando le spalle.
Lenore si sedette al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla, poi sospirò sommessamente, in attesa.
-Poter cambiare le cose, rendermi utile- proseguì lui, sollevando appena un braccio. Si passò una mano sul viso -Pensavo di poterci riuscire, a sopportare il peso, per aiutarti nella tua missione contro i Collettori. Mi hai portato via dai miei problemi per una seconda volta... mi hai dato la possibilità di concludere ciò che avevo iniziato, offrendomi di affrontare un percorso che avevo già mentalmente abbandonato. Pensavo di non possedere tutta questa forza...- carezzò la custodia sui lati, laddove c'erano un paio d'ammaccature -Mi hai regalato un periodo significativo, Lenore, mi sono sentito all'altezza- le rivolse uno sguardo triste -Non è giusto che ti mettano sotto processo, non dopo quello che hai fatto per la tua razza, per la Galassia... e in questo, non so proprio come darti una mano. Sono impotente... fare in modo che le nostre genti collaborino... nah, è un utopia!-
-Sei un ottimo leader, Garrus, anche senza di me te la caverai più che bene- lo rassicurò lei, con un sorriso -Mi fido delle tue potenzialità, perché queste insicurezze?-
Garrus sbuffò una risata, per poi voltarsi di nuovo verso di lei. Spostò la custodia per poterla abbracciare, avvicinare il viso e sfiorarle una tempia con il naso.
Poteva sentire delle dita affusolate premere le note gravi di un pianoforte, scivolare sull'avorio dei tasti... e vide di nuovo le iridi azzurre di Lenore, tinte come il mare degli umani. Ora, le ramificazioni in oro avevano sostituito il rosso degli impianti cibernetici. Si muovevano nervosi, quegli occhi, in attesa di una risposta, di una conferma... no, non cercavano più quello, non era quello che voleva, non cercavano più, non pretendevano, semplicemente ammiravano.
Fremevano, come impazienti. Ed erano azzurri, come i suoi.
-Ho fatto delle ricerche, Lenore- fece, la voce roca, mentre la gola si torceva davanti a quella scoperta. Avevano lo stesso colore dei suoi, perché non l'aveva mai notato?
-Mi hai dato più volte la possibilità di risponderti, ma io non l'avevo ancora capito, sono una frana in queste cose... umane.-
Lei strinse appena le palpebre, sfiorandogli le labbra con un bacio, poi si distanziò -E allora, cosa rispondi?- chiese, sorridendo.
Garrus afferrò la custodia e gliela porse -Che forse non sono il tipo di Turian diretto che credi...-
Lenore scoprì i denti, in un sorriso più ampio, poi afferrò l'oggetto, posandolo tra di loro. Non più barriera, ma punto di raccordo.
Krogan Manufacturing”, questo recitava la frase, traslata in dialetto Turian.
Lenore scoperchiò la scatola, poi il sorriso si ampliò di nuovo, portandola a stringere appena le spalle -Tu sai davvero come rendere felice una donna...- fece, estraendo la canna di un fucile M-300 Claymore e carezzandone la superficie in acciaio. Un'incisione sul cane in fibra di carbonio la fece ridere di gioia.
-Léannan- ripeté Lenore, appoggiandosi una mano sulla guancia.
-Te l'ho detto, ho fatto delle ricerche- replicò l'altro, orgoglioso.
-Era a questo che ti riferivi, dunque-
Il Claymore era seminuovo, tranne che per qualche graffio all'altezza dell'alloggio di fuoco, probabilmente il suo precedente proprietario non aveva saputo utilizzarlo a dovere, non come avrebbe fatto Lenore.
Quel fucile era lei, devastante nelle brevi distanze. Ma le salve che esplodeva subivano un contraccolpo talmente forte da far indietreggiare colui che lo maneggiava, dando troppo poco tempo per una ricarica. Nell'evenienza che lo scontro a fuoco fosse tra il possessore del fucile e più avversari, gli scudi dovevano essere perfettamente carichi da resistere al fuoco nemico per il tempo di ricarica. Tendeva ad incepparsi spesso, nel caso di una ricarica sommaria e la concentrazione era un elemento necessario per il suo utilizzo.
Léannan significa più cose, in gaelico... da amore ad amante. Può voler dire anche “al livello degli Spiriti”, una concezione dell'amore talmente alta da essere riconducibile solo e soltanto ad un'entità superiore.
-Hanno un nome?- chiese Lenore, assorta in quel pensiero -Gli Spiriti, intendo...-
Garrus contrasse le mandibole, spostando lo sguardo dal Claymore alla sua Léannan -Diversi Spiriti ne hanno uno, quelli rintracciabili a un particolare numero di seguaci... ma il nome è secondario, conta la materia che rappresentano-
Lenore si morse il labbro inferiore, corrugando la fronte, per poi appoggiare il fucile sopra la custodia, chiusa. L'incisione era minuscola, quasi invisibile, sul lato dove il palmo della mano l'avrebbe coperta. Un piccolo segreto che avrebbe portato con lei in battaglia, il sostegno necessario per muoversi tra le fila dei nemici.
Lui le avrebbe coperto le spalle, come aveva promesso, ma sarebbe stato addirittura alla sua destra. La simbologia di quel gesto era pesante, dietro a quelle lettere tremolanti, praticate forse da un armaiolo poco abile, o da un amante insicuro.
La mente di Lenore viaggiò su Palaven, poi tornò a Cove Bay, infine si scontrò con la realtà del momento e confessò che a lei bastava avere quella persona accanto per sentirsi tranquilla, a casa.
-Sarò persa senza di te...- mormorò, cercando la sua mano per stringerla. Il momento era arrivato, e sotto la voce sicura di Lenore, Shepard non poté fare altro che tacere.
-Ti amo-
La testa di Garrus si appoggiò alla parete della cassa, mentre si portava la mano di Lenore sul viso. Lei non sorrideva, ma gli occhi erano limpidi, senza quel bagliore rosso a corromperli.
Di nuovo, le mani affusolate che sfiorano l'avorio dei tasti di un pianoforte, che le accarezzano con decisione. Due spiriti che, fragili come la porcellana, si completano. Rendere giustizia ad un oggetto regalandogli un'anima, impostando una melodia talmente delicata da portarlo in vita, dargli materia.
Non si può amare un oggetto se non lo si eleva a persona. Davanti a lui c'era un corpo vuoto, mosso da calcoli che lui non poteva comprendere talmente erano complessi.
Il passo successivo che lui doveva compiere era elevare una macchina a persona, elevare l'individuo che gli stava davanti... valutare ogni variabile di quel rischio, però, l'avrebbe di sicuro ferito a morte. Lei era lì, in quel guscio, oppure era ovunque, attorno a lui, sotto forma di Léannan, che divenne il suo personale Spirito dell'amore.
Nella vita bisogna sempre scegliere da che parte stare, c'è bisogno di sacrificarsi per qualcosa di più alto, di coerente. Un segmento che ha un inizio e scorre dritto verso una fine.
Anche una macchina può provare amore? Se la macchina si chiama Lenore, allora è bene rischiare. O è bianco o è nero, non esiste una scelta di mezzo.
-Oh, Spiriti... Spiriti se ti amo anch'io!- mormorò, in un sussurro divertito, mentre lei rilassava le spalle, dopo aver sofferto di un crudele silenzio.
Risero dall'imbarazzo, mentre lui abbassava la testa verso il Claymore, grattandosi il naso.
Lenore gli rivolse un'occhiata perplessa, il sorriso tra le labbra -Perché devo essere sempre io a dover fare il primo passo...?-
Garrus ridacchiò, cingendole le spalle con un braccio e traendola a sé -E toglierti il privilegio di poter utilizzare le tue innate doti diplomatiche?- scherzò, mentre la melodia che si era formata nella sua testa prendeva un ritmo a quattro quarti, come il ritornello di un evergreen, che stordisce la memoria affinché tu canti mentalmente quelle parole all'infinito.
Era bastato il momento, era bastato l'avorio. In un pianoforte non esistono i tasti grigi, solo il bianco o il nero, ma quei due colori possono riflettere l'infinita quantità di note che un compositore può costruire con coerenza, seguendo o meno uno spartito. Il bianco che si mescola al nero non diventa più il grigio, ma una sinfonia di due colori ben distinti che si oppongono eppure si completano...
Lei era bianco e nero, lui era mani.
Loro erano un'unica composizione armoniosa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

J's logbook

Maggio 2013, 1

Un paio di cose brevi, per una volta...
La prima, “eabor” significa avorio. È una parola che suona in maniera esilarante se pronunciata nella nostra lingua, pure con la pronuncia inglese. Se invece inizi a porgerla tra le mani di un francese, un tedesco... oh, che suono meraviglioso. Mi piace come suona, mi piace che non sappia di nulla eppure contenga un così bel significato denso.
La seconda, e più importante: vi ringrazio. Ringrazio chi continua a leggermi, chi aggiunge la mia storia ai preferiti, chi mi sostiene, chi recensisce...
Insomma, unicorni a profusione. Penso di aver gettato un velo di zucchero su questa pagina o_O
(no, niente più lamentele su quanto odi quest... *riceve badilata in testa*)
Un abbraccio sciancato <3

 

J.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: Johnee