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Autore: Leopoldo    02/05/2013    1 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6. Prime impressioni.

 

Quando si vuole disperatamente qualcosa, di solito, una volta che si è raggiunto l’oggetto dei propri desideri, si finisce con il chiedersi se ne sia valsa la pena o, in altri casi, che utilizzo se ne possa fare effettivamente.

Spesso lo stesso ragionamento lo si può applicare alle persone, ovviamente con le debite proporzioni ed in maniera più sfumata e molto meno drastica.

 

Questa è esattamente la situazione in cui si trova Kurt.

Da quando ha saputo che Noah Puckerman era di nuovo a Lima, non ha fatto altro che pensare ad un modo per riavere il suo vecchio amico vicino, ha discusso piuttosto animatamente con suo padre una volta che Burt gli ha spiegato come sia andato il suo incontro con Puck e, successivamente, ha agito di testa sua ignorando i suoi consigli paterni, circuendo Ryder –uno dei meccanici dell’officina– e pregando Deborah per sapere dove trovarlo.

 

Ora che ha finalmente ottenuto il suo scopo, però, non è più sicuro di aver fatto la cosa giusta. Perché l’uomo che ha avuto modo di riavvicinare dopo tanti anni passati lontano sembra il fratello del Noah Puckerman che ricorda. Sembra molto meno sicuro di sé e molto più attento a ciò che dice, quasi abbia paura di rivelare qualcosa di troppo; nelle ultime due settimane i loro contatti si sono limitati a brevi chiacchierate telefoniche, qualche sms e qualche pomeriggio trascorso alla ricerca di un appartamento.

 

La cosa peggiore, però, è senza ombra di dubbio il momento in cui si crea quel silenzio carico di imbarazzo quando, per sbaglio, uno dei due tira fuori un argomento non gradito. Ha scoperto in uno di questi momenti –molti più numerosi di quanto sarebbe lecito attendersi da due amici come loro– che Puck si adombra in maniera incontrollabile quando si nomina Rachel o la famiglia Evans, e che Kurt stesso è piuttosto suscettibile quando l’altro chiede del periodo post liceo, del perché sia finito con il fare l’insegnante e della sua vita sentimentale.

In pratica, eliminando sport e arte, al tempo stesso campo preferito di uno e bestia nera dell’altro, i loro argomenti possibile si riducono al tempo, al lavoro e al possibile arredamento da comprare quando Puck troverà il suo nuovo appartamento.

 

È triste, lo sanno entrambi. E Burt li aveva avvertiti dicendo loro che preferendo la via più facile e non affrontando i problemi o, peggio, facendo finta che siano perdonati e dimenticati.  

Ma a volte, e di nuovo entrambi ne sono perfettamente consapevoli, vivere in una bolla artificiosa con qualcuno è meglio che vivere soli. Forse, però, devono solo abituarsi al nuovo stato di cose. Sperano che sia così, in effetti.

 

 

Anche perché, mentre stanno visitando l’ennesimo appartamentino in centro a Lima, un bilocale con un affitto inspiegabilmente alto che Puck non ha la minima intenzione di prendere in considerazione ma sta guardando comunque per far perdere tempo al proprietario che tira esageratamente sul prezzo, Kurt si limita a imitare i gesti dell’amico e, di tanto in tanto, fare qualche domanda di cortesia o dire banalità.

“Domani è Halloween”

Ecco, appunto.

 

“La cosa mi lascia parecchio indifferente” risponde Puck, tirando fuori dalla cintura portattrezzi che usa a lavoro un metro non appena il proprietario spunta nella camera da letto per controllare cosa stiano facendo.

 

Kurt si sforza di non ridere, riuscendo almeno a sorridere grazie al fatto di dare le spalle all’uomo. Non sarà esattamente il vecchio Puckzilla ma qualche colpo di genio lo tira fuori comunque.

“Beh, di solito anche a me. Però … Ryder mi ha parlato di una festa che fanno qui vicino”

 

“Chi sarebbe?” farfuglia l’altro, giocherellando con il metro.

 

“Quello che lavora da mio padre” gli ricorda per l’ennesima volta. “Non potremmo andare da qualche altra parte invece che perdere tempo qui?” aggiunge con una punta di isteria e di imbarazzo quando Puck appoggia il metro sul cavallo dei pantaloni ed inizia a comportarsi come un bambino demente.

 

“Ancora cinque minuti” ridacchia lui, riponendo finalmente l’arnese nella cintura. “Sai … quel Ryder a prima vista mi aveva dato una brutta impressione, tipo di essere una specie di fastidioso bimbetto, invece … è uno ok

 

“Sì, è ok” conferma Kurt, non cogliendo l’ironia di Puck. “Anche se è ancora giovane, secondo papà potrebbe essere lui a gestire l’officina un domani. Quindi … per la festa?”

 

“Non so” sospira Noah, appoggiandosi con la schiena al muro. “Ci sarà anche la tua amica?” chiede, con finto disinteresse. È da due settimane che si rode il fegato cercando di ricordare dove l’abbia già vista e, per la prima volta, è riuscito ad arrivare all’argomento in maniera naturale.

 

“Parli di Quinn?”

 

“Ah, si chiama così la tizia che ha fatto irruzione nella mia stanza?” scherza, abbozzando un sorriso. “La conosci da molto?”

 

“Dall’inizio di quest’anno scolastico” sorride di rimando Kurt. “Fa la supplente al McKinley”

 

Noah si illumina all’improvviso, ricordandosi finalmente dove l’abbia effettivamente già vista. La mattina in cui è andato a cercare Deborah a scuola, certo!

“L’avevo completamente rimosso” mormora sovrappensiero.

 

“Come?”

 

“Niente di che. Stavo pensando che … l’ho incrociata qualche tempo fa mentre andavo da Debs, di sfuggita” gli spiega, grattandosi la parte posteriore della cresta. “Comunque, tornando a noi … vi conoscete solo da un paio di mesi?”

 

“È poco, in effetti, eppure mi sembra di aver trovato qualcuno di … importante” si giustifica, quasi, captando una nota di stupore nella voce dell’amico. “Sai, no? Qualcuno di cui fidarsi, qualcuno che ti aiuta se glielo chiedi, qualcuno con cui puoi confidarti su tutto

 

“Qualcuno che parla con una persona che non conosce per impedire ad un idiota di fare l’idiota per l’ennesima volta” aggiunge Noah, strappandogli un nuovo sorriso.

 

“Già, qualcosa del genere. Posso … posso chiederti perché ti interessa?”

 

Il facchino de ‘La terra del materasso’ si lascia andare ad una grossa risata, capendo immediatamente il perché di quella domanda. Lui era Puckzilla non troppo tempo fa, il terrore delle gonne di Lima.

“Tranquillo, non ho alcuna intenzione di provarci” lo rassicura, battendogli amichevolmente la mano sulla spalla e rischiando di fracassargli una scapola. “Come ti ho già detto, l’avevo intravista a scuola e, quando l’ho rivista al motel, ho avuto quella sensazione … quella cosa che ti prende quando hai di fronte qualcuno che hai già visto e non riesci in alcun modo a ricordarti dove. Volevo solo sapere chi fosse”

 

“Potevi semplicemente chiedere” borbotta Kurt, dolorante. “Anche se ormai non penso ti interessi saperlo, credo verrà. Non ne sono sicurissimo al cento percento, lo scopro domani sera. Dipende tutto da sua figlia”

 

“Uhm” rimugina il ragazzo. “Quella bambina bionda? Mi sembra grandicella, mentre lei mi abbastanza giovane” mormora, grattandosi il mento leggermente ispido. Poi, prima che Kurt possa dire una parola, scrolla le spalle. “Beh, non penso sia fatti miei. Andiamo?”

 

Il giovane professore annuisce, senza smettere un secondo di massaggiarsi la spalla dolente, seguendo poi Noah fuori dalla stanza. Un viaggio molto breve, a dir la verità, perché proprio appostato dietro all’angolo c’è il proprietario, intento a sorridere mellifluo.

“Allora … che ne dite? Vi piace?”

 

“Costa troppo” lo gela all’istante Puck, scostandosi per passare oltre, ignorando gli insulti che gli arrivano dietro dall’uomo per avergli fatto perdere tempo inutilmente. Il vecchio e caro Puck, a Kurt sono mancati da morire momenti come questo, l’arrossire e il vergognarsi per lui dopo una figuraccia, il ridere di gusto ripensandoci un minuto dopo.

 

“Te l’ho detto che la festa è in maschera?” butta lì Kurt una volta che sono entrati in ascensore, facendo storcere il naso e non poco a Noah. Che scenata.

 

“In maschera no, dai. Non siamo bambini di dieci anni” farfuglia infatti il ragazzo, infilando le mani nelle tasche dei jeans piuttosto contrariato. Che pessimo attore.

“Non avrei poi nemmeno un costume da mettere. E non ho la minima intenzione di spenderci dei soldi. E Halloween è domani” spara in raffica dopo una frazione di secondo, facendo ridacchiare Kurt.

 

“Per il costume ti posso dare un mano io” sorride furbescamente Hummel, ben sapendo dove lui voglia andare a parare. “Sempre che tu voglia ancora venire”  

 

Il ghigno che si dipinge sulle labbra di Noah smaschera il suo pessimo trucco. “Se me lo fai tu vengo”

 

È davvero bello vedere come certe cose non cambino davvero mai, nonostante tutto.

 

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Felice.

Erano anni che Quinn Fabray non si sentiva così in pace con il mondo, così contenta di svegliarsi la mattina e affrontare un nuovo giorno.

 

Prima di tutto, adora i suoi studenti. Tutti, dal primo all’ultimo, in un modo che non credeva possibile. Sono attenti, sono interessati, hanno portato le ricerche che aveva assegnato loro in tempo, facendo tra l’altro degli ottimi lavori, ed è riuscita ad instaurare con loro un bel rapporto di complicità.

 

In secondo luogo, Christian. Dopo lo sfogo –il primo che gli abbia fatto così direttamente, ripensandoci ancora non ci crede– nel bagno sembra aver davvero recepito il messaggio. Chiama praticamente ogni sera, cosa che prima non faceva o, per lo meno, non con costanza, e, soprattutto, negli ultimi due weekend è venuto a Lima ben due volte, annunciando di essere stato promosso e di poter venire a trovare sua figlia molto più spesso di quanto facesse prima.

 

L’ultimo motivo che spiega la sua nuova e ritrovata felicità è Beth. Quella meravigliosa bambina l’ha sempre fatta sentire speciale solo per il fatto di averla messa al mondo ed è stata gioiosa e luminosa praticamente dal primo respiro, ma qui a Lima, a parte i malumori dovuti alla lontananza dal suo papà, è come se fosse ancora più contenta del solito.

 

 

“Sembra proprio che tua figlia si stia divertendo”

 

Si ridesta dal suo groviglio di pensieri, scoccando un sorriso gentile a Kate, la mamma della piccola Karen, che, per l’occasione, sfoggia un costume da Morticia Addams con tanto di trucco cadaverico –chissà quanto tempo ha speso per prepararsi.

È stata propria la donna ad invitare Quinn e Beth a casa sua alla festa che organizza ogni anno per Halloween, un piccolo party che comprende cena a base di pizza, cartone a tema, il giro nel quartiere per fare dolcetto o scherzetto e, per finire, un pigiama party.

“Domani avrà male alle guance per quanto ha riso” concorda la giovane supplente. “E alla pancia, visto quante caramelle sta mangiando”

 

“Siamo messe tutte nella stessa situazione, non preoccuparti” ridacchia la padrona di casa. “Piuttosto, se posso, da cosa è vestita Beth?”

 

“Da aviatrice”

 

“… un vestito insolito. Anche se, se devo essere sincera, la rende ancora più adorabile” squittisce Kate, molto probabilmente eccessivamente smielata. Qualcuno ha detto elezioni di rappresentate di classe in arrivo? Risposta esatta.

 

“Non dirlo a me” sospira rassegnata Quinn, mandando amichevolmente a quel paese Christian con la mente. Perché, ovviamente, se Beth si è vestita così è solo ed esclusivamente colpa sua e dei suoi cartoni animati giapponesi.

Da quando ha visto ‘Porco rosso’, poi, la piccola biondina non ha fatto altro che pregare la madre di portarla su un idrovolante o, in alternativa, di portarla nel Mar Adriatico a cercare i pirati dell’aria.

“Non sai la fatica che ho fatto per trovarle una tuta da meccanico e il cappellino da aviatore con gli occhialoni” fa alla padrona di casa, cercando di seguire il consiglio di Kurt e provare a fare più conversazione –sì, è ancora la bimba sovrappeso e timidina che era alle medie da questo punto di vista.

 

“Ti capisco benissimo” le dice offrendole cortesemente un bicchiere di aranciata. “Karen  ha deciso che quest’anno si sarebbe vestita da piratessa, non chiedermi perché, e, come puoi vedere, non c’è stato verso di farle cambiare idea”

 

“Almeno in questo modo non hanno corso il rischio di vestirsi tutte da principesse Disney” tenta Quinn, abbozzando una battuta.

 

“Penso sia il primo anno che non succede” ridacchia effettivamente Kate. “Comunque se devi andare anche tu puoi farlo, eh. Non sentirti obbligata a rimanere qui per farmi compagnia”

 

Come nelle migliori tradizioni, gli altri genitori, una volta smollati i figli a casa di Kate, hanno subito salutato e sono ripartiti alla velocità della luce, molto probabilmente perché, giunti al secondo anno di questa festicciola, sono già più sereni.

“Tranquilla, posso aspettare ancora un po’ se non ti scoccia avermi tra i piedi” tenta gentilmente. “Per Beth è il primo pigiama party … non che non abbia mai dormito lontana da me, ecco, è successo diverse volte … sempre da parenti o amici stretti, però. Non vorrei cambiasse idea all’ultimo momento”

 

“Capisco perfettamente” annuisce la donna, prima di osservare un attimo Beth intenta a giocare piuttosto animatamente con Karen e un’altra bambina. “Comunque, ci sarò io in caso di problemi. E Deborah dormirà nel seminterrato con loro” aggiunge, facendo un cenno in direzione della baby-sitter mora seduta sul divano a monitorare la situazione e che ha accompagnato personalmente le bimbe in giro per il quartiere.

 

Quando era arrivata e Quinn aveva chiesto chi fosse, le era sembrato un po’ strana la presenza addirittura di una baby-sitter. Poi però, quando tutte le bambine erano arrivate, la giovane supplente si è resa conto che sì, avendo a che fare con otto bambine eccitate dallo zucchero dei dolciumi un paio di occhi in più servono eccome.

“Se la cava molto bene” riflette ad alta voce. La ricerca di una persona a cui affidare Beth ogni tanto per uscire con Kurt o anche solo per avere un paio d’ore di riposo purtroppo non ha ancora avuto successo. Questo perché, chi per un motivo e chi per un altro, nessuna delle candidate di Carole le è sembrata giusta. “E le bambine sembrano adorarla”

 

“Praticamente è la baby-sitter di tutte” spiega Kate. “Conosce Karen da un paio d’anni ormai e, da quando ha avuto lei, non ha mai voluto altre persone. Inoltre mi ha sempre dimostrato di meritare la mia fiducia. E quella di tutte le altre mamme, ovviamente”

 

“Potrei anche provare come se la cava con Beth. Magari più avanti” conclude i propri pensieri a voce alta, facendo annuire Kate.

Non è così sicura di lasciare sua figlia a casa con qualcuno, così come non lo era di farla dormire qui e di farla partecipare a questo pigiama party. È sempre stata molto protettiva con lei, persino troppo secondo Santana, ma lei non può capire. Lei non ha mai regolato la propria vita in funzione di un altro essere vivente e, finché continuerà ad avere veleno in circolo al posto del sangue, probabilmente non lo capirà mai.

 

“Posso chiederti una cosa?” la richiama Kate. “Sempre che tu voglia rispondere. Non vorrei essere troppo indiscreta”

 

“Dimmi” concede dopo un attimo di esitazione. Tanto, prima o poi, le fanno tutti la stessa domanda …

 

“C’è … uhm … un padre?”

 

“Sì, c’è” risponde veloce come un fulmine, onde evitare fraintendimenti. “Non stiamo più insieme, non siamo sposati o divorziati, ma c’è e siamo in buonissimi rapporti. È anche piuttosto presente per Beth. E dico piuttosto perché, per lavoro, è quasi sempre in viaggio”

 

“Non volevo sembrare inappropriata, era solo una semplice curiosità” mormora Kate, quasi che il tono di Quinn forse appena un po’ scocciato l’abbia demolita psicologicamente.

 

“Non c’è problema” le fa, cercando quantomeno di essere sincera. Però è più forte di lei, certe cose la infastidiscono e non è l’argomento, visto che, quando Kurt, dopo diverso tempo di conoscenza, le ha fatto una domanda simile ha risposto in tutta tranquillità. È la certezza che a Kate –ad essere onesti, lo stesso discorso varrebbe anche per tutte le altre mamme e papà che ha conosciuto alle elementari– interessi solo fare pettegolezzo. Sa bene di essere troppo propensa a dare giudizi, a volte lo è persino più di Santana, ma, nella maggior parte dei casi, ci prende.

 

Le vecchie abitudini sono dure a morire.

 

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“Allora? Che impressione ti fa questo posto?”

 

Tra le cose che Kurt si è dimenticato di dirgli, quella più importante è sicuramente che la festa fosse stata organizzata in mezzo alla campagna appena fuori Lima.

Per essere precisi, in un anonimo capannone grigio dove qualcuno ha avuto la buona idea di appendere qualche addobbo di Halloween, giusto per ricordare il perché del party, e di portare le casse per la musica. Casse piuttosto potenti a giudicare dalla chiarezza con cui il suono arriva al parcheggio improvvisato in cui si trovano Kurt e Noah pur essendo la porta del capannone chiusa.

“Ci sarà moltissimo alcol, un rumore assordante …” mormora Puck, osservando con attenzione un ragazzo intento a barcollare poco lontano da loro “… direi che è un po’ presto per essere già così ubriachi”

 

“Andiamo da Ryder a prendere i biglietti per l’ingresso, dai” ridacchia Kurt, allungando un cappello a Puck. “Dimentichi questo. Senza cappello il costume perde metà del suo effetto scenico, ricordatelo”

 

“Sì, sì, come dici tu” borbotta seguendolo come un cagnolino che è appena stato bastonato. Motivo?

Si è fatto conciare da gangster della mafia. Tra tutti i vestiti che sa benissimo le mani di Kurt siano in grado di realizzare con della stoffa e una macchina da cucire, tra tutte le idee brillanti che Hummel ha sempre avuto quando erano al liceo … un mafioso?

Ok, forse in un solo giorno non poteva aspettarsi chissà che, però il confronto con il costume di Kurt è impietoso. Un Willy Wonka perfetto a dir poco tanto che, quando glielo aveva mostrato in anteprima esclusiva, ci aveva messo un attimo per richiudere la mascella che si era spalancata per la meraviglia.

L’unico lato positivo di tutta la faccenda è che non gli ha chiesto di vestirsi da Umpa Lumpa.

 

Ryder, ovviamente, non c’è. Davanti all’ingresso del capannone c’è solo un grosso buttafuori pelato –perché sono sempre tutti pelati o rasati?– e due ragazze che fumano una sigaretta.

Mentre Kurt afferra il cellulare per chiamarlo, Puck getta un’occhiata alle due. Una sola, fugace e senza doppi fini, giusto per capire un po’ l’età media del posto. Il fatto che siano entrambe in minigonna –una dovrebbe essere una strega, l’altra un diavolo o un angelo nero– non c’entra nulla, ovviamente.

 

Si toglie il cappello, facendo un inchino degno del miglior Padrino quando una lo nota. A giudicare dal modo in cui lei parla subito all’amica e dalla velocità con cui questa si giri verso di lui potrebbe anche aver fatto una bella impressione. Poi, però, guardandole meglio, si accorge –o gli sembra, con il buio e i travestimenti è difficile vedere bene– di quanto siano giovani. Troppo giovani per uno della sua età, quindi rimette il capello al volo e si volta subito verso Kurt.

“Novità?”

 

Kurt si limita ad indicare in direzione del parcheggio e di un paio di fari luminosi che si avvicinano dalla stessa strada da cui sono arrivati loro.

“Dovrebbe essere lui, se non mi ha raccontato una cazzata”

 

“Da quando dici le parolacce, Kurtie?” sorride furbescamente Puck prima di fare una faccia indignata e, di conseguenza, di beccarsi una gomitata decisa tra le costole, una di quelle belle dolorose.

 

“Idiota. Non ho più sedici anni, ho superato quella fase da un pezzo” borbotta Hummel incamminandosi verso le macchine. “E non credere che non ti abbia visto provarci con quelle due. Potrebbero avere l’età di tua sorella”

 

Noah ignora il ‘provarci’ evidentemente esagerato, concentrandosi più sul resto. “Non è che alla fine scopriamo davvero che è una festa da teenager, vero?”

 

Silenzio.

 

Kurt” riprende lui, cercando di osservare il viso dell’amico. “Ti sei informato prima, giusto? … per l’amor del cielo, rispondi!”

 

“Beh … ecco … no” è costretto ad ammettere l’insegnante di francese, un attimo in difficoltà. “In fondo Ryder non è tanto più giovane di noi, tre o quattro anni più o meno. E poi ho saputo di questa festa ieri. In un giorno cosa puoi pretendere?”

 

“Kurt” ripete, stavolta in tono molto più divertito. “Non sei mai stato un asso con le balle, ma questa … il costume che indossi non si fa in una notte, genio”

 

“Cavolo” borbotta l’altro, facendolo sorridere. “Non ci ho pensato, ok? Non mettermi in croce per questo”

 

Noah vorrebbe chiedergli da quando si è messo ad usare modi di dire che richiamino alla religione o, in alternativa, ricordargli che non è lui quello che rischia di trovarsi ad una festa con i proprio studenti. Poi rinuncia, più che deciso a non perdersi la faccia di Kurt nel caso succeda qualcosa del genere.

 

Inoltre, la macchina che prima stava arrivando è entrata nel pseudo parcheggio del party, non troppo lontano da loro.

 

“Mi sembra la sua macchina” mormora Kurt, incerto, avvicinandosi ulteriormente. “Sì, dai, deve essere per forza lui”

 

Puck non sembra tanto sicuro, in realtà, e lo è ancora di meno quando dal lato del guidatore scende una figura piuttosto ambigua, impossibile dire se si tratti di maschio o femmina, con indosso un costume da Cappellaio Matto talmente ben fatto da impedire a chiunque di riconoscere chi ci sia sotto.

 

“Ciao Ryder” fa invece Kurt con ammirevole certezza. Cosa che non fa altro che alimentare il sospetto di Noah visto che, evidentemente, Hummel conosceva il suo costume.

 

“Scusate il ritardo, colpa mia” si giustifica, dando una specie di cinque strano a Kurt. Poi, tutto sorridente, si avvicina a Noah, rivolgendogli un sorrisone.

“Ehi, amico” gli fa porgendogli il pugno chiuso che, suo malgrado, è costretto ad accettare. “Tutto bene? Ho sentito che lavori alla Terra del materasso adesso”

 

“Già, ho trovato un posticino lì” cerca di sorridere. Non riesce a sopportarlo, è proprio una questione di pelle visto che sembra essere un ragazzo a modo e anche parecchio gentile.

 

 “Mi spiace che Burt non ti abbia preso, ci saremmo divertiti insieme”

 

Noah annuisce distrattamente, più che intenzionato a non toccare l’argomento officina e Burt. Non ancora, per lo meno.

 

“Lascia che ti presenti la mia ragazza” sorride –e non riesce davvero a capire se sia così di suo o se si stia pavoneggiando davvero– indicando una ragazza che Puck non aveva notato prima. È vestita da Alice, con capelli biondi, cerchietto nero, vestito azzurra con gonna lunga fino al ginocchio e tutto il resto. “Marley, lui è Puck”

 

La ragazza ha la stessa espressione di un cerbiatto che sta per essere investito da un camion ma Noah, con un pizzico di educazione che non guasta mai, fa finta di niente.

“Noah Puckerman” le fa, porgendole la mano. “Puck per gli amici. Bello il costume, molto dettagliato”

 

“G-grazie” balbetta la ragazza dopo qualche secondi di inspiegabile silenzio, stringendo la mano di Noah. “M-marley Rose, molto piacere”

 

Kurt gliela strappa da davanti prima che possa dire qualcosa, iniziando a farle complimenti sul costume e domande per sapere se se lo sia fatto da sola in casa.

Alza le spalle, rassegnato all’idea di avere a che fare con persone dal comportamento inspiegabile, rendendosi poi conto di aver un dubbio irrisolto.

“Non ci sono persone con meno di ventuno anni in questa festa, giusto?” chiede a Ryder, intento a trafficare nelle tasche della giacca e dei pantaloni.

 

“Certo” borbotta continuando nella sua ricerca. “L’ha organizzata uno con cui andavo al liceo” spiega, alzando finalmente lo sguardo verso Noah. “Mi ha spiegato che per avere i permessi per il capannone, gli alcolici e il resto gli hanno fatto una testa così di raccomandazioni e gli hanno detto che se beccano per caso un minorenne qui lo sommergono di multe”

 

“Meno male” sorride, sinceramente rincuorato. Non ha di certo l’intenzione di rimorchiare questa sera, anche se non ci sarebbe niente di male, e non ha mai nemmeno avuto pregiudizi riguardo alle persone più giovani di lui, ma il solo pensiero di vedere una ragazza dell’età di sua sorella ballargli di fianco lo destabilizza. E non poco.

“Che cercavi prima?”

 

“I nostri pass!” esulta Ryder, quasi, agitando cinque cartoncini colorati sotto il naso di Noah. “Ma … non manca qualcuno?”

Alla faccia del pensiero rapido, eh?

 

“Lo prendo io” spunta Kurt, dal nulla. “Quinn arriva più tardi e sarebbe anche da andare a prendere” sospira poi, guardando Noah negli occhi. “Però sono secoli che non bevo qualcosa ad una festa. O che vado ad una festa. O che-”

 

“Faccio io l’autista designato, rompiscatole” lo interrompe lui prima che possa continuare la sua pantomima. “Tanto non ho nemmeno voglia di bere” alza le spalle, prendendo due cartoncini dalla mano di Ryder. Ed è così davvero. Da diversi anni a questa parte ha smesso di consumare tutto l’alcol che beveva da ragazzo, limitandosi ad una birra fresca di tanto in tanto.

 

Mentre si gira per avvicinarsi all’entrata non può fare a meno di notare due paia di occhi azzurri che lo fissano con una certa intensità. Con suo enorme stupore, non è Kurt, sorpreso e commosso dal suo ‘eroico sacrificio’.

È la tipa di Ryder, quella Marley, che, dopo aver incrociato il suo sguardo, fissa immediatamente da un’altra parte. Che diavolo vuole?

 

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Dopo la domanda su Christian, Kate ha saggiamente optato per parlare di tutt’altro. La scuola, il lavoro di Quinn, la crisi, la maleducazione degli adolescenti moderni e altri argomenti di questo tipo.

 

Poi è arrivato il momento di rintanarsi nel seminterrato a guardare l’ultimo cartone prima di dormire e, dopo essersi assicurata che la baby-sitter non decidesse di puntare su un horror –ormai dovreste aver capito quanto è diffidente, non meravigliatevi– e aver augurato la buonanotte a Beth e alle altre bambine, Quinn ha deciso di attendere fuori l’arrivo di Kurt. Kate non ha stranamente avuto nulla da obiettare.

 

 

Per fortuna, non le tocca aspettare nemmeno troppo, appena due minuti a dir tanto, prima di vedere arrivare il fuoristrada nero di Kurt.

Alza la mano per farsi notare, avvicinandosi poi al bordo della strada. È piuttosto sicura che, non appena gli racconterà di cosa è successo, riceverà una bella dose di rimproveri e una quantità esagerata di ‘Sei sempre la solita, perché non provi ad essere un po’ più diplomatica?’.

 

Quando la macchina si ferma davanti a lei, apre la portiera e si tuffa dentro, iniziando subito a parlare. “Indovina cosa mi ha chiesto la signora Kate non appena siamo rimaste sole? Se Beth ha un papà! Ma io non-”

 

“Ehm” sente tossire dal lato del passeggero e già da questo capisce che non è Kurt quello seduto al volante. “Kurt è alla festa, sono io l’autista designato”

 

Quinn rimane un attimo immobile, paralizzata dalla consapevolezza di non aver fatto una bella figura. Osserva per qualche l’amico di Kurt, Puck, in completo elegante scuro a righe bianche, prima di mormorare uno striminzito “Ok, bene” e concentrare la propria attenzione sulla cintura di sicurezza.

 

L’unica cosa che impedisce ad un silenzio piuttosto disteso di calare nell’abitacolo è la musica non troppo alta dello stereo.

Quinn gira la testa di poco, in modo da osservare fuori dal finestrino, sforzandosi disperatamente di non prendere il cellulare per chiamare Kurt e seppellirlo sotto una montagna di insulti.

Cosa può dire ad una persona che non conosce, se non indirettamente, e a cui, l’unica volta in cui si sono parlati, ha praticamente detto come comportarsi in una faccenda che non la riguardava minimamente?

 

“Credo che debba ringraziarti per … beh, lo sai

 

Quinn si volta dall’altra parte, osservando il profilo dell’uomo seduto vicino a lei. Cappello in testa, occhio chiaro rivolto alla strada, la barba tagliata di recente e le labbra incurvate in una specie di sorriso.

 

“Comunque non siamo stati presentati” le fa, allungando la mano. “Noah Puckerman, anche se tutti mi chiamano Puck”

 

Poteva andare peggio, dai.

“Quinn Fabray” gli sorride, stringendogli rapidamente la mano. “Io … beh, prego. Non è da me intromettermi così nelle cose degli altri …” butta lì immediatamente, ripetendo in parte cose che ha già detto e che ci tiene a ripetere “… ma se è servito a risolvere almeno in parte le cose tra te e Kurt mi sento un po’ meno … ficcanaso

 

I minuti successivi passano molto più veloci, accompagnati dal rumore costante delle dita della mano destra di Puck che tamburellano sul volante, seguendo il ritmo di una canzone che, se non sbaglia, dovrebbe essere dei Foo Fighters.

 

Quando la melodia termina, Quinn si sente il dovere di dire qualcosa.

“Sei vestito da … gentiluomo?”

 

Puck scuote la testa, guardandola per il tempo necessario a fare una faccia schifata. “Gangster” borbotta. “Idea pessima di Kurt”

 

Quinn lascia andare una breve risata che strappa un sorriso anche al conducente. “Lui è vestito da Willy Wonka se non sbaglio, giusto?” chiede, pur sapendo già la risposta. Non appena lui annuisce, prosegue. “Poteva metterci un po’ più d’impegno nel fare il tuo, allora”

 

“Uhm …” mormora lui, fermandosi ad un semaforo “… da quanto sapeva di questa festa? Lo sai?”

 

“Almeno tre settimane, se non di più” risponde, tenendo per sé il resto dei suoi pensieri, ovvero che se lo ricorda bene perché il giorno spesso ha dato un più ad un suo studente del primo anno per aver risposto perfettamente ad una domanda tutt’altro che semplice.

 

“Maledetto” borbotta, senza aggiungere altro. Si volta verso di lei, dritta in faccia, concentrandosi poi sulla maschera che porta appoggiata appena sopra la fronte. Sorride prima di dire “Tu, invece, che scusa hai?”

 

Se avesse un briciolo di confidenza in più, lo manderebbe amichevolmente a quel paese. Ok, il suo costume non è bello. Anzi, non è nemmeno un costume visto che consiste in una maschera con le orecchie da gatto, un naso e un paio di baffi disegnati con il pennarello, però … cavolo! Non voleva nemmeno venirci a questa festa, figurarsi vestirsi.

“Me lo ha fatto mia figlia” mente senza pudore, sperando che, come al solito, la carta Beth agisca sulla coscienza delle persone e le induca a sentirsi malvagie. “Perché?”

 

Puck invece ride, genuinamente divertito. “Mi ricordo che ad una festa come questa, quando era ancora al liceo, mia sorella decise di prepararmi lei il vestito. Da mummia. Ti dico solo che aveva sette anni e la carta igienica era tenuta assieme con dei fermagli … quelli da ufficio, per intenderci”

 

“L’hai indossato lo stesso” afferma, senza nemmeno fare una domanda. C’è una sfumatura nel modo in cui l’ha detto che le ricorda qualcosa: amore incondizionato.

 

“Certo. Non ho mai indossato vestito più bello” sorride. “Tua figlia, invece, quanti anni ha?”

 

“Sei” sputa. E non è un modo di dire, l’ha letteralmente scagliato fuori dalle labbra con una certa dose di cattiveria. Perché sa benissimo quale sarà la prossima domanda …

 

“E si chiama Beth, non è vero?”

 

Annuisce, pronta a gelarlo come con Kate.

 

“Sei anni penso sia una delle età migliori. Non so tua figlia, ma mia sorella era ancora in una fase … di tranquillità, non so se mi spiego” fa, cercando senza successo consenso nello sguardo vagamente sorpreso di Quinn. “Non sono più bambine piccole ma non sono nemmeno grandi. Un … un limbo piacevole e perfetto”

 

“Credo … c-credo di sì”

Dire che è rimasta senza parole sarebbe un’esagerazione. Piacevolmente colpita, ecco. Non lo conosce abbastanza per sapere se sta usando il tatto, se è solo uno che si fa i fatti suoi o è uno furbo che, captando le parole dette quando è entrata in macchina, ha capito su quale terreno è meglio non arrampicarsi.

 

“Ah, a proposito” riprende lui, infilando una mano dentro la giacca ed estraendone un cartoncino. “Questo è il tuo biglietto per entrare alle festa”

 

“E a chi lo devo dare?” mormora, rigirandoselo tra le mani.

 

“Te lo chiedono loro quando entri, tranquilla” sorride ancora lui. “Non sarà mica la prima festa a cui vai, dai”

 

“Da almeno sette anni sì” lo stupisce lei, facendolo voltare. “Avevo mia figlia, gli studi … probabilmente anche se ci fossi potuta andare, non ci sarei andata. Non sono una … una ragazza da festa” spiega, osservando rigorosamente dritta davanti a sé.

 

Percepisce distintamente lo sguardo di Puck addosso per un paio di secondi, prima di sentirlo dire “Allora non rimarrai delusa dalla festa di stasera. C’è della musica normale, pur non essendo il mio genere, e nemmeno troppi ubriachi. Mi aspettavo molto di peggio”

 

La sta … rassicurando?

“Speriamo” mormora semplicemente, appoggiando al sedile. Sono appena usciti da Lima quindi, se Kurt le ha detto cose giuste, dovrebbero essere quasi arrivati.

Forse, alla fine dei conti, c’è un motivo se Kurt voleva disperatamente riaverlo nella propria vita –sempre ammesso che non fosse davvero il suo ragazzo, cosa che non si sente ancora di escludere. La sua prima impressione su Noah Puckerman, al netto di quello che sa su di lui, è molto più che positiva. Quantomeno non l'ha mandata a quel paese per non essersi fatta i fatti suoi, il suo più grande terrore. 

 

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Prende un’altra boccata dalla sigaretta che ha scroccato ad un tipo –non ha mai fumato veramente, ha sempre approfittato della generosità degli altri da questo punto di vista–, continuando ad osservare la campagna e le luci di Lima. È una cosa quasi poetica, in effetti, se non fosse per la musica a palla alle sue spalle e il fischio che gli rimbomba nelle orecchie.

 

Sta sorridendo perché, sorprendentemente, si sta divertendo e, ancor più sorprendentemente, la festa è bella. E lo deve essere davvero, considerando quanto sia sobrio.

Gli altri … beh, Kurt è allegrotto andante, Ryder molto più di lui e Marley, povera ragazza, gli sta facendo da balia.

Sotto molti aspetti, Quinn è la sorpresa della serata. Da una con la grinta che ha potuto vedere quel giorno al motel non si aspettava tanta timidezza. È impacciata, molto poco a suo agio. Diceva davvero quando parlava della sua incompatibilità con le feste. Ha bevuto mezzo drink prima di fare una faccia schifatissima, regalando il resto a Ryder, e non si è staccata da Kurt, limitandosi a muovere i piedi. Non riesce a non trovarla … carina. Senza contare quanto sia oggettivamente molto bella.

Forse, in un altro mondo, se non fosse così incasinato …

 

Ride, da solo, pensando a quanto possa essere diventato patetico. Una risata silenziosa e vuota che riflette in gran parte il suo stato d’animo attuale. Perché è vero, si sta divertendo, ma nulla potrebbe fargli dimenticare gli esiti delle visite a cui si è sottoposto appena due giorni fa.

 

Da un lato, l’occhio è guarito perfettamente. Non avrà più bisogno di gocce, occhiali e altre cose di questo genere. Il che, visto le previsioni nefaste che gli avevano preventivato dopo l’operazione, è fantastico.

Dall’altro, però, c’è la mano sinistra. Non migliora, non guarisce, è così da mesi ormai. Non riesce ancora a chiudere completamente il pugno, il polso fa male apparentemente senza motivo e, a fine giornata, si accorge spesso che sia più gonfio del destro.

Gli hanno assegnato altra fisioterapia, gli hanno anche raccomandato di evitare di sforzarla eccessivamente –meno male che il muletto è stato riparato, altrimenti addio periodo di prova dal buon vecchio Mr. Slawski– e gli hanno persino consigliato di usare creme e ghiaccio per il gonfiore.

Tutti i dottori che l’hanno visitato, però, sono stati concordi nell’affermare che probabilmente non riuscirà a recuperare la piena funzionalità della mano. Uno gli ha già addirittura parlato già di una piccola pensione di invalidità.

 

Poi ci sarebbe anche il resto ma, ormai, ha deciso ormai di rinunciare definitivamente ad affrontare un passato che minaccia costantemente di inondare il suo presente. Se il passato vuole tornare fuori è libero di farlo, come Kurt, e in qualche modo cercherà di farci i conti. Più o meno. In caso contrario, non proverà più a forzare le cose, come ha fatto con Burt.

 

Getta la sigaretta, non ancora terminata, a terra, spegnendola con la punta della scarpa lucida da gangster.

 

Infila le mani in tasca, rimette il capello e torna verso il capannone. Il sorriso torna sul suo viso e, per una volta, non sta fingendo. Dopotutto, persino lui ha diritto ad un po’ di serenità.

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore:

 

Ta-da-da-dan! Ce l’ho fatta! Non pensavo ci sarei riuscito, invece, dopo solo un mese, ecco a voi il nuovo capitolo. Perdonatemi, se potete. Davvero, mi inginocchio e mi rimetto alla vostra clemenza. Non ho scusanti di nessun tipo.

 

Spero solo vi sia piaciuto il capitolo. L’ho scritto e cancellato solo ottanta volte. Ad essere onesti non mi convince ancora, però … va beh. :/

 

È un po’ un fillerino –e io li odio anche, sono davvero una causa persa– ma volevo smorzare un attimo la tensione dei precedenti capitoli e … chi di voi ha capito perché Marley fissa Puck?

Avevo pensato di mettere la scena della festa direttamente. Poi però, dopo averla scritta, mi sono reso conto che non avrei fatto altro che mettere giù i pensieri di uno o dell’altro personaggio e avrei finito con l’essere ripetitivo.

 

Non ho molto altro da dire, se non grazie ancora, mille, di cuore alle anime pie che seguono ancora e seguiranno la storia. La finirò ad ogni costo, ve lo prometto. Croce sul cuore.

 

Detto questo, ho iniziato a progettare qualcos’altro.

Una raccolta di one shot Quick, un insieme di what if, future fic, AU, crossover e chi più ne ha più ne metta. L’ho già detto che sarebbero esclusivamente Quick? Sono stato costretto –sì, Vale, lo so che non leggerai mai queste cose ma ce l’ho con te– recentemente a riguardare la prima stagione di Glee e … beh, sono stato illuminato da idee su idee su loro due. Erano bellissimi insieme.

Che ne dite? Secondo voi potrebbe piacere come cosa?

Attendo fiducioso consigli, suggerimenti o bordate di fischi. Come ogni volta, per chi non ha voglia o tempo o qualsiasi cosa di commentare, basta mandarmi un messaggio privato.

 

Grazie per la pazienza, per aver letto, per chi ha commentato (<3) e così via.

A presto –spero!

Pace.  

  
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