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Autore: Ely82    02/05/2013    2 recensioni
Elisa è una ragazza normale, con una vita normale che si trova catapultata all'improvviso in una realtà del tutto inaspettata. Incontra il suo "amore virtuale" Robert Pattinson e quello che accade va oltre ogni sua più rosea aspettativa.
"Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… "
"Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo."
Un viaggio immaginario che permette di sapere cosa potrebbe accadere (o meglio, cosa vorremmo accadesse) se dovessimo incontrare il nostro amato Rob.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo racconto di quattro capitoli è nato una sera mentre ero sdraiata sul mio letto e pensavo a Robert. Più precisamente alla possibilità che lui venisse a Roma per la presentazione di qualche suo film.
Ho chiuso gli occhi e ho provato ad immaginare cosa sarebbe successo se…

 
 
 
 
Roma, settembre 2011
 
 
L’aria era calda e afosa e  il turbinio di gente che avevo intorno rendeva la temperatura ancora più asfissiante.
L’estate stava giungendo al termine, ma a Roma il caldo continuava a farsi sentire nonostante fossimo già a metà settembre.
Luca aveva finalmente trovato il lavoro dei suoi sogni o almeno uno che gli si avvicinava molto. Era stato assunto dalla Valtur e trascorreva le sue giornate tra un continente e l’altro. Gli uffici si trovavano a Roma, Firenze e Milano e lui, per comodità, scelse Roma. Dovette prendere un piccolo bilocale in affitto e riusciva a tornare a casa un paio di volte al mese.
Avevamo deciso di sposarci l’anno seguente, ma andare avanti così non aveva più senso e chiedergli di lasciare il suo lavoro era fuori discussione: toccava a me fare qualche sacrificio per lui.
Iniziai a mandare diversi curriculum, concentrandomi soprattutto sugli istituti di credito, nella speranza di trovare un impiego a Roma. Avevo superato il concorso alla Banca Etruria con buoni risultati e mi ero recata nella capitale per sostenere il colloquio individuale. Ero abbastanza soddisfatta di come fosse andato. Non ero molto brava di solito a parlare davanti alla gente, invece, quella mattina riuscii ad esprimermi con calma e determinazione, meravigliandomi di me stessa.
Prima di ritornare nell’appartamento di Luca, avevo avuto la malaugurata idea di fami un giro per il centro, vista la bella giornata, ma non avevo messo in conto il caos che avrei trovato. Era un venerdì e Roma era piena di turisti. Avevo fatto un giro a piazza di Spagna, tappa immancabile in tutte le mie visite a Roma, avevo dato un’occhiata alle vetrine di via Condotti e mi stavo incamminando verso piazza Navona.
Mi sarei trattenuta a Roma per qualche giorno, finché Luca non fosse tornato dal suo viaggio a Parigi, perciò avevo tutto il tempo per visitarla e per andare a trovare mia sorella e magari anche la mia amica Paola: era un sacco di tempo che non ci vedevamo.
Mentre pianificavo la mia vacanza,  girando l’angolo mi scontrai violentemente con un ragazzo, tanto che dovetti tenermi ad un cartello stradale per non cadere all’indietro. Lui esclamò qualcosa e mi accorsi di avergli fatto cadere a terra un sacco di fogli e mi chinai immediatamente per raccoglierli.
«Mi dispiace, scusami tanto», mormorai alzando appena gli occhi, rossa di vergogna.
«Si allontani, ci penso io», mi disse una voce americana, con tono scocciato
Alzai di scatto la testa e mi ritrovai davanti un omone alto e massiccio che si era abbassato per raccogliere quello che era caduto, togliendomi anche dalle mani quello che avevo iniziato a raccogliere. Rimasi imbambolata per un secondo, prima di scattare in piedi come un’idiota. Ero convinta che mi fossi scontrata con un ragazzo non con un armadio del genere! E poi, che diavolo di modi erano quelli? Non lo avevo mica fatto apposta!
Solo in quel momento, proprio mentre l’omone, si stava rialzando, vidi che effettivamente c’era un ragazzo alle sue spalle, che per tutto il tempo era rimasto fermo e immobile con la testa bassa. Indossava un paio di jeans trasandati, una t-shirt bianca, un paio di occhiali da sole scurissimi e un berretto….
«Oh, mio Dio!», esclami all’improvviso.
No, non poteva essere lui! Stavo sognando!
Il ragazzo alzò istintivamente la testa, attirato dalla mia esclamazione e l’omone gli si mise davanti, ridandogli il materiale che era caduto.
Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… e quell’uomo-armadio sembrava proprio Dean…
Di qualcosa! Di qualcosa scema!” continuavo a ripetermi, mentre li vedevo passare proprio a fianco a me. I miei occhi lo seguivano incapaci di credere a quello che vedevano. Lui con la visiera abbassata sugli occhi, voltò appena la testa nella mia direzione senza dire una parola e abbozzò un sorriso. In quell’istante non ebbi più dubbi: per quanto la mia mente continuava a dirmi che non poteva essere vero, quello era  Robert, Robert Pattinson.
«Aspetta ti prego!», gli dissi con un filo di voce, nel mio inglese scolastico, mentre si allontanavano da me.
Entrambi si bloccarono. Si lanciarono un’occhiata poi quello grosso venne da me.
«Le sembra il caso di fare una scenata qui signorina? Ha idea di che finimondo verrebbe fuori se qualcuno si accorgesse di lui?», mi disse arrabbiato.
Il mio battito cardiaco dovette fermarsi per qualche secondo, perché iniziai a non capire più niente, nemmeno dove fossi: era lui, era davvero lui?!
Deglutii e cercai di prendere una boccata d’ossigeno, lanciando un’occhiata oltre le spalle di Dean: Rob era lì a dieci metri da me!
«Io non volevo…», iniziai a balbettare intimidita dallo sguardo severo della sua guardia del corpo.
«Allora, prosegua la sua passeggiata e lo lasci stare per piacere», mi suggerì, addolcendo appena il tono della voce.
«Volevo solo salutarlo, avere un autografo…», provai a ribattere, senza smettere di fissare il miraggio alle sue spalle.
«Non è possibile», sentenziò voltandosi e ritornando verso di lui.
Li fissai impotente e tremante. Sentivo le mie gambe ancorate a terra come fossero due pezzi di marmo. Mi veniva da piangere mentre lo vedevo allontanarsi da me e raggiungere un’auto nera parcheggiata pochi metri più in là.
Dean gli aprì la portiera, ma Rob, prima di salire si voltò dalla mia parte e poi disse qualcosa a Dean, il quale non sembrò gradire le sue parole. Rob salì sul sedile posteriore, mentre Dean… Dean tornava verso di me! Oddio, lo avevo fatto incazzare!
Dean mi guardò a malo modo, poi, aspettando l’attimo in cui non passava molta gente vicino a noi, mi disse a voce bassa:
«Lo vede quel bar dall’altra parte della strada? Entri lì, chieda un tavolo appartato e potrà avere il suo autografo.»
Lo fissavo sbigottita. Non ero sicura di aver capito.
«Allora?», mi chiese spazientito dal mio silenzio.
«Ok», balbettai.
Se ne andò e salì nell’auto, la quale dopo pochi secondi partì.
Ero lì immobile, mentre ripetevo nella mente le parole di Dean, cercando di capire se avessi interpretato male la sua frase. Con l’inglese me la cavavo, ma il suo accento americano forse mi aveva confuso le idee. Che diavolo voleva dire “Avrà il suo autografo” visto che se ne erano appena andati? Non avevo risposte, ma nel dubbio attraversai di corsa la strada e mi precipitai dentro al locale che Dean mi aveva indicato.
«Buongiorno, vorrei avere un tavolo», chiesi al cameriere, ancora su di giri. «Un tavolo un po’ in disparte, se possibile.»
Il cameriere mi guardò sorpreso, così aggiunsi:
«Ho un incontro di lavoro, avremmo bisogno di un po’ di tranquillità.»
«Capisco, venga con me», mi disse infine.
Mi fece accomodare al piano superiore, in una specie di soppalco, da cui si potevano vedere i tavoli sottostanti e l’entrata del bar. C’erano quattro tavoli e solo uno era occupato.
«Qui va bene… almeno credo», aggiunsi.
«Ritorno tra un po’», mi disse gentile, lasciandomi due menù.
Ma che diavolo stavo facendo? Mi sentivo così stupida! Ma davvero pensavo che sarebbe venuto qualcuno a portarmi il suo autografo? Li avevo visti andare via con i miei occhi. Chissà che avevo capito? Ma che altro avrei potuto fare? E se avessi capito bene? Nel dubbio sarei rimasta lì, buona buona ad aspettare, almeno per un’ora.
Robert Pattinson, avevo incontrato il mio Robert in giro per Roma! Avevo finalmente ottenuto quella prova che tanto volevo della sua esistenza! Non mi aveva degnato di una parola, a malapena di uno sguardo, forse, dato che i suoi occhiali Rayban non lasciavano intravedere i suoi occhi, ma io lo avevo avuto a pochi metri da me… anzi, meglio, mi ero letteralmente scontrata con lui! A quel pensiero un brivido mi percorse la schiena arrivando fin alla testa.
Mi voltai a guardare verso l’entrata del locale sperando di vedere… qualcosa o qualcuno entrare per me.
Dopo quasi venti minuti Dean entrò. Saltai letteralmente sulla sedia e iniziai ad agitarmi. Che dovevo fare? Scendere e andare da lui a prendere il mio autografo? O rimanere immobile ad aspettare? Dean si avvicinò al cameriere che poco prima mi aveva accompagnata al tavolo e gli chiese qualcosa; il ragazzo sembrò spaesato all’inizio, poi, ad un tratto, sorrise e mi indicò. Mi paralizzai all’istante e il mio sguardo e quello di Dean si incontrarono. Dean parlò ancora una volta con il cameriere e poi uscì dal bar. Maledizione, che stava succedendo? Perché se n’era andato? Il tavolo che avevo scelto non andava bene? Dove sarei dovuta andare in cantina? In fondo solo qualche pazza come me sarebbe stata in grado di riconoscere la guardia del corpo di Robert Pattinson.
Stavo per mettermi a piangere dalla rabbia e soprattutto per la grande occasione persa, quando sentii qualcuno avvicinarsi.
Alzai la testa controvoglia credendo si trattasse del cameriere che era venuto a prendere l’ordinazione ed invece… era LUI.
«Ciao!», esclamò in italiano sedendosi davanti a me.
“Respira Elisa, respira”, continuavo a ripetermi mentre prendevo coscienza del fatto che Rob si era appena seduto al mio tavolo: il mio Rob.
«Ciao», farfugliai.
Indossava ancora berretto e occhiali e si teneva il capo con una mano per cercare di nascondersi dalla gente che era al piano di sotto.
“Avanti cretina, parla!”, mi urlavo dentro.
«Mi dispiace per prima, ma proprio non potevo parlarti per strada», mi disse nel suo inglese non tanto comprensibile.
«Ma… ma scherzi!», riuscii a balbettare, «scusa tu se ti sono venuta addosso…»
«Speravo non mi riconoscessi», ammise lui con un mezzo sorriso.
«Impossibile», gli risposi secca.
Avevo più di mille foto nel mio pc: conoscevo meglio lui di me stessa!
Mi fece un sorriso, uno di quelli che quando vedevo nei video su internet, mi facevano sciogliere.
«Non sembri una mia fan. Non di quelle più accanite almeno! Sei troppo tranquilla!», mi disse in tono scherzoso.
Non di quelle accanite? Tranquilla? Poverino, proprio non aveva idea di chi avesse davanti, di come stessi bruciando viva in quel momento, di come il mio cuore tamburellava tanto da darmi la sensazione che la sedia tremasse.
«Credimi lo sono eccome!», trovai il coraggio di ammettere.
«Beh, non si direbbe. Non hai gridato, non hai cercato di stendermi sull’asfalto, non mi sei corsa dietro quando sono andato via in auto, non mi stai accecando con i flash. Sei solo un tantino pallida: più o meno come…me!», disse con un altro meraviglioso sorriso.
«Sto cercando di controllarmi, altrimenti Dean mi stritola e, cosa peggiore, tu te ne andresti all’istante», gli risposi imbarazzata.
«Lo apprezzo credimi, infatti è per questo che gli ho chiesto di incontrarti, perché mi sei piaciuta», mi disse con tenerezza.
Sentivo che stavo per svenire. Non mi era mai successo in passato, ma quello che si provava  doveva essere molto simile a quello che stavo sentendo io. Sudavo come una pazza e non era più il caldo afoso della capitale era Lui, il mio sole personale.
Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato, perfino così imbacuccato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo.
«Che c’è? Adesso non mi dici niente? Non so quanto tempo Dean mi permetterà di rimanere qui!»
«Scusa è che… questa cosa è assurda!», gli risposi scoppiando a ridere per il nervosismo.
«Sì, un po’ lo è, hai ragione. E’ un sacco di tempo che non faccio una cosa del genere», mi disse con un velo di tristezza.
Avrei voluto dirgli qualcosa, ma proprio in quel momento vedemmo il cameriere dirigersi verso di noi con in mano penna e block notes.
«Ordina anche per me, per favore», mi disse di fretta abbassandosi ancor più la visiera.
Non ebbi il tempo di ribattere, per chiedergli cosa volesse, perché il ragazzo arrivò in un lampo.
«Cosa posso portarvi?»
Non avevo nemmeno aperto il menù e mi sentivo impacciata come non mai. Cercai il suo sguardo per avere un suggerimento, ma lui teneva il viso basso facendo finta di controllare il cellulare.
«Due bicchieri di coca cola», dissi infine, anche se la mia sembrava più una domanda che un’affermazione.
«Qualcosa da mangiare?»
«No, grazie.»
Mangiare? Non sarei stata in grado di ingerire una mollica nello stomaco nemmeno sotto tortura. Mi sentivo così strana: come se stessi fluttuando in un luogo non definito, come se avessi la certezza che stessi sognando, come se niente fosse reale. Senza farmi vedere, mi diedi un pizzico su un braccio, ma Lui era ancora lì con me.
Appena il cameriere andò via, rialzò il capo e mi guardò divertito.
«Possa sapere che ti sei inventata per avere questo tavolo?»
«Che avevo un importante incontro di lavoro», ammisi con poca convinzione.
«Non mi sembro molto credibile come manager?», esclamò con la sua solita risata, guardando il suo abbigliamento.
Io rimasi del tutto imbambolata, incapace di rispondere alla sua battuta. Gli sarò sembrata una vera sfigata.
«Tu sei di Roma?», mi chiese, cambiando di colpo discorso, probabilmente vedendomi del tutto assente.
«No, sono una specie di turista… una turista molto fortunata», gli dissi, ridendo sotto i baffi.
«Sono stato fortunato anch’io, in fondo. Sarai anche una fan, ma sei molto “normale”, ecco», mi disse carinamente. «Uno fa tanto per non farsi notare e alla fine non serve a niente, mi è andata più che bene direi. Voi italiane siete un po’ troppo… calorose, a volte!»
«Beh, se non vuoi farti notare dovresti impegnarti di più!»
«Che vuoi dire?», mi chiese incuriosito. «La visiera del cappello mi copre mezza faccia, l’altra metà è coperta dagli occhiali. Non posso mica mettermi un passa montagna a settembre?»
«Non vorrei contraddirti, ma è proprio grazie a quegli occhiali e, soprattutto a quel cappello, che ti ho riconosciuto!», ammisi abbassando lo sguardo.
Era terribile non potergli vedere gli occhi, dover solo immaginare le sue espressioni.
«Scherzi?»
«Ecco, come vedi non sono poi tanto “normale” come fan!», gli risposi imbarazzata.
“Brava Ely, ora si renderà conto che sei una pazza scatenata!”
«Come dovrei fare scusa?»
«Non lo so, cambia cappello più spesso o mettiti una felpa con il cappuccio… non ne ho idea. E dovresti cambiare anche gli occhiali, li porti troppo spesso.»
Sì bloccò a guardarmi, probabilmente pensando “Aiuto questa è una maniaca” o forse “Meglio andarsene di qui”, muovendo la bocca di continuo.
“Ti prego sta fermo con quelle labbra!”, avrei voluto dirgli, ma mi limitai ad emettere un profondo e rumoroso sospiro.
«Che c’è?», mi chiese.
«Niente.»
«Avanti, dimmelo, sono curioso di sapere a che pensi. Sei divertente!», mi disse sporgendosi con il busto verso di me.
“Stai cercando di farmi impazzire?”, pensai emettendo un altro sospiro.
«Se ti dico che sei bello da morire, scappi via?», sussurrai, cercando di non guardarlo in viso.
«No», disse in modo dolce, tornando a rilassarsi sulla sedia. «Quando viene il cameriere gli dici se ti porta un pennarello?»
«Ok», gli risposi confusa. Io gli facevo una dichiarazione d’amore e lui pensava ai pennarelli? Probabilmente non voleva rimanere molto sull’argomento bellezza. Chissà quante volte si sarà sentito dire certe frasi, pensai.
«A chi racconterai di avermi incontrato?», mi chiese, passando ancora una volta di pali in frasca.
«Se non vuoi, non lo dirò a nessuno», gli risposi agitata.
«Tranquilla, non intendevo questo. Mi chiedevo solo chi sarebbe stata la prima persona a cui avresti raccontato di aver preso una Coca con me, appena fossi uscito dal bar.»
«Tanto non mi crederebbe nessuno…», gli risposi sconsolata.
Rimase a guardarmi un momento e poi aggiunse:
«Non è che non voglio farmi fotografare, è solo che non vorrei attirare troppo l’attenzione sul nostro tavolo. Sto così bene che mi scoccerebbe rovinare questi dieci minuti di pace», mi disse con amarezza nella voce.
«Niente foto, tranquillo», gli dissi sorridendo, mentre dentro di me soffrivo come una pazza.
Niente foto? Che mi sarebbe rimasto di quell’incontro se non un bellissimo ricordo?
«Sei fidanzata?»
«Sì, perché?», chiesi tremante.
«A lui pensi di dirglielo?», mi domandò incuriosito.
«Credo di sì… già sa che sono una pazza, non si stupirà più di tanto se gli dico quello che mi è successo!»
In quel momento il cameriere ci portò da bere e gli chiesi se era possibile avere un pennarello. Guardò strano prima me e poi lui, ma poco dopo tornò con un pennarello giallo e uno rosso.
«E adesso?», chiesi a Robert porgendogli i due pennarelli.
Senza dire una parola si tolse il cappello e con il colore giallo lo autografò nella parte interna.
«Puoi usarla come prova, quando le tue amiche o il tuo ragazzo non ti crederanno», esclamò appoggiando il cappello tra le mie mani. «Tanto io me lo devo ricomprare nuovo, l’hai detto tu!»
Ero rimasta a bocca aperta per tutto il tempo. Avevo iniziato a non sentire più il mio respiro quando, toltosi il berretto, si passò una mano tra i capelli per pettinarli e rialzarli un po’: la mano “a rastrello” vista del vivo era favolosa. L’ossigeno poi svanì del tutto quando iniziai a capire cosa aveva in mente di fare.
«Stai scherzando? Il tuo cappello?», gli chiesi allibita prendendolo in mano per ammirarlo meglio.
«Posso averne quanti ne voglio, non è un problema. Anzi, mi pagano per indossarli», mi rispose alzando le spalle. «Se mi chiedevi il numero di telefono sarebbe stato un po’ più complicato… ma questo posso farlo.»
«Non so che dire… grazie davvero», gli sussurrai commossa. «Se il numero di telefono però te lo do io, nessuno ti vieta di prenderlo?», aggiunsi ridendo.
«Ovvio», rispose divertito, passandomi il tovagliolo e il pennarello rosso.
Sapevo che non l’avrebbe mai preso, ma decisi di stare al gioco e scrissi il mio numero sul tovagliolo di carta che mi aveva dato.
«Dirai anche questo al tuo ragazzo?», mi provocò.
«No, non credo!», gli risposi scoppiando a ridere.
Lui rise con me, poi guardando in basso verso l’entrata, si fece serio di colpo. Mi voltai, seguendo la direzione del suo sguardo e vidi Dean vicino alla porta: mi ero del tutto dimenticata di lui.
«Devo andare», mi disse, ferendomi come una coltellata. «Dean inizia a perdere la pazienza, è già stata dura convincerlo a portarmi qui.»
«Non è giusto…», farfugliai tra me.
«Cosa?»
«Che ti dicano cosa devi fare! Lo capisco da un punto di vista lavorativo… ma ti stai bevendo semplicemente una coca cola in un bar, che c’è di male?», gli spiegai con eccessivo ardore.
«Adoro la coca cola. Lo sapevi o hai tirato ad indovinare?», mi chiese deviando nuovamente il discorso.
Che avrei dovuto rispondergli? Ero così agitata e arrabbiata per il fatto che stava per andarsene, che non riuscii a capire quale era la risposta giusta da dargli.
«Ti ho visto berla in qualche foto sul set», ammisi alla fine.
Rimase in silenzio pensieroso. Guardava me, guardava Dean e l’orologio.
«Mi sa che hai ragione», concluse infine.
Non disse altro, prese solo il telefono e compose un numero.
«Rimango un altro po’», disse all’interlocutore.
Mi voltai verso l’entrata e vidi Dean al telefono che ci guardava.
«L’intervista è tra due ore, non credo che mi serva tutto questo tempo per rispondere a dieci domande», aggiunse Robert leggermente adirato. «Nessuno mi ha riconosciuto, è tutto tranquillo come vedi.»
Lui parlava e io lo ammiravo. Sapevo già che mossa avrebbe fatto dieci secondi prima che la facesse, come se lo conoscessi da una vita. Ogni cosa di lui mi era familiare da un lato e aliena dall’altro. La tv, i giornali non gli rendevano merito, perché, oltre ad essere sexy, era adorabile nei modi: un ragazzo di una semplicità assoluta. Perfino in quel momento in cui discuteva con Dean era incredibilmente sensuale, forse più di prima. Gli si era gonfiata la vena sulla fronte e teneva la mano libera chiusa saldamente a pugno sopra al tavolo.
Mi sentii quasi in colpa per avergli detto quelle cose pochi istanti prima, ma era quello che pensavo. Quel tipo, Dean, in fondo lavorava per lui: non era nella posizione di dargli ordini!
«Un quarto d’ora e scendo, ok? Mi fai agitare anche quando non ce n’è motivo! E’ tutto sotto controllo puoi vederlo con i tuoi occhi!», continuava a dirgli, cercando di non urlare troppo. «Lo so che lo dici per me, ma io sto da Dio, credimi!», aggiunse riagganciando.
Sto da Dio”? Aveva davvero detto così? Il sangue mi salì al cervello e la vista mi si annebbiò per un secondo.
«Sono stato bravo?», mi disse aprendo le braccia.
«Fantastico», che altro aggettivo avrei potuto utilizzare.
«Non sai quanto è snervante avere sempre gente intorno che ti dice che devi fare, con chi devi parlare, che devi mangiare, che devi indossare… Non ne posso più!», sbuffò, passandosi ancora le dita delle mani tra i capelli. «Hai idea di quanto tempo sia passato dall’ultima volta che mi sono potuto sedere in un bar con un amico in santa pace? Se tutto va bene, riesco ad avere qualche ora da ragazzo normale quando torno a Londra dai miei: a Los Angeles è impossibile, ti seguono ovunque.»
«Mi dispiace, non deve essere facile…»
«Non mi fraintendere, è chiaro che mi fa piacere essere famoso e tutto il resto, ma non avrei mai pensato che un giorno mi sarei trovato a dover vivere in questo modo. A volte ti senti così solo… Lo so, sembra assurdo, ma nonostante sia costantemente circondato da gente, spesso mi sento solo», disse con malinconia.
«Non è la quantità, ma il tipo di gente che conta. Sei lontano dalla tua famiglia, dai tuoi veri amici… è normale che tu ti senta solo.»
«Esatto, è proprio questo il problema, ma non si può dire. Non sia mai che Robert Pattinson provi a lamentarsi della sua vita dopo tutta la fortuna e i soldi che ha avuto!», esclamò ironico.
«Non capiscono niente, lasciali perdere…», gli sussurrai arrabbiata.
«Grazie, sei davvero carina. Chi l’avrebbe mai detto che questa giornata avrebbe avuto un risvolto tanto piacevole!», mi disse con un sorriso a trentadue denti da togliermi il fiato. «Ora però devo proprio andare via», aggiunse alzandosi in piedi.
Mi alzai con lui e tirai fuori il portafoglio.
«Che pensi di fare, scusa?», mi domandò ironico. «Non crederai davvero che ti lasci pagare il conto? Per chi mi hai preso?»
«Certo che pago il conto, mi pare il minimo! Hai idea di quello che hai fatto oggi? Io non credo!», gli dissi scuotendo la testa.
«Mi stai dicendo che guadagno milioni di dollari a film e che non posso offrirti una coca cola?», domandò incredulo mentre estraeva cinquanta euro dalla tasca.
«Non si discute ok? Metti dentro quei soldi o mi metto ad urlare chi sei!», lo ricattai.
«Non lo faresti…»
«Vuoi sfidare la sorte?», chiesi imperterrita.
Ma aveva ragione: non lo avrei mai fatto per nulla al mondo.
Mi sorrise in modo arrendevole e rimise in tasca i soldi.
«Lo sai che sono più di venti minuti che siamo insieme e non mi hai detto il tuo nome?»
«Elisa», risposi di getto, sorprendendomi di come quel particolare mi fosse sfuggito.
«Elisa», ripeté un paio di volte, cercando di azzeccare la giusta pronuncia. Sentire il mio nome uscire da quella bocca fu incredibile. Quanto avrei voluto saltargli al collo e non lasciarlo andare via!
«Sei stata un angelo. Da oggi in poi avrò un’idea diversa delle fans italiane», mi disse carinamente. «A novembre tornerò per presentare Breaking Dawn, ci sarai?»
«Puoi contarci», gli risposi d’istinto, emozionata per aver avuto la notizia in anteprima.
Mi allungò la mano per salutarmi e, dopo un momento di esitazione, allungai il braccio e gliela strinsi: forte, liscia, grande, esattamente come me la immaginavo.
«Sei una ragazzo davvero speciale», trovai il coraggio di dirgli, mentre lasciavo controvoglia la sua mano. «Sapevo già quanto fossi bello, ma ora scopro che la parte più bella di te è quella che non si vede.»
Mi sorrise e abbassò il capo, forse imbarazzato.
«E’ il più bel complimento che potessi farmi», mi rispose prima di allontanarsi da me.
Lo fissai scendere le scale e uscire dalla porta insieme a Dean, al quale prese un accidente quando lo vide senza il berretto. Rob gli fece un gesto con la mano, come per dire “che vuoi che sia” e poi scomparve nel caos della città.
Crollai di nuovo sulla sedia, incapace di accettare tutto quello che mi era capitato, mentre stringevo il suo berretto. Il mio sguardo andò poi al suo bicchiere di coca cola e non seppi resistere al gesto estremamente stupido e infantile di bere dal suo bicchiere. Mi vennero i brividi quando toccai il bordo con le labbra: era una sensazione incredibile.
Me ne stavo lì, girando e rigirando quel cappello e toccando il suo bicchiere e il pennarello che aveva utilizzato quando, alzando lo sguardo, mi trovai Dean di fronte. Mi fece prendere talmente paura che per poco il bicchiere non mi cadde per terra.
«Mi scusi», mi disse irritato, «Mr Pattinson dice di aver dimenticato sul tavolo una cosa importante.»
Rivoleva il suo cappello, perciò. Mi era sembrato strano che ci avesse rinunciato con tanta facilità. Stavo per darglielo, ma lui non sembrò nemmeno notare che lo tenessi in mano. Cercava qualcos’altro sul tavolo e infine lo trovò.
«Non si faccia strane idee, se posso darle un consiglio», mi disse brusco, mentre si infilava il tovagliolo con il mio numero di telefono in tasca. «E’ un capriccio che durerà il tempo di arrivare in albergo.»
Detto ciò, si girò e se ne andò lasciandomi basita. Le sue parole non mi avevano minimamente sfiorato. Quello a cui non potevo credere era che Rob avesse mandato indietro Dean per prendere il mio numero di telefono. Scoppiai a ridere come una bambina. Sapevo che non avrebbe mai usato quel numero, ma solo l’idea che lo avesse mi mandava in fibrillazione. Probabilmente voleva anche lui tenersi un ricorso di quella mezzora di libertà che aveva trascorso con me.
Era tutto troppo assurdo. Avevo appena conosciuto Rober Pattinson ed era stato fantastico, lui era fantastico. Avevo il cuore a mille e se non avessi raccontato a qualcuno quello che mi era appena capitato, avrei cominciato a dubitare che me lo fossi solo immaginato: in fondo quante volte lo avevo già fatto? Ma il suo berretto era lì, tra le mie mani e, come aveva detto lui, quella era la prova che tutto era accaduto davvero.
   
 
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