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Autore: B i z a r r e    02/05/2013    5 recensioni
«Sai mantenere un segreto?»
Harry si voltò verso di lei e le sorrise. Gli si illuminarono gli occhi, quegli occhi color verde veneziano in cui Alex si perdeva sempre, che sembravano degli smeraldi piuttosto che delle semplici iridi.
«Credo di sì.»
Rispose lei voltandosi in direzione del suo migliore amico.
Si passò una mano nei capelli, quelli che un tempo erano stati dei lucenti capelli color grano e di cui, ora, rimaneva solo un taglio maschile, composto da ciocche rade e deboli, di un arancione spento.
«Vorresti stare da un'altra parte?»
«Dove?»
«Chiudi gli occhi.»
---
Ad Ale, perchè a quattordici anni non si può morire.
Genere: Fluff, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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centro del mondo

Questa storia è decisamente, evidentemente e largamente ispirata dalla canzone ''Il centro del mondo'' di Luciano Ligabue, il video clip della suddetta canzone e una dose eccessiva di marmellata alle albicocche, la mia preferita.

Leggete le note, per favore, sono importanti.

Ad Ale.

Vorrei essere segna di dedicarti qualcosa di lontanamente decente, ma la verità è che meriti di meglio, sempre.

Ad Ale, perché è forte nonostante tutto, e perché l'ammiro.

Ad Ale, perché a quattordici anni non si può morire.



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«Sai mantenere un segreto?»

Harry si voltò verso di lei e le sorrise. Gli si illuminarono gli occhi, quegli occhi color verde veneziano in cui Alex si perdeva sempre, che sembravano degli smeraldi piuttosto che delle semplici iridi.

«Credo di sì.»

Rispose lei voltandosi in direzione del suo migliore amico. 

Si passò una mano nei capelli, quelli che un tempo erano stati dei lucenti capelli color grano e di cui, ora, rimaneva solo un taglio maschile, composto da ciocche rade e deboli, di un arancione spento.

«Vorresti stare da un'altra parte?»

«Dove?»

«Chiudi gli occhi.» ¹


Spinta delicatamente da Harry si adagiò sul terreno, sotto l'albero in cui i due ragazzi avevano inciso i loro nomi, e serrò le palpebre. Inspirò lentamente e  sentì l'aria entrarle nei polmoni.
I polmoni; al solo pensarci Alex rabbrividì, ma non lo diede a vedere, camuffando la sua istintiva reazione come faceva da troppo per rassicurare chiunque la circondasse. Si abbandonò completamente tra l'erba verde del prato all'inglese e prese un altro respiro.
Non osò aprire gli occhi e non parlò. Le bastava l'odore dolce delle foglie sotto il suo corpo.
D'un tratto sentì una leggera ventata arrivarle in volto e un peso sdraiarsi accanto a lei. Harry le strinse la mano come faceva ogni volta in cui capiva che la sua amica non era forte come voleva apparire e che, anche lei, aveva bisogno di qualcuno accanto a lei.
Lo immaginò con i suoi ricci ribelli, nei quali aveva il vizio di infilare le mani fino a farlo innervosire, sparsi a terra. 
Lo immaginò sorridere e vide le fossette che spuntavano ogni qualvolta incurvasse le labbra e per le quali si ritrovava spesso a sorridere di riflesso.
Lo immaginò chiudere gli occhi e assumere un'espressione beata, la stessa che aveva mentre la domenica mattina fingeva di dormire.
Alex rispose alla stretta con altrettanta forza e avvertì la familiare morsa al cuore che ultimamente la attanagliava troppo spesso.
Aveva paura, paura di morire, ma non lo dava a vedere, perché se avesse avuto un crollo emotivo, probabilmente sua madre sarebbe morta all'istante..
«Quando guarirai...» cominciò Harry e si bloccò, evidentemente per pensare a cosa dire e, soprattuto, come dirlo. Nonostante il riccio rivelasse sempre i suoi pensieri, senza mezzi termini o circonlocuzioni, quella volta si trovava stranamente in difficoltà.
La ragazza sentì già le lacrime premere prepotenti per uscire, e ringraziò il fatto di avere gli occhi chiusi. Nonostante i dottori la rassicurassero spesso ricordandole di come sua madre avesse superato la stessa malattia, non credeva che quelle inutili parole si sarebbero avverate, tuttavia ci sperava. Ci sperava che sarebbe guarita anche quando fantasticava su come sarebbe stato il suo funerale, su chi sarebbe venuto e sugli abiti con cui l'avrebbero vestita. Sperava di superare la malattia anche durante la prima seduta di chemioterapia, alla quale Harry la aveva accompagnata. Provava a convincersi che sarebbe valsa la pena lottare, anche quando quella volta, dal parrucchiere, aveva sentito le ciocche bionde cadere sul pavimento e l'agghiacciante zac provenire dalle forbici metalliche che il sadico uomo stringeva tra le dita.
«Viaggeremo.» sentenziò. «E ti porterò ovunque vorrai. New York, Roma, Parigi, Madrid. Ti porterò in Asia, e anche in Africa!» continuò infervorato dalle sue stesse parole, convinto che ciò che diceva avrebbe potuto avverarsi.
Fantasie, stupide fantasie di uno stupido illuso ragazzo, convinto di poter sfidare il destino senza essere schiacciato da esso.
Harry era anche più ottimista, e dava per oro colato le profezie di dottori e quant'altro, senza neanche mettere in dubbio che la sua amica sarebbe sopravvissuta. A quattordici anni non si può morire, si ripeteva spesso.
«Ti porterò in quel locale al centro di cui mi parli spesso, ti porterò al mare, su Venere, Marte e, se non gradisci l'assenza di gravità, al centro del mondo.»
Sembrava un bambino, uno splendido bambino. 
«Ti porterò ovunque, te lo giuro.» pronunciò l'ultima frase con il tono stanco di chi è a metà fra il sonno e dormiveglia.
Alex fu sicura che il suo amico stesse dormendo quando sentì la stretta farsi più flebile e un leggerò russare provenire dalla sua destra.
«Portami dove mi devi portare.» sussurrò lei, prima che il sonno si impossessasse di lei.
Una lacrima le solcò il volto, ma ormai era troppo lontana perché potesse accorgersene.


Aprì gli occhi e si aspettò di vedere l'albero dell'amicizia, il cielo rischiarato da un timido sole o il cupo e bianco ospedale che la fissava truce, ma tutto ciò che si trovò davanti fu una larga striscia gialla e qualcosa di grigio che scorreva veloce.

Si sentì tirare indietro e vide Harry che la teneva per il polso.

«C'è scritto non oltrepassare la striscia gialla, caterpillar.» le scoppiò a ridere in faccia e la abbracciò.

Alex si guardò intorno spaesata, fino a quando la cosa si arrestò esattamente davanti a lei.

«Benvenuta nella metropolitana, signorina. Volevo portarla in cavallo, ma poi il tipo mi ha sparato qualcosa come settanta euro.» borbottò il suo amico.

Da quando a Londra era così caldo, da quando la metropolitana era così sporca e soprattutto, in quale realtà parallela nella capitale inglese circolavano ancora cavalli?

«Questi italiani.» sentì un borbottio alla sua destra, e voltandosi trovò Harry che osservava in cagnesco un gruppo di uomini di mezz'età, i quali lo avevano prepotentemente superato.

«Italiani?» esclamò confusa.

«Siamo in Italia, presumo siano italiani. Anche perché, quale folle turista che non siamo noi verrebbe a rinchiudersi in questo sporco buco? Pensa: un euro e cinquanta di biglietto, tre euro noi due! Una rapina legalizzata.» 

Italia? Da quando si trovava in Italia?

Nonostante le domande vorticassero nella sua testa, non proferì parola ed entrò nel vagone. Prese posto in uno dei tanti sedili terribilmente arancioni e stette in silenzio tutto il tempo.

Quando arrivò a destinazione, più confusa che mai, Harry le afferrò una mano e la catapultò fuori da quel buco sotterraneo.

Inspirò e si accorse che l'aria era, rispetto a quella di Londra, molto più afosa ma quasi inquinata allo stesso modo.

Percorsero un viale abbastanza largo e altrettanto sporco, ai lato di cui stavano numerosi mendicanti e presunti veggenti, e poi, con grande stupore, si ritrovarono di fronte a quella che poteva essere semplicemente descritta come bellezza.

Una piazza, un'enorme piazza brulicante di persone di tutti i colori, di tutte le nazionalità e tutte diverse tra loro. 

Esattamente davanti a loro, con lo sfondo di un cielo limpido, un edificio color crema e un brusio allegro di lingue differenti, si stagliava una scalinata alta quanto affollata. Le persone sedute sui gradini erano talmente tante che neanche si capiva più se fossero ammassati uno sull'altro o se fossero effettivamente sostenuti da qualcosa.

Il cuore le batteva così forte nel petto che neanche poteva crederci. 

Stava calpestando lo stesso suolo in cui avevano marciato i soldato Romani millenni prima, probabilmente per avventurarsi in qualche guerra di conquista; magari, gli stessi che si erano imbarcati e avevano raggiunto l'Inghilterra, per poi fermarsi a quello che sarebbe stato il confine col la Scozia secoli dopo.

Stava respirando l'aria che Michelangelo, Raffaello e altri pittori e scultori avevano avuto l'onore di inalare mentre dipingevano la Cappella Sistina.

Stava osservando il cielo nella stessa prospettiva in cui lo avevano osservato tutti gli uomini che  erano passati per la Città eterna, tutti quelli che ci erano nati, vissuti e morti, e non poteva che sentirsi euforica.

Quando un gruppo di turisti, forse spagnoli, si scostò, gli occhi di Alex notarono una fontana meravigliosa.

Spalancò la bocca dalla sorpresa e portò le mani davanti alla bocca.

«Questa è Piazza di Spagna, quella è la Scalinata di Trinità dei Monti e lì, a destra, vivevano quei due pallosi romantici di Keats e Shelley, che se non sbaglio ci hanno anche lasciato le penne. Questa davanti è la Fontana della Barcaccia, non è una meraviglia?» le domandò Harry pronunciando le parole italiane con uno sforzo sovrumano. 

Alex poté sussurrargli un grazie sentito. Un grazie dal cuore, per tutto quello che aveva fatto. A loro non servivano prolissi discorsi su quanto fosse bella la loro amicizia e su come non avrebbero potuto perdersi; non erano necessari abbracci lunghi secoli o appiccicosi baci sulla guancia. Per dimostrarsi il bene che provavano l'uno per l'altro bastavano le lunghe ore passate a parlottare, a passeggiare e a ridere, fregandosene di coloro che li additavano o li scambiavano per fidanzati. ²


«Portami ovunque, portami al mare.»


Sentì un rumore dolce, quasi cullante, che tuttavia non ricordò di aver mai udito.

Mantenne gli occhi chiusi per non staccarsi dal contatto caldo che le riscaldava la schiena. Temeva fosse tutto un sogno e che, una volta sveglia, quella situazione di benessere sarebbe scomparsa. Aveva paura che, destandosi, si sarebbe trovata sul lettino bianco dell'ospedale, a sperare che la seduta non la facesse star troppo male dopo.

Destò le orecchie e degli schiamazzi seguiti dal rumore di passi attutiti da qualcosa di morbido le arrivarono, disturbando leggermente la sua quiete. Decise di non farci caso, almeno per un primo momento.

Solo quando qualcosa di incredibilmente freddo le precipitò sulla schiena, si riscosse dal suo sogno.

Si alzò si scatto e aprì la bocca per urlare, rimproverare e persino mordere, ma le parole le morirono in gola.

Il mare, da quando non andava al mare? Probabilmente dal momento in cui le avevano diagnosticato un tumore al polmone e sua madre, troppo paranoica per farla solo uscire di casa, l'aveva pregata per guardarlo solo in cartolina. Non che avesse tutti i torti, quella donna. Infondo, il Mare del Nord non era un bel vedere e di sicuro, con le sue gelide temperature, non giovava alla sua salute già precaria.

Eppure il sole era troppo cocente perché quella fosse la Scozia o l'Inghilterra del nord, e quel mare era troppo cristallino perché lo si considerasse il glaciale mare aperto dell'Europa Settentrionale.

«Australia!» urlarono alle sue spalle.

Si trovò improvvisamente davanti Zayn, Louis, Liam, Niall, alcuni amici e i secchi d'acqua che portavano appesi alle braccia. 

L'acqua gelida la sommerse. Si lamentò, ma poi rise come non aveva mai fatto.

«Benvenuta in Australia.» gridarono tutti in coro.

Harry le si avvicinò e le porse una conchiglia molto piccola, ma variopinta e particolare.

«Fantastico, ragazzi, semplicemente fantastico.» sussurrò, continuando a ripetere numerosi grazie.

«Dillo che ci ami.» si vantò Zayn, alzando il mento e chiudendo gli occhi, in un gesto di pura vanità.

«Vi amo, vi amo tanto.» trillò Alex in risposta, unendo tutti in un abbraccio di gruppo.

A tutti e cinque i ragazzi importò solo della sua felicità.

La bionda si staccò da quel contattò così familiare e si voltò in direzione dell'acqua.

Le onde, infrangendosi sulla sottile sabbia bianca, schizzavano un po' di spuma sui granchi che, timidamente, si avvicinavano alla battigia.

«L'ultimo che si tuffa offre da mangiare» urlò fiondandosi nell'oceano limpido, seguita dai suoi amici.

«Aspettate, io non so nuotare!» urlò Zayn, ma ormai i suoi amici erano giù sotto' acqua.

«Portami dove mi devi portare, Venere e Marte, o altri locali.»

«I-I am a a ga gin an.» canticchiò un ragazzo avvicinandosi ad Alex e cogliendola di sorpresa.

Le luci del locale le arrivavano in faccia infastidendola in un modo eccessivo; ma diamine, quello era il Franky Buddha e per rimanere nella discoteca più alla moda di Londra avrebbe fatto qualunque cosa, anche sorvolare il fatto che il dj sembrasse accanito contro di lei.

«Come ti sembra la tua festa di compleanno?» le domandò il tipo. Posò le mani sui suoi fianchi e cominciò a ondeggiare a ritmo di quella schifosa canzone che rimbombava nelle casse.

Alex ci pensò bene.

«Perché, è il mio compleanno?» chiese confusa.

«Bambolina, devi esserti calata qualcosa di davvero pesante per non ricordare che giorno è questo. Fai diciotto anni, è un traguardo importante.» le alitò in faccia.

L'ubriaco doveva essere lui. Lei aveva quattordici anni, non si drogava e soprattutto non si faceva mettere le mani addosso da ventenni poco sobri.

Scappò dalla sua presa e si allontanò il più possibile dalla sala, mentre la confusione si impossessava di lei. Cercò di scovare Harry curiosando in ogni angolo, ma non lo trovò.

Incontrò per caso anche una faccia che conosceva fin troppo bene; si chiese solo cosa ci facesse lì la sua ex migliore amica. Frances se ne stava impalata a osservarla da lontano, dall'alto dei suoi ventuno anni, con un drink in mano e un vestito nero attillato.

Ricordò tutti gli attimi passati insieme, quando aveva undici anni e la sua amica quattordici. Nonostante la differenza di età, si erano volute bene.

Era cambiata dall'ultima volta in cui aveva avuto l'occasione di trovarsi così vicino a lei.

I capelli, una volta castani e lunghi fino all'osso sacro, erano decisamente più corti e più pettinati, al contrario di quando era un'adolescente. Il volto, sempre chiaro e ricoperto da bolle, era ormai completamente liscio e privo di alcuna imperfezione, e Alex non seppe dire se la causa fosse un pesante strato di trucco, perché lei non si truccava mai. Era cresciuta di poco, rimanendo la solita ragazza minuta, ed era dimagrita molto.

Una cosa, una sola, non aveva subito modificazioni. I suoi occhi, sempre quelli. Forse contornati a uno strato di eyeliner e ombretto che un tempo non c'erano stati, forse più messi in risalto dalle luci, ma erano esattamente come li ricordava.

Lo sguardo verde e a volte marrone, variabile a seconda del tempo, la fissava con la stessa espressione di sei anni prima. La stessa malizia, lo stesso sorriso furbo, la stessa corazza di autorevolezza e freddezza che nascondevano una persona insicura.

Alex distolse lo sguardo da quella che era stata la sua migliore amica. Non la odiava e non le mancava. Era ormai una persone come le altre, che non le aveva mai chiesto come stesse quando aveva avuto un tumore e non si era mai realmente dimostrata interessata, forse per orgoglio o per mancanza di parole da rifilare a un'ingenua come lei.

Si avvicinò al bancone e tentò di scacciar via quei pensieri dalla testa. Sentiva quello sguardo intelligente quanto insensibile bruciarle sulla schiena.

«Scusi, scusi, scusi che giorno è oggi?» domandò a un uomo che serviva alcolici anche a chi non avrebbe dovuto.

«Il 5settembre.» le rispose lui dandole le spalle.

«Di che anno?»

Il signore la guardò stralunato.

«Del 2017. Ovvio.»

Ovvio, diceva lui. Peccato che lei ricordasse fosse il 2013, avesse quattro anni in meno e accanto a lei, come ogni suo compleanno, ci fosse Harry.

Uscì con gli occhi spalancati dalla paura, la rabbia e la sorpresa e si catapultò in strada. Corse a perdifiato fino a trovarsi in centro, sentendo la milza esplodere e il cuore tamburellare nel petto.

Si guardò intorno spaesata. Dove era il suo migliore amico? ³

Persa e insicura vagò per quella Londra che non conosceva, percorse quelle strade pericolose e anguste, mentre un senso di impotenza si impossessava di lei. Avrebbe voluto urlare a perdifiato, battersi le mani in petto e azioni simili, ma non sarebbe cambiato nulla. C'era lei nella sola compagnia di se stessa.

Controllò il cellulare e notò che non c'erano chiamate perse o messaggi senza risposta. Aspettava solo un misero squillo da parte di Harry, che però non arrivò. 4

Si guardò intorno. Sola, con un vestito troppo attillato e dei tacchi decisamente troppo alti, che non corrispondevano ai suoi gusti sportivi e al suo corpo un po' mascolino.

Si sedette su una panchina e stette ferma su di essa ad osservare con dolore negli occhi velati dalle lacrime.

I ragazzi e le ragazze della sua età passavano e sembravano non accorgersi della sua presenza. Invisibile, come era sempre stata prima dell'arrivo di Harry, l'unico che nonostante tutto le era stato accanto.

Harry Styles era l'unico che non l'avesse guardata con compassione, tristezza o tenerezza, perché le voleva troppo bene e sapeva che non avrebbe retto.

Notò che la maggior parte di essi fumavano quelle che sembravano sigarette, ma per quanto se ne intendeva potevano essere anche altro. Non aveva fatto mai neanche un tiro, eppure aveva un tumore ai polmoni.

Improvvisamente si sentì sola, sola come non mai. Realizzò solo in quel momento che senza il suo migliore amico non era nulla.

Strinse forte la collana che portava al colla, quella che Harry le aveva regalato anni prima. Un ciondolo, semplice come lei, con un piccolo cuore color ghiaccio, incastonato in una forma di argento che ne delineava il contorno.

Pianse, perché forse lo aveva perso.




«
Portami dove non serve sognare, perché qui non è un gran posto e le speranze non ci sono più. Portami dove a quattordici anni non si muore; portami dove più i capelli sono rasati e più si è belli. Portami dove le malattie non esistono.Voglio scappare.»



Trasalì e spalancò di colpo gli occhi, ritrovandosi di fronte a un cielo grigiastro. Sopra la sua testa, ondeggiavano i rami dell'albero dell'amicizia, i quali sembravano poter precipitare da un momento all'altro.
Si girò verso destra aspettandosi di vedere la testa riccioluta del suo migliore amico, le sue gambe storte o il sorriso rassicurante, ma non si trovò davanti nessuna delle tre cose. 
Guardandosi intorno notò che il sole era quasi sparito e che probabilmente dormiva da davvero troppo tempo. 
Forse era stanco.
Era stanco di lei, della sua malattia che le impediva di svolgere una vita normale, delle sedute di chemioterapia o dei capelli caduti, i quali si depositavano sulla tappezzeria della sua stanza. Era stanco delle raccomandazioni dei dottori, delle passeggiate infinite in campagna o nei boschi, dove forse c'era un po' d'aria pulita che, si sperava, le avrebbe fatto bene.
Era stanco di Alex.

«Le persone hanno paura delle malattie.» la apostrofò una voce alle sue spalle.
Quando si voltò vide una Frances diciassettene, più vicina alla fantasia sfocata del suo sogno che alla ragazzina un po' grassottella che ricordava.
«Io, per esempio, ho paura che qualcosa possa divorarmi dall'interno.» le rivelò mentre si accomodava al suo fianco.
«Con me lo sta già facendo.» 
Non aveva il coraggio di fissarla negli occhi, né di fare altro.
«Ti ammiro.» confessò Frances. «Ti ammiro perché nonostante tutto sei ancora qui che combatti con il sorriso sulle labbra. A volte penso a come sarebbe essere te e so che non ce la farei mai a vivere nella sua stessa pelle neanche per mezz'ora.» prese un respiro profondo, forse radunando tutte le forze che aveva in sé. «Sono una codarda perché non ti ho mai chiesto come stessi o detto nulla. I nostri rapporti si erano già allentanti molto, riducendosi solo al saluto, nel momento in cui hai scoperto di essere malata e io non ho avuto il coraggio di riavvicinarmi a te, forse temendo che sarei passata per quella che aveva compassione per te.»
Alex rimase un attimo a riflettere su quelle parole e ascoltò pazientemente quello che la ragazza aggiunse dopo.
«Non so dirti se io e te siamo mai state effettivamente amiche, perché le amiche si dicono tutto e noi non parlavamo di niente. Tu eri ancora una bambina e io volevo sperare di esserlo ancora e di rimanere tale per il più tempo possibile. Volevo fuggire dalla realtà e dalle mie responsabilità. Posso solo diti che nonostante non sembri ti ho voluto bene.»
«Harry è il ragazzo più dolce di questa Terra, e tu lo meriti perché sei la più brava persona che io abbia mai conosciuto.» concluse e si voltò per un istante a fissarmi negli occhi.
«Non ti ha lasciata sola. È ai distributori automatici di merendine e schifezze ipercaloriche. Twix e succo alla pesca come una volta.» 
Si alzò e si voltò un'ultima volta.
«Dovresti odiarmi.» sentenziò in fine. «Io mi odierei, se fossi in te.»
«Ma tu non sei me e non puoi neanche immaginare di esserlo, perché non ne hai la forza.» le ricordò Alex.
Nessuna delle due seppe se per rimprovero o  altro. Frances si limitò ad annuire e tornò ad avanzare. Scappava, scappava ancora quella codarda.
«Scappando da me non scapperai dai tuoi rimorsi.»
«Chi ti dice che io ne abbia?» codarda, stronza, insensibile. E le voleva bene, nonostante fosse una delle persone peggiore che avesse mai avuto la sfortuna di conoscere.
«Non saresti qui altrimenti.»
«Ciò che non mi è mai piaciuto di te è che parli poco e capisci troppo.» urlò sorridendo. «Ti voglio bene.» continuò.
Avrebbe anche potuto perdonarla, un giorno.


Harry la sorprese alle spalle e la trovò sorridente.
«Quella sbaglio o è la donna dai facili costumi della tua ex migliore amica.»
Al contrario, il riccio non avrebbe mai assolto Frances.
Alex non ascoltò le sue parole.
«Prima stavamo parlando di viaggi.» 
Harry riprese il discorso interrotto a causa del loro sonno. 
«Dove ti piacerebbe andare?»
Alex ci rifletté bene.
Pensò ai suoi parenti e alle persone che avevano avuto un tumore e lo avevano superato grandiosamente e si convinse che avrebbe potuto superarlo anche lei, perché una cosa giusta la Codarda l'aveva detta. Lei era forte.
Pensò ai dottori che le sorridevano, rassicurando a sua madre che sarebbe certamente guarita.
Pensò a suo fratello e ai suoi compiti di Inglese, quelli che non riusciva mai a capire e che lei, astutamente, gli suggeriva di copiare dal più bravo della classe. Lo chiamava ranocchio, bagarosospo e microbo, tuttavia lo amava e voleva che suo fratello crescesse con una sorella di cui andare fiero.
Pensò ai suoi capelli e ricordò che non le erano mai piaciuti più di tanto. Sarebbero ricresciuti e di quello ne era certa. Poi, magari, avrebbe potuto tingerli di azzurro, come aveva sempre desiderato.
Pensò al suo migliore amico che le porgeva un Twix e il succo alla pesca e capì che non se ne era mai andato e che non lo avrebbe mai fatto.
Pensò che nonostante tutto  la aveva sopportata in momenti peggiori e che ancora non si era stancato di lei.
Capì che c'era una possibilità per lei e che le difficoltà vanno affrontate.
«Mi hai già portata in viaggio.» fu la risposta di Alex.
Harry parve ragionarci su. Si incupì i un primo momento, poi sorrise raggiante.
«Siamo dove non serve sognare.»

 

 

 



 

Note.

1 – l'inizio è ripreso dalla prima scena del video musicale della canzone ''Il centro del mondo''. Ci sono due ragazzi che parlano in spagnolo e si scambiano le battute del primo capoverso, che vengono tradotte dai sottotitoli.
 nella scena ambientata a Roma (che, tra l'altro, nel video non c'è, quindi è mia 'invenzione') i due visitano Piazza di Spagna. La scalinata di cui parla Alex non è nient'altro che quella stupenda scala (e molto suggestiva quando piena di persone) di Trinità dei monti e la fontana è la Barcaccia di Bernini. Nell'angolo destro, in cui vivono quei due 'pallosi romantici', ( io non penso assolutamente sia così, chiariamoci) c'è oggi una specie di museo dedicato alla memoria di John Keats, il quale è morto nella sua residenza nel 1821, e Percy Shelley.
 nel video clip questa scena si vede molto bene, anche se io l'ho 'stravolta'. Mentre nel video originale ci sono loro due a New York che, mentre stanno per 'partire' per un nuovo 'viaggio', vengono per sbaglio separati, nella one shot Alex riprende coscienza in discoteca, ma Harry è già sparito.
Nel video la protagonista si ritrova nel passato mentre Alex è nel futuro, ma la sostanza è quella.
 ispirato alla canzone ''You Found Me'' dei Fray. Mi pare giusto citarli.



Ordunque, conclusasi questa ardua impresa, vomitato inchiostro a volontà e successivamente consumato i miei poveri polpastrelli, posso affermare che questa os non mi piace.
Anche se è dedicata a una persone importantissima, non è venuta come desideravo. Nonostante ciò, ci tengo molto e gradirei che mi faceste sapere che ne pensate (anche con una critica) tramite una recensione.


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