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Autore: SofiaAmundsen    03/05/2013    1 recensioni
Sta per suicidarsi, ma prima, ha qualcosa da dire a sua madre. E così le scrive una lettera. Una lettera che è una vita intera.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara mamma,
 
perché non hai mai voluto difendermi?
 
Scusa se te lo chiedo ora, che non ha più senso, che non c’è più niente da difendere. Avrei dovuto insistere, quando te lo chiedevo prima, quando davanti a me c’era una vita di successi, cadute e sorrisi, e non il vuoto di un suicidio. Avrei dovuto pretendere la tua risposta e non permetterti di sviare il discorso sulle mie, presunte, colpe.
 
Avresti potuto farlo, anche  non sempre, anche solo a volte. Avrei voluto che l’avessi fatto, mamma.
Avrei voluto che tu avessi detto no, convinta e sicura di quello che stavi sostenendo, quando lui mi diceva che ero un aborto della natura, una disadattata, un’andicappata. Quando lui mi diceva che la mia vita non aveva senso, che avrei pesato sulle sue tasche finché la legge lo avrebbe imposto e che poi mi avrebbe lasciato a me stessa, ai miei fallimenti.
 
Parlava come se mi avesse salvata, invece di uccidermi.
Parlava come se fosse stato l’eroe e non l’orco.
Parlava come se non fossi sprofondata ogni giorno, tra le sue parole e le sue mani.
 
I suoi, di no, li ricordo. Ricordo i no quando chiedevo di poter uscire e vedere il mondo, i no quando chiedevo di poter essere semplicemente me stessa, i no quando chiedevo di poter essere felice.
Sono i tuoi, di no, che mancano. Mancano i no alle sue parole, mancano i no alle sue mani.
A volte li inserisco nei miei ricordi, in modo ridicolo ed artificiale, sperando che, in qualche modo, il passato si plasmi al mio desiderio. Inserisco no urlati, pianti, disperati, no che riecheggiavano nella casa e nella testa, no che non ammettevano obiezioni, no di una madre che salva la figlia dal mostro.
 
Ma quei no, mamma, non ci sono mai stati. C’è stato il tuo sguardo indifferente, mentre io urlavo, ci sono state le tue spalle rivolte a me, le mani nella cena o in qualcosa di fittizio, mentre io supplicavo a loro di aiutarmi, c’è stata la tua sigaretta, che disegnava fumo nell’aria tra i miei singhiozzi, che una volta si è spenta sulla mia pelle è ha bruciato quanto tutti i tuoi no mancati.
 
Perché non mi hai difeso, mamma?
 
Credevi che non ne valesse la pena? Forse, tra le tante cose, anche questo. Non hai mai capito che c’era in me qualcosa che avesse valore. Mi hai sempre considerato immondizia, lo scarto di qualcosa di indesiderato, l’insufficienza della tua vita. Non ti sei mai accorta che ero intelligente, che sapevo disegnare e sorridere anche quando ero triste. Non ti sei mai accorta che avevo un carattere, una personalità, con pregi, difetti, sfumature: per te, ero soltanto nero e cattiveria.
Forse, per questo non mi difendevi. Forse, pensavi meritassi tutto quello, tutto quel dolore, tutta la droga come male nei suoi occhi e violenza su di me. Forse avevi deciso che avrei dovuto soffrire, come avevi sofferto tu quando ti eri svegliata nel tuo sogno incantato costruito di bugie e ti eri accorta fosse un incubo.
 
Ma io, mamma, ero piccola. Io ero così piccola da scomparire sotto quelle mani e quella malvagità, da vedere tutto enorme come un bambino in una scuola nuova. Ero piccola e, ancora, non lo meritavo. Poi diventiamo tutti adulti, poi, forse sarei stata davvero cattiva e ingiusta e avrei meritato di soffrire, per una crudele legge del Karma, anche se certe cicatrici dentro non le avrei mai meritate. Ma ancora non ero macchiata di un peccato originale tanto grande da vedere la mia vita come briciole sotto i piedi di un gigante, io, che ero solo una bambina nascosta tra i suoi libri, dove nessuno poteva picchiarla, dove nessuno poteva odiarla.
 
Perché non mi hai difeso, mamma?
 
Non contavo davvero nulla? Avrei voluto, invece, che mi avessi voluto bene. Perché per come le cose si erano messe per me, scritte dal destino o da Dio, non mi importa, un papà, non avrei mai potuto averlo. Non avrei potuto, perché un tossico bastardo che ti picchia e uccide l’animo ogni giorno, che odia le donne e le considera merda e oggetto dell’uomo, che non ha rispetto neanche di sé stesso, tra i fumi di una sostanza che ti prende e ti fa dimenticare chi sei, non lo si potrebbe mai chiamare papà.
Quanto mi fa male questa parola. Non riesco a dirla, neanche a pensarla, e il mio cuore sputa sangue ogni volta che qualcun altro la pronuncia a voce alta. Non per quello che non ho avuto, ma per quello che ho avuto.
 
Ma una mamma, quella si, avrei potuto averla. Avrei potuto avere una mamma che mi asciugasse le lacrime disegnate da lui e medicasse le ferite dello scontro tra il mio e il suo corpo. Una mamma che mi dicesse che ero bellissima, anche mentre piangevo, che mi dicesse di smettere di singhiozzare, perché aveva bisogno del mio sorriso per andare avanti, una mamma che mi dicesse che tanto c’era lei, ad amarmi, tutto il resto non contava.
 
E invece non l’ho avuta. Non l’ho avuta perché tu hai scelto lui. Tra il bene e il male, tu hai scelto il male. Tra l’orco e la principessa, tu hai scelto l’orco. Tra l’assassino e la vittima, tu hai scelto l’assassino.

Ecco, allora, perché non mi hai difeso. Perché hai scelto lui.
 
Perché non mi hai difeso, mamma?
 
Te lo chiedo ancora, e ancora, e quando avrò avuto il coraggio di lasciar andare, te lo chiederà il mio silenzio per me, la mia assenza per me, il mio lutto per me.
 
   
 
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