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Autore: MedusaNoir    03/05/2013    1 recensioni
A Roma Giovanni e Matteo gestiscono un negozio di fumetti, ma sono anche soci di un'associazione ludica dove spesso alcuni ragazzi dell'Eur si ritrovano per giocare di ruolo. Marta, goffa e testarda, cerca di seguire più serie tv possibili, finendo così per pensare per citazioni; Leonardo è timido, ma gli basta parlare di "Game of Thrones" per dimenticare di avere davanti un'altra persona; Stefania, ventun'anni, è la più piccola del gruppo e cerca di mascherare con un atteggiamento scostante l'insicurezza che deriva dall'avere un corpo massiccio e troppo lontano dai canoni della bellezza; Roberto è manipolatore e detesta essere battuto, che si tratti di giochi da tavola o di scommesse.
Tra feste nel negozio di fumetti, giochi e vacanze di ruolo - ma senza dimenticare la vita universitaria o domestica che scorre intorno ai protagonisti, divorzi, esami e amori inaspettati - i sei ragazzi si troveranno ad affrontare le loro paure e, chissà, forse anche a superarle.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Il guaio è che non sono pazze. Sono donne e basta




A Stefania piacevano i negozi di musica, che vendessero CD o strumenti andavano bene comunque. Le piaceva indossare le cuffie e ascoltare i dischi in vendita, allo stesso modo in cui si ritrovava a sorridere quando camminava accanto alle chitarre esposte a Music Town. Ma le chitarre non le interessavano se non per un rapido sguardo: lei suonava il basso. Lei amava il basso.

Le amiche del liceo, quando aveva cominciato a prendere lezioni, le avevano fatto notare che quello strumento sarebbe stato soffocato dalla chitarra elettrica e dalla batteria, ma per la prima volta – la prima di una lunga serie, però – Stefania aveva deciso di non ascoltarle. Non le interessava suonare in un gruppo, voleva solo strimpellare il basso di tanto in tanto, godendo di quel suono che la faceva sentire viva.

Dimenticava quasi di essere grassa in quei momenti, finché durante il concerto di fine anno scolastico, quando lei frequentava il terzo anno del liceo pedagogico, alcuni studenti che si ritenevano spiritosi non l’avevano prima insultata durante la sua esibizione e dopo, una volta in strada, teso un agguato volto a distruggerle il basso, “così non avrebbe più suonato di merda.” Se fosse stata una bella ragazza non l’avrebbero presa di mira, ma forse le sarebbe bastato, pur grassa e un po’ miope com’era, cercare di farsi rispettare invece che fingere di essere invisibile durante le sei ore di lezione quotidiane. Quando era tornata a casa in lacrime, suo padre – per i sensi di colpa di non avere saltato il lavoro in modo da assistere al concerto, oltre che per la rabbia di vedere la figlia in quelle condizioni – le aveva fatto costruire un basso su misura, con inciso sulla paletta STEROCK: ad altri figli sarebbe sembrata una scelta patetica, ma Stefania la ritenne fin da subito la migliore firma del mondo.

Si era fatta più furba da allora, un po’ alla volta, fino a diventare la persona più cinica che conoscesse. Aveva vacillato, tempo prima, ma si era poi promessa di non farlo mai più. Avrebbe smesso di farsi male.

Mentre era immersa nei ricordi, le cuffie nelle orecchie, avvertì qualcuno tamburellarle sulle spalle. Il suo primo istinto, però, fu di sgranare gli occhi, perché era finita ad ascoltare una compilation che non rientrava assolutamente nei suoi gusti.

«Allora, che mi dici di Mengoni?»

Stefania riconobbe quella voce non appena si fu tolta le cuffie. Ma perché proprio lui doveva averla beccata in una situazione così imbarazzante?!

«Stavo ascoltando la voce di una donna, in realtà» rispose scocciata, incrociando le braccia sulla difensiva e voltandosi verso il suo interlocutore.

Roberto non staccò gli occhi dai DVD che teneva in mano. «E fingi di non sapere neanche chi fosse, vero?»

«Guarda che sto dicendo la verità: non guardo Sanremo, non so come sono finita a… Ma sei pazzo?!»

Sorpreso dalla voce improvvisamente acuta di Stefania, Roberto distolse lo sguardo dai suoi acquisti e lo portò su di lei. «Me lo chiedono in tanti, ma di solito faccio qualcosa prima.»

«Non puoi farti vedere con questa roba!» Stefania gli strappò un DVD dalle mani, sconvolta. «È un porno

«Ora sei tu a fartici vedere.»

«Sono… sono tutti porno!»

«Esagerata, ci sono anche due hentai.»

Lentamente, Stefania si disse che doveva recuperare la dignità – che stava diventando inversamente proporzionale all’intensità della sua voce – e lanciò al ragazzo il DVD che aveva preso.

«Non sarebbe meglio scaricarli?»

«Scherzi? Questa è roba d’autore!»

Non doveva ascoltarlo. Non doveva. La cosa migliore da fare era dimenticare la prospettiva di un rilassante pomeriggio al centro commerciale e correre a casa, sprangare la porta e infilarsi sotto le coperte, il più lontana possibile da quel pazzo megalomane. Si mosse verso l’uscita del negozio, ma Roberto la fermò.

«Ehi, facciamo un patto: io non farò parola sul CD di Sanremo se tu racconterai a tutti quello che sto comprando. D’accordo, dearie

Megalomane. E pazzo.

«Le citazioni funzionano con Marta, non con me.»

«A proposito di questo…»

«No, non ti dirò come far colpo su di me.»

«Veramente parlavo di Marta.»

Stefania arrossì violentemente. Come poteva aver usato quelle parole? Lei non pensava che Roberto volesse provarci, credeva che stesse ordendo qualche piano maligno.

«Intendevo… Non “far colpo”, ecco… Solo…»

«Capire quali fossero i tuoi punti deboli per sedurti e abbandonarti. Sono orgoglioso di me, sono riuscito a lasciarti senza parole pur non facendo niente!»

Voleva andarsene. Voleva chiudersi in casa e sotterrarsi sotto le coperte, ma per un’altra ragione. Chi era quel ragazzo? Perché sembrava conoscerla anche se l’aveva vista appena tre volte? E poi quella stupida aria di superiorità…

«Senti un po’, Lannister, perché non andiamo a farci una chiacchierata?»

Stava per chiedergli come diavolo facesse a sapere anche quello, ma poi si ricordò quale maglietta stesse portando.

«Non ne ho voglia.»

«Ti offro un cornetto.»

«Sono a dieta.»

«Beh, meno male. Ma un piccolo sgarro te lo puoi concedere.»

Se lo concesse. Roberto era un pazzo, un megalomane e anche un porco per avere il coraggio di andare in giro con una busta piena di porno – non che qualcuno potesse vedere l’oggetto dei suoi acquisti – ma Stefania apprezzava la sua schiettezza; in passato, quando qualcuno era stato schietto con lei, l’aveva fatto per deriderla, ma Roberto sembrava semplicemente incapace di tenere la lingua a freno. Perlomeno era più divertente di quella lagna del suo amico.

Si sedettero a uno dei bar del centro commerciale, con due caffè e un cornetto al cioccolato davanti: se doveva farsi del male, meglio farlo per bene.

«Di che volevi parlare?»

«Di Marta, no?» Roberto allungò i gomiti sul tavolo, la testa poggiata sulle mani chiuse a pugno. «Dimmi tutto quello che sai di lei.»

«Le piace Matteo.»

«Non credo potrebbe aiutarmi a conquistarla.»

«Ti sto mettendo in guardia.»

«Lo sapevo già. Film preferito? Genere musicale?»

Stefania sollevò un sopracciglio. «Se sai che è cotta di un altro, perché non ti tiri indietro?»

«Un Lannister lo farebbe?»

«Un Lannister paga sempre i suoi debiti.»

«Ti sei risposta da sola, allora.»

Si concesse qualche minuto di riflessione, pur sapendo di avere gli occhi verdi di Roberto e il suo ridicolo ghigno puntati contro. Alla fine decise.

«Ama le serie tv. Tutte. No, in realtà quasi tutte: detesta Gossip Girl. Non parlargliene mai, le verrebbe il prurito.»

«Non mi sarei comunque sognato di tirarlo in ballo.»

«Odia le gonne.»

«Abbastanza evidente. Qualcosa che non so?»

Stefania rifletté ancora. «Il suo film preferito è Apocalypse Now, ha letto cinque volte in un anno Orgoglio e pregiudizio e quando è giù di morale fugge da qualche parte a scattare fotografie.»

«Ottimo.» Roberto bevve il suo caffè, mentre Stefania si concedeva un morso condito dal senso di colpa al suo cornetto. Un senso di colpa nei confronti della sua dieta, non dell’ipotetica storia d’amore tra Marta e Matteo. «Perché mi stai aiutando?»

«Perché me l’hai chiesto.»

«Basta così poco?»

Stefania addentò una seconda volta il cornetto, assaporando finalmente il cioccolato. «Matteo ha dieci anni più di Marta, lei si farebbe solo male. E poi sono una tale noia.»

Roberto le sorrise, soddisfatto, e si ritrovò a sorridere anche lei.

 

 

Quel pomeriggio non era cominciato bene.

Nel giro di due ore, Giovanni aveva fatto crollare a terra, nell’ordine, due action figures di Death Note, il DVD del Castello Errante di Howl, le copie nuove dei Fantastici Quattro, una pila corrispondente a una serie completa di manga – e non una di pochi volumi: Dragon Ball – e l’espansione del gioco da tavola dei Pilastri della Terra che aveva messo da parte per Roberto. Aveva perfino imprecato per la prima volta di fronte a un cliente.

Cliente che, per sua fortuna, era Leonardo, subito accorso ad aiutarlo a riunire i pezzi del gioco da tavola. Poteva perfino dire di avere un rapporto d’amicizia con lui, quindi era abbastanza sicuro che uno dei suoi migliori clienti non sarebbe fuggito via per non tornare mai più al Vecchio Mangaka.

Sbuffò e sbatté la scatola sul bancone, esausto. Leonardo si avvicinò a lui titubante e dovette notare le sue occhiaie, perché gli chiese se avesse dormito.

«No,» rispose Giovanni, nervoso, «e neanche la notte scorsa.»

«Non puoi chiedere a Matteo di sostituirti?»

«Oggi è il suo turno di occuparsi dell’associazione.»

«Forse sarebbe meglio se vi scambiaste, qui rischi di far cadere altro…»

«No, ieri è toccato a me e ho perfino rovesciato sulla maglietta di un ragazzino il tè che mi aveva chiesto.»

«Vuoi che ti dia una mano?»

«Sì, magari. Anche solo per controllare che non faccia altri danni.»

Si strofinò gli occhi rossi e stanchi. Non riusciva a dormire da due giorni, aveva anche provato a leggere Il Pendolo di Foucault – libro che in altre occasioni non aveva tardato ad aiutarlo – ma era stato inutile. Come conciliare il sonno se, ogni volta che chiudeva gli occhi, una Caterina supplicante e poi furiosa appariva immediatamente davanti a lui? Doveva provare con i sonniferi, si disse che avrebbe chiuso qualche minuto prima quel giorno per poterli andare a comprare. O avrebbe chiesto quel favore a Leonardo.

«Cos’è successo?» gli chiese proprio lui, mentre Giovanni si passava stancamente una mano sul viso.

«Ti ricordi di Cate? Voglio dire… l’hai mai conosciuta?»

Leonardo aggrottò la fronte. «Certo che l’ho conosciuta. Mi avete invitato anche a cena una volta.»

Giovanni si accorse di essere messo peggio di quanto pensasse. Scorse una domanda negli occhi di Leonardo, una domanda che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: «Vi siete già lasciati, che può esserci di peggio?»

Poteva esserci. Quando un rapporto si rompe, c’è spesso possibilità di aggiustarlo, c’è la speranza che tutto torni come prima – soprattutto nel loro caso, con dieci anni di fidanzamento alle spalle oltre a quelli del matrimonio – ma con il passare del tempo quella speranza si affievolisce e si crea un buco nello stomaco; Giovanni non amava più Caterina, però questo non significava che la sua assenza dopo quasi due decenni facesse veramente male.

«Cate vuole l’appartamento,» spiegò, «e io non ho idea di dove andare a vivere.»

«Il lavoro non ti permette almeno l’affitto di una casa qua vicino?»

«Non è questo il punto.» Come faceva a non capire? Eppure era così evidente: i risparmi, la prima notte di nozze, la culla per il bambino, le cene con i parenti… «Abbiamo sognato di vivere insieme fin dal liceo e ora quello che lei vuole è proprio il nostro sogno. Tutto per lei.»

«Un po’ egoista, eh.»

“Cate non è egoista.” Si morse la lingua, impedendosi di ribattere. Non aveva più il dovere di difendere sua moglie, ora poteva dire ciò che pensava.

E Cate continuava a non essere egoista.

Ma non lo disse, non aveva senso.

«Sei ancora innamorato di lei?»

La domanda di Leonardo arrivò a bruciapelo. Perché avrebbe dovuto chiederglielo? Forse pensava che fosse quello il motivo della sua insonnia?

«No, non lo sono.»

Quanti “no” quel giorno, sembravano tanto una scusa. Scosse la testa, rifiutando quell’idea.

Leonardo non disse altro, rimase in silenzio e lo aiutò a sistemare i nuovi arrivi sugli scaffali. Giovanni rifletteva. Perché lo stava ancora facendo? In fondo rifletteva da due notti, da quando ci avevano riprovato, da quando si erano lasciati, da quando Cate gli aveva confessato il tradimento, da quando avevano cominciato a non amarsi più. Non era servito a niente, perché lui non aveva fatto niente: aveva solo guardato sua moglie che se ne andava, il loro rapporto che si spezzava, i loro sogni in frantumi; avevano passato cose peggiori anni prima, avevano sofferto come Giovanni non avrebbe augurato a nessuno di soffrire, eppure quella volta non erano riusciti a reagire.

I campanelli suonarono, annunciando l’ingresso di un cliente. Giovanni si voltò per accoglierlo, ma si bloccò.

«Ben-»

C’era Caterina davanti a lui, una Caterina che ai tempi del liceo non avrebbe mai immaginato di vedere così, lo sguardo glaciale, il tailleur da segretaria. Non sognava di diventare un’archeologa? Com’era finita a tenere la contabilità di un’azienda di elettrodomestici?

“I sogni fanno brutti scherzi.”

«Ciao» lo salutò, avvicinandosi al bancone con sorprendente lentezza.

La voce che uscì dalla bocca di Giovanni era rauca. «Cia… Ciao.»

Troppi “no”, troppe domande, ma era davvero possibile non chiedersi come due persone che si conoscevano da vent’anni potessero rivolgersi un secco e insapore “Ciao”?

Cate si accorse dopo un po’ della presenza di Leonardo, in piedi accanto a lui. Sgranò gli occhi. «Oh, ciao, Leo. Come stai?»

«Bene, Cate.»

Buon vecchio Leonardo, così fedele al suo amico da reprimere la gentilezza che lo caratterizzava! Se solo Cate non fosse stata davanti a loro, Giovanni gli avrebbe detto che poteva trattarla come aveva sempre fatto, lui non si sarebbe offeso.

«Come mai sei passata?» chiese Giovanni, fingendo di non sentire il vuoto nello stomaco che, stranamente, si faceva più profondo quando Cate era con lui.

«Volevo… volevo chiederti un anticipo sulla se… sull’accordo» rispose Cate, distogliendo lo sguardo e fissando apparentemente rapita il poster di Warhammer. «Il servizio da tavola che abbiamo usato qualche anno fa: i miei hanno distrutto il loro, sono rimasti solo cinque piatti, e sabato abbiamo una cena importante. Il mio capo, sai.»

“Quel porco.”

Cate sembrò ricordarsi del ruolo che il suo capo aveva avuto nel loro matrimonio e avvampò.

«Puoi passare a prenderlo stasera, sarò a casa» disse Giovanni, il tono più gelido di quanto avrebbe voluto.

«Preferirei se mi dessi le chiavi. Ho un impegno e sono piuttosto in ritardo.»

“Perché sei geloso solo adesso?” chiedevano i suoi occhi. “Potevi fare qualcosa quando ancora ne avevi il diritto.”

Giovanni frugò nel cassetto del bancone ed estrasse un mazzo di chiavi, che le porse sgarbatamente; Cate fece un passo avanti, le afferrò e si ritrasse.

«Grazie. Ci vediamo.»

Uscì mentre Giovanni la salutava con un cenno del capo. «Ciao» disse, quando si rese conto che non poteva vederlo, ma Cate era già andata via.

 

 

Quello era il secondo martedì in cui Matteo la sera non sarebbe dovuto tornare al Sotterraneo del Drow per masterizzare una campagna per la quale, ormai, aveva perso interesse. Era eccitato all’idea di giocare ancora con il nuovo gruppo, quel venerdì, e continuava a camminare avanti e indietro nella ludoteca con la mente rivolta agli “eroi di Sandpoint”.

Avevano un barbaro e per quella campagna era perfetto: sperava solo non compiesse azioni tanto malvagie – «Sono caotico neutrale, vedete di farvelo andare bene» – perché al gruppo servivano eroi, non folli che bramavano solo la sete di sangue. Personaggi che lui, in altri casi, apprezzava più degli altri. Stefania giocava bene il suo personaggio, ma Matteo avrebbe preferito che cessasse il fuoco nei confronti di Leonardo.

Però aveva ragione: era un elfo mago.

Scosse la testa, ridendo da solo. Uno dei giocatori di Sine Requie si voltò verso di lui e aggrottò la fronte.

No, un elfo mago non significava per forza un cattivo personaggio, anche perché Leonardo aveva sempre saputo interpretarlo bene; d’altronde, quello che a lui interessava era stare lontano dalla mischia. Matteo si disse di controllare per l’ennesima volta il manuale, alla ricerca di qualche nemico della stessa classe di Jerle che potesse renderlo muto nel bel mezzo di una battaglia. E che frantumasse lo spadone di Ygritte. Spesso i suoi giocatori gli dicevano che era sadico.

Roberto-Robert non era male, ma temeva che anche lui potesse passare a un allineamento malvagio; non lo pensava a causa del personaggio, bensì dello stesso Roberto, che non gli infondeva molta fiducia. C’era un qualcosa nei suoi atteggiamenti… Non importava, non doveva preoccuparsi subito, probabilmente sarebbe andato tutto per il meglio, nella campagna.

E poi c’era Amy. Matteo sorrise al muro, ricordando anche lei: Amelia Pond, la compagna dell’Undicesimo Dottore. Amava quel personaggio ed era felice che fosse lo stesso anche per Marta, dal momento che non erano in molti altri ad apprezzare il suo carattere forte. La Amy di Sandpoint, però, era diversa da quella originale e Matteo apprezzava anche questo, preferendo un personaggio completamente nuovo a una scopiazzatura: non era sicuro che Marta sarebbe stata in grado di interpretare bene Amelia Pond. Non era poi tanto brava come giocatrice, ma aveva deciso di darle una possibilità. Almeno non era una di quelle persone che davano buca all’ultimo momento: Marta sembrava rimandare qualunque impegno pur di giocare – aveva saputo, sentendola parlare con Stefania, che il venerdì successivo avrebbe avuto una festa di laurea – e Matteo apprezzava questo spirito.

Quel pomeriggio lui si sentiva bene, rilassato dopo tanto tempo, e niente avrebbe potuto guastargli quel momento, neanche i giocatori di Sine Requie che scioccamente avevano interrotto la sessione per parlare del nuovo capitolo di Naruto – certe cose erano sacre e, se fosse stato Matteo il master, avrebbe punito la digressione su una tale cavolata di shonen con un pericolo mortale apparso dal nulla.

Ma quel giorno niente gli avrebbe fatto andare di traverso la cioccolata calda che stava per prepararsi.

Il cellulare squillò e Matteo se ne accorse solo dopo qualche secondo; pensando che forse Giovanni avesse bisogno di lui, lo afferrò e si accinse a rispondere senza controllare di chi fosse la chiamata.

Successivamente, Matteo si rese conto di quanto potesse sembrare strana la sua improvvisa trasformazione a uno dei giocatori presenti nel Sotterraneo del Drow dopo che ebbe spinto il tasto per accettare la chiamata.

Voce allegra. «Ehi, dimmi!»

Silenzio.

Tono più basso. «Non avevo… no, pensavo fosse un’altra persona.»

Breve silenzio.

«Io sto bene, e tu?»

Silenzio ancor più breve.

«Federico tutto a posto?»

Silenzio. Respiro trattenuto. Ancora silenzio.

«Capisco… Beh, non è una situazione facile. Immagino che lui non sappia…»

Fiato sospeso.

«Ovviamente. Non preoccuparti, non ne farò parola in sua presenza. Quando…?»

Silenzio.

«È Pasqua.»

Silenzio. Sguardo rivolto al soffitto. Piedi che battono nervosamente.

«E sei sicura di farcela per domenica mattina? Senti, se è una scusa…»

Silenzio. Mano sugli occhi.

«Non intendevo… D’accordo, va bene. Facciamo sabato. Ti aspetto.»

Matteo spinse il tasto per terminare la chiamata, poi ripose il cellulare nella tasca. Senza neanche salutare i giocatori di Sine Requie uscì in strada per calmarsi.

«Passerò il 31. Ti prego, ne ho bisogno…»

Tirò un calcio a una lattina, facendola cozzare contro la ruota di un'auto parcheggiata in doppia fila. Non poteva certo tirarsi indietro.


NOTE

 

Il titolo è una citazione di Skins.

 

STEFANIA:

- dearie: citazione di Rumpelstiltskin (Once Upon A Time).

- Lannister: una delle casate di Game of Thrones.

- “Un Lannister paga sempre i suoi debiti”: non è il motto della casata, ma una frase sempre legata a essa.

 

GIOVANNI:

- Warhammer: miniature.

 

MATTEO:

- Sine Requie: gioco di ruolo italiano basato su un AU, ambientato alcuni anni dopo, nel quale Hitler ha vinto la Seconda Guerra Mondiale e i morti tornano in “vita”.

 


SPAZIO AUTRICE

 

Ciao a tutti!

Questa volta sono riuscita ad aggiornare prima del previsto (di un “previsto” pessimista, due settimane invece dell’unica settimana in cui speravo all’inizio), ma sto già lavorando al capitolo successivo, quindi potreste averlo proprio tra una settimana!

Non ho messo Naruto nelle note perché, beh, credo sia abbastanza conosciuto. Per quanto riguarda Amy Pond, io sono tra i suoi detrattori, ma sto provando a “mettermi dalla parte” di chi la ammira.

Mi è piaciuto scrivere la parte su Stefania e Roberto, mi diverto a far interagire quei due – non parlo di un’ipotetica ship, ma della loro contemporanea presenza “sulla scena”.

Spero che questo quarto capitolo vi sia piaciuto, sono felice di sapere che questa storia è abbastanza seguita (per i miei canoni, e tanto basta).

Grazie a tutti voi e anche a Dark Aeris per aver controllato il capitolo!

A presto :)

 

Medusa

   
 
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