Il guaio
è che non sono pazze. Sono donne e
basta
A
Stefania piacevano i negozi di musica, che vendessero CD o strumenti
andavano
bene comunque. Le piaceva indossare le cuffie e ascoltare i dischi in
vendita,
allo stesso modo in cui si ritrovava a sorridere quando camminava
accanto alle
chitarre esposte a Music Town. Ma
le
chitarre non le interessavano se non per un rapido sguardo: lei suonava
il basso.
Lei amava il basso.
Le
amiche del liceo, quando aveva cominciato a prendere lezioni, le
avevano fatto
notare che quello strumento sarebbe stato soffocato dalla chitarra
elettrica e
dalla batteria, ma per la prima volta – la prima di una lunga
serie, però –
Stefania aveva deciso di non ascoltarle. Non le interessava suonare in
un
gruppo, voleva solo strimpellare il basso di tanto in tanto, godendo di
quel
suono che la faceva sentire viva.
Dimenticava
quasi di essere grassa in quei momenti, finché durante il
concerto di fine anno
scolastico, quando lei frequentava il terzo anno del liceo pedagogico,
alcuni
studenti che si ritenevano spiritosi non l’avevano prima
insultata durante la
sua esibizione e dopo, una volta in strada, teso un agguato volto a
distruggerle il basso, “così non avrebbe
più suonato di merda.” Se fosse stata
una bella ragazza non l’avrebbero presa di mira, ma forse le
sarebbe bastato,
pur grassa e un po’ miope com’era, cercare di farsi
rispettare invece che
fingere di essere invisibile durante le sei ore di lezione quotidiane.
Quando
era tornata a casa in lacrime, suo padre – per i sensi di
colpa di non avere
saltato il lavoro in modo da assistere al concerto, oltre che per la
rabbia di
vedere la figlia in quelle condizioni – le aveva fatto
costruire un basso su
misura, con inciso sulla paletta STEROCK: ad altri figli sarebbe
sembrata una
scelta patetica, ma Stefania la ritenne fin da subito la migliore firma
del
mondo.
Si
era fatta più furba da allora, un po’ alla volta,
fino a diventare la persona
più cinica che conoscesse. Aveva vacillato, tempo prima, ma
si era poi promessa
di non farlo mai più. Avrebbe smesso di farsi male.
Mentre
era immersa nei ricordi, le cuffie nelle orecchie, avvertì
qualcuno
tamburellarle sulle spalle. Il suo primo istinto, però, fu
di sgranare gli
occhi, perché era finita ad ascoltare una compilation che
non rientrava
assolutamente nei suoi gusti.
«Allora,
che mi dici di Mengoni?»
Stefania
riconobbe quella voce non appena si fu tolta le cuffie. Ma
perché proprio lui
doveva averla beccata in una situazione così imbarazzante?!
«Stavo
ascoltando la voce di una donna, in realtà»
rispose scocciata, incrociando le
braccia sulla difensiva e voltandosi verso il suo interlocutore.
Roberto
non staccò gli occhi dai DVD che teneva in mano.
«E fingi di non sapere neanche
chi fosse, vero?»
«Guarda
che sto dicendo la verità: non guardo Sanremo, non so come
sono finita a… Ma
sei pazzo?!»
Sorpreso
dalla voce improvvisamente acuta di Stefania, Roberto distolse lo
sguardo dai
suoi acquisti e lo portò su di lei. «Me lo
chiedono in tanti, ma di solito
faccio qualcosa prima.»
«Non
puoi farti vedere con questa roba!» Stefania gli
strappò un DVD dalle mani,
sconvolta. «È un porno!»
«Ora
sei tu a fartici vedere.»
«Sono…
sono tutti porno!»
«Esagerata,
ci sono anche due hentai.»
Lentamente,
Stefania si disse che doveva recuperare la dignità
– che stava diventando
inversamente proporzionale all’intensità della sua
voce – e lanciò al ragazzo
il DVD che aveva preso.
«Non
sarebbe meglio scaricarli?»
«Scherzi?
Questa è roba d’autore!»
Non
doveva ascoltarlo. Non doveva. La cosa migliore da fare era dimenticare
la
prospettiva di un rilassante pomeriggio al centro commerciale e correre
a casa,
sprangare la porta e infilarsi sotto le coperte, il più
lontana possibile da
quel pazzo megalomane. Si mosse
verso
l’uscita del negozio, ma Roberto la fermò.
«Ehi,
facciamo un patto: io non farò parola sul CD di Sanremo se
tu racconterai a
tutti quello che sto comprando. D’accordo, dearie?»
Megalomane.
E pazzo.
«Le
citazioni funzionano con Marta, non con me.»
«A
proposito di questo…»
«No,
non ti dirò come far colpo su di me.»
«Veramente
parlavo di Marta.»
Stefania
arrossì violentemente. Come poteva aver usato quelle parole?
Lei non pensava che
Roberto volesse provarci, credeva che stesse ordendo qualche piano
maligno.
«Intendevo…
Non “far colpo”, ecco…
Solo…»
«Capire
quali fossero i tuoi punti deboli per sedurti e abbandonarti. Sono
orgoglioso
di me, sono riuscito a lasciarti senza parole pur non facendo
niente!»
Voleva
andarsene. Voleva chiudersi in casa e sotterrarsi sotto le coperte, ma
per
un’altra ragione. Chi era quel ragazzo? Perché
sembrava conoscerla anche se
l’aveva vista appena tre volte? E poi quella stupida aria di
superiorità…
«Senti
un po’, Lannister, perché non andiamo a farci una
chiacchierata?»
Stava
per chiedergli come diavolo facesse a sapere anche quello, ma poi si
ricordò
quale maglietta stesse portando.
«Non
ne ho voglia.»
«Ti
offro un cornetto.»
«Sono
a dieta.»
«Beh,
meno male. Ma un piccolo sgarro te lo puoi concedere.»
Se
lo concesse. Roberto era un pazzo, un megalomane e anche un porco per
avere il
coraggio di andare in giro con una busta piena di porno – non
che qualcuno
potesse vedere l’oggetto dei suoi acquisti – ma
Stefania apprezzava la sua
schiettezza; in passato, quando qualcuno era stato schietto con lei,
l’aveva
fatto per deriderla, ma Roberto sembrava semplicemente incapace di
tenere la
lingua a freno. Perlomeno era più divertente di quella lagna
del suo amico.
Si
sedettero a uno dei bar del centro commerciale, con due
caffè e un cornetto al
cioccolato davanti: se doveva farsi del male, meglio farlo per bene.
«Di
che volevi parlare?»
«Di
Marta, no?» Roberto allungò i gomiti sul tavolo,
la testa poggiata sulle mani
chiuse a pugno. «Dimmi tutto quello che sai di lei.»
«Le
piace Matteo.»
«Non
credo potrebbe aiutarmi a conquistarla.»
«Ti
sto mettendo in guardia.»
«Lo
sapevo già. Film preferito? Genere musicale?»
Stefania
sollevò un sopracciglio. «Se sai che è
cotta di un altro, perché non ti tiri
indietro?»
«Un
Lannister lo farebbe?»
«Un
Lannister paga sempre i suoi debiti.»
«Ti
sei risposta da sola, allora.»
Si
concesse qualche minuto di riflessione, pur sapendo di avere gli occhi
verdi di
Roberto e il suo ridicolo ghigno puntati contro. Alla fine decise.
«Ama
le serie tv. Tutte. No, in realtà quasi tutte: detesta Gossip Girl. Non parlargliene mai, le
verrebbe il prurito.»
«Non
mi sarei comunque sognato di tirarlo in ballo.»
«Odia
le gonne.»
«Abbastanza
evidente. Qualcosa che non so?»
Stefania
rifletté ancora. «Il suo film preferito
è Apocalypse
Now, ha letto cinque volte in un anno Orgoglio
e pregiudizio e quando è giù di morale
fugge da qualche parte a scattare
fotografie.»
«Ottimo.»
Roberto bevve il suo caffè, mentre Stefania si concedeva un
morso condito dal
senso di colpa al suo cornetto. Un senso di colpa nei confronti della
sua
dieta, non dell’ipotetica storia d’amore tra Marta
e Matteo. «Perché mi stai
aiutando?»
«Perché
me l’hai chiesto.»
«Basta
così poco?»
Stefania
addentò una seconda volta il cornetto, assaporando
finalmente il cioccolato.
«Matteo ha dieci anni più di Marta, lei si farebbe
solo male. E poi sono una
tale noia.»
Roberto
le sorrise, soddisfatto, e si ritrovò a sorridere anche lei.
♠
Quel
pomeriggio non era cominciato bene.
Nel
giro di due ore, Giovanni aveva fatto crollare a terra,
nell’ordine, due action figures
di Death Note, il DVD del Castello
Errante di Howl, le copie nuove dei Fantastici
Quattro, una pila corrispondente a una serie completa di
manga – e non una
di pochi volumi: Dragon Ball
– e
l’espansione del gioco da tavola dei Pilastri
della Terra che aveva messo da parte per Roberto. Aveva
perfino imprecato
per la prima volta di fronte a un cliente.
Cliente
che, per sua fortuna, era Leonardo, subito accorso ad aiutarlo a
riunire i
pezzi del gioco da tavola. Poteva perfino dire di avere un rapporto
d’amicizia con
lui, quindi era abbastanza sicuro che uno dei suoi migliori clienti non
sarebbe
fuggito via per non tornare mai più al Vecchio
Mangaka.
Sbuffò
e sbatté la scatola sul bancone, esausto. Leonardo si
avvicinò a lui titubante
e dovette notare le sue occhiaie, perché gli chiese se
avesse dormito.
«No,»
rispose Giovanni, nervoso, «e neanche la notte
scorsa.»
«Non
puoi chiedere a Matteo di sostituirti?»
«Oggi
è il suo turno di occuparsi
dell’associazione.»
«Forse
sarebbe meglio se vi scambiaste, qui rischi di far cadere
altro…»
«No,
ieri è toccato a me e ho perfino rovesciato sulla maglietta
di un ragazzino il
tè che mi aveva chiesto.»
«Vuoi
che ti dia una mano?»
«Sì,
magari. Anche solo per controllare che non faccia altri
danni.»
Si
strofinò gli occhi rossi e stanchi. Non riusciva a dormire
da due giorni, aveva
anche provato a leggere Il Pendolo di
Foucault – libro che in altre occasioni non aveva
tardato ad aiutarlo – ma
era stato inutile. Come conciliare il sonno se, ogni volta che chiudeva
gli
occhi, una Caterina supplicante e poi furiosa appariva immediatamente
davanti a
lui? Doveva provare con i sonniferi, si disse che avrebbe chiuso
qualche minuto
prima quel giorno per poterli andare a comprare. O avrebbe chiesto quel
favore
a Leonardo.
«Cos’è
successo?» gli chiese proprio lui, mentre Giovanni si passava
stancamente una
mano sul viso.
«Ti
ricordi di Cate? Voglio dire… l’hai mai
conosciuta?»
Leonardo
aggrottò la fronte. «Certo che l’ho
conosciuta. Mi avete invitato anche a cena
una volta.»
Giovanni
si accorse di essere messo peggio di quanto pensasse. Scorse una
domanda negli
occhi di Leonardo, una domanda che lui non avrebbe mai avuto il
coraggio di
fare: «Vi siete già lasciati, che può
esserci di peggio?»
Poteva
esserci. Quando un rapporto si rompe, c’è spesso
possibilità di aggiustarlo,
c’è la speranza che tutto torni come prima
– soprattutto nel loro caso, con
dieci anni di fidanzamento alle spalle oltre a quelli del matrimonio
– ma con
il passare del tempo quella speranza si affievolisce e si crea un buco
nello
stomaco; Giovanni non amava più Caterina, però
questo non significava che la
sua assenza dopo quasi due decenni facesse veramente male.
«Cate
vuole l’appartamento,» spiegò,
«e io non ho idea di dove andare a vivere.»
«Il
lavoro non ti permette almeno l’affitto di una casa qua
vicino?»
«Non
è questo il punto.» Come faceva a non capire?
Eppure era così evidente: i
risparmi, la prima notte di nozze, la culla per il bambino, le cene con
i
parenti… «Abbiamo sognato di vivere insieme fin
dal liceo e ora quello che lei
vuole è proprio il nostro sogno. Tutto per lei.»
«Un
po’ egoista, eh.»
“Cate
non è egoista.” Si morse la lingua, impedendosi di
ribattere. Non aveva più il
dovere di difendere sua moglie, ora poteva dire ciò che
pensava.
E
Cate continuava a non essere egoista.
Ma
non lo disse, non aveva senso.
«Sei
ancora innamorato di lei?»
La
domanda di Leonardo arrivò a bruciapelo. Perché
avrebbe dovuto chiederglielo?
Forse pensava che fosse quello il motivo della sua insonnia?
«No,
non lo sono.»
Quanti
“no” quel giorno, sembravano tanto una scusa.
Scosse la testa, rifiutando
quell’idea.
Leonardo
non disse altro, rimase in silenzio e lo aiutò a sistemare i
nuovi arrivi sugli
scaffali. Giovanni rifletteva. Perché lo stava ancora
facendo? In fondo
rifletteva da due notti, da quando ci avevano riprovato, da quando si
erano
lasciati, da quando Cate gli aveva confessato il tradimento, da quando
avevano
cominciato a non amarsi più. Non era servito a niente,
perché lui non aveva fatto
niente: aveva solo guardato sua
moglie che se ne andava, il loro rapporto che si spezzava, i loro sogni
in
frantumi; avevano passato cose peggiori anni prima, avevano sofferto
come
Giovanni non avrebbe augurato a nessuno di soffrire, eppure quella
volta non
erano riusciti a reagire.
I
campanelli suonarono, annunciando l’ingresso di un cliente.
Giovanni si voltò
per accoglierlo, ma si bloccò.
«Ben-»
C’era
Caterina davanti a lui, una Caterina che ai tempi del liceo non avrebbe
mai
immaginato di vedere così, lo sguardo glaciale, il tailleur
da segretaria. Non
sognava di diventare un’archeologa? Com’era finita
a tenere la contabilità di
un’azienda di elettrodomestici?
“I
sogni fanno brutti scherzi.”
«Ciao»
lo salutò, avvicinandosi al bancone con sorprendente
lentezza.
La
voce che uscì dalla bocca di Giovanni era rauca.
«Cia… Ciao.»
Troppi
“no”, troppe domande, ma era davvero possibile non
chiedersi come due persone
che si conoscevano da vent’anni potessero rivolgersi un secco
e insapore
“Ciao”?
Cate
si accorse dopo un po’ della presenza di Leonardo, in piedi
accanto a lui.
Sgranò gli occhi. «Oh, ciao, Leo. Come
stai?»
«Bene,
Cate.»
Buon
vecchio Leonardo, così fedele al suo amico da reprimere la
gentilezza che lo
caratterizzava! Se solo Cate non fosse stata davanti a loro, Giovanni
gli
avrebbe detto che poteva trattarla come aveva sempre fatto, lui non si
sarebbe
offeso.
«Come
mai sei passata?» chiese Giovanni, fingendo di non sentire il
vuoto nello
stomaco che, stranamente, si faceva più profondo quando Cate
era con lui.
«Volevo…
volevo chiederti un anticipo sulla se…
sull’accordo» rispose Cate, distogliendo
lo sguardo e fissando apparentemente rapita il poster di Warhammer.
«Il servizio da tavola che abbiamo usato qualche anno
fa: i miei hanno distrutto il loro, sono rimasti solo cinque piatti, e
sabato
abbiamo una cena importante. Il mio capo, sai.»
“Quel
porco.”
Cate
sembrò ricordarsi del ruolo che il suo capo aveva avuto nel
loro matrimonio e
avvampò.
«Puoi
passare a prenderlo stasera, sarò a casa» disse
Giovanni, il tono più gelido di
quanto avrebbe voluto.
«Preferirei
se mi dessi le chiavi. Ho un impegno e sono piuttosto in
ritardo.»
“Perché
sei geloso solo adesso?” chiedevano i suoi occhi.
“Potevi fare qualcosa quando
ancora ne avevi il diritto.”
Giovanni
frugò nel cassetto del bancone ed estrasse un mazzo di
chiavi, che le porse
sgarbatamente; Cate fece un passo avanti, le afferrò e si
ritrasse.
«Grazie.
Ci vediamo.»
Uscì
mentre Giovanni la salutava con un cenno del capo.
«Ciao» disse, quando si rese
conto che non poteva vederlo, ma Cate era già andata via.
♠
Quello
era il secondo martedì in cui Matteo la sera non sarebbe
dovuto tornare al Sotterraneo del Drow
per masterizzare
una campagna per la quale, ormai, aveva perso interesse. Era eccitato
all’idea
di giocare ancora con il nuovo gruppo, quel venerdì, e
continuava a camminare
avanti e indietro nella ludoteca con la mente rivolta agli
“eroi di Sandpoint”.
Avevano
un barbaro e per quella campagna era perfetto: sperava solo non
compiesse
azioni tanto malvagie – «Sono caotico neutrale,
vedete di farvelo andare bene»
– perché al gruppo servivano eroi, non folli che
bramavano solo la sete di
sangue. Personaggi che lui, in altri casi, apprezzava più
degli altri. Stefania
giocava bene il suo personaggio, ma Matteo avrebbe preferito che
cessasse il
fuoco nei confronti di Leonardo.
Però
aveva ragione: era un elfo mago.
Scosse
la testa, ridendo da solo. Uno dei giocatori di Sine
Requie si voltò verso di lui e aggrottò
la fronte.
No,
un elfo mago non significava per forza un cattivo personaggio, anche
perché
Leonardo aveva sempre saputo interpretarlo bene; d’altronde,
quello che a lui
interessava era stare lontano dalla mischia. Matteo si disse di
controllare per
l’ennesima volta il manuale, alla ricerca di qualche nemico
della stessa classe
di Jerle che potesse renderlo muto nel bel mezzo di una battaglia. E
che
frantumasse lo spadone di Ygritte. Spesso i suoi giocatori gli dicevano
che era
sadico.
Roberto-Robert
non era male, ma temeva che anche lui potesse passare a un allineamento
malvagio; non lo pensava a causa del personaggio, bensì
dello stesso Roberto,
che non gli infondeva molta fiducia. C’era un qualcosa nei
suoi atteggiamenti…
Non importava, non doveva preoccuparsi subito, probabilmente sarebbe
andato
tutto per il meglio, nella campagna.
E
poi c’era Amy. Matteo sorrise al muro, ricordando anche lei:
Amelia Pond, la
compagna dell’Undicesimo Dottore. Amava quel personaggio ed
era felice che
fosse lo stesso anche per Marta, dal momento che non erano in molti
altri ad
apprezzare il suo carattere forte. La Amy di Sandpoint,
però, era diversa da
quella originale e Matteo apprezzava anche questo, preferendo un
personaggio
completamente nuovo a una scopiazzatura: non era sicuro che Marta
sarebbe stata
in grado di interpretare bene Amelia Pond. Non era poi tanto brava come
giocatrice, ma aveva deciso di darle una possibilità. Almeno
non era una di
quelle persone che davano buca all’ultimo momento: Marta
sembrava rimandare
qualunque impegno pur di giocare – aveva saputo, sentendola
parlare con
Stefania, che il venerdì successivo avrebbe avuto una festa
di laurea – e
Matteo apprezzava questo spirito.
Quel
pomeriggio lui si sentiva bene,
rilassato dopo tanto tempo, e niente avrebbe potuto guastargli quel
momento,
neanche i giocatori di Sine Requie
che scioccamente avevano interrotto la sessione per parlare del nuovo
capitolo
di Naruto – certe cose
erano sacre e,
se fosse stato Matteo il master, avrebbe punito la digressione su una
tale
cavolata di shonen con un pericolo mortale apparso dal nulla.
Ma
quel giorno niente gli avrebbe fatto andare di traverso la cioccolata
calda che
stava per prepararsi.
Il
cellulare squillò e Matteo se ne accorse solo dopo qualche
secondo; pensando
che forse Giovanni avesse bisogno di lui, lo afferrò e si
accinse a rispondere
senza controllare di chi fosse la chiamata.
Successivamente,
Matteo si rese conto di quanto potesse sembrare strana la sua
improvvisa
trasformazione a uno dei giocatori presenti nel Sotterraneo
del Drow dopo che ebbe spinto il tasto per accettare la
chiamata.
Voce
allegra. «Ehi, dimmi!»
Silenzio.
Tono
più basso. «Non avevo… no, pensavo
fosse un’altra persona.»
Breve
silenzio.
«Io
sto bene, e tu?»
Silenzio
ancor più breve.
«Federico
tutto a posto?»
Silenzio.
Respiro trattenuto. Ancora silenzio.
«Capisco…
Beh, non è una situazione facile. Immagino che lui non
sappia…»
Fiato
sospeso.
«Ovviamente.
Non preoccuparti, non ne farò parola in sua presenza.
Quando…?»
Silenzio.
«È
Pasqua.»
Silenzio.
Sguardo rivolto al soffitto. Piedi che battono nervosamente.
«E
sei sicura di farcela per domenica mattina? Senti, se è una
scusa…»
Silenzio.
Mano sugli occhi.
«Non
intendevo… D’accordo, va bene. Facciamo sabato. Ti
aspetto.»
Matteo
spinse il tasto per terminare la chiamata, poi ripose il cellulare
nella tasca.
Senza neanche salutare i giocatori di Sine
Requie uscì in strada per calmarsi.
«Passerò
il 31. Ti
prego, ne ho bisogno…»
Tirò
un calcio a una lattina, facendola cozzare contro la ruota di un'auto
parcheggiata in doppia fila. Non poteva certo tirarsi indietro.
NOTE
Il titolo è una
citazione di Skins.
STEFANIA:
- dearie:
citazione di Rumpelstiltskin (Once Upon A Time).
- Lannister: una
delle casate di Game of Thrones.
- “Un Lannister
paga sempre i suoi debiti”: non è il motto della
casata, ma una frase sempre
legata a essa.
GIOVANNI:
- Warhammer:
miniature.
MATTEO:
- Sine Requie:
gioco di ruolo italiano
basato su un AU, ambientato alcuni anni dopo, nel quale Hitler ha vinto
la
Seconda Guerra Mondiale e i morti tornano in “vita”.
SPAZIO AUTRICE
Ciao a tutti!
Questa volta sono
riuscita ad aggiornare prima del previsto (di un
“previsto” pessimista, due
settimane invece dell’unica settimana in cui speravo
all’inizio), ma sto già
lavorando al capitolo successivo, quindi potreste averlo proprio tra
una
settimana!
Non ho messo Naruto
nelle note perché, beh, credo sia
abbastanza conosciuto. Per quanto riguarda Amy Pond, io sono tra i suoi
detrattori, ma sto provando a “mettermi dalla
parte” di chi la ammira.
Mi è piaciuto
scrivere la parte su Stefania e Roberto, mi diverto a far interagire
quei due –
non parlo di un’ipotetica ship, ma della loro contemporanea
presenza “sulla
scena”.
Spero che questo
quarto capitolo vi sia piaciuto, sono felice di sapere che questa
storia è abbastanza
seguita (per i miei canoni, e tanto basta).
Grazie a tutti voi
e anche a Dark Aeris per aver controllato il capitolo!
A presto :)
Medusa