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Autore: nena92    03/05/2013    13 recensioni
Roma, 1943. Seconda Guerra Mondiale.
A diciotto anni Alice è una ragazza come tutte le altre, bella e intelligente, anche se ha un padre gretto e chiuso che aiuta i nazisti e sente la mancanza del fratello, scappato pochi anni prima perchè non andava d'accordo con le ideologie del padre. è cresciuta con le sue idee, e sogna un futuro luminoso e promettente una volta che la guerra sarà finita....ma il padre gli da una notizia: lei dovrà sposare il figlio di un gerarca nazista.
GermaniaxNyoNordItalia.
Genere: Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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I 10 passi:

Alice, dopo essersi rifugiata in camera sua, con il cuore in gola iniziò a pregare la Vergine Maria, con quanto sentimento aveva in corpo, sperando che così le sue preghiere sarebbero state ascoltate con più attenzione.

“Ave Maria, giuro che se farai cambiare idea a mio padre, io andrò in Chiesa ogni giorno, ogni ora, anzi diventerò sua!”. Con le mani congiunte davanti al viso, continuò “Prometto che ascolterò sempre mio padre, che mi comporterò bene…”. Le venne in mente la sua ultima litigata con Lucia e aggiunse “Giuro che chiederò scusa anche  a Lucia per il mio comportamento. Ma ti prego, non farmi sposare. Non posso sposare una persona che non amo!”

No, non poteva sposare quel soldato senza neanche amarlo. Lei non era come le altre ragazze. A lei non bastava essere una buona moglie con marito, soldi e figli e il semplice pensiero di “un matrimonio per convenienza” come era successo a molte sue amiche la faceva rabbrividire. Lei voleva di più, molto di più. Voleva la stessa passione e drammaticità della dichiarazione di Ingrid Bergam a Humprhey Bogart in “Casablanca”. Aveva visto il film l’estate scorsa con una sua amica, mentre aveva detto a suo padre che andava a vedere “La bella addormentata nel bosco”. Ed era stato l’ultimo film americano che il cinema Adriano a Piazza Cavour aveva trasmesso, prima che il governo fascista decidesse di vietarne la visione. Dopo aver visto il film, nel Parco di Villa Borghese, durante tutta l’estate si era divertita a recitare insieme alla sua migliore amica alcune parti del film di “Casablanca”. Facendo a turno per il personaggio di Elsie. La sua frase preferita rimaneva comunque questa: Baciami, Rick, baciami come se fosse per l’ultima volta.

Anche Alice voleva un amore travolgente come quella di Rick ed Elsie. Desiderava qualcuno che la amasse così tanto da voler scappare con lei.

Sospirò rassegnata e si ricordò che una volta aveva incontrato un ragazzo con il quale era stata sul punto di fuggire. Era il figlio maggiore della famiglia Salvatore—che possedevano il miglior forno a legna di Piazza di Spagna— si chiamava Massimo, aveva tre anni più di lei ed era il ragazzo più bello di tutta Roma: una volta nel darle il trancio di pizza bianca, le aveva fatto l’occhiolino. E lei per tutto il pomeriggio non aveva fatto altro che sospirare, senza finire di mangiare il trancio di pizza. Massimo da quel giorno aveva iniziato a corteggiarla, di nascosto ai loro genitori, le mandava spesso mazzi di rose e margherite—comprati a Campo dei Fiori—e le scriveva messaggi d’amore nella carta che avvolgeva il pane. Ma poi, pochi giorni dopo che era iniziata la guerra, Massimo aveva smesso di cercarla e non veniva più nemmeno nella pizzeria per aiutare i suoi genitori. Lei lo aveva cercato, sinceramente preoccupata per lui, e alla fine era venuta a sapere che il ragazzo era stato chiamato alla Leva per arruolarsi e che sarebbe stato spedito al fronte di lì ad una settimana. Alice disperata ogni giorno si era recata alla stazione Termini—dove partivano convogli straripanti  ragazzi e uomini in uniforme pronti ad andare in Russia—cercando Massimo per salutarlo.

E alla fine l’aveva trovato. L’avrebbe riconosciuto tra milioni, anche se vestiva l’uniforme grigia e aveva in testa l’elmetto verde come tutti gli altri.

Faticava ancora a ricordare quel momento con Massimo senza che le venisse voglia di piangere.

 Il ragazzo, appena l’aveva vista, gli aveva fatto un sorriso malinconico. I suoi occhi color giada erano pieni di paura e timore mentre le diceva che sarebbe partito quel giorno, per la Russia e che non sapeva quando sarebbe ritornato. Le promise che non appena sarebbe ritornato a Roma, l’avrebbe sposata. Lo sapevano entrambi però che le sue parole erano solo fantasie irrealizzabili. Alla fine, mentre il treno fischiava annunciando l’imminente partenza, si erano abbracciati stretti, piangendo, e lui gli aveva cantato nell’orecchio una canzone di Alberto Rabagliati, il suo cantante preferito: C’è una chiesetta.

C'è una chiesetta, amor/nascosta in mezzo ai fior/dove m'hai dato un bacio a primavera/ricordi quella sera ancor. T'aspetterò laggiù sotto le stelle d'or/ti stringerò più forte sul mio cuor e non ti lascerò mai più. Si schiuderanno le rose mentre tu verrai da me/canterà il vento le cose più belle per te.

Poi non aveva più saputo nulla di lui. Di Massimo le erano rimaste impresse nella mente solo immagini sbiadite dei suoi occhi verdi, dell’uniforme che sembrava stargli troppo grande e dei suoi messaggi nella carta per avvolgere il pane. In una di queste carte le aveva scritto: vieni via con me e ci apparteremmo per sempre.

Il dolore la colpì improvvisamente, come un peso invisibile, nel petto. Il ricordo di Massimo, la sua promessa, i suoi sogni infranti e la rabbia per suo padre la travolsero con la stessa potenza delle onde che si infrangono contro lo scoglio, e la lasciarono annaspante, inginocchiata per terra, con le lacrime agli occhi e le preghiere sulle labbra.

“Alice”, la chiamò suo padre, bussando con forza alla porta della sua camera. “Sono tuo padre, apri la porta.”

Lei si asciugò rapidamente le lacrime e si avvicinò lentamente alla porta, aprendola.

Davanti a lei, Franco la guardava, stringendo in mano il cofanetto che le aveva offerto il comandante Beilscmdit quel pomeriggio. Il velluto nero del cofanetto alla luce della lampada della sua camera, ricordava la pelliccia di un animale morto. Disgustata distolse lo sguardo. “Non riesco a capire cosa sia successo questo pomeriggio, Alice. Ti sei comportata male e mi hai messo in imbarazzo davanti al Comandante Beilscmdit e a suo figlio.”, gli disse, arrabbiato con il viso incupito.

Alice voleva rispondergli che era stato lui ad essersi comportato in modo ridicolo e imbarazzante, e desiderava solo accasciarsi ai suoi piedi e scoppiare in singhiozzi. Ma non era più una bambina.

“Hai risposto male al Comandante, hai rifiutato l’anello di suo figlio e non mi hai portato rispetto.”, proseguì lui rimproverandola con tono aspro.

Lei strinse gli occhi in due fessure. Il nodo alla gola si faceva sempre più stretto e per quanto lei deglutisse, non voleva saperne di sciogliersi.

Franco sospirò affranto. “Dovresti essere felice, Alice. Sei fortunata, figlia mia. Ludwig Beilscmdit è…”, si fermò un attimo, con esitazione, ma alla fine disse “è un bravo ragazzo. So che sarete felici.”

Quelle parole la scalfirono come una coltellata, quindi alzando di scatto la testa, esclamò sconvolta “Come fai a dire che io sarò felice con quel ragazzo! Io nemmeno lo conosco!”

Suo padre gli rispose seccato “C’è sempre tempo per conoscersi dopo il matrimonio. E comunque ti avverto di non usare quel tono con me, Alice.” E gli lanciò un’occhiata minacciosa, che lei ignorò deliberatamente.

“Come fai a dire che io sarò felice con una persona che nemmeno conosco! Cosa ti da tutta questa sicurezza?”, esclamò Alice, la sua rabbia e la sua tristezza incrinavano la sua voce. “Io avevo un futuro e tu me lo hai tolto! Con quale coraggio tu mi vieni a dire che quello sconosciuto mi renderà felice! Ma almeno tu sai che cosa mi rende veramente felice? Ti sei mai chiesto che cosa mi piace?”

Vide nel viso di suo padre passare un’ombra, rapida come una nuvola, che gli incupì il volto per un attimo, ma poi si rilassò e replicò. “Alice, non usare scuse da bambina. Io non ho mai avuto il tempo per sapere che cosa ti piace o cosa non ti piace, è vero. Ma di una cosa sola sono sicuro: una casa, un marito e dei soldi rendono felice qualsiasi ragazza. E tu, figlia mia, sei una ragazza.”

Lei lo guardò con occhi basiti e attoniti. Non riusciva a credere a quello che gli aveva appena detto suo padre. Lei non era come tutte le altre ragazze.  Lentamente si appoggiò contro lo stipite della porta, per darsi forza, e sibilò  aspra “Io non sono come le altre ragazze. E non lo sarò mai. E sai che ti dico? Che preferisco farmi suora o morire, piuttosto che sposare quel ragazzo tedesco e imparentarmi con una persona così spiacevole e arrogante come il Comandante Beilscmdit.”

Franco, al suo ultimo commento, incupì lo sguardo e disse “Non sono i tuoi sogni e le tue fantasie a garantirti un tetto sulla testa, ricordatelo. Avrai sempre bisogno di qualcuno che ti sostenga, da sola non potresti mai farcela.”

Alice accigliò lo sguardo e si morse il labbro inferiore. Era una cosa che faceva solo quando era arrabbiata, oppure sconvolta, come in quel momento. Adesso suo padre era arrivato alle minacce. La stava minacciando di cacciarla da casa se non avesse acconsentito al matrimonio. Bene, lei non aveva nulla da perdere. O almeno era abbastanza ingenua da crederlo.

“Allora morirò con loro, con i miei sogni.”, disse con coraggio a suo padre, sentendosi libera da un peso. Si staccò dallo stipite della porta e rivolse un’occhiata al cofanetto. “Puoi anche spedire indietro l’anello al signor Beilscmdit, con i miei migliori e sinceri auguri che l’anello un giorno calzi il dito di una perfetta ragazza ariana.”

“Stupida e sciocca ragazzina!” esclamò suo padre, arricciando le labbra in una smorfia di rabbia e disgusto. “Come osi disobbedirmi! Finché vivi sotto questo tetto, sono io che comando e sono io che decido per te! Io voglio che tu sposi quel ragazzo e lo farai! Tra poche settimane andrai dritta verso l’altare e farai il tuo giuramento!”

Alice, mettendo le mani sui fianchi, replicò sprezzante “E come pensi di costringermi, papà? Legandomi con una fune e trascinandomi lungo la navata davanti a tutti gli invitati? Pensi di fare così?”. Era consapevole anche lei che il tono appena assunto era a dir poco consono alla buona educazione e andava contro tutto ciò che le era stato insegnato. Ma forse era quella consapevolezza a darle la spudoratezza e la sfrontataggine di rispondere in quel modo a Franco. “Sai una cosa? Anche se tu riuscissi a farmi arrivare all’altare, comunque ti dovrai preoccupare di mettere delle assi nel portone della Chiesa. E aggiungo anche che la Chiesa e i suoi canonici dovranno inventarsi un nuovo tipo di marcia nuziale: La sposa che esce dal portone della Chiesa senza marito. Che ne dici? Ti piace come titolo o pensi che sia troppo lungo?  Ho già nella testa il suono che dovrebbe fare. Allegro e veloce.” E mosse una mano nell’aria, fingendo di condurre una banda.

Franco non mosse un muscolo, ma si limitò a fissarla, con espressione vacua e assente. Forse, pensò ingenuamente Alice, era rimasto talmente spiazzato dal suo comportamento impertinente e coraggioso che non sapeva più come rispondere.

Ma Franco era un tipo che non si lasciava mai sorprendere da nulla. Aveva partecipato battaglia del Podgora del 19 luglio 1915 e Alice non era ancora nata. Poi aveva preso parte anche alla Seconda battaglia dell'Ogaden in Etiopa nella primavera del 1936. Aveva visto sangue e aveva comandato soldati più testardi dei muli e molto più sfacciati di sua figlia. Di sicuro non si sarebbe lasciato impressionare dalla scenata di una ragazzina di appena diciotto anni anni, sciocca ed ingenua.

“Così, tu, oltre a rivolgerti a me con un simile tono sfacciato, osi anche sfidarmi.” Le replicò con tono basso e scostante, piantando i suoi occhi neri in quelli nocciola di Alice. “Sai, ragazzina, mi hai stufato e la tua mancanza di rispetto nei miei confronti mi ha dato a dir poco fastidio.”

Alice spalancò gli occhi, spaventata. La parola ragazzina suo padre la usava con lei raramente, anzi mai. L’ultima volta che l’aveva chiamata così, era quando aveva avuto sette anni perché per puro sbaglio gli aveva fatto a pezzi la sua nuova uniforme, per farci dei vestiti per la sua bambola. Ma il problema non era stata l’uniforme in se. No. Il problema fu che quel giorno Franco non poté prendere parte alla festa organizzata dai Carabinieri Reali, dove sarebbe andato anche Mussolini stesso. Quell’ultima volta lui l’aveva…

Deglutì a fatica e si rese conto solo in quel momento che era stata troppo avventata con suo padre. Nervosamente fece guizzare gli occhi dalle mani di suo padre alla porta, ma in ritardo.

Franco con uno scatto felino, sfilò dalla toppa la chiave della sua camera e rapidamente chiuse la porta.

La ragazza si slanciò disperata contro la porta e cercò di forzare il pomello, girandolo più e più volte con insistenza. Batté entrambe le mani contro la porta ed esclamò “Apri la porta, papà! Ti prego! Non farmi questo!”

“Non uscirai da questa stanza sino al giorno del tuo matrimonio!” sentì esclamare suo padre dall’altro lato della porta. E lei sapeva che ne era capace, l’aveva già fatto una volta.

Continuò invano a battere le mani contro la porta, finché i palmi non le diventarono rossi, e iniziarono a pizzicarli e a fargli male. Disperata si accasciò contro la porta e poggiò la fronte sul freddo e rigido legno, sentendo come ogni speranza lentamente la stava abbandonando. E durante la notte sentì il rumore di chiodi e di assi battuti contro la sua finestra.

I giorni passarono velocemente, come le foglie secche che si staccano dall’albero quando è inverno. Alice restava distesa nel suo letto o al massimo si metteva seduta. Quando sentiva l’allegro fischiettio del postino, sapeva che era mattino. L’odore del sugo e della carne l’avvertivano che era mezzogiorno e il colore arancio che filtrava attraverso le fessure delle assi messe davanti alla sua finestra le faceva capire che era ormai pomeriggio e un’altra giornata stava finendo. I suoi doveri comunque non vennero interrotti. La mattina una cameriera entrava e l’aiutava a vestirsi e a pettinarsi. Poi a metà mattina le sue amiche del circolo “Giovani Italiane” la venivano a trovare, accompagnate da Lucia, per fargli gli auguri sull’imminente matrimonio mentre Lucia le dispensava lodi e consigli sulla “prima notte di nozze”. Assicurandosi che lei, così come le altre sue compagne, si ricordasse quale sarebbe stato il suo dovere una volta sposata.

“Ricordati che di questi tempi si fanno italiani, non l’amore!”, era la frase preferita di Lucia. Una frase che metteva ribrezzo ad Alice e la rendeva ancora più muta e apatica.

Poi, durante la notte,  Alice si metteva in ginocchio davanti al piccolo crocifisso che aveva sopra la testata del letto, e pregava con quanto animo aveva in corpo. Pregava che in qualche modo il Ministero dell’Interno o quell’uomo dal nome strano, non dessero la loro approvazione.

L’ultima notte che precedeva il 14 Gennaio, sentì suo padre bussare alla porta della sua camera e dirgli dall’altra parte della porta “è arrivata la lettera dal Ministero dell’Interno e ha dato il permesso per il matrimonio. Ah, e pochi settimane fa mi ha chiamato il Comandante Beilschmdit e mi ha detto di aver ricevuto la lettera di Himmler che ha dato il suo consenso al matrimonio. Il diciannove gennaio, verranno celebrate le nozze.”

Il mattino seguente, una cameriera prelevò Alice dalla stanza e la condusse—o meglio, la trascinò—in un’altra stanza dove alcune donne, mai viste a parte Lucia, l’aspettavano per vestirla e acconciarle i capelli.

Le fecero indossare un vestito bianco, di seta, con la gonna ampia, lunga e ricamata agli orli. Una donna più anziana gli mise il velo sopra la testa—i capelli erano stati raccolti in un semplice ed elegante chignon—mentre un’altra donna, inginocchiata, le infilava un paio di scarpe bianche con il tacco. I suoi primi tacchi.

“Oh, sei bellissima Alice”. Cinguettò deliziata Lucia quando finirono di prepararla.

“Assomigli a tua madre ora”. Esclamò un’altra, che dietro le sue spalle, le sistemava il velo.

Alice teneva gli occhi bassi e si tormentava le mani. Improvvisamente sentì una fitta  dolorosa trapassargli il petto e il suo cuore prese a battergli furiosamente. Tra poche ore avrebbe dovuto dire addio a tutte le persone che conosceva, alle sue amiche, alla sua casa, ai suoi sogni e anche a sua nonna….No, tanto lei non ci sarebbe stata. L’aveva gridato chiaramente alla faccia di suo padre che lei non avrebbe partecipato al matrimonio, perché lei non c’è l’avrebbe fatta a sopportare la vista dell’unica sua nipote “data in sposa ad un demone tedesco”. Così aveva detto durante la sua ultima visita di ritorno dalla Francia. E suo padre non aveva fatto nulla per dissuaderla dal suo proposito, non aveva emesso un solo fiato, non aveva detto nulla per convincerla a cambiare idea. Nulla. Anche di sua nonna aveva avuto il potere e l’arroganza di privarla.

Entrò suo padre che  vestito nel suo elegante gessato nero—fortunatamente l’uniforme era a lavare—camminava con espressione sorridente e passo orgoglioso in mezzo al capannello di donne che si era formato intorno a lei. Come la vide sbarrò gli occhi con sorpresa.

“Oh, ma sei bellissima, figlia mia! Fatti vedere! Su, voltati!”

Lentamente, mentre sentiva il sapore della bile in bocca e tenendo il capo chino, Alice si girò verso il padre.

“Sei proprio uguale a tua madre nel giorno in cui ci siamo sposati!”. Esclamò Franco con un ampio sorriso, e poi continuò “Tra poco sarai una Beilschmdt! Una donna sposata di onore e rispetto!”.

Solo sentendo pronunciare quel cognome la giovane sentì un fremito percorrergli la schiena e iniziò a battere i denti.

“Su con il morale figlia mia! Su, alza il viso e fammi un bel sorriso!”.

Lei alzò il viso e rivolse a suo padre il peggior sguardo di odio, rabbia e rancore che aveva covato in silenzio per tutto quel tempo. Ma magari il suo sguardo sarebbe riuscito più minaccioso e terribile se solo gli occhi non avessero iniziato a pizzicargli, rendendole la vista appannata.

“Oh, finalmente! Dai che oggi è un giorno importante e….oh, ma che sono quelle lacrime! Avanti, che c’è tempo per mettersi a piangere! Su, smettila!”. Esclamò contrariato Franco. Quindi gli porse il fazzoletto che teneva nella tasca del vestito. “Thò, asciugati gli occhi con questo e smettila di piangere, immediatamente. Non sto scherzando Alice”.

Ci volle una mezz’ora bella e buona perché si calmasse. Poi alla fine, la fecero uscire di casa e mentre alcune cameriere le sistemavano il velo affinché non si stropicciasse troppo, Franco si portò una mano davanti al petto e iniziò a tastarsi, esclamando alla fine “Ah, eccolo! Quasi mi dimenticavo!”

Prese la mano sinistra di Alice e gli infilò l’anello di fidanzamento all’anulare.

“Ora, sei perfetta.” Disse con soddisfazione, dandogli una piccola carezza sulla guancia per poi infilarsi rapidamente dentro la macchina.

Quando arrivarono, una piccola folla di curiosi e amanti dei matrimoni, si era assiepata davanti alla Chiesa di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri—una basilica molto usata per i matrimoni perché costava poco ed era piccola—e guardavano con diffidenza e anche timore una parte degli invitati al matrimonio, soprattutto gli uomini che si facevano notare nella loro uniforme nera e il berretto dal disegno strano e inquietante.

Quando scese, sentì le gambe cedergli ma rapidamente Franco la sorresse e con zelo la portò verso l’entrata, mentre gli invitati, come un sol uomo, erano già entrati nella piccola chiesa.

Alla sua entrata, un organo iniziò a suonare e Alice riconobbe che stava suonando l “Ave Maria”.

Con le orecchie che le pulsavano, prima che la vista le venisse coperta dal velo, fece vagare lo sguardo dalla navata, coperta da un tappeto rosso sangue, agli invitati. Riuscì a distinguere gli italiani dai tedeschi, nonostante si erano mischiati. Le donne italiane avevano in testa il tipico velo di filo e lana ricamata e indossavano vestiti dal colore bianco al beige, mentre le donne tedesche indossavano piccoli capelli colorati e vestivano abiti lunghi che variavano dal colore pesca al blu scuro. Il resto degli uomini, che si potevano contare sulle punta delle dita per quanto erano pochi, erano vestiti in uniforme nera ed erano sistemati tutti quanti nel lato destro della navata.

 Quei colori le misero ancora più tristezza e timore.

Mentre camminava lungo la navata, cercando di non guardare nessuno, nemmeno suo padre, non poté fare a meno di pensare alla triste storia di Ifigenia, che aveva studiato quando andava al liceo, e si comparò con la triste eroina. Si domandò se anche la giovane ragazza greca nel momento in cui aveva capito di essere stata ingannata dal padre si era sentita come lei: impotente e sconfitta. Anche Agamennone, re di Micene, aveva sorriso in modo rassicurante ad Ifigenia, come aveva fatto poco fa suo padre con lei , prima di calargli il velo?

Deglutì a fatica e sentì le forze venirgli meno nelle braccia e soprattutto nelle gambe. Si fermò, con le gambe che le tremavano, e contò nella sua testa che all’altare mancavano solo dieci passi. Dieci passi e avrebbe detto addio a tutto quello che conosceva. Dieci passi e sarebbe diventata moglie di uno sconosciuto solo per assecondare la vanità del padre. Dieci passi.

Si fermò completamente, facendo sobbalzare Franco per la sorpresa. Vide il volto di suo padre farsi teso e le guance diventare rosse man mano che il tempo passava e lei non si muoveva. Furono solo pochi secondi, eppure lei vide un lampo di pietà e pentimento balenare negli occhi di Franco prima che lui si voltasse completamente e iniziasse a stringergli il braccio, dolorosamente, costringendola a completare gli ultimi dieci passi mentre l’organo suonava le ultime note dell’ “Ave Maria”.

“Carissimi fratelli e sorelle, siamo qui riuniti nella casa del Padre, per unire in matrimonio questi due giovani” Iniziò a dire il prete, con la voce tremante e rauca che ad Alice ricordava il suono che producevano le foglie secche sotto le scarpe.

“Chi porta in matrimonio la ragazza?”, domandò l’anziano prete, staccando per un attimo gli occhi dal libro che aveva davanti e rivolgere lo sguardo davanti a se.

“Io” rispose Franco, da dietro le spalle dei due giovani.

Dal tono della voce, Alice poteva immaginare il sorriso tronfio e orgoglioso di suo padre in quel momento. Nonostante l’angoscia e la tristezza, riuscì a provare un moto di rabbia e disgusto.

 “Ludwig Beilschmdit e Alice Vargas, voi sapete quanto è sacro il vincolo del matrimonio, vero?” domandò come di rito, ma conservando comunque un tono serio e severo, prima di rivolgere un occhiata ad entrambi. “Siete quindi venuti in piena libertà e consapevoli del significato della vostra decisione?”

Ja” rispose Ludwig, per poi schiarirsi la gola e ripetere “Sì”. Il suono della sua voce era così forte e potente che rimbombò all’interno della piccola chiesa.

Alice sentì che il cuore gli era finito in gola quando il ragazzo vicino a lei aveva parlato. Era la prima volta che sentiva la sua voce e le sembrava che al posto della voce avesse dei tuoni nella gola. Il velo fastidiosamente iniziò ad appiccicarsi alla sua bocca, e quasi la soffocò.

“Non ho sentito la risposta della signorina Vargas” disse il prete, nascondendo a fatica la sorpresa e lo stupore nella sua voce gracchiante. Quindi guardò Alice e riformulò la domanda per lei. “è venuta qui in piena libertà e consapevole della sua decisione, signorina Vargas?”

La ragazza abbassò gli occhi, senza alcuna necessità dato che il suo volto era nascosto sotto il velo, e si morse il labbro inferiore per calmarsi, ma non rispose.

Dietro le sue spalle, gli invitati avevano iniziato a muoversi inquieti sopra le panche, strusciando i piedi e tossicchiando nervosamente.

Sentì tossire suo padre ed evidentemente voleva dire qualcosa, perché il prete alzò una mano rugosa e macchiata in segno di ammonizione e disse “è diritto della signorina e compito della Chiesa, sapere se è venuta qui di sua spontanea volontà o costretta da qualcuno. Quindi devo ripetere la domanda per altre due volte.” Poi rivolse ad Alice e con tono più dolce, ripeté la domanda e neanche stavolta lei rispose.

Ormai si stava alzando all’interno della piccola basilica un mormorio piuttosto concitato dai toni curiosi e anche scandalizzati, creando dentro la chiesa una buffa quanto inquietante Torre di Babele.

Quando il prete le rifece la domanda per la terza volta, con più decisone, la folla tacque, in attesa della sua risposta. Alice si tormentò le mani, rigirandosi inconsciamente l’anello di fidanzamento nell’anulare sinistro, e lanciò una rapida occhiata dietro le sue spalle. Franco era diventato pallido, come un cadavere, a parte nelle guance e fissava mortificato qualcuno nell’altra ala della navata—probabilmente il Comandante Beilschmdit—e quando si accorse che lei lo stava guardando, le rivolse un’occhiata piena di rabbia e irritazione e mimò con le labbra  un aiuto.

“Alice…” lo sentì sussurrare con un filo di voce, stanco e abbattuto. Come stesse subendo lui il sopruso.

La ragazza inspirò ed espirò un paio di volte, prima di rispondere con voce tremante e fievole “Sì.”

Il resto della cerimonio continuò, senza più alcuna interruzione. Lucia aveva fatto bene il suo lavoro, la ragazza sapeva cosa rispondere e quando.

Quando il prete diede il consenso allo sposo di alzarle il velo, Alice per la prima volta in assoluto vide il volto di colui che ormai era diventato suo marito: Ludwig. Il viso squadrato era del colorito pallido della luna. Il naso dritto, la mascella rettangolare e gli zigomi alti sembravano dare una impressione nobile e altera; la fronte era alta e bianca e gli occhi erano celesti, come se avesse catturato il cielo. I capelli erano nascosti sotto il berretto nero.

 “Questo è il volto di mio marito.”, pensò Alice con il cuore in gola. Il viso del tedesco la inquietava, e molto. Sembrava molto più grande di lei.

Si scambiarono le fedi e Alice ebbe un attimo di esitazione quando Ludwig le afferrò la mano destra, cercando di infilarle la fede all’anulare.

“Figliolo, la mano è quella sinistra” lo corresse il prete, battendo poi due dita sull’anulare della mano sinistra.

Il ragazzo mormorò qualcosa di incomprensibile, probabilmente era tedesco, e rapidamente  le infilò l’anello nella mano giusta. Poi toccò a lei. Mormorò il giuramento e gli infilò la fede, con le dita tremanti e fredde.

 “Congratulazioni, ora siete marito e moglie.”, si congratulò il prete e poi aggiunse “Ora lo sposo può baciare la sposa.”

Quando vide il volto dell’uomo avvicinarsi al suo, istintivamente lei arretrò e sentì le sue labbra poggiarsi velocemente sopra una sua guancia, vicino all’angolo della bocca.

Infilando una mano nell’angolo del braccio di Ludwig, uscirono dalla chiesa e vennero festeggiati dalla folla.

Le donne più anziane gridavano il solito augurio “Che Dio vi benedica!” e “Auguri e figli maschi!”, picchiettandole la testa con i chicchi di riso lanciati in aria, come voleva la tradizione.

Un capannello di donne e ragazze, si avvicinò ad Alice, rinnovandole gli auguri e complimentandosi con lei per l’anello di fidanzamento.

“Oh, è davvero un anello grazioso, Alice” cinguettò deliziata Lucia, prendendole la mano e mostrandola alle altre ragazze, che annuirono convinte “Sì, davvero carino!”

“E anche molto costoso” aggiunse una voce roca e profonda dietro le loro spalle, che fece fremere la ragazza per il disgusto. Sapeva a chi apparteneva la voce.

“Signor Beilschmidt.”, mormorò torva quando l’uomo si avvicinò a lei, con stampato un ghigno tirato e cattivo.

“Oh, chiamami pure Vatter o come si dice da voi…papà!” le disse lui con finta cortesia, allargando ancora di più il ghigno e le diede un piccolo abbraccio, che lei non riuscì ad evitare. Poi le prese la mano sinistra e guardò l’anello “Noto con piacere che alla fine si è decisa a indossare il bellissimo anello che mio figlio le ha comprato, signorinella.”

Alice bruscamente sfilò la mano dalla sua e commentò indifferente “Le circostanze lo hanno richiesto.”

Il Comandante Beilschmdti ridacchiò divertito “Oh, certo. Per voi donne esistono sempre scuse quando si tratta di dovervi difendere e non apparire come siete in realtà: superficiali e vanitose. Non è vero, signorinella?”

La ragazza distolse lo sguardo dal suo viso antipatico e replicò scostante “La prego, la smetta di chiamarmi signorinella, Comandante Beilschmdt, adesso sono una donna sposata.”

Quando lo guardò di nuovo, notò con soddisfazione che il tedesco si era fatto livido in volto e non parlava. Certo, le era costato dire quella frase, ma almeno una piccola rivincita, per quanto misera e patetica in confronto a quello che ancora doveva subire, l’aveva avuta. Mentre si allontanava, sentì il Comandante ringhiargli cupo dietro le sue spalle “Ja, è sposata. Ma si ricordi che è mio figlio e che io sono suo padre.”

Quando davanti alla piccola chiesa arrivò un auto nera, Alice capì che il suo tempo a Roma stava finendo e sentì un’altra fitta, stavolta più forte delle precedenti, colpirgli il petto. Alzò lo sguardo dai sanpietrini, che aveva fissato per tutto il tempo mentre aspettava l’auto per non guardare Ludwig, e fece vagare lo sguardo sulle prime cose che le capitarono davanti. L’esedra, il magnifico palazzo di marmo bianco che si affacciava a Piazza Repubblica. Le erano sempre piaciuti quei disegni scolpiti nel marmo. La Fontana delle Naiadi, stagliate davanti al palazzo, che quando erano illuminate durante la notte rendevano la piazza ancora più luminosa e romantica. E infine la chiesa.  

“Avanti, Alice, sali in macchina.”, le ordinò suo padre dietro le sue spalle, facendola sobbalzare per la sorpresa.

Guardando per l’ultima volta la chiesa e la fontana, Alice salì in macchina. Suo marito era già entrato e aveva la testa rivolta verso il finestrino. Silenziosamente lei si sistemò vicino a lui, stando bene attenta a non toccarlo, quando anche suo padre entrò dentro la macchina, partirono.

Alla stazione di Roma, Termini, i treni erano pigramente allineati lungo le banchine. Uomini con l’elmetto verde in testa erano indaffarati a caricare borsoni e sacchi sul treno, e ad aggiustarsi con gesti seccati il  fucile sulla spalla. Alcuni sistemavano la baionetta con gesti sicuri, altri con aria indifferente e stanca, e altri con ancora con espressione terrorizzata. Questi ultimi si guardavano intorno con aria circospetta, facendo guizzare gli occhi da una parte all’altra, come se stessero meditando la fugga.

Gruppi di donne con capellini a cloche in testa, si assiepavano davanti al treno, cercando di raggiungere i finestrini e richiamare l’attenzione dei soldati già sistemati dentro il treno.

Alice guardò assorta una donna—Franco era andato a comprare il biglietto per lei—che portava in braccio un bambino e parlava con un soldato che si era sporto a mezzo busto al finestrino. La donna aveva il volto rigato dalle lacrime, che ogni tanto nascondeva dietro un fazzoletto per non turbare il bambino, mentre l’uomo la fissava con espressione addolorata, accarezzando la testa ricciuta del figlio. Quando il treno fischiò, Alice vide la donna piangere senza più freni e afferrare la mano del soldato che stava già rientrando dentro il treno. Il soldato strinse la mano della donna e gliela baciò. Poi posò le labbra sul palmo della propria mano e toccò la testa del bambino che inconsciamente sorrideva al padre. Quando il treno partì, la donna e il bambino furono inghiottiti dalla folla di gente che gridava saluti e agitava le braccia.

Alice sospirò e distolse lo sguardo sentendo come la sua tristezza stava crescendo. Tra poco il suo treno sarebbe partito e lei non avrebbe più fatto ritorno a Roma. S'immaginò la sua vita in Germania, in un paese lontano più di mille kilometri dall’Italia. Avrebbe dovuto obbedire a un uomo che nemmeno conosceva, assecondare ogni suo minimo cambiamento di umore e adempire ad un dovere in particolare. Lucia le aveva raccontato cosa facevano moglie e marito durante la loro prima notte di nozze. Era il pensiero di quella intimità indesiderata e imbarazzante a farle venire la nausea. Immaginava il sesso come una serie di dolorosi atti perversi.

Stava sudando freddo e il volto le era diventato pallido quando Franco la raggiunse, sventolando il biglietto per lei.

“Ed ecco la mia figlia sposata!” esclamò Franco mettendosi vicino a lei e mettendogli in mano il biglietto. Alice fremette per la rabbia e si allontanò da lui, incrociando le braccia al petto. Non voleva sentirlo, non voleva toccarlo. Adesso la sua stessa voce le dava fastidio.

Indifferente al malumore della figlia, Franco iniziò a parlare, senza più smetterla. Non la smetteva di dirle che la Germania era bella e pulita. Poi, Alice lo sapeva, sarebbe passato a decantarne i giardini, i mercati—sempre puliti e ordinati, diversi da quelli chiassosi e disordinati di Roma—, i teatri, il caffè e la qualità dell’aria e di lì a poco, lei sarebbe salita sul treno e lui l’avrebbe salutata sventolando orgogliosamente la mano. Poi sarebbe andato a prendere la propria “meritata” promozione. Ancora una volta l’avrebbe fatta franca a spese di altri. Come era successo con il fratello maggiore di Alice: Romano.

Alice non riusciva a tollerarlo.

“Aveva ragione Romano.” Disse.

Franco si interruppe nel mezzo di una frase. Trasalì, incrociò le braccia e poi le lasciò cadere lungo i fianchi.

“Aveva ragione Romano quando mi disse che tu sei solo un egoista ambizioso. Disposto a tutto per la carriera, anche a vendere i tuoi stessi figli.”, l’accusò dura e cattiva, girandosi per guardarlo dritto negli occhi.

Franco trasalì di nuovo e replicò “Non è vero. Sai che io non farei una cosa simile.”

“L’hai appena fatto. Mi hai fatto sposare uno sconosciuto solo per aiutarti nella tua stupida scalata verso il potere.”

“Non parlami con questo tono, Alice! E comunque questo matrimonio va solo a tuo vantaggio. La famiglia Beilscmdit è molto rispettata e temuta in Germania. Avrai una casa, una famiglia e dei figli, come hai sempre desiderato e...”

“No, come tu hai sempre desiderato! Non io!” lo interruppe la ragazza. “Io non desideravo sposarmi. Lo sai che non volevo.”

“E che cosa volevi, allora? Dimmelo avanti. Così magari ci mettiamo l’anima in pace. Dimmi cosa c’era di più importante per te di una famiglia, una casa, un marito e dei figli.” Esclamò Franco, cercando codardamente di difendersi dalle accuse della figlia. Voleva svergognarla e farle capire che per una ragazza non esistevano cose più importanti di quello che lui le aveva appena garantito facendola sposare con quel ragazzo tedesco. Lui era un buon padre, ne era sicuro.

Alice colse la sfida e abbandonando per un momento il risentimento e il dolore, addolcì il tono e rispose “Volevo stare con te e diventare un giorno qualcuno di cui tu saresti andato orgoglioso. Volevo diventare come te, un giorno. Io ti adoravo, nonostante tutto.”

Vide suo padre impallidire e abbassare la testa, come se si vergognasse di guardarla in faccia ora.

“Io ti adorava, papà.”, ripeté Alice, schiarendosi la gola e distogliendo lo sguardo per non piangere. Ecco, per l’ultima volta si era resa ridicola di fronte a suo padre. Nonostante le sue proteste, aveva fatto ciò che suo padre aveva voluto. Si era sposata con il figlio del Comandante Beilschmidt e ora se ne sarebbe andata via con lui.

“Non ho mai creduto alle parole di mio fratello Romano. Non ho mai creduto che tu fossi così avido di potere.”

Vennero divisi da un giovane soldato , che correva con in spalla una sacca. Franco sembrava sollevato da quella interruzione e alle scuse del soldato rispose con un sorriso educato.

“Non immaginavo che tu mi ritenessi meno di un oggetto di scambio.”

Franco alzò finalmente il viso e provò a difendersi “Non è vero. Questo mai. Mai, Alice.”

La ragazza scosse la testa e con un gesto brusco della mano lo interruppe. “Basta, quello che c’era da dire è stato detto. Ora hai perso un altro figlio, spero che la tua promozione ne valga la pena.” Disse a suo padre distogliendo lo sguardo. E gli voltò le spalle, incamminandosi lungo il fianco del treno. Sentì che la seguiva e le stava gridando “Verrò a trovarti. Te lo prometto! Appena avrò tempo, lo farò! Ma ti prego non lasciarmi anche tu!”

Alice scosse la testa “No. Non farti più vedere da me. Non voglio più vederti. Mai più! Non hai avuto nemmeno la decenza di farmi salutare la nonna!”

“Non lasciarmi in questo modo! Alice!”

Arrivata alla salita del treno, l’ebbe dietro. Rapida mostrò il suo passaporto e il biglietto al soldato di pattugliamento che con un gesto della mano la invitò a salire e un uomo che era appena salito si offrì di portargli le tre valige che aveva con se.

“Alice!”

Salì e benché con la coda dell’occhio vedesse che suo padre la seguiva camminando lungo il lato del treno, non guardò fuori dal finestrino. Si diresse verso la cabina, dove Ludwig sedeva con una valigetta nera poggiata sopra le ginocchia.

Non si voltò a guardare Franco quando lui poggiò le mani sul vetro e neppure quando si mise a battere con insistenza le nocche sul finestrino. Quando il treno si avviò con un sobbalzo, Alice non si voltò a vedere la figura di suo padre che rimpiccioliva, che spariva dietro il fumo nero.

Ludwig che occupava il sedile vicino al finestrino guardò la scena senza battere ciglio, in silenzio, per poi rivolgere un’occhiata distratta alla ragazza, come se non si fosse accorto della sua presenza.

Ringrazio chiunque mi lascerà una sua opinione, con la speranza che questo capitolo ne valga la pena.

  
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