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Autore: Caleido    03/05/2013    1 recensioni
Ed eccomi qui. Mi chiamo Hana. No, non "Hannah" o "Hanna" o simili. Hana. In giapponese vuol dire "fiore". E mia madre ha una passione per il Giappone. E' lì che lei e mio padre si sono conosciuti. Nessuno dei due è giapponese, se ve lo steste chiedendo. (...) Comunque, questo non ci interessa. Io mi chiamo Hana e ho sedici anni. Quest'anno io e la mia famiglia, che oltre a me e ai miei sopra citati genitori comprende mio fratello minore Peter (niente nome giapponese per lui), un gatto di nome Toulouse e due criceti dagli originalissimi nomi di Cricio e Criceta, ci siamo trasferiti nell'Ohio. E oggi è stato il mio primo giorno al liceo McKinley. Per essere stato un primo giorno non è stato poi così male. Io non sono una delle persone più espansive del mondo, capiamoci. Non rivolgo la parola e se mi viene rivolta rispondo a monosillabi. (...) Non trovavo la mia classe di storia, così ho chiesto indicazioni a una ragazza. E' stata molto carina. Si chiama Marley. Mi ha accompagnata alla classe, e abbiamo chiacchierato un po'. Mi ha chiesto se vorrei far parte del Glee club.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Ryder Lynn, Ryder Lynn, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Well... This should kinda be me - capitolo 7

GIORNO 15: Tempismo perfetto, fratello!

Ho dormito sorprendentemente bene, nonostante a) la preoccupazione per l’appuntamento (che parola strana! Finora se qualcuno mi avesse chiesto “Hai un appuntamento?” avrei risposto “No, non devo andare dal dentista”) del giorno dopo, b) la pancia brontolante perché non avevo mangiato abbastanza e c) il senso di colpa per non aver studiato un accidente. Stamattina ero pimpante e allegra già alle 6. Ho fatto un’altra doccia per sicurezza, ho indossato tutto quello che mi aveva consigliato la mia saggia genitrice, ho riordinato i miei riccioli con il ferro caldo e sono uscita, non dopo essere rientrata in casa quattro volte perché avevo sempre l’impressione di avere dimenticato qualcosa.

La mattinata è trascorsa senza intoppi. Il vantaggio di essere un genio scolastico (evviva la modestia) è che se per un giorno sei un tantino distratto nessuno ci fa caso. Se poi pur essendo un tantino distratti si è comunque meglio di tutti gli altri, ancora meglio. Dopo pranzo mi sono piazzata davanti alla palestra e mi sono messa a leggere “Introduzione al football: tutto quello che c’è da sapere sullo sport più popolare degli USA”, una guida che mostrava anche schemi di gioco che ai miei occhi risultavano un misto tra geometria e coreano.

Alle due meno un quarto Ryder è uscito dalla palestra con un gran sorriso. O aveva sorriso vedendomi là fuori? Visto che non l’ho notato finché non mi si è parato davanti, non lo saprei dire.

- Scusa se non sono comparso, a pranzo, la coach ci ha trattenuti. – ha detto, passandosi una mano sugli occhi. Sembrava stanco.

- Ma vi siete allenati tutto il giorno? Non avreste dovuto, chessò, riposarvi prima del grande evento? – ho chiesto.

- Non è nei metodi della coach Beiste. E visto che di solito i suoi metodi ci fanno vincere..

- Vi fa correre per una mattina intera prima della partita. – ho completato. – Vi ho visti dalla serra. – ho aggiunto come spiegazione al suo sguardo interrogativo. La serra si affacciava sul campo di atletica e mentre non ascoltavo quali elementi distinguono una cellula vegetale da una animale osservavo Ryder che correva intorno al campo. Sarò anche una che si schifa davanti a una goccia di sudore sulla fronte, ma la visione di lui che correva mi ha fatto dimenticare che molto probabilmente in quel momento stava sudando come un cavallo (bleah!). Mi ha fatto persino trovare attraente la corsa. Sempre che la facciano altri, è chiaro. La mia filosofia resta quella del “non vedo motivo di correre a meno di non essere inseguiti”.

- La serra? E che ci facevi lì? Il secondo anno non fa botanica. – ha osservato.

- Io seguo tutti i corsi avanzati, ricordi? – ho detto con un sorrisone. Lui ha scosso la testa come per dire “incredibile!”, facendo scivolare i suoi capelli chiari e sottili sul viso. Al sole sembravano quasi biondi, e così lisci e luminosi che mi stava tremando l’occhio alla Scrat lo scoiattolo per la voglia di toccarli.

Altri ragazzi sono usciti dalla palestra e ho notato che non ero l’unica ragazza invitata alla partita. Con mio immenso rammarico ho visto Kitty, ma solo quando ho notato anche Brittany ho capito il perché: certo che a una partita c’erano le cheerleader! Avrei dovuto pensarci prima. Prima che potessimo dire o fare altro la coach è comparsa per fare l’appello dei presenti prima di salire sul pullman. La distanza che c’è tra Lima e Ohio City è di un’oretta, e il viaggio è passato davvero in fretta, con Ryder che canticchiava sopra le canzoni che ascoltavamo dividendoci gli auricolari del suo iPod. Faceva facce buffe e tentativi di imitazione degli assoli di chitarra e batteria.

Quando siamo arrivati al liceo contro cui si giocava, sono scesa davvero malvolentieri dal pullman. Avrei quasi voluto che il viaggio continuasse. Ma quando sono scesa, Ryder mi ha presa per mano per aiutarmi, e dopo non l’ha lasciata, il che mi ha fatto triplicare le farfalle nello stomaco. Ormai c’era sovraffollamento.

- Noi dobbiamo andare nello spogliatoio a prepararci. La coach ti farà vedere da dove devi entrare. Mi raccomando, non sederi troppo avanti, altrimenti non avrai una panoramica completa. E non sederti troppo in alto o io non ti vedrò. – Mi ha accompagnato un ricciolo dietro l’orecchio e mi ha lasciata con un bacio sulla guancia. Inutile dire che sono andata a fuoco.

- Buona fortuna! – ho balbettato.

- Ma che carini. – ha detto Kitty con il suo sorriso da rospo – Potrei anche credere che gli piaci sul serio.

- Non hai altro da fare? Tipo andare a spolverare i tuoi pon-pon o strappare le ali alle rondini per fartene di nuovi?

- Okay, ospiti dei giocatori, seguitemi, vi faccio vedere da dove dovete entrare. – ha detto la Beiste prima che potesse rispondermi. Ma il suo sorriso da viscida rana non si è nemmeno sfumato.

Tutto sommato la mia guida sul football mi ha più o meno permesso di capire qualcosa. In sostanza avrei dovuto essere contenta se i nostri fossero riusciti a portare la palla dall’altro lato del campo facendo touchdown. Ho cercato di tenere gli occhi su Ryder, ma ad un certo punto ho confuso i giocatori. Al che ho avuto la brillante pensata di registrare parte del gioco come materiale da inviare a Skyler e Ally. Ho tirato fuori il cellulare e ho fatto partire la registrazione.

- Ecco, ho pensato di rendervi partecipi di questa manifestazione di un tipico sport americano. Uno di quelli vestiti in rosso sul campo è Ryder. Credo che sia quello che adesso sta correndo verso sinistra con la palla in mano, cercando di segnare, ma non ne sono sicura. Non so nemmeno se riuscite a distinguere chi tiene la palla. Oddio, abbiamo segnato! Oh, altro tipico momento dello sport, quello dell’esultanza per il punto. Hahaha! Guardate i balletti strambi di quello che ha appena segnato! E si toglie il casco! O elmo? Come cacchio si chiama? Oh! OH! Era sul serio Ryder. Oddio si sta avvicinando alla recinzione. Mi sta salutando? Sì, mi sta proprio salutando! – Ho sorriso inebetita e ricambiato con uno sventolio altrettanto ebete della mano. Stava anche dicendo qualcosa, e mi indicava. – Per.. per te? Per chi? Ah, per me! Per me! Mi sta dedicando il punto!

- Ragazzina, smettila di fare la cronista, ci vediamo anche noi. – ha commentato il signore dietro di me, con voce scocciata.

- Mi scusi. – ho detto arrossendo. – Be’, mi sa che devo staccare, la gente qui è davvero presa.

Ho chiuso la registrazione e l’ho salvata. Il gioco è continuato sulla stessa scia. I nostri segnavano ogni tanto, e ogni tanto segnavano gli altri. Alla fine però abbiamo vinto, ma non è che abbia potuto esultare granché, dato che tutti lì erano genitori e amici dell’altra squadra. La coach ha chiamato me e gli altri ospiti, che sono ricomparsi miracolosamente (sono piuttosto sicura del fatto che se la siano svignata all’inizio della partita e siano tornati al segnale della fine) e hanno iniziato a complimentare la Beiste per la vittoria.

I ragazzi sono usciti dalle docce profumati e in delirio. Ryder è venuto da me e, con la più totale naturalezza, mi ha abbracciata. I suoi capelli profumavano di shampoo e la pelle di bagnoschiuma, ed era così caldo in confronto a me, gelata lì fuori mentre aspettavo!

- Congratulazioni! Per quello che sono stata in grado di capire, sei stato bravissimo. E grazie per.. per la dedica del primo punto. – ho detto quando, mio malgrado, ci siamo separati. Fosse dipeso da me mi sarei aggrappata a lui come una scimmietta.

- Te lo meritavi. – ha detto con un sorriso che ho ricambiato. – Ma sei gelata! – ha esclamato sfiorandomi la mano. In effetti le unghie stavano assumendo un lieve colorito bluastro per il freddo. – Ecco, mettiti questa. – dalla sua sacca ha tirato fuori la giacca da giocatore e me l’ha messa sulle spalle. Ho cercato di protestare, più perché è la prassi che per altro, ma non mi sono impegnata più di tanto e ho accettato. La giacca avrebbe potuto contenerne due di me, ma non mi dispiaceva.

Il viaggio di ritorno è stato molto più movimentato, perché i ragazzi commentavano la partita con tanto entusiasmo così contagioso che ho quasi capito cosa stavano dicendo. Quasi.

Siamo stati lasciati a scuola e da lì siamo andati al Breadstix. Forse a questo punto dovrei commentare il posto. Mh. Quali sono i criteri? Per me qualunque cosa non sia una casa del tè o un ristorante di lusso di quelli che piacciono ai miei è un posto indescrivibile. Comunque l’atmosfera era carina. Non che io potessi sentire qualcosa di negativo in presenza di Ryder. Aveva prenotato un tavolo e una cameriera carina tutta sorrisi è venuta a servirci. Ryder mi ha chiesto se poteva ordinare per entrambi le specialità del posto, e io con fare indifferente ho accettato. In realtà mi sarei messa a ballare la Macarena perché mi aveva evitato l’imbarazzo dell’indecisione.

- Allora, parlami un po’ del New Jersey. Come ti trovavi lì? – mi ha chiesto dopo che la cameriera se ne è andata.

- Be’, non avevo di cosa lamentarmi. La scuola era okay, la città in cui stavo anche e la pasticceria “Da Carlo” era poco distante.

- Il boss delle torte? – ha chiesto alzando le sopracciglia. – Le sue torte sono davvero mangiabili?

- Interamente, anche se io preferisco i suoi cupcakes. Le mie migliori amiche mi hanno fatto fare una torta a tema Giappone una volta, ed è stato un peccato che non l’abbiano fatta vedere nella trasmissione, perché è stata un capolavoro.

- Ti mancano? Le tue amiche, intendo, non le torte di Buddy.

- Certo che mi mancano. – ho detto, provando mio malgrado un moto di tristezza.

- Mi sorprendi sempre, sai? Ti sei trasferita in un’altra città lasciando indietro le tue amicizie, eppure riesci a comportarti come se niente fosse. Trovi il tempo per studiare per una marea di corsi avanzati, per vincere competizioni di scrittura, per venire alle riunioni del Glee, per leggere e imparare il giapponese e io.. io ho avuto difficoltà anche a conciliare il football con la scuola. Anche perché mia madre mi permette di continuare con lo sport solo se riesco ad avere la media della B in pagella.

- Mi fai sembrare molto migliore di quanto io non sia. – ho mormorato. – Ognuno ha il suo modo di vivere. Io non faccio altro che studiare e leggere, tu pratichi sport e canti. Siamo come.. Hai mai visto High school musical? – ho chiesto con un sorriso, quando mi si è affacciato alla mente il paragone. Lui ha annuito. – Ecco, Gabriella era una secchiona fissata con la chimica. Troy invece era un ottimo giocatore di basket e un cantante e ballerino dal talento innato. Questo non rendeva lei migliore di lui.

La cameriera è venuta a portarci le ordinazioni proprio quando lui si è messo a ridacchiare per il mio ragionamento. Gli spaghetti al salmone erano davvero profumati.

- Non ti facevo il tipo che guarda High school musical. – ha detto lui dopo avermi augurato buona cena.

- Tsk, quante cose devi ancora scoprire. Troy Bolton è stato il mio primo amore adolescenziale. Ho registrato il film e l’ho riguardato ogni giorno almeno due volte al giorno per una settimana.

Lui è scoppiato a ridere. – Altri segreti?

Ci ho pensato su per un attimo. – Per un periodo ho amato i Jonas Brothers, ho sofferto di Bieber fever per un’estate e devo ammettere che alcune canzoni dei One Direction non mi dispiacciono. Ciò non toglie che la mia band preferita siano i Muse – almeno fino al loro penultimo album - e il mio cantante preferito Nat King Cole. Quando ho l’influenza niente mi tira su come un po’ del buon vecchio Nat.

- Sei una contraddizione vivente. – ha detto. – Mi piace.

Gli ho sorriso. La conversazione è continuata su questo tono. Praticamente è venuto fuori tutto quello che ci piace. Ad un certo punto ho dimenticato di essere ad un appuntamento, ho dimenticato di sentirmi in imbarazzo e ho iniziato ad essere a mio agio. Ho riso e mi sono divertita e ho scordato ogni preoccupazione. Quando però mi ha riaccompagnata a casa, ho iniziato a farmi venire le solite fisime.

E se vorrà baciarmi? Avrei dovuto prendere una mentina dopo cena?

E se non vorrà baciarmi? Significherà che non è interessato a me?

E se mi bacerà? Io come farò? Come saprò cosa fare?

E se mi farà una di quelle brillanti domande del tipo “Vuoi essere la mia ragazza?”, che io immagino scritte sui bigliettini a quadretti, stropicciati e strappati in maniera irregolare dal fondo dei quaderni, con una calligrafia da scuole elementari e con sotto due quadratini con vicino scritto “sì” e “no” (e in alcuni casi anche “forse”, per quanti sono più indecisi)?

E che mi baci oppure no, come saprò che cosa rappresento per lui? La comodità della brillante domanda sopra citata era che perlomeno non potevano esserci fraintendimenti. Ad occhio e croce dire che un bacio equivarrebbe a un impegno, ma quanta gente fa sesso e quando si chiede “Ma state insieme?” la risposta è una faccia sconvolta e un “Noi? Non ancora.”?

Quando siamo arrivati davanti alla porta ho fatto per sfilarmi la giacca e restituirgliela.

- No, tienila. – mi ha detto. – Me la darai un’altra volta.

L’ho fissato imbambolata. Improvvisamente mi pentivo di aver accettato l’ultima fragola ricoperta di cioccolato. Le mie farfalle non stavano gradendo.

- Hana, io.. – ha iniziato a dire mentre con una mano mi portava i capelli dietro l’orecchio soffermandosi ad accarezzarmi la guancia. Solo che, di nuovo, non ho mai saputo lui cosa, perché in quel momento, in cui io stavo per indietreggiare perché lui era talmente vicino che potevo sentire il suo respiro sul viso, quel momento in cui il mio cervello mi stava dicendo che non mi sentivo affatto pronta per essere baciata, mentre tutto il resto di me stessa mi diceva il contrario – in quel momento, insomma, si è aperta la porta, e per lo spavento stavo per cadere dentro il cespuglio di rose dietro di me.

- Scusa! – ha esclamato mio fratello sgranando gli occhi nella sua migliore espressione di allarme – Pensavo fosse il ragazzo che consegna le pizze! Scusate! Buonanotte! – E’ rientrato sbattendo la porta.

Ho guardato Ryder, che stava ridacchiando. – Be’, è meglio che vada. Ci sentiamo domani, okay? – Mi ha dato di nuovo un bacio sulla guancia.

- Okay, a domani. – ho sussurrato. L’ho accompagnato con lo sguardo lungo il vialetto e sono entrata in casa.

- Peter? Vieni qui, per favore. – ho detto. Un ciuffo di capelli biondo-rossicci si è affacciato dal divano.

- Ti giuro che non sapevo che fossi tu! Scusa! Pensavo sul serio che fosse il ragazzo delle consegne! – ha squittito. Quando mi sono avvicinata al divano si è rannicchiato come un cucciolo spaventato. – Non volevo interrompere niente, davvero! – ha aggiunto.

- Alzati, per favore. – gli ho detto con voce neutra. Malvolentieri lui ha obbedito e si è alzato. Allora l’ho abbracciato e ho iniziato a ricoprirlo di baci sulla testa. – Grazie, grazie, grazie! – dicevo mentre lui: - Ahia! Lasciami! Mi stai soffocando!

- Domani andiamo insieme al centro commerciale e ti compro tutte le caramelle frizzanti alla coca cola che vuoi! – ho detto, lasciandolo andare. Il poverino aveva tutti i capelli scombinati ed era rosso in viso. Oltre che evidentemente perplesso.

- Stai bene? – mi ha chiesto con fare circospetto.

- Certo che sto bene! – ho esclamato con una risata. – Ora vado a cambiarmi. Come mai devi ancora cenare? Ah, mamma e papà non ci sono, giusto. Cosa stavi guardando? Ah, stavi giocando. Bene, vedi di finire la partita prima che io scenda, così possiamo guardare “Cars 2”.

Sono salita a cambiarmi fischiettando – si fa per dire, perché la natura non mi ha concesso la dote di saper fischiare – sotto lo sguardo ancora intensamente perplesso di Peter.

---
Nota dell'autore: Bene, eccoci qui. Avrei voluto pubblicare di pomeriggio ma mi hanno piazzato una lezione all'università e prima non ho avuto il tempo di farlo. Comunque. Spero vi possa piacere e a venerdì con il seguito!
   
 
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