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Autore: Francis93    03/05/2013    0 recensioni
Storia a 4 mani (scritta da me e Shivola), ambientata nella Londra dei giorni nostri. Protagonisti Maeve e Jon, la loro storia vissuta nel mondo complicato e torbido dei locali notturni di Soho. Personaggi creati per un gdr by chat ad ambientazione fantasy, Dreamage, e trasportati ai giorni nostri. //update settimanale tra sabato e domenica… stay tuned!
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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"La sua amicizia. Il suo modo di guardarla e viverla. Ambiguamente. Assomigliava. All'amore"

Mentre erano in macchina, Maeve non spostò nemmeno per un istante lo sguardo dal finestrino. L’abitacolo era piacevolmente caldo e il freddo che le era entrato nelle ossa finalmente stava lasciando spazio a un piacevole torpore. Era ancora avvolta nella giacca di Jon, che le faceva quasi da coperta.

Pioveva.

L’uomo guidava con sicurezza sulla strada bagnata mentre le luci della città iniziavano a spegnersi. Londra si stava svegliando, ma Maeve non aveva sonno. Jon parlava ogni tanto, e lei rispondeva con monosillabi, o un semplice cenno del capo. Ogni tanto dava qualche indicazione sulla strada da seguire per arrivare a casa sua. Jon comunque non sembrava averne bisogno. Non ci volle molto perché frenasse davanti a casa della donna, quasi alle 5 del mattino. Maeve rimase in silenzio per diversi istanti, non sapendo bene cosa dire. Guardò distrattamente la ferita sul suo avambraccio, constatando che aveva smesso di sanguinare. Era poco più di un graffio, netto e per niente slabbrato.

“Grazie… Buonanotte.” Mormorò portando la mano alla portiera. Aveva la matematica certezza che l’avrebbe fermata… E così fece. Maeve registrò come appunto mentale che gli uomini diventavano per lei ogni giorno più prevedibili. Si voltò verso di lui quando sentì la sua mano sulla spalla.

“Non vuoi sapere perché l’ho fatto?” le chiese. Maeve esitò qualche istante prima di rispondere, non sicura di cosa volesse o non volesse sapere.

“… Non sei obbligato a dirmelo.” Disse sulla difensiva.

“Vendetta.”

“Come?” Maeve ora era stupita. Aveva immaginato tutti i motivi possibili di questo mondo, tutti… Tranne quello. Jon rise alla sua espressione stupita.

“E’ così strano?” chiese, rivolgendole un sorriso qualcuno avrebbe potuto definire dolce. Ma non lei.

“Certo che lo è.” Borbottò Maeve, scostandosi dal contatto. Per qualche istante calò un silenzio un poco imbarazzato nell’abitacolo.

“Grazie di avermelo detto.” Aggiunse chiaramente irritata e ironica. Jon sospirò in modo abbastanza plateale.

“Mae, cosa devo fare perché tu ti fidi di me?” Chiese, cercando di accarezzarle il volto. La donna si scostò come un animale ferito, rifuggendo qualsiasi contatto.

“Non chiamarmi così.” Ringhiò. Nessuno la chiamava così se lei non lo voleva. Non era qualcosa che permetteva a tutti.

“Ok,ok… Ma cosa devo fare?”

“Niente.” Maeve alzò le spalle. Era meno irritata di quanto sembrasse e si stupì nel rendersene conto.

“Buonanotte.” La ragazza borbottò il suo saluto a mezza voce prima di scendere dalla macchina. Poteva percepire una lieve delusione da parte dell’uomo, ma non le importava più di tanto. Non gliel’avrebbe data vinta tanto facilmente. Captò il saluto di Jon mentre scendeva e aprendo la porta del condominio sentì il rumore della macchina che si allontanava.

Pioveva ancora. Si rese conto di avere addosso la giacca di lui.

Salì fino al suo appartamento minuscolo e si buttò sul letto ancora vestita. L’unica cosa che fece fu togliersi la giacca e appoggiarla sullo schienale della sedia prima di concedersi due ore di sonno.

La mattina dopo scrisse un messaggio a Lizz. Doveva fare pace… O meglio, doveva tenerla come amica. Le scrisse ben sapendo che l’avrebbe trovata addormentata, ma non le importava.

“Ho qualcosa da farmi perdonare. Vieni da me stasera?” premette il tasto d’invio e attese che il messaggio fosse inviato. Aveva un paio di cose da chiarire e poteva sfruttare la serata libera per sistemare un po’ le cose.

La risposta di Lizz giunse quando era a scuola.

“Come… Non sei con Jon? Mi sento onorata…” Maeve sbuffò al tono ironico del messaggio. Ci mancava solo il suo sarcasmo. Ne avrebbe fatto volentieri a meno… Ma scrisse comunque un messaggio dal tono amabile, in cui si scusava con lei per quello che era successo la sera prima e diceva di volersi fare perdonare. Prima di inviare il messaggio lo rilesse, e sorrise tra sè e sè nel constatare quanto poteva essere una brava attrice quando voleva.

Alla fine Lizz capitolò e le due si misero d’accordo per le 10 di quella sera. Maeve si sentiva abbastanza soddisfatta: stava ottenendo esattamente quello che voleva, e sapeva che non ci avrebbe messo più di 10 minuti a farsi perdonare dalla collega. Soprattutto conoscendola bene come la conosceva lei. Due tocchi ben insestati e avrebbero fatto pace.

Quel pomeriggio Maeve tornò a casa e dormì qualche ora. Dedicò le ore appena prima dell’appuntamento a sistemare il suo appartamento, dandogli una parvenza di pulizia e ordine. Dopo si preparò anche lei, sistemando il trucco e indossando abiti appariscenti. Quando si guardò allo specchio il suo riflesso le sorrise di rimando e Maeve si mise ad aspettare Lizz con una certa soddisfazione.

La ragazza si presentò sotto casa della collega alle 22.15, con un canonico quarto d’ora di ritardo per far aspettare l’altra. Suonò al campanello e Maeve aprì quasi subito. Mentre aspettava che Lizz salisse la ragazza uscì ad aspettarla sul pianerottolo di fronte all’appartamento. Passarono solo pochi secondi prima che sentisse il rumore dei suoi passi salire le scale, dopo poco la scorse in fondo alla rampa. Alzò il volto verso di lei, Maeve le sorrise quasi dolce e gentile, o almeno questo voleva far credere a Lizz. Quando arrivò in cima alla scala la salutò con un veloce bacio sulla guancia, fugace e innocente, prima di invitarla a entrare in casa. La precedette nell’appartamento, facendole strada.

Aveva già messo su una musica di sottofondo e preparato un paio di bicchieri da liquore sul comodino affianco al divano-letto, per l’occasione adibito a divano. Tutto l’appartamento profumava di pulito, mentre la padrona di casa invitò Lizz ad accomodarsi. Doveva scusarsi e aveva già studiato in modo abbastanza preciso quello che doveva dire. Aspettò che Lizz si fosse seduta sul divano prima di sedersi a sua volta.

“Sai? Credo proprio di doverti delle scuse.” Iniziò, versando in entrambi i bicchieri qualche dito di rum chiaro: non era certo il migliore sul mercato ma Maeve non l’aveva preso perché fosse eccezionalmente buono. Doveva solo sciogliere un po’ Lizz. Le porse il bicchiere con un sorriso e brindò con lei dopo che la donna lo ebbe accettato.

“Potrei anche passarci sopra… Ma dovresti sapere che a questo mondo nessuno regala niente. Neanche il perdono.” Maeve finse di non capire, osservandola interrogativa. Lizz ridacchiò alla sua espressione stupita e bevve dal bicchiere.

“Ma io voglio che tu mi perdoni.” Replicò la ragazza, con tono di voce curato per essere il più dolce possibile. Con un gesto apparentemente casuale si sistemò meglio sul divano, avvicinandosi un po’ alla collega e lasciando salire di qualche centimetro la gonna. Captò lo sguardo di Lizz rialzarsi quando tornò a guardarla e seppe che sarebbe stato persino più facile del previsto.

Decise però di giocare sicuro e darle ancora da bere mentre con molta naturalezza si rialzava avvicinandosi ad un mobile vicino al suo piccolo letto: un comodino con un cassetto. Si sentì gli occhi dell’amica addosso per tutto il tempo, soprattutto quando tornò versò di lei con qualche macchietta di polverina bianca sulla mano. Lizz si sbrigò a terminare l’alcool che stava sorseggiando nell’attesa e le sorrise. Maeve le fece da specchio, mentre le si accucciava davanti le sue gambe, ai piedi del divano; flemmatica, calibrata per essere una tentazione. Ogni movimento della ragazza era per Lizz. Quest’ultima non smetteva di passare lo sguardo tra lei ed il bianco sulla sua mano.

“ Il bianco è segno di pace, sai? Ed io voglio farla con te...” Le disse Maeve, bagnando il polpastrello indice della mano destra per poter incollare un poco della polverina magica sul dito. La collega si sporse in avanti, sovrastandola di qualche centimetro.

“ Anche tu.” Disse.

“ Anche io.” Replicò Maeve.

Senza troppi complimenti le leccò la punta del dito appropriandosi della sua parte. Maeve prese la propria. Socchiuse gli occhi mentre quel poco che aveva assunto faceva il suo effetto. Un respiro prima che la mano destra spingesse Lizz contro lo schienale del piccolo divano: il palmo aperto infilato sotto la stoffa della maglia. Scese, sfiorando poi il bordo superiore della gonna; lo ignorò, per proseguire verso l’inferiore. La mano sinistra si unì all’altra, pronta a sfilare gli slip della ragazza da sotto l’indumento. Ci riuscì, ma inaspettatamente Lizz le sollevò il viso: la baciò con irruenza serrando le mani attorno al suo viso candido e costringendola a terra. Sbatterono entrambe sul tavolino ma entrambe ignorarono la cosa.

Maeve aveva seriamente sottovalutato la collega sotto l’effetto di qualche stupefacente; se ne rese conto quando Lizz la spogliò senza i suoi soliti modi delicati.

“ Lizz...” Sussurrò cercando quantomeno di rallentarla, provando bloccarle i polsi. Si stupì nel sentirsi i propri pressati a terra, trattenuti dall’altra. La collega la guardava in viso.

  Te l’ho detto, Mae...” Si chinò su di lei, leccandole le labbra. “ Il perdono ha un prezzo. Questo è il mio...” Un sussurro che fece rabbrividire Maeve per la situazione: le era decisamente sfuggita di mano. Eppure si meravigliò anche di se stessa e alla facilità nel desistere dai propri intenti. Percepì Lizz lasciarle i polsi, ma non si mosse lo stesso; sentì altrettanto bene le mani dell’altra sfiorarle i seni, i fianchi, il contorno del fondoschiena, ma rimase a terra ad attendere.

Si costrinse a soffocare un gemito quando le labbra della collega sfiorarono la pelle dell’interno coscia.

Un bacio, un secondo verso il basso, poi un altro ancora. Vide Lizz compiacersi delle reazioni che le provocava.

Maeve riuscì solo a pensare d’essere stata veramente una stupida, appena prima del quarto bacio.

Poi chiuse gli occhi.

 

  
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