“Styles come fai ad avere il mio numero?” disse tutto di un fiato continuando a fissare i suoi occhi verdi smeraldo.
“Ho le mie conoscenze Malik” disse con il suo sorrisetto strafottente.
“Louis?”
“ Si esatto.” Harry si sorprendeva ogni dannata volta, lo capiva al volo.
Louis era il loro migliore amico in comune. Aveva due anni in più di Elizabeth ma sembravano molto più giovane con quel suo viso così limpido.
“Glie ne dico quattro a quell’ infame”
La ragazza voleva un mondo di bene a Louis, lo conosceva da quando era nata e per uno strano caso le loro mamme erano vicine di stanza; era come un secondo fratello maggiore per lei, protettivo, comprensivo, pazzo al punto giusto solare proprio come lei. Da piccola la faceva sempre ridere e picchiava, con tutta la forza che possedeva a quella giovane età, tutti i bambini che prendevano in giro la piccola Elly, finendo alcune volte anche in presidenza.
“ Dovrei essere io offeso signorina e lascia stare il mio Louis se no te la dovrei prendere con me”
Elizabeth scoppiò a ridere senza perdere lo sguardo dolce di Harry.
Lui la fissava intensamente, fissava ogni sua minima imperfezione che per lui erano perfette.
Passò qualche ora e i due ragazzi erano ancora seduti sulla panchina a parlare: ridevano, scherzavano.
“ Ah si ovvio signor Styles quindi gli affari di tuo padre vanno a gonfie vele perché tu attiri le donzelle?”
“Elizabeth non ti credevo così perspicace eh! Mi sorprendi”
Quelle volte che si vedevano parlavano di tutto, ogni assurdità la dicevano e si sentivano ascoltati. Ascoltare una persone è la cosa più gentile che qualcuno possa fare. È bello sentirsi ascoltati, capisci che a qualcuno interessano le tue storie anche banali, ma sono una parte di te.
“Harry… si è fatto tardi sono le sei e mezza e avevo detto che sarei tornata per le cinque. Non avrò una bella accoglienza a casa” Elizabeth sistemò il suo book in borsa, guardò intorno se c era qualcosa di suo e guardò con tutta la dolcezza possibile Harry che era ancora li seduto con la faccia dispiaciuta.
“Beh…Ci vediamo Hazza!”
Ci vediamo: parole che ad Harry rimbombarono per tutta la testa. Non voleva che se ne andasse dato che stava bene con lei, era una persona stupenda, un’amica da tenersi stretta.
Elizabeth sorrise per l’ ultima volta al riccio e si diresse verso l’uscita del parco. Si sentiva leggera, si sentiva bene. Fece un lungo sospiro che finì con un bel sorriso. Cercò velocemente il cellulare e vide due nuovi messaggi. Sperava non fosse sua mamma arrabbiata per non aver avvertito del suo ritardo, ma ciò che lesse era molto peggio… Era lui. Si blocco di colpo rimanendo impietrita.
-Ciao eh -
Sapeva solo dire quello. Sembrava che volesse dare la colpa di tutto a lei in quel stupido messaggio. Quel “eh” tanto odiato da Elizabeth. Riusciva a innervosirla ogni volta, ogni dannata volta. Non capiva come una persona del genere potesse piacerle. Lo odiava o forse si convinceva ad odiarlo, per nascondere l’amore che provava per lui.
Voleva poter essere forte, superiore, essere come Super man: voleva essere invincibile ma lui era come la Kriptonite, il suo punto debole indebolendola giorno per giorno. E lei si sfogava piangendo. Piangeva e sperava che prima o poi riuscisse a mettere un punto a quella storia restata in sospeso per quattro anni.
Erano stati insieme un paio di volte, ma alla fine uno dei due rovinava sempre tutto. Odiava questo rapporto, erano amici, anzi non sapeva neanche lei cosa fossero. L’ unica cosa di cui lei era consapevole era che non riusciva a farne a meno, era diventato come una droga da assumere ogni giorno.
Non si accorse di essere rimasta fuori davanti al parco, ferma ed Harry la stava ancora fissando.
Scrollò la testa e depose lentamente il cellulare in borsa, facendo finta di non aver letto quei messaggi e iniziò ad avviarsi verso casa, a passo estremamente veloce.
Si asciugò la lacrima che gli attraversò la guancia e sospirò guardando in alto: il sole non era più caldo, non la scaldava più come prima e si sentì morire dentro.
“Ma cavolo quanto ci vuole ad aprire!”
Era da più di un minuto che Elizabeth bussò al campanello, ma nessun’anima viva. Si era pure dimenticata le chiavi (come al solito) e al cellulare sua madre non rispondeva.
Iniziò ad innervosirsi. Si precipitò davanti al cancellone comune di quelle ville disposte ad U, scavalcò delicatamente senza incastrarsi da nessuna parte e scese giù dallo scivolo di cemento, ormai rovinato col passare degli anni, osservando i vari garage dei suoi vicini di casa. Non si accorse che una clear era aperta.
“Va chi c è”
Elizabeth alzò lo sguardo, spalancò gli occhi e socchiuse la bocca per dire qualcosa… ma niente, le parole le si erano volatilizzate. Le mani della ragazza iniziavano a sudare, iniziò a massacrarsele dal nervoso e sentì una lieve sensazione di caldo: stava arrossendo e lei questo lo sapeva bene.
Doveva essere forte. Doveva essere superiore. Doveva. Doveva. Verbo che Elizabeth ignorava da anni. Lei subivalui, subiva i suoi sbalzi di umori, i suoi capricci, le sue cattiverie e i suoi sguardi.
-Ciao di nuovo! Ecco il continuo:) spero vi piaccia! - Rita