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Autore: Pleasance Carroll    04/05/2013    1 recensioni
Nel 2017 Ewan McGregor è un attore che, a causa della separazione dalla moglie non riesce a recitare nel film che interpreta, come una volta.
Irene Machiavelli, una critica cinematografica del Los Angeles Times che ha fatto molta strada per arrivare dove si trova, e l'ultima cosa che vorrebbe è entrare in contatto con un uomo che sta cercando di ritrovare se stesso, perchè sa benissimo che tra attore e fan è sempre necessaria una certa distanza.
*STORIA SOSPESA*
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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copertina

Capitolo 1

Irene Machiavelli

 

Le city, i distretti emblema della produttività lavorativa, erano una peculiarità americana, ogni città degli Stati Uniti ne aveva una, concepita come zona che doveva sorgere distaccata dal restante tessuto sociale. Particolarità, questa, che non smetteva ancora di stupire Irene, cresciuta in un ambiente ed una realtà totalmente diversi, nonostante lavorasse da anni, ormai, in quel quartiere.

Anche quella mattina, nonostante la fretta e il cuore che le galoppava nel petto per la preoccupazione, la donna non mancò di far correre lo sguardo alle svettanti silhouette dei grattacieli che le sorgevano tutt’attorno, timorosa com’era che quelle mastodontiche figure avrebbero potuto ingoiare un altro pezzettino del terso cielo della città. Poi, accelerò il passo, maledicendo la sua migliore amica per averla costretta a “vestirsi da donna”, quindi ad indossare un paio di tacchi che le stavano facendo venir voglia di urlare.

La ventisettenne si ritrovò a claudicare per via dei piedi gonfi, tanto che rischiò più volte di cadere o scontrarsi con persone che, come lei, si stavano dirigendo sul proprio posto di lavoro, avrebbe riso se avesse potuto vedere quanto il suo modo di avanzare somigliasse a quello di una pallina del flipper, ma quel momento non era decisamente il più adatto per farsi una risata, dal momento che non capitava mai che il suo capo la convocasse per parlarle personalmente, e per di più di prima mattina, quando il sole ancora non scottava.

Non si spiegava come mai non riuscisse a togliersi dalla mente la sensazione di essere un’esca che veniva gettata in un mare oscuro e ignoto…

Tutta trafelata, spalancò con veemenza la porta a vetri della sede del Los Angeles Times e si fermò solo un secondo per chiedere alla segretaria che piantonava l’entrata, dove fosse l’ufficio del capo.

Pazzesco! Lavorava per il giornale più importante di Los Angeles in veste di critica cinematografica, da tre anni, eppure non riusciva ancora a ricordare dove si trovasse l’ufficio dell’uomo che le aveva dato fiducia, assumendola.

Audrey, la bionda cinquantenne dietro la scrivania, che pareva aver fatto una tessera d’abbonamento ai chirurghi plastici, le rivolse un sorriso che somigliava ad un ghigno scolpito tra gli zigomi immobili mentre le dava le informazioni di cui aveva bisogno.

La ragazza si precipitò quindi nell’ascensore e, anche se era ultraveloce, ebbe abbastanza tempo per riflettere su quanto le suonasse ancora strano, sentir pronunciare il proprio nome in modo tanto particolare, nonostante i molti anni che ormai aveva trascorso in America. Il suo semplice nome, Irene, subiva una sorta di storpiatura: la i iniziale era pronunciata con una sorta di a ausiliare davanti, e senza la e finale, finendo per sembrare particolarmente esotico. La stessa sorte toccava al suo cognome, Machiavelli: il nesso ch mutava in una c dolce e le l doppie venivano scempiate.

Chissà come ne sarebbe rimasto deluso suo padre, che le aveva sempre raccomandato di andar fiera del suo cognome…?

Quando l’ascensore giunse al piano giusto, lei avanzò con passo malfermo, non sapeva se dipendesse dalla poca stabilità che le davano i tacchi o dai fremiti di paura che sentiva in tutto il corpo.

Da quando era stata assunta per quell’importante giornale, dava il massimo ogni giorno, dal momento che contro ogni aspettativa aveva visto realizzarsi il proprio sogno di bambina. Il caldo sole californiano poi, sembrava darle la carica, metterla sempre di buonumore, ma non in quel particolare giorno: Irene Machiavelli in quel momento, si detestava.

Dai tempi del suo trasferimento in America, nel periodo degli studi universitari, si era ripromessa che non sarebbe più caduta preda delle paure scatenate dall’incertezza, che avrebbe proceduto con sicurezza in tutto ciò che faceva, affidandosi al proprio istinto, e finalmente era riuscita a spezzare quel circolo vizioso che le aveva condizionato la vita fino ad allora, alimentato costantemente dalla paura e dall’incertezza.

C’era sempre riuscita, a sentirsi una persona nuova, sempre piena di energie ma quella mattina le sembrava di essere tornata la stupida ragazzina infantile che aveva sempre temuto l’ignoto.

Non era mai accaduto che il suo capo la convocasse personalmente, e per di più prima dell’orario di lavoro, cosa poteva essere capitato per farle meritare una convocazione straordinaria?

Con la mano serrata a pugno, le nocche bianche, bussò allo stipite della porta  dell’ufficio, tanto per annunciarsi educatamente, poichè il suo capo, perfettamente visibile da lì, seduto alla propria scrivania, amasse lasciare la porta a scomparsa, sempre aperta.

-         Buon giorno Irene, grazie per essere venuta.- la salutò, venendole incontro per accoglierla.

Le strinse la mano, e tenne il suo stesso passo finchè non giunsero alla sua postazione, dietro la quale lui tornò subito. Irene non aveva mai avuto occasione, prima di allora, di osservare veramente Mortimer: era alto e muscoloso, le spalle larghe, il viso abbronzato e dalla mascella quadrata come la ragazza aveva sempre immaginato venissero caratterizzati i personaggi dei cartoni animati americani. Mentre riusciva ad articolare un affannoso “salve signor Miller”, vide i suoi occhi castani adombrarsi per una leggera preoccupazione.

-         Vuoi sederti, Irene? E per favore, chiamami Mortimer.- le chiese, con voce pacata, mentre le indicava la sedia vicina.

La donna sorrise, e le gambe traballanti la ringraziarono per la tregua loro concessa. Ma la paura tornò immediatamente ad aggredirla come un’onda impetuosa, tanto che presto si ritrovò col cuore incastrato in gola, i muscoli tesi, mentre iniziava a domandarsi se farla sedere non fosse solo un espediente per prepararla al peggio.

Perché doveva attendere tanto? Non poteva sapere semplicemente il vero motivo per cui si trovava lì e farla finita?

Quando gli occhi grigio-verdi  scorsero la copia del LA Times del giorno precedente, posata sulla scrivania di Mortimer, sentì che la terra le franava sotto i piedi…

Oh no! L’ultima recensione di cui era occupata non era andata bene o forse non era piaciuta…sentire materializzarsi la propria paura più grande faceva davvero male…già le sembrava di sentire la propria autostima che andava in pezzi…

-         Irene per favore, non farmi quella faccia da Bambi. So che non avrei dovuto convocarti prima dell’orario di lavoro, soprattutto perché sei tornata da poco da Londra, ma non ti mangio mica!- e così dicendo abbozzò un sorriso, nella speranza di metterla a proprio agio.

Venne il tempo del momento tanto temuto, le mani di Mortimer afferrarono il giornale e lui vi nascose il viso dentro.

Irene tentò di darsi un contegno, gli attimi scorrevano nella più totale immobilità, la tensione era veramente tantissima, le sfiorava la pelle come cartavetrata e la sua mente lasciò che si abbandonasse involontariamente ai ricordi del giorno prima: il team di cui faceva parte era stato inviato a Londra e mentre i suoi colleghi si occupavano di intervistare sul red carpet i protagonisti de “il cavaliere della rosa”, a lei era toccato il compito (che accoglieva ogni volta con l’entusiasmo di una bambina) di essere tra le prime persone a vederlo, in modo da poterne subito stilare una recensione con le proprie impressioni.

Mortimer riemerse proprio in quel momento da dietro i fogli di carta, con un sorriso smagliante e, ripiegando il giornale confessò:

-         Ancora una volta sono davvero soddisfatto di un tuo pezzo, ma questa volta ho dovuto proprio farti venire perché…mi hai stupito: non solo la tua recensione da un buon taglio al film, ma ne spiega anche i punti deboli senza scadere nel volgare, dando rilevanza con delicatezza e con sfumature psicologiche, alla figura di Ewan McGregor. E il tutto senza svelare troppo la trama! Il che contribuirà a mantenere alta la curiosità del pubblico, se non addirittura a stuzzicarla maggiormente. Credo che i cinema che lo proietteranno dovrebbero farti avere una percentuale!

Brava Irene, si nota che sei una fan di quello scozzese: se fossi in lui ti inviterei a cena per ringraziarti di come hai trattato lui e il suo personaggio- si complimentò.

La ragazza arrossì e trovò finalmente la forza di pronunciare le prime parole di quella giornata:

-         Se vuoi saperlo, Mortimer, e non prendermi in giro, ti prego, uscire a cena con lui è sempre stato il mio sogno, da quando ero bambina, ma poi crescendo, mi sono resa conto che era come chiedere la luna. Mi ritengo comunque tanto fortunata da sentirmi tra le stelle.- il sorriso della donna era tanto radioso da scintillare alla luce del sole che entrava attraverso gli ampi vetri dell’ufficio. La valanga di complimenti dai quali era stata sommersa, l’avevano riempita, riscaldata, quasi esaltata, come solo una serata tra amici, pensava potesse fare. Ora sentiva il respiro corto per l’emozione, i muscoli distesi ma il cuore le era tornato a battere frenetico, anche se questa volta, per la gioia.

-         Davvero ti piace tanto? Grazie Mortimer! E io che pensavo…- continuò, senza riuscire a trattenersi, mentre si ritrovava quasi ad urlare e tratteneva a stento il desiderio di balzare in piedi e cominciare a saltellare, come usava fare quando, da bambina, voleva sottolineare la felicità che provava.

-         So cosa pensavi, Irene, te l’ho letto negli occhi fino ad un attimo fa. Ma fai male a saltare subito alle conclusioni, perché nel momento in cui smetti di stare concentrata sulle tue previsioni delle conclusioni e ti apri al mondo, il mondo ti promette che non smetterà mai di stupirti. Soprattutto, fai male a sottovalutarti: pensi che sia volato a San Francisco per una vacanza, o perché la Academy of Arts aveva proposto immediatamente te, ad una mia richiesta di una critica cinematografica?- i loro sguardi si incrociarono e lei, in quel silenzio pieno di luce, chinò semplicemente la testa, con riconoscenza.- Ora fila a lavorare, cinefila!- l’apostrofò il trentenne fingendo di adirarsi poi, un attimo prima che varcasse la soglia del suo ufficio, vedendola ancora claudicante le propose.- Le tue scarpe sono belle, da come soffri immagino siano nuove, se vuoi posso prestarti le mie ciabatte da spiaggia, ma dovrai rendermele perché voglio approfittare della pausa pranzo per cavalcare qualche onda.- Irene, sorpresa di vedergli tenere in mano un paio di infradito di paglia, lasciò vagare lo sguardo per la stanza, incuriosita e non riuscì a trattenere una sincera risata nello scorgere una tavola da surf a fiori appoggiata contro il muro e seminascosta dalla sedia girevole della scrivania.

 

La mattinata trascorse tranquilla, la ragazza lavorò sodo ma senza sentire il peso della stanchezza perché era serena, lo spirito leggero, anche se riusciva a frenare a stento il desiderio di telefonare a sua madre, italiana di nascita come lei, che, dopo averla seguita negli Stati Uniti per motivi di salute aveva ritenuto necessario vivere distante dalla figlia per renderla indipendente, pur continuando a pagare per i suoi studi.

Da circa due anni Maria Rossi aveva cominciato a lasciarsi alle spalle la separazione con il padre di Irene, principalmente per merito di Thomas, un americano con cui era stato amore a prima vista e con il quale la donna si era trasferita a Furnace Creek, California, ultima arroventata cittadina prima della Death Valley che, grazie al suo clima secco aveva quasi completamente guarito l’asma di cui soffriva la donna.

Irene moriva dalla voglia di sentirla nonostante fossero a chilometri di distanza, solo per condividere con lei la sua gioia, ma di colpo, le parole di Mortimer circa la sfumatura psicologica che aveva dato al suo articolo, le fecero venire in mente suo padre, con il quale aveva sempre avuto un rapporto dicotomico.

Forse avrebbe dovuto chiamare lui…si bloccò immediatamente, ricordando come la scelta di trasferirsi in America, lasciandosi tutto alle spalle, l’aveva salvata dalla possibilità di venir logorata dalle scelte sbagliate del padre, di cui lei aveva sempre sentito l’influsso, per via della sua indole empatica.

 

-         Irene! Irene, tesoro, è iniziata la pausa pranzo, vieni a mangiare con me?- le propose Hugh, il suo collega gay addetto agli articoli di moda, conosciuto a San Francisco. La prima volta che si erano incontrati, l’uomo aveva praticamente scelto di prendersi cura di lei, così spaesata e brufolosa, i primi tempi, perfezionando innanzitutto la sua conoscenza dell’inglese e incaricandosi di presentarle Marie-Blanche, che ora era diventata la sua migliore amica.

-         Grazie dell’invito, Hugh ma devo rifiutare: oggi voglio passare a salutare Marie-Blanche, è da prima di partire per Londra che non stiamo un pomeriggio insieme e…-

-         …e brava la mia ragazza!! Ne approfitti per avere qualcuno con cui farti “trucco e parrucco”. Credimi, se non stessi morendo di fame e non avessi i capelli tanto corti, farei volentieri compagnia a voi due fanciulle…spero solo che la nostra amica “donna-di-mondo” abbia due minuti da dedicarti e un attimo per respirare, visto che a breve presenterà la sua nuova collezione.- le rivelò mentre si passava una mano tra i capelli stirati e sbuffava con teatralità per una fatica che in realtà non sentiva.

-         Davvero? Non sapevo nulla di una nuova collezione!- osservò lei, piacevolmente colpita.

-         Certo tesoro che non ne sapevi nulla: tu ti occupi degli ultimi film, mentre è mio il compito di sapere tutto di tutto delle ultime tendenze e collezioni modaiole- si chinò per baciarle la fronte e porgendole il braccio l’accompagnò all’uscita.

 

Un altro particolare caratteristico solo dell’America erano le grandi distanze. Chilometri e chilometri di strade si snodavano in linea retta perdendosi oltre l’orizzonte, la cui fine sembrava non arrivare mai, e che per questo erano percorribili solo con l’automobile. Irene amava o odiava quella peculiarità, a seconda di quanta strada desiderasse fare a piedi. Quel giorno, viste le scarpe con i tacchi, che Marie-Blanche stessa le aveva chiesto di mettere, ne era decisamente entusiasta e il percorso che la condusse all’ “Olivier Maison” fu particolarmente breve, anche perché Irene non presto quasi attenzione alla strada che percorreva, persa com’era nel ricordo del colloquio con Mortimer.

Giunta alla reception del palazzo di Los Angeles di cui Marie-Blanche era proprietaria, fu annunciata alla sua amica ma, nonostante le sue speranze, ciò che le aveva raccontato Hugh si rivelò esatto, perciò la ragazza fu invitata ad accomodarsi suun divanetto, con l’avvertimento della segretaria che la stilista non sarebbe riuscita a liberarsi prima di trenta minuti. Rassegnatasi quindi ad attendere lasciò ai suoi piedi la busta con la macedonia e la NY cheesecake con fragole che l’italiana aveva acquistato per festeggiare.

Consapevole che la Fortuna le aveva già sorriso, fu colta totalmente impreparata dal trillo penetrante del suo stesso cellulare.

-         pronto…- esordì, la voce bassa per rispettare quel luogo di lavoro.

-         Parlo con la signorina Irene Machiavelli, giornalista del Los Angeles Times?- si informò una voce maschile che la ventisettenne non aveva mai sentito. Con la fronte corrucciata scostò lo smartphone dall’orecchio solo per scoprire che il numero che la stava chiamando compariva non come sconosciuto, ma come non registrato in rubrica.

-         Sì, sono io. Con chi sto parlando?- chiese, diffidente mentre si alzava e muoveva le braccia in direzione della segretaria, mimando con le labbra una richiesta di prestare attenzione alla busta che aveva lasciato alle proprie spalle.

Non voleva che qualcuno la vedesse spaventata e tremante per un imprevisto. Finalmente fuori dall’Olivier Maison, quindi, Irene si impose di ascoltare e capire chi fosse il suo interlocutore.

-         Signorina Machiavelli mi chiamo Larry Flinkman, sono l’agente del signor Ewan McGregor.- si presentò la voce. Lei rimase senza fiato le gambe ebbero un fremito mentre le sembrava che il mondo tutt’attorno a lei si acquietasse.- la sto chiamando per dirle che il signor McGregor vorrebbe invitarla a cena.-

E quello fu il punto oltre il quale Irene non resse più tanto che esplodendo in una fragorosa risata, disse:

- Ti prego, Mortimer, non è carino rivoltare un sogno nel cassetto che ti ho confessato appena qualche ora fa, contro di me!- poi chiuse la conversazione, senza dare la possibilità all’altro di replicare, mentre, rientrando nell’Olivier Maison cercava a stento di soffocare le risa.

 

 

 

SPAZIO AUTRICE

Eccomi di nuovo qui, so che sto contravvenendo a ciò che io stessa avevo promesso, con un aggiornamento poco meno che settimanale, ma visto che questo capitolo era pronto non capivo perché dovessi rosolarmi e rosolarvi per l’attesa.

Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e che abbia presentato decentemente la protagonista femminile di questa storia.

Chiedo venia per le ultime battute del colloquio tra Mortimer e Irene, forse sono un tantino altisonanti, ma spero comunque che si sia capito il senso di ciò che i due intendevano, e soprattutto mi scuso per la reazione eccessiva che ho avuto l’istinto di far fare a lei (il salto d’allegria)…

La pronuncia inglese del nome di Irene, è questa, ahy-reen, la trascrizione fonetica, questa

aɪˈrin

 

inoltre, non credo che “cinefila” sia un termine esistente nel vocabolario, qui lo uso nell’accezione di “amante dei film”.

infine, vorrei ringraziare Blue_moon e Piratessa per aver inserito la storia tra le seguite e per i commenti al capitolo precedente. J

ve l’ho già detto che mi mandate in brodo di giuggiole?

  
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