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Autore: KiarettaScrittrice92    04/05/2013    2 recensioni
No! Non parliamo del tradizionale Detective Conan. Questo è un racconto fantasy!
Shinichi è un povero ragazzo, abbandonato dai genitori, che sono andati a visitare le altre terre, che per guadagnarsi da mangiare deve lavorare in delle miniere e viene sfruttato. Ma la sua vena ribelle e combattiva lo porterà verso un viaggio che gli cambierà la vita!
Troveremo tutti i personaggi di Detective Conan, in un fantasy indimenticabile.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Shinichi Kudo/Conan Edogawa | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Shinichi Kudo
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
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CAPITOLO 2

Corpo schiavo e anima libera

 

Era al pozzo a lavarsi la faccia come ogni mattina. Le ferite della sera prima si facevano sentire sotto la casacca di riserva. Ormai era quasi abituato a quel dolore mattutino, ma questa volta sembravano bruciargli più del solito. Non ne aveva mai ricevute venti di seguito.
Prese il secchio ancora pieno di acqua fresca e vi tuffò la testa. La sollevò dopo poco e incrociò il suo sguardo.
«Tu sei Shinichi vero? Quello che ha lavorato con me ieri.»
Era il ragazzo della capitale. Quello con la pelle scura. Aveva un’altro paio di brache e una casacca nuova rispetto al giorno prima. Perfettamente puliti.
Non rispose. Rimase a fissarlo, mentre piccole gocce d’acqua scendevano dai capelli castani, bagnati, per poi rotolare giù, solcando il viso e finendo sul terreno, lasciando così piccole chiazze perfettamente rotonde.
Anche il ragazzo dalla pelle scura si lavò la faccia. E mentre tirava su il secondo secchio.
«A proposito come stai? - chiese - Sì insomma ti hanno punito?» continuò spiegandosi meglio e cercando di essere il più delicato possibile.
«Ho ben venti ferite da frusta, se era questo che volevi sapere.»
«Ve-venti?» balbettò, domandò il ragazzo, sgranando gli occhi verdi, ma l’altro sembrava non curarsene.
Il ragazzo finì di lavarsi ed entrambi si diressero verso la miniera, pronti per un’altra estenuante giornata di lavoro.
«Perciò vieni dalla capitale.» disse Shinichi, appena lasciato il pozzo.
«Sì. Ero in una famiglia benestante. Certo non navigavamo nell’oro, ma riuscivamo a cavarcela senza troppi problemi. Poi però mio padre è partito per lavoro, proprio due mesi fa. È stato convocato per la guerra. E mia madre non è riuscita a gestire tutto, così siamo andati sul lastrico. Per questo sono venuto a lavorare qui.»
«Frena, frena. - rise il ragazzo fermandosi un attimo - Hai detto guerra?» chiese sbalordito.
«Sì, la guerra che c’è contro le altre terre. Scusa ma, non sai niente?» domandò il ragazzo dalla pelle scura quando ricominciarono a camminare.
«Niente. Io non so niente di ciò che c’è o succede là fuori. Sono nato qui, e ho il terrore che creperò qui.»
«Odi proprio questo posto, vero?» chiese il ragazzo dalla pelle scura, notando quegli occhi azzurri stracolmi di rancore.
«Non ne hai idea...» rispose lui, quando arrivarono alla miniera.
La guardiola li smistò di nuovo. Questa volta furono divisi. Il ragazzo stava già per avvicinarsi alla guardia che l’aveva chiamato, ma l’altro lo fermò tenendolo per la casacca.
«Vedi di non sgarrare anche oggi. Ti aspetto a fine giornata.» gli disse con un sorriso, dopodiché lo lasciò andare.

 

La schiena sembrava gli stesse per andare a fuoco. Sentiva la pelle attorno alle ferite tirarsi ad ogni picconata. Non si era fermato neanche un momento questa volta. Come se il fatto di lavorare ininterrottamente, potesse farlo sfogare.
A metà giornata passò una guardia che gli intimò di andare più veloce. A quelle parole il ragazzo strinse convulsamente il suo piccone, sentendo le piccole schegge del manico di legno conficcarsi nella sua pelle. Per un attimo pensò di cavare un’occhio alla guardia con la punta dell’attrezzo, ma si trattenne dal farlo e continuò a picconare la galleria.

 

La giornata passò molto più lentamente. Il ragazzo arrivò all’entrata con la schiena dolorante. Buttò il piccone nel mucchio lì vicino e porse il sacco con la sua raccolta del giorno alla guardiola.
Quando uscì dalla miniera un fresco venticello gli accarezzò la pelle. Chiuse gli occhi. Voleva assaporarsi quella brezza che riusciva a scompigliarli i capelli e a rilassarlo come non mai. Quanto avrebbe voluto poter essere come il vento. Poter volare via, andare dove voleva, senza che nessuno lo potesse fermare.
Una voce lo distrasse da quei suoi dolci pensieri.
«Ehi Shinichi!»
Aprì i suo sfavillanti occhi azzurri, poi voltò lo sguardo verso il luogo da cui proveniva la voce. Il ragazzo dalla pelle scura lo stava salutando. Lo raggiunse.
«Vedo che oggi non ti sei messo nei casini.» sorrise il ragazzo.
«Per fortuna no, ma anche oggi c’è mancato poco.» rispose lui.
Aveva sempre la voce fredda e distaccata. Come se per lui parlare fosse uno sforzo immenso.
«Sai, so come ti senti.» disse all’improvviso il ragazzo mentre camminavano per le vie del paese.
Lui scoppiò a ridere. Una risata roca che durò una ventina di secondi, quando la risata iniziò a sciamare, gli rispose:
«No, non lo sai mio caro Heiji, non puoi saperlo.» disse, ancora divertito.
«E invece sì. Ci ho pensato oggi mentre lavoravo. Non vuoi essere sotto nessuno ed è normale per ognuno di noi. Ma delle volte bisogna accettare dei compromessi nella vita.» rispose il ragazzo tutto d’un fiato.
«Lavorare lì non è un compromesso per me. Quello è uno sfruttamento. Tu hai mai visto di prima mattina chi c’è là dentro? Prendi Trevor per esempio. È da cinquant’anni che lavora là dentro. Ti sembra forse giusto? - la voce del ragazzo si stava alzando - Una volta sono stato a lavorare assieme a un bambino. Aveva sì e no dieci anni. Mi ha confessato che doveva lavorare per aiutare la sua famiglia nelle spese. Ora dimmi questi ti sembrano compromessi onesti?» concluse. 
Gli occhi azzurri del coetaneo stavano trafiggendo i suoi. Aprì la bocca un paio di volte, per poi richiuderla. Alla terza volta ecco che le parole giuste riuscirono ad uscire.
«Forse hai ragione tu. Il problema di fondo è questa guerra. Ci sta lesionando dall’interno e i piccoli paesi sono i primi a subirne le conseguenze.»
«Guerra… - pensò ad alta voce - Ma contro chi scusa?»
«Contro le altre terre.» rispose il ragazzo dalla pelle scura.
«Altre terre?»
Questa volta fu l’altro a ridere.
«Mio caro Shinichi ho come l’impressione che ti dovrò raccontare molte cose.»

 

I giorni sembravano passare più in fretta, con Heiji.
La mattina s’incontravano al pozzo e facevano la strada assieme. Arrivati alle miniere aspettavano che venissero chiamati. Se erano assieme chiacchieravano durate il lavoro, tra una picconata e l’altra, altrimenti s’incontravano all’uscita per poi fare la strada di ritorno insieme.
Shinichi si volle far raccontare tutta la storia delle quattro terre. Della guerra che incombeva su di esse da decenni. Della capitale, da cui veniva l’amico. Riempiva Heiji di domande.
Lui dal canto suo non sembrava per niente scocciato. Anzi dava l’impressione che per lui fosse una gran soddisfazione parlare di certe cose con qualcuno.
Passarono settimane. Le profonde ferite infertegli l’ultima volta che era finito dal proprietario si erano ormai cicatrizzate, sebbene ogni tanto la sera quando si toglieva la casacca ancora dolevano e formicolavano fastidiosamente.
Una sera, stavano facendo la solita strada quando.
«Hai voglia di venire a casa mia? Voglio mostrarti una cosa.» propose il ragazzo rivolgendosi al nuovo amico e lui acconsentì.
Poco dopo erano sul tetto della sua casetta a vedere il tramonto.  Il sole del crepuscolo tingeva di fuoco i loro volti e giocava di riflessi coi loro occhi. Mentre la brezza li accarezzava e scompigliava i capelli a entrambi.
«Da che parte è la Capitale?» chiese curioso.
Il ragazzo puntò il dito verso i monti. 
«Si trova ai piedi del vulcano Miris. Oltre la catena montuosa c’è la Terra dei Mari.»
Ci furono vari minuti di silenzio. In cui entrambi i ragazzi si godettero il vento leggero sul calar del sole.
«Non sono nato per stare a marcire in quelle grotte. Voglio vedere il mondo.» disse il ragazzo, mentre i suoi occhi azzurri guardavano l’orizzonte.
«E ci riuscirai amico mio.» rispose l’altro dandogli una pacca sulla spalla.

  
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