Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Ivola    05/05/2013    9 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: *silenzio tombale*
*saluta con la manina*
Eh già, sono ancora qua. Purtroppo (y) 
Che dire? Ho saltato giorni e giorni di Hunger Games, senza contare sfilata, interviste eccetera. Sono un essere spregevole, me ne rendo conto, ma gli Hunger Games di Klaus mi servivano per una cosa ben precisa, che, sì, verrà chiarita più avanti. Giuro.
Riflettendoci neanche questo capitolo mi piace molto, ma, che ci volete fare... Ivola: un nome, ma non una garanzia.
Buona lettura lo stesso! (e attenzione agli istinti omicidi di Londie)


Il titolo del capitolo viene dall'omonima canzone "Hello Cold World" dei Paramore.

Il banner appartiene a pandamito ♥

















Image and video hosting by TinyPic







Blur
∞ 
(Tied to a Railroad)




 
 
003. Third Chapter – Hello cold world.




La stanza era buia.
Solo un leggero bagliore illuminava il salotto al pianterreno del maniero dei Bridge, la luce della televisione. Dovevano essere all’incirca le tre del mattino e probabilmente la figura semi-dormiente stesa sul divano non ne era neanche a conoscenza.
London, nel suo pigiama di cotone, era rannicchiata sotto una coperta e combatteva per tenere gli occhi aperti.
Erano rimaste solo tre persone nell’arena. Quasi di sicuro gli Hunger Games sarebbero finiti quella notte. London doveva sapere.
Proprio in quel momento una telecamera inquadrò Klaus Wreisht, tributo del Distretto Sei, ugualmente rannicchiato sotto un’alta quercia.
Aveva la maglia data in dotazione squarciata e la caviglia ferita; al suo fianco pendeva una spada insanguinata.
Forse il ragazzo stava cercando di riposare, ma non ci sarebbe mai riuscito. Mentre socchiudeva appena gli occhi, si udì l’inquietante sparo di un cannone. Il ragazzo spalancò di nuovo le iridi scure, alzandosi in piedi in fretta anche se con difficoltà.
London sobbalzò. Mancava poco.
Fece un rapido calcolo mentale: nonostante le sue aspettative lo dessero per spacciato, Klaus era sopravvissuto per due intere settimane e ora solo un tributo lo separava dalla vittoria, il ragazzo del Distretto Due, del quale non ricordava neanche il nome.
La foresta di latifoglie era inquietante anche solo se vista in televisione. Piena di fruscii, spifferi e lugubri creature. La ragazza vide il suo compagno di Distretto trascinarsi tra gli alberi dall’aspetto secolare, zoppicando lievemente.
Non sembrava debole, ma semplicemente stanco. Forse anche nella sua testa aleggiava il fatidico pensiero “Ora o mai più”.
Vivo o morto.
London si mise a sedere in una posizione più comoda, improvvisamente sveglia del tutto. Ancora non si capacitava del fatto che probabilmente la dipartita di Klaus avrebbe risolto tutti i suoi problemi, così si limitava a sperare di vederlo crepare in fretta.
Non sapeva se avrebbe sopportato la visione della sua morte. Insomma, quel ragazzo era stato comunque una – seppur spiacevole – parte integrante della sua vita.
Klaus s’inerpicò per un pendio, tenendo stretta la spada nella mano sinistra, unica sua possibilità di sopravvivenza. Il giorno prima aveva finito le provviste e ora acqua e cibo erano solo un gradevole ricordo sfocato.  
London non sapeva dove stesse andando, né ne aveva la più pallida idea. Poi capì. Da quell’altura il ragazzo avrebbe potuto individuare l’altro tributo, per poi affrontarlo.
Lo conosceva, non si sarebbe tirato in dietro, nonostante la ferita al petto e alla caviglia. Aveva seguito quell’edizione con accanimento ed era rimasta stupita di come Klaus avesse ammazzato per tutta la durata dei giochi solo due tributi a sangue freddo. Se l’era immaginato più sanguinario, doveva ammetterlo.
La sua compagna di Distretto era morta alla Cornucopia, poi i restanti tributi uno dietro l’altro, come bambole di pezza. London ammise, anche se con risentimento, che Klaus se l’era cavata abbastanza bene, aiutato persino da una discreta dose di sponsor, usciti da chissà dove.
Devono avere un bel fegato per sponsorizzare un idiota del genere, pensò con un piccolo ghigno, che le morì sulle labbra non appena le telecamere inquadrarono il favorito del Distretto Due, ancora sano tranne che per un taglio sulla fronte.
La ragazza, dal suo comodo divano, si rese conto che le possibilità di vittoria di Klaus stavano drasticamente calando. Il suo avversario sembrava bene in forze.
Non seppe se sentirsi felice o meno della cosa.
Il tributo senza nome s’inerpicò per lo stesso tratto di Klaus, individuandolo da lontano. L’altro tentò di preparare un attacco, anche se invano.
Il maschio del Due raggiunse il suo sfidante in fretta, desideroso di porre fine ai giochi. Klaus fu in grado di alzare appena la spada, che quello lo attaccò dall’alto con la sua ascia. Il ragazzo a stento parò il colpo, facendo cozzare violentemente le lame e digrignando i denti.
Sembrava sfinito, anche se lo scontro era appena iniziato.

« Hai detto addio a tutti i tuoi cari, Distretto Sei? » lo prese in giro il tributo.
Klaus fece un mezzo sorriso ermetico. 
« Oh, sì. » Poi fece un affondo, che non andò completamente a vuoto, ferendo di striscio la gamba dell’avversario.
L’altro non si scompose. Era allenato per quello, dopotutto. 
« Dì le tue ultime preghiere » disse con cattiveria, alzando di nuovo l’ascia.
Fu in quel momento che Klaus reagì di scatto, fidandosi della propria velocità e del proprio istinto, abbassandosi prima in ginocchio e piantando con un movimento repentino la spada nel ventre del ragazzo, che fu trapassato da parte a parte.
L’ascia calò comunque e gli colpì la spalla, piantandosi nella carne.
Il giovane Wreisht lanciò un urlo e rotolò di lato con un'espressione di evidente sofferenza. Fu talmente accecato dal dolore che non sentì neanche lo sparo di cannone, l'ultimo.
London, invece, si alzò di scatto dal divano, lasciando cadere senza tante cerimonie la coperta che aveva sulle gambe.


« Ben! » gridò, salendo di corsa le scale. « Ben! »
Entrò nella stanza del gemello rumorosamente, spalancando la porta e precipitandosi sul corpo addormentato di lui. Lo iniziò a scuotere, al che Benjamin si alzò a sedere spaventato, credendo chissà cosa fosse successo.
« Cos’è successo? » ansimò il ragazzo, ancora confuso e stordito.
London lo fissava con occhi spalancati.

« London, cosa diavolo è successo? »
« Ha vinto » rispose flebilmente, ma bastò quello per far calare il silenzio. Il fratello spalancò ugualmente gli occhi. « Klaus ha vinto. »
 

*



Klaus si passò una mano tra i capelli gellati, infastidito da come lo avevano impacchettato e spedito di nuovo a Capitol City in meno di tre giorni.
La sua mentore gli aveva detto che i capitolini morivano dalla voglia di ascoltare ciò che aveva da dire.
Niente. Klaus non aveva da dire niente. Se non si contavano tutti gli insulti coloriti che biascicava ogni qual volta che qualcuno lo avvicinava. Aveva vinto, certo, ma per lui era ancora tutto sfocato. Si sentiva sbattuto da un lato all’altro della città senza capire cosa stesse succedendo davvero. In balia del vento.
Non aveva avuto neanche tempo di riflettere, un attimo per stare in pace con se stesso.
Nulla, solo vuoto.
Un tecnico lo spinse con decisione sul palco e lui per poco non barcollò.

« Klaus! » lo salutò gioviale Caesar Flickerman. « Vieni, accomodati! »
Il ragazzo non potè fare a meno che sedersi sulla poltrona bianca accanto a lui, dopo aver ricevuto diverse amichevoli pacche sulle spalle.
« Allora » cominciò l’uomo dai capelli rosa, sfregandosi le mani. « Hai vinto, questo è un dato di fatto. »
« Ma davvero? » disse Klaus, sarcastico, anche se chiunque avrebbe potuto notare che, benché il tono fosse palesemente irrisorio, sul suo volto non c’era la minima traccia di ironia. Solo una cupa espressione a tratti confusa.
Qualche spettatore rise, ma Caesar riprese subito: 
« Come ti senti? »
« Non lo so » rispose il ragazzo, sbrigativo. Non voleva indugiare su domande del genere, anche se temeva che alla fine tutta quella farsa sarebbe risultata come un vero e proprio interrogatorio.
« Insomma, cosa hai provato quando hai vinto? » insistette il presentatore.
« Dolore » ribatté lui. « Quello del Due mi ha conficcato un’ascia nella spalla, se ben ricordi, Caesar. »
Il conduttore ridacchiò, come se quella fosse stata una battuta. « Oltre a quello? Euforia? Tristezza? Paura, perché no? »
« Nulla » disse Klaus. « Vuoto. »
Il pubblico si zittì. Caesar fissò negli occhi il ragazzo, cercando di capire se stesse dicendo la verità o meno. Sembrava sincero.
« Vuoto? » ripeté, stranito. « Sei singolare, ragazzo. Nessun vincitore ha mai affermato una cosa del genere. »
« Sono unico nella mia specie » provò a ironizzare il più giovane.
Il clima iniziale si instaurò nuovamente nello studio, mentre l’intervista procedeva con lo stesso ritmo titubante. Klaus a tratti collaborava, a tratti risultava distaccato e freddo, più del solito.

« Dunque » fece Caesar, come a voler trovare un pretesto per fargli quella domanda. «A chi dedichi la tua vittoria? »
Klaus, per la prima volta in tutta la serata, sorrise in modo obliquo. « A quella puttana della mia futura moglie. »
 
 

*

 

Pioveva.
London aveva sempre amato la pioggia, ma in quel giorno non riusciva a vedere niente di positivo. La folla era radunata in piazza esattamente come alla mietitura, ma stavolta non c’era nessuna capitolina a sproloquiare su uno stupido palchetto.
Silenzio.
Nella piazza principale del Distretto Sei c’era solo silenzio. Così tanto da entrare nelle orecchie, nella testa, nella gola, nel cuore. L’unica compagnia era rappresentata dal ticchettare della pioggia sugli ombrelli.
London strinse la mano di Ben e lo guardò di sottecchi, mentre gli occhi del ragazzo erano altrove, dritti di fronte a sé. La ragazza forse riusciva a capire a cosa stesse pensando, perché lo stava pensando anche lei.
Erano gemelli, d’altronde. Uniti.
Anche se ben presto sarebbero stati separati da ciò da cui lei stava cercando di fuggire da sempre: quel maledetto matrimonio.
In quel momento aveva davvero voglia di essere stata nell’arena con Klaus per averlo ucciso con le proprie mani.
Strangolato.
Trapassato.
Sgozzato.
Torturato.

Non potè continuare la sua lista di possibili pene da infliggere al suo futuro marito, che la folla si riscosse, vedendo arrivare un’automobile da una strada secondaria, quella che portava alla stazione. Quando la porta anteriore si aprì, un’ovazione esplose nella piazza e molti ombrelli furono gettati per aria.
Klaus, benché quell’improvviso tumulto assomigliasse più a un boato che a una serie di applausi, non si scompose e scese velocemente dall’auto, scortato da un Pacificatore in borghese.
London represse un urlo di frustrazione. Vederlo lì, davanti a sé – e non semplicemente dallo schermo di un televisore – le fece ricomparire tutti gli istinti omicidi che aveva cercato di trattenere. Strinse più saldamente la mano di suo fratello, al che lui si voltò e le fece un mesto sorriso.

« Andrà tutto bene » le sussurrò piano Ben, ricambiando la stretta.
London provò a crederci, sebbene le risultasse estremamente difficile.
Klaus passò accanto ai suoi genitori senza neanche degnarli di una misera occhiata e, prima di allontanarsi ed entrare nel Palazzo di Giustizia, si voltò cercando il suo sguardo.
Gli occhi grigioverdi di London persero tutta la rabbia quando si riversarono in quelli del ragazzo, che erano spenti, quasi senza vita.
Klaus le mimò qualcosa con le labbra, qualcosa che somigliava tanto a: 
« Dammi il bentornato, Londie. »

London, qualche istante dopo, si aprì un varco tra la folla e quasi iniziò a correre.
Era combattuta tra l’istinto di ammazzarlo davanti a tutti per non essere crepato nell’arena come avrebbe dovuto e la voglia di apparire calma, tranquilla e distaccata solo per fargli perdere le staffe.
Raggiunse il Palazzo di Giustizia ad ampie falcate, superando la gente che le capitava davanti con distratti
« Permesso » di pura cortesia. Sembrava che almeno metà distretto si fosse recata lì per complimentarsi con il neo vincitore, ma London sperò di avere qualche priorità.
Sono la sua promessa o no?, si disse ironica, scavalcando qualche altro ragazzino.
Aveva bisogno di vederlo. Magari di schiaffeggiarlo, prenderlo a parole, urlargli contro o cos’altro, ma doveva vederlo.
Individuò immediatamente Frantz e Shyvonne Wreisht, intenti a conversare con il sindaco e chiese di entrare con loro nel Palazzo.
Quando la donna la vide, si aprì in un ampio sorriso. 
« London, cara! » la salutò gioviale. « Vieni, vieni con noi. » La prese per mano e la scortò all’interno.
La ragazza, improvvisamente, si sentì incredibilmente a disagio – cosa che le capitava di rado, tra l’altro. Sapeva che Shyvonne sperasse ancora di veder il suo adorato figliolo felice di sposarsi con lei, ma era ovvio che una cosa del genere non sarebbe accaduta mai e poi mai.
I tre furono accompagnati in un’ampia sala da cerimonia, occupata unicamente dal vincitore di quell’anno, che, nel vederli entrare, fece una strana smorfia di disappunto.
Sua madre gli gettò le braccia al collo, singhiozzando come una bambina, mentre suo padre gli passò un braccio dietro le spalle.
Klaus se li scrollò di dosso entrambi con un’espressione infastidita.
Parlottarono sottovoce per qualche istante, come se London fosse stata un quarto incomodo e, poi, quando tutti e tre si voltarono verso di lei, Frantz disse: 
« Ecco, adesso vi lasciamo soli così potrete discuterne. »
Qualche secondo più tardi, come annunciato dal signor Wreisht, rimasero soli.
Si squadrarono per qualche istante.

« Avresti mai pensato che ci saremmo rivisti? » domandò Klaus con quel sorriso sghembo che ormai gli compariva solo in sua presenza.
« Purtroppo no, bastardo » rispose London calcando il tono sull’insulto. « Perché sei ancora vivo, fottuto imbecille? »
L’altro ridacchiò. « Mi sei mancata. »
London con rapidità si parò di fronte a lui, pronta a colpirlo sia fisicamente che verbalmente, come facevano ai vecchi tempi, ma qualcosa la bloccò. Notò di nuovo il suo sguardo, così sfuggente e incupito come non l’aveva mai visto.
Klaus ritornò serio e andò a sedersi sulla prima poltrona di pelle che individuò.
Altro lungo, pesante silenzio.

« Tre giorni » disse poi London sottovoce, abbassando la testa.
« Cosa? »
« Tra tre giorni ci sposiamo. »
Lui si prese la testa tra le mani, come se avesse avuto un’improvvisa emicrania. « Non m’importa! » gridò, facendola sobbalzare. « Non m’importa più di un cazzo, lo capisci? »
London lo fissò, sorpresa dal suo sfogo.
« Io ho visto la gente morire, là dentro! » sputò con cattiveria e risentimento. « Uno stupido matrimonio con una stupida puttana non cambierà niente, adesso! »
Si alzò dalla poltrona e la prese per un polso.
« Tu, piuttosto, sei entusiasta di sposare un uomo che viene perseguitato dagli incubi e dai fantasmi delle persone che ha ucciso? » chiese, abbassando il tono.
La ragazza non seppe cosa rispondere e si limitò a guardarlo negli occhi.

« Perfetto, allora va’ a farti fottere. » London si liberò della sua presa. « E porta con te quel santo del tuo fratellino » aggiunse lui, prima di essere sovrastato dal corpo della ragazza, che gli saltò addosso dopo quella provocazione.

Klaus si ritrovò steso sul pavimento, dopo aver sbattuto leggermente la testa, nella quale rimbombavano le urla della ragazza che gli stava tempestando il petto e il viso di pugni.

« Perché non sei morto? » girdò London ferocemente, ancora, prendendolo per la collottola. La sua voce era incrinata, sembrava fuori di sé dalla rabbia.
London Bridge non piangeva mai – ma proprio mai –, anche se in quel momento ne sarebbe stata capace.
Frustrazione. Questo c’era nel suo tono amareggiato e iracondo al contempo.

« Saresti dovuto morire » disse, abbassando di nuovo la voce e poggiando la testa sul petto di lui, come se fosse stata troppo stanca per continuare.
Klaus rimase immobile, ancora intontito dalla botta che aveva preso. 
« L’avrei preferito » ribatté debolmente, con un amaro sorisetto.
London non rispose, affondando ancora di più il viso nel petto di Klaus. Il ragazzo le cinse la schiena con un braccio, incerto, e poi le diede dei piccoli colpetti su una spalla, evidentemente meno sarcastici di quello che voleva far pensare.
Sembrava che fosse stata lei ad essere tornata dai Giochi, per quanto sembrasse affranta.

« Su, coraggio » fece Klaus palesemente ironico. « Va tutto a meraviglia. »
London, alle parole dell’altro, sembrò ridestarsi dalla sua trance e gli diede un altro pugno all’addome, seppur più leggero degli altri.
« Vai tu a farti fottere, Klaus » disse, alzandosi, indecisa se dargli un calcio o meno. Preferì ricomporsi e si aggiustò una ciocca di capelli sfuggitale dalla pratica coda di cavallo che aveva adottato.
Inspirò, pronta a uscire dalla stanza con un minimo di contegno.
Klaus si alzò a sedere sul pavimento, massaggiandosi le tempie. Poi, prima che lei abbandonasse definitivamente la sala, la salutò. 
« Ci vediamo all’altare. »
London si voltò un’ultima volta, replicando con un’espressione disgustata: « Contaci. »
 











   
 
Leggi le 9 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Ivola