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Autore: aki_penn    05/05/2013    7 recensioni
“Fare il bagno nel sangue delle vergini mi mantiene giovane” disse, guardandosi le mani dalle dita lunghe e affusolate, sporche di rosso. “Quella ragazza che ti sei portato appresso quando sei arrivato a Rosenrot, è vergine?” domandò poi, guardandolo. Tinkerbell strabuzzò gli occhi e balbettò “Ru-Ruthie? Io non…non so…non ho mai chiesto…” incespicò, preso alla sprovvista, per poi accigliarsi e sbottare “E comunque non ho alcuna intenzione di farti dissanguare la mia assistente, se permetti!”
Genere: Azione, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Make a wish-

Capitolo uno-

Kraken e crauti -

 

 

 

Al porto non c’era più nessuno quando un’accetta venne scagliata con non troppa forza sul molo. Una mano emerse dall’acqua e si aggrappò al bordo, subito dopo un intero ragazzo riemerse sputacchiando acqua salata. Tinkerbell sbuffò e sputò ancora, imprecando, mentre risaliva sul molo, aiutandosi con un ginocchio. Gattonò fino all’accetta e l’afferrò prima di alzarsi in piedi, gocciolante e traballante.

“Che cavolo!” esclamò. Si passò la mano libera sulla faccia, cercando di asciugarsela alla bell’e meglio, faceva freddo e lui era bagnato fradicio. Batté i piedi e strinse i denti “Stramaledetto polipo” biascicò tra sé. indossava solo una maglietta a maniche corte e dei pantaloni di tela, vestiario quanto mai poco adatto al clima, dato che su gran parte della banchina era ancora depositata della neve fresca. Si strinse nelle spalle, dopo aver assicurato l’accetta ai lacci che aveva attorno al polpaccio e si diresse con passo deciso fino a un punto d’attracco delle navi, dove stava appoggiato un cellulare e una giacca blu dall’aria militare, assolutamente abbandonati. Tinkerbell afferrò il cellulare come se l’avesse appoggiato lì solo un secondo prima filò la giacca sotto il braccio, gli dispiaceva indossarla, si sarebbe bagnata.

Avrebbe voluto complimentarsi con sé stesso per aver pensato che buttandosi in acqua alla ricerca del Kraken il suo cellulare si sarebbe annacquato e di conseguenza rotto e per averlo lasciato all’asciutto, non sempre faceva caso a certi dettagli, ma, in quel momento, era troppo infreddolito per essere contento di qualche cosa. Uno dei tentacoli del Kraken volteggiò a pelo d’acqua, godendo ancora di un briciolo di vita, prima di disgregarsi e sparire nell’aria confondendosi nel vento col pulviscolo.

Tinkerbell avanzò a passo veloce per togliersi di mezzo a quella nebbia quasi innaturale, era sicuro che la gigantesca piovra non avrebbe più imperversato da quelle parti, ma quella solitudine e quel silenzio gli mettevano una certa fretta. La notte era in parte rischiarata dalle luci del porto, ma in mezzo alla nebbia il risultato era quasi più inquietante del buio pesto.

Per quanto Tinkerbell non fosse un tipo impressionabile, aveva un gran freddo e questo lo spingeva ad allontanarsi il prima possibile dal molo, dove tirava un gran vento, in più, doveva ritrovare Ruthie, l’aveva lasciata sotto un cavalcavia, ed era lì che era diretto. Probabilmente il suo padrone era scappato via già da un po’, era certo che stesse bene, non c’era bisogno di cercarlo.

Non ci mise molto ad arrivare dove voleva, per sua fortuna il suo senso dell’orientamento era invidiabile, rimase però a bocca aperta quando si ritrovò davanti a una gigantesca scritta gocciolante e disordinata, sulla parete del cavalcavia, la scrittura non era fluida e la prima cosa che pensò fu sangue. Erano numeri, una serie di sette cifre.

Tinkerbell prese il cellulare dalla propria tasca, compose il numero e lo portò all’orecchio, era così assorto e accigliato che per un secondo si scordò di aver freddo, mentre il telefono squillava dando segno di essere libero.

“Pasticceria Carmen & Carmen, come posso esserle utile?” disse una voce squillante dall’altra parte.

“Ruthie, hai scritto il tuo numero di telefono sul muro usando il sangue?”  esclamò Tinkerbell, la sua voce rimbombò stridula nel silenzio, ma nessuno ebbe modo d’ascoltarlo.

“Oh, quante storie, è vernice. Volevo essere sicura che lo vedessi. Mi sono svegliata per terra tutta bagnata e il cellulare era sparito, ne ho dovuto comprare uno nuovo. Quanto tempo ci hai messo? Non è che sei morto?” sbottò Ruthie dall’altra parte. Tinkerbell alzò un sopracciglio infastidito, a volte si chiedeva cosa servisse avere un’assistente che lo prendeva in giro. “Sì, ti sto telefonando dalla pancia del Kraken. Dove cacchio sei?” sbottò.

Ruthie, appena uscita dalla doccia e dolcemente avvolta in un accappatoio bianco si schiarì la voce “Blossom Holiday Hotel, cinque stelle, una sala per il bigliardo, la sauna, la pisc…”

“Sì, sì, va bene, il nome!” sbottò lui, “Seppia”

“Seppia?”

“Ti sei registrata all’hotel come la signora Seppia?” domandò Tinkerbell incredulo. “La signora Marina Seppia, ad essere precisi” spiegò orgogliosa Ruthie. "Per l’amor del cielo”  bofonchiò lui, buttandole giù il telefono senza voglia di salutarla.

Non gli ci volle molto per trovarsi zoppicante e gocciolante ad attraversare il corridoio dell’albergo, bagnando la moquette con gli anfibi. Aveva un occhio nero, e probabilmente si era rotto una costola, ma la cosa che più gli dava fastidio era il freddo, si sentiva così irrigidito che faceva fatica a camminare. L’usciere dell’hotel l’aveva guardato male, non aveva l’aria di essere un tipo raccomandabile, c’erano parecchi club di nuoto nel mare ghiacciato, ma solitamente ci si andava in costume da bagno e non vestiti, e nemmeno tra i più stoici era di moda girare in maglietta d’inverno, ma alla fine l’aveva fatto passare, c’era una signora Seppia all’hotel, e aveva preteso la suite.

Tinkerbell scorreva lo sguardo sui numeri dorati sulle porte bianche del grand’hotel, gli avevano detto che la signora Marina Seppia – che razza di nome – alloggiava nella camera 511, lo Champagne che aveva ordinato sarebbe arrivato a breve, tra l’altro. 508, 509, 511. Si fermò davanti alla porta, curvo e gocciolante, oltre che di pessimo umore, gli dava un po’ fastidio che Ruthie se la fosse spassata al grande Hotel mentre lui faceva a botte con una seppia gigante.  “Bah” fece tra sé, gli capitava fin troppo spesso di sbuffare in quel modo, da solo, sua madre diceva che erano i refusi di essere un gemello, ci si aspetta sempre di avere qualcuno di fianco. Mise la mano sulla maniglia e la girò, aprendo la porta.

Se fosse stato più sfortunato, o semplicemente se fosse stato una persona normale, il coltello che gli passò a un centimetro dall’orecchio, fischiando, e che gli tagliò qualche ciuffo di capelli su un lato, gli si sarebbe piantato in un occhio. Si lasciò cadere lentamente per terra, sulla moquette, come sciolto, e forse le sue gambe si erano davvero sciolte, mentre la mano rimaneva salda sul pomello.

Ruthie stava nel bel mezzo della stanza, in accappatoio, in posizione di lancio “Perché mi vuoi uccidere, Ruthie?” piagnucolò Tinkerbell.

“Pensavo fossi il Kraken”

“Devo essere un Kraken davvero educato, se entro dalla porta” fece Tinkerbell, con un sorrisetto ebete. Un secondo dopo era saltato in piedi e urlava come un ossesso “Che cacchio ti è saltato in mente!? Se fosse stato un cameriere come te la saresti cavata?”

Ruthie boccheggiò per poi alzare le spalle, non troppo preoccupata, avvolta in un accappatoio troppo grande per lei “Ma non era un cameriere, non c’è nessun cadavere, perché preoccuparsi?” rispose lei, la tranquillità fatta a persona. Tinkerbell sospirò, sgonfiandosi e Ruthie pensò davvero che si sarebbe sciolto di nuovo per terra.

Sbuffò, guardandola con aria stanca “…e poi te lo dico sempre di non lanciare i coltelli, che poi resti disarmata…” disse chiudendosi dietro la porta e iniziando a sgocciolare senza pietà sul pavimento della suite. Ruthie schioccò la lingua “Tanto non avrei avuto gradi possibilità contro un calamaro gigante” commentò incurante. Il ragazzo alzò le sopracciglia “Vero” ammise infine. Il coltello della ragazza rimase fuori, infilato nel muro del corridoio, finché uno zelante custode non lo ritrovò e lo staccò, dopo averlo fissato perplesso per una mezz’ora buona.

Tinkerbell ciondolò in bagno tirandosi dietro la porta “Vado ad aggiustarmi” annunciò in un sussurro, mentre Ruthie fissava il tappeto infangato dagli anfibi del ragazzo “Quello aveva l’aria di costare” commentò, ma lui non sembrò sentirla.

Ruthie era bassa, una donna bonsai, con i capelli castano scuro e gli occhi grandi dello stesso colore, il viso tondo e la pelle troppo chiara, non era un tipo che attraesse molto l’attenzione, a parte quella dei collezionisti di bambole di porcellana, ma Tinkerbell l’aveva notata perché quella stronzetta riusciva a essere impertinente quanto e più di lui. E anche perché era brava a clonare le carte di credito, dote da non trascurare.

Quando Tinkerbell uscì dalla doccia, Ruthie si rotolava sull’enorme letto a due piazze, vestita con un ridicolo pigiama a cuori, molto infantile. Non era il primo che vedeva, ne aveva uno anche con gli orsetti e uno con i ricci, se si ricordava bene.

“Ehi” fece lui, per attirare la sua attenzione, la televisione, accesa senza volume, trasmetteva un concerto della band più famosa del momento, Tinkerbell li aveva sentiti per radio un paio di volte, ma non gliene fregava un granché. La ragazza si girò a guardarlo, aveva solo un asciugamano legato in vita e con un altro si stava strizzando i capelli neri e Ruthie non poté far altro che constatare che, che uscisse o entrasse dalle porte, era sempre piuttosto gocciolante.

L’occhio nero era sparito e, a giudicare da come camminava e respirava, anche la costola doveva essere tornata al suo posto. Fece qualche passo e si lasciò cadere sul letto bianco, come morto, a stella, con le braccia larghe, neanche fosse stato appena crocifisso.

Ad entrambi i polsi portava due braccialetti di metallo che sarebbero potuti sembrare due polsini “Sembri Wonder Woman in versione argentata” era una delle prime cose che gli aveva detto Ruthie quando si erano conosciuti. Una delle prime cose che gli aveva detto dopo che erano arrivati in ospedale, ma comunque Tinkerbell aveva sentito la sua virilità colpita nel vivo. Subito dopo erano arrivati gli attacchi al suo nome, Campanellino, ma quello era un altro problema.

Tinkerbell, con la testa affondata nella trapunta grugnì. “Che c’è?” chiese Ruthie, che si era appena impossessata del telecomando, probabilmente era tempo di dormire anche per lei, si intravedevano le prime luci dell’alba.

“Mi stanno chiamando” biascicò lui, con la trapunta in bocca. Ruthie scalciò “Ma  che cavolo! Non abbiamo nemmeno dormito!” lo guardò esasperata, mentre lui alzava la testa dal letto. “E dove? Sentiamo” lo interrogò seria.

Tinkerbell aveva alzato la testa dal piumone e si era passato la lingua sui denti, come per controllare che fossero ancora tutti al proprio posto “Germania. Rosenrot, un paesino un po’ sperduto”

Ruthie tirò un pugno inferocito al materasso, per poi incrociare gambe e braccia e gonfiare le guance, indispettita “Mai le Barbados o le Maldive…”

Tinkerbell riappoggiò la testa sulla trapunta “Beh, questa volta c’era il mare però”

“Siamo in Norvegia! C’è la neve, cacchio!” sbottò, Tinkerbell fece un sorrisetto divertito “Fai le valigie Ruthie, partiamo adesso”

Ruthie chiuse gli occhi e sospirò. Solo una mezz’ora dopo erano entrambi vestiti di tutto punto, Tinkerbell aveva perfino recuperato una giacca che non era quella blu col doppiopetto. Non era tipo da ammalarsi per un po’ di neve, quello era ovvio, ma questo non voleva dire che gli facesse piacere prendere del freddo. Ruthie lo aspettava, con indosso gli anfibi,  delle calze pesanti e uno zaino di proporzioni esagerate sulla schiena. Si guardarono, lui con un sorriso, lei con una smorfia.

“Smettila di fare quella faccia, quando arriviamo in Germania ti offro un caffè” fece lui allegro, Ruthie si soffermò per un secondo a guardare il punto il cui il sopracciglio sinistro veniva interrotto da una vecchia cicatrice e si imbronciò ancora “Quelli mangiano crauti e caffè a colazione!” sbottò e Tinkerbell aprì la porta del bagno incamminandocisi dentro, seguito dalla ragazza brontolante.

Si ritrovarono all’aperto, subito fuori da un capannoncino di lamiera in disuso e coperto di rampicanti.

In qua e in là c’era ancora qualche cumulo di neve, doveva aver nevicato recentemente e probabilmente avrebbe nevicato di nuovo, era quasi Natale. 

Tinkerbell si avviò baldanzoso per il sentierino fangoso e leggermente in discesa, che portava al paese, mentre Ruthie rimaneva ferma fuori dalla porta del capannone che si era chiusa, chiudendo via la stanza d’albergo norvegese, e tirava fuori dalla tasca della gonna un cellulare ultimo modello. Fece scivolare le dita sullo schermo facendogli emettere qualche bip bip, per poi sbottare “In questo posto dimenticato da Dio non c’è nemmeno un hotel di lusso. Mangeremo davvero crauti tutto il tempo”

“Crauti e wurstel, Ruthie, crauti e wurstel” esclamò Tinkerbell allegro, mentre la sua camminata in discesa prendeva velocità.

Ruthie pestò i piedi e si apprettò a seguirlo imbronciata.

 

 

Aki_Penn parla a vanvera: alla fine, dopo secoli, sono tornata nel Fantasy, gira e gira ci si torna sempre. È da un po’ che rimugino su questa storia, sono felice di essere riuscita finalmente a iniziare a scriverla! Spero che vi possa piacere.

Già che ci sono ne approfitto per dire che Rosenrot è un nome scelto a caso, non credo che esista un paesino con quel nome in Germania, secondo, non credo che i tedeschi mangino crauti tutto il tempo, è solo Ruthie a essere un po’ indisposta nei confronti dei posti freddi. Ultimo ma non meno importante, il dialogo riportato nell’intro avverrà più avanti, non è una cosa messa lì a caso, ovviamente!

In ogni modo, grazie mille per aver letto fino a qui! 

   
 
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