Capitolo
12
Prospettive
-
Fernand, torna indietro, ti prego.
Sordo
alle esortazioni di Dorian, Fernand sgusciò via come una freccia, eludendo il
debole tentativo, da parte dell’amico, di trattenerlo e riportarlo alla ragione.
Si dileguò senza una parola.
Solo
allora, Ambrosie si diresse là dove aveva appena avuto luogo la lite, i cui
fuochi si erano appena estinti nell’aria sotto il gelo
dell’amarezza.
Alcuni
avventori, delusi dallo spettacolo ormai definitivamente andato a monte,
ripresero a bere e conversare fra loro come se nulla fosse accaduto; solo
qualche spirito particolarmente acceso, allettato dall’eventualità di
un’insurrezione, proseguì sulla scia di Fernand, indugiando pigramente intorno
all’argomento della serata nella discrezione che conferiva qualche tavolo
appartato.
Sembra
che la tempesta si sia placata,
rifletté la ragazza, avvertendo l’atmosfera, scossa dalla tensione fra due
contendenti, acquietarsi lentamente, non senza lasciare dietro di sé una scia di
languore.
A
dire il vero, la tempesta vera e propria è stata addirittura scongiurata;
peccato, soltanto, che il preavviso non sia stato sufficiente a disperdere i
fumi del rancore.
In
mezzo al fitto mormorio, da uno dei tavoli vicini, una voce attirò la sua
attenzione.
-
Questa è sfortuna bella e buona. Avrei addirittura puntato sul
de la Garde.
-
Io sul ragazzo. Sembrava determinato.
Ambrosie
si morse la lingua, benché, dinnanzi a quelle sciocche affermazioni, fosse stata
presa dal desiderio di scagliarsi contro chi aveva appena ridotto l’accaduto
alla mera scommessa di un combattimento fra cani. Sospirò, mentre il fiele
scemava lentamente.
Era
preferibile cercare di passare inosservata il più possibile, almeno quella sera:
le erano stati sufficienti i commenti osceni di alcuni uomini, non appena aveva
messo piede in quel luogo corrotto di miseria morale, per farle capire che
quello non era il suo posto. Lo
sapeva da sé e, in quel momento, non le importava.
-
Vado a cercare Fernand – Dorian si premette il tricorno scuro sul capo,
imboccando l’uscita.
La
ragazza gli rivolse uno sguardo supplichevole, aggrottando nervosamente le
sopracciglia fini.
-
So quello che stai per chiedermi – Dorian tornò rapidamente sui suoi passi,
prendendo dolcemente le mani di Ambrosie tra le sue.
Lo
sguardo della ragazza tornò quello indefesso di sempre.
-
Devono riconciliarsi: non possiamo
permetterci che la spaccatura fra loro diventi incolmabile. Dobbiamo convincerli
a parlare.
Prima
che si lacerino a vicenda: mio fratello ci sta sputando il sangue, su questa
dannata faccenda.
Ambrosie
rivolse la sua attenzione su Auguste. L’uomo giaceva prostrato a terra,
accasciato su se stesso, le mani premute sul viso insanguinato. Raphäel,
chino al suo fianco, si accertò sulle sue condizioni, per poi aiutarlo a
rimettersi in piedi.
-
Oste! – reclamò Raphäel, rivolgendosi all’uomo ben in carne indaffarato dietro
il banco – Una camera: vi pago la differenza.
Prima
che il
ragazzo raggiungesse il locandiere, Ambrosie si diresse dinnanzi all’uomo e, con
noncuranza, pagò di sua tasca.
-
Madaaame!
Sussultò,
atterrita, quando il soggetto dall’aria poco rassicurante che, completamente
ubriaco, stazionava ormai da ore nell’osteria infastidendo i presenti, le
stracciò di mano il sacchetto di stoffa contenente il
denaro.
L’uomo
si rigirò tra le dita adunche le poche monete, esaminandole con occhio
critico.
-
Sono tutti qua i vostri risparmi, signora? – le sibilò,
beffardo.
-
Restituitemi i miei soldi!
Ambrosie
si avvide di quanto la sua voce suonasse tremante ed acuta, come quella di una
bambina privata di un giocattolo.
-
Mia bella signora, quanta fretta! – l’uomo nascose il sacchetto dietro la
schiena, allontanandolo dalla sua portata – Che ne dite di scendere ad un
accordo? Avrete il triplo di quanto contenuto qua dentro, se solo vi mostrerete
gentile… – tentò di irretirla.
Ambrosie
avvampò per la collera e l’imbarazzo. Sentì il sangue schizzarle fin nel
cervello e pulsarle spasmodicamente nelle tempie.
-
Come osate? – ruggì.
-
Rendile i suoi soldi e fatti da parte, balordo!
La
voce di Raphäel
risuonò dura ed inflessibile come
-
Se no, cosa succede, piccolo cicisbeo? – l’uomo sghignazzò, sprezzante – Ti
concederai al posto della tua damigella? – e scoppiò in una risata
volgare.
Ambrosie
rammentò, in seguito, di non aver mai scorto negli occhi di Raphäel
tanta furia ferina. Vide il volto del ragazzo tingersi di un pallore cereo. Gli
occhi, assottigliandosi pericolosamente, risplendettero delle fiamme
dell’inferno.
La
ragazza strinse il braccio di Auguste e si rifugiò nell’anticamera disadorno che
separava il locale dal retrobottega. Sulla destra, due rampe di scale che
conducevano alle stanze al piano di sopra s’inerpicavano ripide di fianco alla
parete irregolare. Porse ad Auguste un fazzoletto con cui tamponarsi il naso
sanguinante.
-
Non osare toccarla – sibilava intanto Raphäel, glaciale, rivolto all’uomo che
aveva tentato d’importunarla e derubarla.
-
Vuoi altre grane, stasera, Lemoine?
Dio…
Non era sufficiente la lite fra Auguste e mio
fratello.
Sconvolta,
Ambrosie osservò Raphäel
arrotolarsi la manica della camicia all’altezza del gomito con studiata
lentezza. Un sorriso sornione si dipinse sul suo volto
pallido.
-
Cominci a darmi sui nervi, Lemoine! – mormorò
l’avversario.
Il
ragazzo si sottrasse con grazia al suo assalto, scostandosi rapidamente. Si
volse verso l’aggressore, fronteggiandolo altezzoso, e gli si scagliò addosso a
sua volta.
Ambrosie
vide con sorpresa l’avversario rovinare pesantemente tra i tavoli sotto
l’assalto di Raphäel, rovesciando diverse sedie nella caduta. L’uomo biascicò
alcune bestemmie sommesse, terrorizzato, improvvisamente ed in modo del tutto
inaspettato, dalla presenza del ragazzo, e si allontanò
rapidamente.
-
Raphäel, ti ringrazio – sussurrò Ambrosie, mentre il ragazzo le porgeva i suoi
soldi con un sorriso – Ma non era necessario, davvero, commettere altre
imprudenze.
-
Sciocchezze – Raphäel
si diresse su per le scale, sorreggendo Auguste e ricambiando lo sguardo
malevolo del proprietario della locanda – Era un vecchio pazzo ubriaco. Se
Fernand fosse stato qui, l’avrebbe fatto nero per molto meno –
ridacchiò.
Non
sei spiritoso, Raphäel.
La ragazza seguì i due uomini nella stanza loro
assegnata.
* *
*
Per
tutto il tempo trascorso, da quando Fernand, in un moto del tutto imprevisto,
l’aveva scaraventato a terra con un pugno, Auguste si era chiuso
impenetrabilmente nei suoi pensieri, quasi assente a tutto ciò che lo
circondava, limitandosi ad assecondare passivamente Raphäel e
Ambrosie.
Dischiuse
faticosamente le palpebre; ma non era il dolore al volto a tormentarlo. Sospirò:
a nulla era valso imporsi di scacciare la collera ed il dolore che infuriavano
dentro di sé, di evitare di interpretare in maniera distorta il più lieve
fremito ostile intorno a sé e scagliarsi furioso su chi gli stava di fronte,
sfogando su di esso la propria immane sofferenza e
frustrazione.
Lui
era capace soltanto di distruggere inesorabilmente tutto ciò che toccava, e
stavolta era stato Fernand a subirne gli effetti.
Gli
aveva fatto male quasi senza avvedersene, trascinato dalla furia crescente. Il
dolore fisico che aveva impresso in lui colpendolo al volto non era che una
trascurabile componente dello scudo di rovi che stava innalzando dinnanzi a sé.
Si era avventato su Fernand senza riflettere nemmeno per un attimo intorno alle
conseguenze del suo gesto.
Troppo
comodo, Auguste, troppo comodo, ora, ricercare veri o presunti colpevoli al di
fuori di te.
Senza
neppure rendersene conto, aveva finito quasi per demonizzare l’inoffensivo
Fernand, attribuendo erroneamente al comportamento di quello strano ed avventato
ragazzo quanto di più cinico la sua mente fosse stata in grado di
articolare.
L’aveva
soppesato gelidamente, a sole poche ore dalla morte di Lucien, il sangue del suo
amico ancora caldo sulla camicia, e, in un guizzo di follia – la follia di chi
sente di dover rigettare il proprio odio su qualcuno –, aveva interpretato il
suo apparente distacco come una sorta di macabro compiacimento della fine di una
persona che non di rado aveva osteggiato le sue
iniziative.
Invece,
Fernand non aveva altra colpa se non quella di essersi avvicinato non troppo
cautamente alla belva ferita e di aver tentato, a modo suo, di riscuoterla e
lenire in qualche modo il suo dolore, per poi ricevere in cambio il rifiuto,
l’indifferenza e il disprezzo.
Quando
Fernand l’aveva accusato di vigliaccheria – o così aveva creduto –, Auguste
aveva perso la ragione: non potendo sopportare l’accusa insita nelle sue parole,
l’aveva colpito, cieco di collera, incurante delle
ripercussioni.
La
veglia per Lucien, gli sguardi ostili su di me, carichi di biasimo e sospetto;
il pensiero che il mio amico non c’è più; il rischio di un’incauta sollevazione
contro il duca, proprio nel momento in cui, prostrato dalla disperazione, ben
poco posso fare per stornare gli effetti deleteri di un’improvvisata ribellione;
e la rabbia dell’essere stato ingannato, mi hanno inflitto il colpo di grazia,
annientando definitivamente l’unica parvenza di senno che mi era
rimasta.
Non
ho visto più nulla oltre lo spesso strato di dolore che mi ha annebbiato la
vista.
Non
ho visto gli occhi di Fernand scintillare di qualcosa che non era disprezzo: ed
era molto più semplice ed immediato leggervi quello e quello soltanto, e
avventarmi su di lui. Ho ignorato la mano che mi ha teso: ho visto ingiustamente
in lui uno sciacallo che approfitta meschinamente della mia
debolezza.
Picchiarlo,
colpire simbolicamente l’arroganza di chi, al culmine della tua follia, ti
sembra guardare con sufficienza ed irridere alla tua disperazione, ti ha fatto
stare meglio?
No,
perché, un istante dopo, quando ho visto sanguinare le ferite che io stesso ho
prodotto, scalfendolo senza pietà e abbattendolo al suolo, ho
desiderato soltanto morire.
Non
devo rendere conto a nessuno di quel che faccio; men che meno ad uno stronzo
come te!
Non
hai detto nulla, Fernand: è il minimo.
È
così: io distruggo tutto ciò che sfioro, come un perverso re Mida. E quanti
provano ad avvicinarsi a me tendendomi una mano ed offrendomi il loro appoggio,
sono coloro che maggiormente pagano il prezzo.
Fernand
non ha colpa se Lucien non c’è più.
Fernand
ha solo provato a soccorrerti.
Ed
io non ho solo ignorato e respinto il suo aiuto, ho fatto di più: l’ho
annientato con uno sguardo, gli ho sputato in faccia tutto il veleno che ho
covato, ingiustamente, per tutto questo tempo.
L’ho
ferito ed umiliato. Sono stato ingiusto con lui. Ingiusto e stronzo, come
sempre.
- È
meglio fargli qualche impacco con acqua fredda; diversamente, domani si
ritroverà un livido esteso su tutta la faccia. Certo che tuo fratello ha un bel
destro, Ambrosie.
La
ragazza sedette sul bordo del letto, accigliata, meditando che forse non sarebbe
stata una cattiva idea trattare il bel faccino di Raphäel
nello stesso modo in cui Fernand si era preso cura di quello di Auguste, e
dimostrargli che, probabilmente, l’attitudine a menar sodo era virtù di
famiglia.
Si
massaggiò vigorosamente le tempie, espirando irritata. La situazione all’interno
della congrega non avrebbe potuto prendere una piega peggiore: ora, il problema
fondamentale non era costituito più da Raphäel, bensì da Fernand ed
Auguste.
Certo,
il tormentato periodo recentemente trascorso aveva gettato impietosamente luce
su una serie di fattori che avevano portato all’esasperazione le spaccature e le
spinte individuali già presenti: la smania vagamente accentratrice di Auguste, i
dissidi con Lucien, la successiva rappacificazione fra i due nel momento in cui,
nell’orizzonte dei ribelli, aveva fatto il suo irruente ingresso Fernand.
Entrambi avevano convogliato le proprie energie nel gestire quel ragazzo troppo
impetuoso.
Ma
la sua visuale cambiava del tutto nel momento in cui, a bruciapelo, aveva
scoperto che tra Lucien e Auguste vi era stato qualcosa che andava oltre il
vincolo dell’amicizia. Da parte sua, la ragazza non era ancora riuscita a
razionalizzare il dato di fatto e dargli la giusta collocazione negli intricati
meandri di alleanze e contrasti nei quali più si addentrava con la mente, più
difficilmente riusciva a tracciare un quadro
coerente.
I
frequenti scontri e dissensi fra Auguste e Fernand non avevano mai assunto una
levatura simile, rammentava Ambrosie, neppure quando era misteriosamente
comparso sulla scena Raphäel. Tuttavia, l’ostinazione in proposito da parte di
Fernand e Auguste, asserragliati sulle rispettive posizioni e intenti a non
concedere all’altro un solo palmo di terreno, era stata quasi decisiva
nell’alimentare il muro che era sorto tra i due e che si era ripercosso
all’interno della stessa fazione.
I
fragili equilibri, già duramente compromessi, non avevano retto alla prematura
scomparsa di Lucien, il quale, in mancanza di obbiettività da parte di tutti gli
altri, troppo impegnati a ribadire le proprie posizioni, sembrava essere rimasto
l’unico capace di riportare una sorta di armonia. La disgrazia, piuttosto che
raffreddare gli animi e spingere i membri del clan a riavvicinarsi, aveva
generato l’effetto diametralmente opposto, ossia far esplodere tutto il rancore
e l’amarezza che Auguste e Fernand si erano sforzati, sino allora, di
contenere.
La
ragazza sospirò: avevano commesso un tragico errore nel non rimandare la
diffusione dei loro dannati opuscoli. Strinse le labbra, pervasa dallo
sconforto: Auguste aveva comprensibilmente interpretato il gesto come una sfida
manifesta nei suoi confronti nel momento in cui era più
vulnerabile.
Avevano
sbagliato tutto: erano stati stolti e privi di riguardo verso ciò che era appena
accaduto.
Il
litigio fra Auguste e Fernand spinto fino alle percosse fisiche, Raphäel,
l’assassinio di Lucien…
Pensieri sempre più opprimenti e confusi convergevano nella mente di
Ambrosie.
La
ragazza si sollevò in piedi, scuotendo la testa: basta! L’intera faccenda la stava
facendo diventare matta, e, dettaglio non propriamente trascurabile, la presenza
di Raphäel non era affatto l’ideale per infonderle la calma necessaria a
sciogliere le proprie perplessità, affrontare il discorso con Auguste e
convincerlo a riconciliarsi con Fernand.
Il
suo sguardo si posò stanco su Raphäel, quando, all'improvviso, riprese forma
dinnanzi a lei la scena della rissa con l’ubriaco della locanda e le balenò
nella mente ciò che inspiegabilmente aveva innescato in lei tanta inquietudine:
quel ragazzo, con la furia di un unico attacco, aveva piegato come un fuscello
un avversario più grosso e più forte di lui, di certo avvezzo a fare a botte
nelle osterie. Era vecchio e ubriaco,
aveva addotto Raphäel come fiera giustificazione.
Ma
Ambrosie non poteva negare di aver avvertito un fremito di puro terrore serpeggiarle lungo la schiena,
quando, nel tumulto, aveva intercettato gli occhi del ragazzo arrossati e
stravolti dall’ira. Rabbrividì: le era quasi parso che, in quel momento, Raphäel
sarebbe stato capace d’incenerire il nemico con il solo sguardo.
Osservò
il corpo del ragazzo: intuì la slanciata eleganza del busto sotto il frusciare
della candida camicia che accompagnava gentilmente i suoi movimenti. Raphäel era
alto e aveva le spalle squadrate, anche se non particolarmente robuste, e la
vita piuttosto fine.
Gli
esaminò le mani: non aveva i palmi induriti e le dita nodose di un alacre
lavoratore, né gli avambracci solidi e abbruniti dal sole di chi coltiva la
terra. Le sue mani somigliavano piuttosto a quelle di un pianista, e i polsi e
le braccia, che la ragazza poté vedere sotto all’orlo delle maniche rimboccate,
avevano un tratto sottile e raffinato. L’unico segno che lo identificava come
uomo del popolo, oltre agli abiti umili, era rappresentato dalle lievi
screpolature sulle dita, tipiche di chi è poco avvezzo a lavorare
duramente.
L’incarnato
pallido del viso risentiva appena delle lunghe ore sotto il sole impietoso, e la
vaga sfumatura rosea sulle guance era la sola nota di colore sulla sua
persona.
Raphäel
non aveva il fisico del picchiatore delle taverne, ma neppure un’apparenza
fragile. Era soltanto un ragazzo forte al quale l’evenienza aveva insegnato a
non farsi massacrare dai prepotenti, rifletté Ambrosie, sebbene la scena di poco
prima l’avesse oltremodo inquietata.
Esaminando
l’espressione gentile sul suo viso e la generosità con cui ora si prendeva cura
di Auguste, bagnandogli la faccia e ripulendolo dal sangue, per un attimo non
riuscì ad attribuire alla stessa persona l’espressione diabolica che aveva visto
aleggiare sul suo volto.
-
Mi spiace per tuo fratello – azzardò Raphäel – Ma stavolta ha oltrepassato ogni
limite.
Ambrosie
annuì, assente. Non poteva dargli torto,
benché lei stessa si stesse sforzando di trovare un punto in comune per
riconciliare Fernand ed Auguste. Pregò in cuor suo che almeno Dorian riuscisse a
persuadere quella testa calda di suo
fratello.
-
Non è così, Raphäel – ribatté Auguste, rivolgendogli la parola per la prima
volta da quando si era consumato il feroce scontro con
Fernand.
-
Auguste – il ragazzo scattò verso di lui – Stai bene?
L’uomo
annuì, distratto. Si sollevò a sedere, massaggiandosi la spalla dolorante in
seguito alla caduta.
-
Credo di sì. Scusate – mormorò – Ero soprappensiero.
Lo
sguardo di Auguste si posò duro su Ambrosie.
-
Sottovaluti tuo fratello. Ha un concetto piuttosto vago di concordia, ma, in compenso, potrebbe
tornare utile per abbattere a suon di pugni le guardie personali del
duca.
Punta
dalla sua aspra ironia, Ambrosie prese fiato prima di parlare, riordinando i
pensieri.
-
Auguste, so che non servirà a nulla, ma sappi che sono molto dispiaciuta per
quanto è accaduto e, sempre che per te abbia qualche valore, sono pronta a
porgerti le scuse anche da parte di mio fratello.
L’uomo
la interruppe con un gesto secco della mano.
-
Lasciami finire, Ambrosie – nei suoi occhi affiorò un’espressione più
condiscendente, quasi rassegnata – Non c’è bisogno che ti scusi in qualche modo.
Non è questo il punto. Fernand ha sbagliato, ma, se non altro, il pugno è
servito a farmi riflettere un po’: sono stato io, da principio, a condurre
all’esasperazione le nostre divergenze e, dopo aver fomentato inconsapevolmente
una serie di reazioni da parte sua, ho proseguito per la stessa strada fino ad
assestargli il colpo finale.
Sul
volto di Ambrosie si dipinse un’espressione
confusa.
-
Perché dici questo? Tu hai soltanto cercato d’impedire che Fernand combinasse
quello che per te sarebbe stato un disastro.
Lo
sguardo di Auguste si posò sull’altro uomo
presente.
-
Perdonami, Raphäel – gli ingiunse – Potrei discutere un momento in privato con
Ambrosie?
-
Non è necessario – s’intromise la ragazza, ma Raphäel si era già avviato
compitamente verso la porta.
Auguste
scosse malinconicamente il capo.
- I
danni sono all’origine, Ambrosie. Il mio atteggiamento nei confronti di Fernand
è sempre stato scorretto: l’ansia di controllarlo e porre un limite alla sua
impulsività mi ha fatto esplodere la situazione fra le mani. Fernand non ha
visto in me un alleato, ma un nemico che cercava di manovrarlo, e ha preso le
distanze. Per tutto questo tempo, non ho fatto altro che osteggiare ogni sua
iniziativa e, peggio di tutto, umiliarlo, ed ho inasprito sempre di più i nostri
rapporti. E quando Fernand ha cercato di avvicinarsi a me, io l’ho sempre
respinto ed ignorato. Non è del tutto colpa sua: non ha creato lui questa
situazione, e forse non l’ha mai voluta. Ma ora che finalmente sono riuscito a
farmi odiare, non vedo alcuna soluzione.
-
Fernand ha tanti difetti, ma non ti odia – affermò Ambrosie con inflessibile
sicurezza – E’ l’unica cosa di cui sono certa. Conosco mio fratello e credo di
saper almeno intuire ciò che gli si agita nella mente. Cerca di analizzare
lucidamente i fatti, Auguste: Fernand non ti disprezza; al contrario, ha quasi
una venerazione nei tuoi confronti, al di là di quel che può apparire. Il tuo
comportamento apparentemente ostile gli ha fatto perdere la testa. Pensa ai suoi
gesti, avventati e discutibili quanto vuoi, alla luce di ciò: la prospettiva
dell’accaduto cambia radicalmente.
-
Dopo questo, Ambrosie? – Auguste sollevò un sopracciglio, scettico – Lo pensi
ancora? Non credo che Fernand possa più nutrire uno straccio di stima e di
rispetto nei riguardi di una persona che affibbia una frustata dietro l’altra al
suo orgoglio. Quale sentimento farebbe maturare in te, Ambrosie, anche con le
più buone intenzioni di questo mondo, una persona capace di farti solo del male?
Che tu lo desideri oppure no, il dolore che procuri, legittimamente, non può che
richiamare l’odio verso quella che è la causa della propria
sofferenza.
Ambrosie
tacque per qualche istante, turbata dalle sue affermazioni. Il ragionamento di
Auguste, come sempre, racchiudeva in sé una logica disarmante, per quanto la
ragazza si sforzasse di coglierne le intrinseche contraddizioni. Nonostante
questo, non riusciva a far combaciare idealmente le congetture di Auguste con le
motivazioni di fondo che avevano spinto il braccio di Fernand a
colpirlo.
Il
discorso non fa una piega,
rifletté: ma non è questo il caso di
Fernand.
- I
tuoi intenti non erano cattivi, Auguste. Fernand capirà che da parte tua non vi
è mai stato disprezzo verso di lui, e che volevi soltanto proteggerlo dalle
conseguenze di un’azione rischiosa.
-
Io parlo della nostra situazione in generale, non esclusivamente a quel che è
successo oggi. Ho tirato la corda troppo a lungo, con lui: cosa può avergli
dimostrato, tutto ciò? Una persona che lo disapprova in quanto tale e che non si
è mai posta il problema che il proprio atteggiamento lo facesse soffrire: è
questa la realtà. Se, dopo quanto è successo, Fernand mi detesta, ha ottimi
motivi per farlo.
Ambrosie
distolse mestamente lo sguardo, mentre cercava di ritrovare il consueto
slancio.
-
Per questo devi parlargli, Auguste: è stato tutto un malinteso, un dannato
malinteso, capisci? Non commettere gli stessi errori di mio fratello. Se non
provi a risolvere con lui le vostre incomprensioni, non farai altro che
incrementare la portata della questione. Fernand si convincerà definitivamente
che tu lo disprezzi, ed i vostri contrasti non si saneranno più. Soffrirete:
neppure mio fratello voleva la vostra inimicizia.
-
L’ho compreso troppo tardi. Ho avuto bisogno di un pugno in piena faccia che mi
schiarisse le idee. Lui non desiderava essermi ostile. Io, piuttosto, ho fatto
tutto quel che potevo fare per meritarmi tutto il suo
risentimento.
-
Parlerò con mio fratello – Ambrosie si alzò in piedi di scatto, spazientita –
Siete entrambi così ottusi da tenere per voi le vostre astruse conclusioni in
proposito, senza confrontarvi in modo costruttivo; preferite soffrire e farvi
del male l’un l’altro.
-
Lascia stare, Ambrosie. Chiederò perdono a Fernand: almeno questo, glielo
devo.
-
Non sei l’unico a doversi far perdonare qualcosa – mormorò la ragazza,
accennando con lo sguardo al livido violaceo che si stava formando sotto
l’occhio di Auguste, vicino al naso.
L’uomo
s’infilò nuovamente la giacca, pronto ad abbandonare quel luogo orribile.
Sospirò, esasperato.
-
Non so cosa fare con lui, Ambrosie: è la verità.
-
La differenza fra me e te, Auguste – azzardò la ragazza – è che vediamo la
situazione da due angolazioni opposte. Ma credo di conoscere meglio di te mio
fratello – puntualizzò – Tu, come Fernand, sei convinto che questo scontro abbia
suggellato irreparabilmente la vostra inimicizia. Tra voi ci sono pesanti
incomprensioni, eppure non vedo l’ombra del rancore. Pensa un po’ a tutta la
situazione da questo punto di vista: la lite ha fatto sì esplodere le vostre
fragilità e incertezze; ma credo che uno sfogo apparentemente distruttivo, in
questo caso, potrebbe porre le basi affinché possiate chiarire le vostre
ostilità e riuscire finalmente a comprendervi, senza travisare i reciproci
atteggiamenti e tormentarvi a vicenda.
-
Il tuo ragionamento non è inesatto, Ambrosie. Ma guarda quel che è accaduto:
l’ho picchiato, capisci? L’ho avvilito. Gli ho gettato addosso nel modo più
eloquente un rancore che, l’ho capito solo un istante dopo, non aveva ragione
d’esistere.
-
Con le parole avresti potuto fargli ancora più male. Certo, questo non
giustifica che l’abbia schiaffeggiato.
-
Non pretendo assolutamente che Fernand mi perdoni. Sarebbe già un passo
considerevole se non abbandonasse definitivamente la nostra associazione, magari
continuando a portare avanti la sua causa autonomamente: è sempre stato il suo
sogno. Ma penso che nemmeno in quel caso si libererebbe tanto facilmente di me –
ammise, una punta d’imbarazzo a velargli lo sguardo triste – Credo che riuscirei
a stargli ugualmente addosso per proteggerlo dalla sua
incoscienza.
-
Hai davvero così poca fiducia in lui? – insinuò Ambrosie, graffiante, mentre,
quasi aggrappata alla ringhiera, discendeva con circospezione i rozzi ed
irregolari scalini di pietra.
-
Ne abbiamo già discusso, Ambrosie – la precedette Auguste, anticipando l’attacco
che la ragazza era in procinto di sferrargli – Ho capito il mio errore e,
soprattutto, ho compreso che la situazione attuale deriva innanzitutto dai miei
atteggiamenti: Fernand ha commesso l’ennesima imprudenza nel tentativo di
svincolarsi da qualcuno che gli teneva il fiato sul collo. Non interferirò più
nelle decisioni di Fernand, ma non per questo lascerò che si getti liberamente
nelle fauci del lupo. La mia non è diffidenza nei suoi confronti: ho intuito la
piega che sta prendendo il suo atteggiamento e so a cosa può
condurlo.
-
Non riesci proprio a mutare atteggiamento con lui?
-
Non ce la faccio. Fernand è capace di spiazzarmi anche soltanto aprendo bocca. È
libero di odiarmi e di disprezzarmi: non ha torto. Io ero come lui, fino a non
molto tempo fa: imprudente, sconsiderato, coraggioso fino all’avventatezza…
Volevo tutto e lo volevo subito. Mi dicevo di essere disposto anche a morire per
la nostra rivoluzione. Capisci? Sai a cosa sarebbe tornata utile la fine
gloriosa del giovane Auguste, sacrificato sull’altare di una libertà che ancora
non esiste? A nulla. Lucien mi ha insegnato ad affrontare la situazione non come
un ragazzino incosciente, ma come un uomo. Ed è una vita che io ci sto
provando.
La
superficie degli occhi di Auguste luccicò di disarmante malinconia. Le iridi
d’antracite, per un istante, divennero così fonde e cupe da richiamare in sé
l’abisso di sterminato dolore in cui la sua stessa anima sembrava essersi
smarrita, fluttuando in un limbo oscuro che assumeva tratti sempre più
infernali.
Ambrosie
temette per un attimo che Auguste stesse per piangere e gli posò debolmente una
mano sulla spalla.
- A
volte chinare momentaneamente il capo e lavorare nell’ombra per un progetto più
grande comportano maggior sacrificio che sventolare la bandiera del ribelle ed
immolarsi gratuitamente per un ideale – la voce di Auguste tremò, arrochita dal
pianto che gli bruciava in gola, mentre ripeteva le parole di Lucien – Fernand
non è molto diverso da me.
Ambrosie
si strinse mestamente nelle spalle, mentre Auguste, al suo fianco, inghiottiva a
fatica le lacrime.
Capisco
come ti senti, Auguste. Ed io non sono in grado di darti l’aiuto di cui avresti
bisogno. Ho soltanto tirato fuori ad una ad una le tue debolezze, dopo averle
ricercate con una lanterna in mano: non so quanto questo sia servito a farti
stare meglio. Ho suscitato in te il senso di colpa nei confronti di Fernand, e
non era ciò che volevo.
Io
desidero soltanto che le ferite che tu e mio fratello vi siete procurati si
rimarginino. Perché voi, ragazzi, siete tutto ciò che resta di me, l’unico punto
fermo della mia vita che scorre inutile, senza che io la avverta su di me e la
comprenda, ma lasciandomi andare passivamente ad essa. Sono brava a portare
impietosamente alla luce le vulnerabilità altrui, ma se mi fermassi un attimo e
guardassi dentro di me, non avrei di che rallegrarmi.
La
differenza fondamentale tra noi è che voi vivete, amate, odiate, sperimentate
sulla vostra pelle la gioia ed il dolore. Io vivo, gioisco, soffro, ma di
riflesso: m’ingerisco quasi di prepotenza in questioni che, fino a non molto
tempo fa, poco avevano a che fare con me e con la mia vita, pur di restare in
piedi.
Io
voglio vivere. Voglio vivere, provare l’ebbrezza del rischio che buttarsi a
capofitto nella vita comporta. Ma ho paura. E non ho
certezze.
- È
meglio che tu vada a riposare – la voce di Ambrosie aveva assunto una sfumatura
più dolce, benché venata di un’incomprensibile
inquietudine.
Auguste
annuì con un mezzo sorriso, immobile dinnanzi al portone della sua dimora. La
strada era letteralmente scivolata sotto i suoi piedi durante il tragitto senza
che egli se ne rendesse conto, quasi i suoi passi, sinora, si fossero agitati
sospesi nella nebbia.
-
Domani mattina mi aspetta la prova più dura: il funerale di
Lucien.
Pronunciò
le ultime parole con voce quasi priva d’espressione, come se gli strascichi di
dolore l’avessero ripiegato su se stesso, prosciugando ogni sua energia e
instillando in lui una cupa rassegnazione.
-
Stavolta non ti abbandono – lo rassicurò la ragazza.
Auguste
rigirò lentamente la chiave nella serratura.
-
Dovrei riaccompagnarti a casa, Ambrosie. Sta imbrunendo.
-
Non è necessario – declinò la ragazza – è appena ad un isolato di distanza. Me
la caverò.
Ambrosie
si diresse verso casa.
Il
sole era tramontato da un pezzo, e sulle strette e polverose vie incombevano le
ombre della sera, intercalate qua e là dalla luce pallida dei lampioni. Qualche
debole bava di vento tentava di spazzare via i sottili nastri di nebbia che
erano calati sulla città insieme ad una notte priva di
stelle.
Raphäel
era già andato via, rammentò la ragazza, quando aveva lasciato la locanda in
compagnia di Auguste. Non avrebbe voluto estrometterlo così bruscamente dalle
loro discussioni, ma Auguste era stato categorico.
Sospirò:
era già sufficiente che lei si fosse presa il lusso di soppesare sfacciatamente
le azioni ed i sentimenti altrui. Ma si trattava di suo fratello e di Auguste,
un uomo che stimava profondamente.
Si
trattava di loro. In quel momento, loro rappresentavano la sua famiglia, il
suo punto fermo e l’unica parte di mondo che ruotasse intorno a
lei.
Senza
i ribelli, Ambrosie era polvere, era un’ombra stanca che si affannava ad
inseguire il nulla.
Raphäel …
La voce della ragazza si spezzò nei suoi pensieri. Perché sei distante? Non fai che sfuggirmi.
Sfuggi ad ogni parvenza di controllo. La tua vicinanza mi mette addosso un
brivido che non riesco a spiegarmi, ma la lontananza mi
distrugge.
Sei
piombato sulla mia esistenza come un uragano; ed io non avevo alcuna certezza
come arma di difesa.
Non
è possibile!
Dovrei
fuggire. Fuggire, prima che sia troppo tardi. Invece, continuo ad avvicinarmi
alle fiamme come una ragazzina capricciosa che sfida impertinente il
Fato.
Vivere
non significa necessariamente poter operare con serenità le proprie scelte. Ed
io non ne ho la forza. Non ho la forza di lasciarmi
andare…
Rivide
il suo modesto appartamento nel quartiere popolare. Le tende di un delicato
color crema e la malinconia dei suoi ospiti appesa alle pareti
immacolate.
Almeno
stavolta, poteva risparmiarsi di dover starsene in pensiero per suo fratello:
sapeva che con Dorian era al sicuro, al sicuro da quel che all’esterno si
complottava per loro.
Dorian
non era tornato all’osteria: era impossibile che non fosse riuscito a
raggiungere Fernand. Evidentemente, l’opera di convincimento si era rivelata più
problematica del previsto.
Eppure,
non riesco a star bene. Non sto bene.
Le
dita sottili della ragazza catturarono la stoffa impalpabile delle tende. Le
ginocchia le cedettero. Pianse.
Il
mio cantuccio:
Buonasera!
Ebbene sì, non sono stata molto puntuale con gli aggiornamenti, devo ammettere.
Si tratta, stavolta, di un capitolo, per così dire, “di passaggio”, ma spero
ugualmente che apprezzerete.
Ringrazio
tutti coloro che continuano a seguire “Noir Trésor”, anche senza aver ancora
lasciato un commentino.
In
particolare, tra coloro che leggono e commentano NT,
ringrazio
Cami:
bentornata, carissima! Sono felice che NT non stia deludendo le tue aspettative!
Beh, per quanto riguarda la questione degli impegni universitari, non potrei
darti torto, soprattutto adesso che ci sono dentro anch’io! È faticoso
conciliare gli aggiornamenti delle proprie fiction (viaggio nella media di due
aggiornamenti al mese, quando va bene), lettura delle fiction preferite ed
incombenze di studio.
Al
prossimo aggiornamento!^^