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Autore: cattivamela    06/05/2013    3 recensioni
Avete presente il filo rosso del destino?
Si narra, che ogni persona abbia legato al proprio mignolo un filo rosso, e che questo filo, sia legato al mignolo della persona della tua vita.
In poche parole, l’uomo della mia vita potrebbe vivere anche in Alaska, ma non importerebbe, perché in pratica “dovremo essere legati” da questo filo immaginario. E se, in teoria questo filo esistesse veramente? E che solo la sottoscritta riesce a vederlo?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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“Be’, il tuo protettore ti avrà sicuramente avvertito dei pericoli che minacciano un discendente, no?” domandò Booker, con un tono decisamente sarcastico. 
Deglutii, stringendo i pugni. Con la coda nell’occhio vidi Cameron abbassare lo sguardo, stringendo la mascella.
Non risposi. Mi limitai a fissarlo, gelida.
Booker fece un sorrisetto inquietante, come se avessi appena detto una cosa divertente.
“E’ davvero un peccato… sprecare una così bella ragazza” mormorò.
Non feci in tempo a rispondere, che una fitta mi devastò, facendomi cadere sulle ginocchia. Mi accovacciai, stringendo la testa tra le mani.
“No!” sbottò Cameron, la fitta non diminuì. “possiamo usare altri discendenti. Perché lei?”
“Se non fossi mio figlio, potrei anche usare te di quanto sei inutile” Sibilò Booker, con voce dura.
Gemetti.
“Almeno avresti potuto rendermi fiero, sacrificandoti!” continuò, alzando la voce. Cameron non  rispondeva. “Figlio ingrato! Sei vivo solo grazie a quella puttanella di tua madre!”
Sentii le orecchie fischiare, il viso andarmi a fuoco. Strinsi i capelli tirando leggermente.
“Che pezzo di merda…” sussurrai, con voce rotta.
 
Improvvisamente la mia rabbia si tramutò in sorpresa, istintivamente allentai i pugni, pronti a colpire il viso di mio padre, che si voltò verso quel fagottino accartocciato su se stesso, incredulo.
“Sai solo gridare e blaterare cose inutili” continuò, lasciando cadere le mani sul tappeto. Lentamente alzò la testa, e lo fissò, gli occhi iniettati di sangue le labbra seppur leggermente sorridenti si storcevano in una smorfia di dolore.
Silver la guardò e aggrottando la fronte, provò a caricare ancora la dose ma Rain rispose con una smorfia più accentuata.
“perché non sacrifichi il tuo culo, bastardo?” domandò, rabbiosa.
Vidi il volto di mio padre sbiancare, ma fu una questione di secondi, la maschera di cera ritornò aprendosi in un sorriso.
“Sei una ragazzina notevole. Come puoi resistere alla pressione di un protettore?”
“Rispondi alla mia domanda, cane” disse tra i denti, sgranando gli occhi verdi.
“Silver basta.” Sbottai. Silver mi guardò, sgranando gli occhi furiosi. “Basta!”
Lanciò uno sguardo a mio padre che annuì. La mia protettrice abbassò lo sguardo, arrabbiata e ferita allo stesso tempo. Sentii la sua tristezza sulla mia pelle, un forte bruciore allo stomaco.
Rain chiuse gli occhi lentamente, lasciò cadere nuovamente la testa sul pavimento, svenuta.
“Riportala in camera” ordinò Booker a Silver, pensieroso mentre con la sua solita lentezza si accomodava sopra la poltrona in pelle. Fissò un punto davanti a lui, con sguardo gelido. “non utilizzeremo lei per il rituale.” Sussurrò.
“Cosa?” sbottai.
“E’ troppo interessante per essere un banale sacrificio.” Le labbra si aprirono in un ghigno lento e inquietante.
Per la prima volta in vita mia rabbrividii, sconcertato.
“Torna anche tu in camera, Cameron. Chiamami Charles.” Sbottò, senza gentilezza. E nello stesso modo mi allontanai, senza rispondergli, sbattendo la porta alle mie spalle.
Che gran figlio di puttana!
Sentii la rabbia corrodermi, le mani prudere, lo stomaco bruciare ardente. Avrei sferrato volentieri un pugno ben assestato a qualcosa, a qualcuno.
Proseguii a passo svelto, diretto verso la statua in marmo bianco di mio padre alla fine del corridoio, ma gli occhi verdi di Rain mi immobilizzarono. Appoggiata allo stipite della porta, con espressione dolorante mi guardava.
Cosa le hai fatto? Non ti senti incolpa?
Per un attimo un fulmine di rabbia le trapassò gli occhi, poi di paura.
“Come stai?” le chiesi, freddo.
Vidi la sua espressione cambiare, da impaurita a delusa, da delusa a sfacciata. Con quel suo atteggiamento superiore, e come se fosse su un piedistallo guardandomi dall’alto nonostante il dolore appena provato non mi rispose.
Si staccò dallo stipite incerta sui suoi stessi piedi, nemmeno mi guardò mentre zoppicando mi superò. Una fitta mi attanagliò lo stomaco e involontariamente le afferrai il polso, impedendole di continuare.
Mi fulminò, furiosa, strattonando il braccio con tutta la forza che le rimaneva.
“Non puoi andare, sei ancora troppo debole..” le sussurrai. E stranamente sentii sollievo nel pronunciare queste parole.
“Preferisco morire in mezzo alla strada, piuttosto che per mano tua.” Sibilò, stringendo la mascella.
Aumentai la presa sul suo polso “Non puoi andare.” Ripetei, deciso.
“Non dire cazzate!” alzò la voce, accusandomi con lo sguardo “non ti importa niente della mia salute! Mi hai trascinata qua senza il mio volere, dinnanzi a quel pazzo di tuo padre, la tua protettrice mi ha spappolato il cervello e cosa mi dici ora? Sei ancora troppo debole!” Mi scimmiottò.
Ha ragione. Ma una vocina nella mia testa si oppose, dichiarando il contrario. Perché?
La trascinai verso di me, osservando i suoi occhi grandi spalancarsi ancora di più mentre la sollevavo. Il mio corpo al contatto con il suo si rilasso impercettibilmente.
Non si oppose, forse per la troppa stanchezza, forse perché era ciò che desiderava e arrendendosi poggiò la testa contro il mio petto chiudendo gli occhi. Avvolsi un braccio sotto le sue ginocchia, e voltai le spalle riportandola nella camera dove si trovava prima. La adagiai sui cuscini bianchi, sentendola sospirare. Aprì leggermente gli occhi fissandomi stanca.
“Tuo padre..” sussurrò “è un pezzo di merda.” Ridacchiai. Le accarezzai la gamba magra ricoperta dai jeans, il ginocchio, il polpaccio fino a scendere alla caviglia le slacciai le scarpe buttandole a terra.
“Adesso dormi. Il mal di testa passerà presto.”
Si girò su un fianco, rannicchiandosi su se stessa si massaggiò una tempia. La vidi così piccola e indifesa che automaticamente la mia mano si andò a posizionare sulla sua schiena, compiendo movimenti circolari “Non ignorarla.”
Aggrottai la fronte, confuso. “Silver. Non ignorarla” biasciò con fatica. “c’è sempre un legame tra di voi.. che tu lo voglia.. o no.”
Sorpreso, la vidi rilassarsi al mio tocco e pian piano il suo respiro si fece sempre più profondo e rilassato.
“Perché ti fidi di me, Rain?” sussurrai. Come puoi fidarti di me? Dopo che ho tentato di ucciderti, dopo tutto questo..
Mi alzai lentamente, per evitare di svegliarla. Aprii la porta ma appena misi un piede fuori dalla stanza la sua voce mi fermò “Non lo nemmeno io.” Chiusi alle mie spalle, mentre un calore improvviso mi prese lo stomaco, risvegliando una sensazione che dormiva supina da anni.
Mi sorpresi del fatto che riuscissi a provare ancora sentimenti del genere, e che col passare del tempo non fossero spariti del tutto. Un barlume della mia vecchia coscienza mi gridò di andare a cercare la mia protettrice.
“Silver.” Chiamai, ascoltando il silenzio del corridoio.
“Perché mi fai questo, Cameron?” la voce spezzata, i battiti del cuore accelerati, gli occhi mi pizzicarono. Stava piangendo. La vidi inginocchiata accanto al corpo di Adam, i suoi occhi neri senza vita facevano quasi male. Poi di nuovo, una vasca piena di liquido roseo.
Strinsi le mascelle, preoccupato.
Girai l’angolo, dirigendomi verso il balcone della sala principale. Trovai la finestra aperta e le tende pesanti rosse svolazzare intorno. Silver era seduta sul bordo della balconata, abbracciandosi le ginocchia.
Mi avvicinai, vedendo il suo corpo tremare ad ogni singhiozzo.
“Mi rimpiazzi per quella umana” ringhiò, singhiozzando subito dopo.
“Anche io sono umano, Silver.” Voltò rabbiosa il viso dall’altra parte, stringendo i pugni tremanti. Le afferrai il polso, accarezzando leggermente le cicatrici bianche che lo ricoprivano.
“Tu non sei innamorata di me.” Dichiarai. Spostò il suo sguardo sorpreso dentro il mio.
“Cosa dici?” balbettò. “Si.. invece.”
Scossi la testa, deciso. “Tu hai paura di perdermi, come hai perso Adam” i suoi occhi vacillarono, riempiendosi nuovamente di lacrime. “ma non mi ami. Lo sento Silver. Tu sei legata a me.. ma non in quel senso”.
Impaurita come un gattino, aggrottò le ciglia. “Non è vero” protestò, leggermente.
La tirai giù dalla balconata, strofinandole le braccia nude infreddolite.
“Scusa.” Sussurrai, alzando gli occhi verso il cielo scuro.
“Eh?” mormorò, sorpresa.
“Non sei solo un animale..” dissi, con imbarazzo pensando alle parole di Rain “sei la mia protettrice”
Osservai le sue labbra curvarsi leggermente in un sorriso stanco, affondò la testa nel mio petto, sospirando un ‘grazie’.
 
 
Aprii leggermente gli occhi, infastidita dalle prime luci del mattino. Sbadigliai, stiracchiandomi.
Sorrisi sentendo la testa leggera, senza quel peso insopportabile e acuto del mal di testa.
Un momento… Oddio!
Mi misi seduta di scatto, trovandomi di nuovo nella stanza dove Cameron mi aveva portata prima che svenissi letteralmente aggrappata alla porta. Riconobbi solamente le mie converse ai piedi del letto poste disordinatamente, e uno sguardo intenso azzurro.
Silver mi stava osservando curiosa, appollaiata sulla poltrona bianca proprio davanti a me, con l’ombra di un sorriso sulle labbra rosee. Come al solito sembrava un angelo con quei lunghi capelli perfettamente ordinati sulle spalle, che in confronto ai miei sembravano un nido d’uccelli.
Un momento ancora. Silver mi fissa senza lanciarmi occhiate di fuoco?
“Cosa?” balbettai “basta mal di testa per favore!” supplicai quasi, mordendomi il labbro. Alzò un sopracciglio, offesa.
“Non ho nessuna cattiva intenzione, almeno per ora” sbottò, incrociando le braccia al petto.
Sbarrai gli occhi “Che ore sono?!” urlai.
Sbatté le ciglia più volte “Le sette e un quarto.. perché?”
Mi misi le mani nei capelli “Mia madre!” gridai, guardando fuori dalla finestra il sole che illuminava il cielo stranamente azzurro come gli occhi che mi fissavano, divertiti.
“Cameron le ha mandato un messaggio con il tuo telefono, dicendole che andavi a dormire da una amica” spiegò, alzando le spalle.
“Ah.” Sospirai.
“Scusa.”
“Come, scusa?” domandai, accigliandomi.
Sbuffò, seccata. Non le piace scusarsi. “Scusa” ripeté infastidita “ho esagerato ieri sera.”
Oh-oh. Si è scusata, capito?
La mia vocina interiore esultò, presuntuosa. Per un attimo la zittii, verificando se il suo sguardo fosse abbastanza sincero e sorprendendomi lo era. Che un miracolo mi avesse aiutata?
“Be’, se vuoi fare colazione giù c’è qualcosa da mettere dentro lo stomaco. Altrimenti lì c’è il bagno” indicò alla sua destra.
Uscii dalla stanza lasciandomi sola con i miei pensieri.
Che fosse cambiata? E se realmente lo fosse, cosa è stato a farla cambiare?
Non sono affari tuoi, sh.
Scrollai le spalle, sbadigliando e con la lentezza di un bradipo mi tolsi i vestiti del giorno prima e con mio estremo sollievo mi lavai e insaponai per bene lasciando che l’acqua calda facesse il suo lavoro.
Misi un paio di jeans e un maglione largo che mi lasciava la spalla scoperta, trovati nel mobile accanto alla doccia, asciugai i capelli ripensando alla sera prima. Al modo in cui Cameron mi aveva guardata, o toccata e avvampai senza una ragione precisa.
Magari è il phon puntato sulla faccia.
“Allora, fino a quanto vuoi rimanere li a contemplarti? Dobbiamo andare a scuola” sobbalzai.
Occhi di ghiaccio portava una semplice felpa e un paio di jeans ma come al solito sembrava estremamente bello.
Borbottai qualcosa, sorpresa dallo spavento, poggiando il phon sul lavabo lo fulminai.
“Oh scusa rapitore, se non sono stata abbastanza veloce!” mugugnai con vocina acuta.
“Andiamo!” sorrise, prima di scomparire dietro la porta. Lo seguii a ruota.
“Andiamo? Cosa? E come?” domandai, sbarrando gli occhi.
Mi lanciò il giubbotto e lo zaino, aprii la porta, imboccò il corridoio e scese le scale. Mi sorpresi nuovamente di quanto quella casa fosse grande.
“Hei!” protestai, quando uscii dalla porta di casa.
Girò a sinistra imboccando un vialetto in pietra circondato da fiori – rose forse – diretto verso quello che doveva essere un mini garage. Si inginocchiò velocemente, lasciandomi osservare la sua schiena larga e possente. Poi aprii, lasciandomi ammirare le due moto lucide e dall’aspetto nuove.
Si avvicinò a quella blu elettrico infilando le chiavi nella apposita fessura l’accese, facendola rombare.
“Andiamo a scuola con la moto?” domandai, incredula.
“Si. Qualche problema?” ridacchiò, lanciandomi una veloce occhiata mentre da un armadietto in legno uscì un casco nero e uno blu identico alla tinta della moto.
Mi porse quello nero, mentre usciva la moto sul vialetto in pietra, chiuse il garage alle sue spalle e indossò il casco blu.
“Vuoi rimanere lì impalata?”
Sbuffai, misi il casco e mi accomodai dietro di lui.
“Non andare forte” sbottai, rigida. Mentre con molto imbarazzo avvolgevo le braccia attorno al suo busto, con la consapevolezza di avere voluto sempre questo. 


 


Salve ragazze/i! Scusate per l'immenso ritardo ma c'e voluto un po' per partorire sto capitolo ma ce l'ho fatta! 
Iniziamo a vedere qualche piccolo pezzo del passato di Silver, ed a capire un po' i sentimenti sia di Cameron che di Rain. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, e come al solito aspetto qualche vostra recensione per sapere cosa ne pensate. 
Bacini, :*
   
 
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