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Autore: NoaLillyORiordan    07/05/2013    1 recensioni
Come possono cambiare due vite con un solo incontro? Ed è davvero possibile? Due sconosciute, piene dei loro silenzi si incontreranno prima sul campo sportivo, compagne di squadra, amiche e poi? Questa è la storia di due anime che prese dalla difficoltà della vita, finiranno per incontrarsi e scontrarsi...come potrebbe capitare a tutti noi, del resto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve, pazienti lettori: dopo un lungo periodo di fermo dato da molti problemi sia fisici sia familiari, eccomi qui con un nuovo capitolo. Spero vi piaccia e che lasciate qualche recensione. E per le critiche... come detto prima! Noa 

Fughe
 

Michela accostò la moto al marciapiede. Il motore continuava a brontolare, mentre la ragazza, tolto il casco, continuava a piangere. Non sapeva nemmeno bene per cosa. Aveva sempre detto che non le importava di perdere la famiglia, ma sentirsi rifiutata, ripudiata, faceva male. Avrebbe voluto urlare. Avrebbe preso il casco e lanciato lontano, per sfogarsi. Ma tremante, si sforzò di aprire gli occhi e rilassare i suoi muscoli. Si disse che rompere qualcosa, seppur liberatorio, non avrebbe migliorato proprio un bel nulla. Guardò l’ora e si rese conto che era molto tardi. Le 23.30. Era ora di fare ritorno a casa, ma non sentiva forza nelle braccia, nelle gambe. Sentiva un grande vuoto. A quale casa sarebbe dovuta tornare poi?
 
Chiara era appena rientrata e si sedette sul divano. Aveva passeggiato un po’ prima di rientrare. Tante domande e illusioni. Si domandava cosa si aspettava fosse successo se la ragazza era li. Avrebbe avuto il coraggio di dirle quello che aveva da dire? Forse no, si disse. Era tutto cosi confuso. Giovanni sarebbe rientrato tra cinque giorni e sentiva che quella era l’occasione di cambiare la sua vita. Di tirare in ballo Michela, però, non se la sentiva. Di una cosa ava ragione. Prima di stare con qualcun altro, avrebbe dovuto sciogliere “quella matassa incasinata”.
 
“Pronto, Chiara?” Michela ancora ferma a bordo strada tremava e continuava a piangere, ma cercava di non darlo a vedere. Respirava a grandi boccate, per smorzare il rumore del pianto. L’aria fresca, non scaldata dal naso, le gelava la gola e i polmoni.
“Ciao, Michela, come va?” Chiara era sorpresa di quella telefonata. – È forse un segno che le debbo parlare? - si chiese Chiara. Si decise: - glielo dirò!- disse entusiasta la ragazza tra se e se.
“Ti stavo giusto pensando, vorrei parlarti di una cosa” disse.
“Anche io” rispose Michela dall’altro capo. Era cosi confusa che non la sfiorò minimamente, la curiosità. Non voleva essere egoista, ma aveva bisogno di un salvagente. “Ho bisogno di un posto dove stare” disse senza dare il tempo alla ragazza dall’altro capo di fare domande. “Per piacere” disse, lasciandosi di nuovo travolgere dalle lacrime.
Chiara non sapeva che dire. Non aveva mai visto Michela piangere ne lasciarsi andare a debolezze.
“Michela tutto bene?” chiese preoccupata.
“Ti prego… posso stare da te stanotte?”.
“Certo”. Chiara rimase ancora un po’ con il telefono con il telefono vicino all’orecchio, cercando di carpire un qualsiasi rumore. Sentì solo qualche singhiozzo e qualche tirata di naso e poi più nulla. Michela aveva attaccato e si era rimessa in moto.
 
“Tutto bene?” chiese Chiara preoccupata quando Michela si presentò alla sua porta. Aveva la faccia stravolta, occhi gonfi e guance rosse rigate dalla lacrime. Il corpo contratto eppure allo stesso tempo spossato, senza forze. Sembrava quasi potesse crollare con un solo soffio. Manteneva in una mano il casco e guardava a terra. Deglutì più volte a fatica trattenendo a stento ancora lacrime.
“Mi… mi basta un divano” disse semplicemente.
Chiara prese sottobraccio e la condusse nella stanza da pranzo dove era stato preparato il divano. Michela sussurrò qualche scusa, senza guardare in faccia l’ospite e senza spogliarsi ne infilarsi sotto le coperte si abbandonò sul divano.
“Va a dormire stai tranquilla” disse. Ma più che una rassicurazione sembrava un invito a lasciarla sola. Affondò la testa nel cuscino e continuò a piangere silenziosamente.
Chiara era molto confusa e spaesata. Non sapeva che fare. Vicino al divano tentò più volte di aprir bocca e dire qualcosa. Aveva anche lei bisogno di un “posto dove stare”. Ma dopo un po’ si ritirò nella sua stanza, socchiudendo piano la porta.
 
Michela aprì piano gli occhi. Non riusciva a capire dove si trovava. Il suo letto non era cosi ruvido a contatto con la pelle. E non puzzava di sigarette e alcool. Si sentiva costretta in una morsa, ma ben presto si rese conto di non essere a casa sua. Non era nel suo letto ed era per giunta ancora vestita. Si girò supina e allungò la mano verso i pantaloni. “Cristo!” esclamò vedendo che erano inoltrate le tre del mattino. Si sedette, inarcò la schiena e aprì le braccia, fin quando una ad una le vertebre non schioccarono e lei si sentì meno intorpidita. Si rese definitivamente conto di essere in casa di Chiara, con tutte le cose che avrebbero potuto comportare. – non potevo scegliere momento peggiore – si disse, stropicciandosi gli occhi. Si diresse a tentoni in cucina, sperando di non trovare la timida ragazza in piedi.
In cucina aprì il rubinetto dell’acqua e vi infilò la testa sotto per bere. L’acqua fresca e lievemente calcarea scorreva tanto veloce dal rubinetto, entrando di getto tra le labbra della ragazza, che le schizzò il volto e la maglietta. Si asciugò con la manica del giubbotto e decise di perlustrare silenziosamente a casa. La prima porta, intrapreso il corridoio, era socchiusa. Michela ci si affacciò e scorse Chiara, rannicchiata che riposava. Ebbe un sussulto: non si aspettava di vederla cosi presto, nella prima stanza. La ragazza, in posizione fetale, respirava in modo profondo e regolare. Le leggere lenzuola aderivano morbide al suo esile corpo. La pelle chiara, quasi risplendeva di luce propria. Il volto era stranamente sereno e rilassato. Come non lo aveva quasi mai visto. Michela si scoprì osservare la ragazza, in ogni sua forma. Si scoprì desiderare entrare in quel letto e abbracciare quella donna. Fece lentamente dietro front (si scoprì perfino aver già fatto qualche passo nella stanza!) e senza far rumore decise di andar via.
 
Il sole filtrava timido dalla finestra, coperto dalle nuvole. Chiara si svegliò con un sussultò e si girò di scatto. Il cuore martellava già. Forse si aspettava di vedere Michela al suo fianco e non sapeva dire se il batticuore era una delusione o un brutto presentimento. Ancora scalza e vestita solo di un leggero e fine pigiama, che lasciava intravedere le sue forme, si precipitò nella sala da pranzo, dove, con molto dispiacere non trovò nessuno. Sospirò: non si aspettava che le piombasse in casa così, ma sentiva che non sarebbe rimasta. Più cercava di cogliere qualcosa, più la situazione si incasinava.
Decise di alzarsi dal divano e cominciare ad aprire le finestre. Ma alzandosi sentì un lieve e debole fruscio. Vide un biglietto cadere a terra, che colse con grande stupore. – Ma dai, un biglietto! Non sai fare di meglio? – disse tra se e se, anche alquanto risentita.
 

Ciao Chiara,
intanto, grazie di avermi ospitato. Scusami di esserti piombata letteralmente tra capo e collo stanotte e scusami ancor di più di averti abbandonata così. Ma, vedi, non potevo sostare oltre. Vederti nel letto, cosi bella, cosi serena, desiderare di abbracciarti… Non ho negato questi miei desideri, ho solo evitato di invadere prepotentemente te.
Scusami ancora: se vorrai saprò farmi perdonare.
Fammi una sorpresa!
M.

 
La ragazza rilesse più volte il biglietto. Di primo acchito si sentì spogliata, nuda. L’aveva osservata mentre dormiva. Quanto si era spinta in camera? Si coprì il torace, come protezione. Ma rileggendo ancora il messaggio, dopo un iniziale sconcerto, si sentì lusingata e le sue gote si colorarono di rosso. Si ritrovò a sorridere come un’ebete e decise che poteva farla questa sorpresa.
 
“Michela, se non ti calmi, oggi fai male a qualcuno!” esclamò Fabiana irritata.
La ragazza era una furia. Giocava con rabbia, nervosa. Aveva molto da sfogare, da buttar fuori. Gli occhi sembravano persi nel vuoto, ma fissi e concentrati su un obiettivo. I muscoli tesi, i nervi a fior di pelle, lo sguardo aggressivo e cattivo.
“Sei aggressiva, se vuoi sfogarti su qualcuno vai in un bar e scatena una rissa, ma non venir qui a far male qualcuno”.
Michela sembrava non ascoltare, persa nel vortice della sua rabbia. Arrabbiata con se stessa anche per aver pianto; rimpiangeva ogni lacrima versata. – Non se le meritano nemmeno – pensava sempre, ripensando al dolore della sera prima. Però qualcosa persisteva. Rabbia. Cieca furia, voglia di prenderli a schiaffi, scuoterli dal loro maledetto perbenismo.
“Michela mi ascolti?” chiese ancora una volta stizzita la ragazza. “Va fuori, ora!”.
Michela si riprese e vide che tutti la osservavano. Il mister, un uomo sulla cinquantina con uno sguardo preoccupato la invitò con un gesto a lasciare il campo.
“Va a farti una doccia, Michela” disse l’uomo.
La ragazza si allontanò, sentendo in corpo di non aver ancora vomitato tutto il dolore, sfogato tutta la rabbia.
“Mi vogliono far esplodere?” disse dando un calcio ad una panca che si sollevò di qualche centimetro per poi piombare a terra. Un forte rumore metallico vibrò a lungo invadendo la stanza. Michela era sicura che si era sentito anche sul campo, ma sentì ancora rumore di palloni che colpivano terra e un gran vociare. Segno che, tutte, stavano facendo finta di nulla. Si sentì sollevata, ma d’altro canto ebbe un moto di stizza. Nessuno le chiedeva nulla?
Su queste  note amare e tese, Michela decise non lavarsi nemmeno, infilando i jeans e la giacca e andando via cosi. Cominciava a far davvero caldo e – Non mi ammalerò di certo per un po’ di sudore – si disse. Prese lo zaino e si diresse fuori. Cavalcò la moto, girò la chiave nel quadro e sistemò gli specchietti quando vide riflessa una figura.
“La prossima volta rimani e abbracciami” disse d’istinto Chiara. Michela si voltò sorpresa.
L’aveva attesa con ansia, durante gli allenamenti, fino a abbattersi e demoralizzarsi. Era radiosa. In una camicetta bianca e un paio di jeans. Aveva un casco a scodella recuperato chissà dove.
“Allora, questo perdono?” chiese sorridendo Chiara, indossando la scodella.
In quel momento Michela si pentì di non aver già fato una doccia.
“Guarda, ho sudato…” cominciò a scusarsi con imbarazzo.
“Anche io sudo,  non profumo di rose” rispose divertita la ragazza.
“Michela!” urlò Fabian correndo fuori dalla palestra “Michela aspetta”. La ragazza affannata dagli allenamenti, aveva le gote rosse e il fiato corto.
“Ciao, Chiara” disse la ragazza, con freddezza. “Michela, devo parlarti”.
La ragazza, a cavallo della moto si sentì infastidita. Fabiana come al solito voleva mettere il naso negli affari suoi. Si rese conto che proprio pochi minuti prima si era stizzita per l’opposto. – È proprio vero, l’essere umano non è mai contento di quello che ha – si disse.
“La prossima volta Fa, ora, io e Chiara dobbiamo andare. Su sali” disse secca.
Chiara montò in sella perplessa. Ma ormai era abituata a questi repentini cambi scenografici. La centaura mise in moto e partì velocemente.
La ragazza in calzoncini, ancora rossa in volto e sudata, rimase li, stupita e offesa.
“Che successo tra te e Fabiana?”
Michela non rispose subito. Era indecisa se fare un giro o andarsi a fare una doccia.
“Nulla. Non avevo voglia che si impicciasse” fece con fare distaccato. Continuava a guidare sovrappensiero. Aveva voglia di stare con lei, ma non si aspettava si presentasse davvero. Era confusa, sentiva tante emozioni contrastanti dentro se. Era in atto una bella lotta tra stomaco e cervello. Se le stavano dando proprio di santa ragione e l’effetto era che le scoppiava il cervello e le si contorceva lo stomaco.
“Guarda che se ho beccato un brutto momento mi puoi anche riaccompagnare a casa. Anzi guarda – disse scocciata la ragazza – lasciami qui che me la faccio a piedi”. Con stupore vide che la ragazza azionò gli indicatori di direzione e accostò al marciapiede. Chiara non sapeva se smontare. Dalla sera prima, la centaura non faceva che essere schiva, chiusa.
Nella mente di Michela risuonò una frase. Non voleva che Chiara andasse via. Non riusciva a capire nemmeno se stessa. Scosse il capo: non voleva rischiare di ritrovarseli faccia a faccia.
- Michela, questo non è un film – E lo sguardo duro di suo padre le strinse lo stomaco.
- facciamo in modo che tu non debba mai dirle – Le lacrime di sua madre le trafissero il cuore.   
- Avrei voluto che la conoscessi -? – Si voltò verso Chiara, mentre sei stava per smontare.
“Ti va di conoscere mia nonna?” chiese con le lacrime che pizzicavano gli occhi.
Chiara rimase colpita. “La tua famiglia?” chiese timorosa. Era una cosa forte. E lei aveva bisogno di parlarle. “Io…” tentò di dire, abbassando lo sguardo, balbettando guardandosi la pancia.
“Mia nonna è la mia famiglia”. Chiara comprese che la famiglia di Michela, per qualche motivo, si restringeva solo alla figura anziana della nonna. Perfino lei, aveva più punti di riferimento.
Michela sorrise, di un sorriso dolce e amaro. Chiara ebbe la sola forza di annuire. Sospirò e alzò lo sguardo al cielo. “E conosciamo questa nonna” disse con ironia.
Michela sorrise e ingranata la prima, partì a razzo superando tutta la colonna di macchine in coda.

 
  
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