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Autore: Nimel17    07/05/2013    8 recensioni
E se Regina non avesse mai rapito e rinchiuso Belle, e questa fosse restata con Rumpelstiltskin? Come avrebbe potuto cambiare la vita di Gold a Storybrooke, insieme a quella degli altri personaggi delle fiabe?
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Belle, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Follow me through the night we are sisters of the night, we are daughters of sin…”

“Isabeau? Isabeau?”

Belle sobbalzò e si tolse le cuffie, preoccupata. Ruby la stava guardando con un sopracciglio alzato e il sacchetto con il pranzo in mano. Posò lo spolverino e sorrise. 

“Grazie, mi hai salvato la vita, sto morendo di fame. Scusa se non ti ho risposto prima, ma la musica mi porta in un altro mondo.”

“Quando riapri la biblioteca?”

“Domani. Mio marito ha avuto bisogno di aiuto al negozio.”

“Non può assumere qualcuno?”

“Oh, ci abbiamo provato. La prima candidata ha detto che pensava fosse uno scherzo, la seconda aveva il vizio di accendere fiammiferi e dopo non si è più presentato nessuno, non senza collane d’aglio e crocifissi.”

Ruby arrossì e abbassò lo sguardo, mentre Belle la ignorava e tirava fuori il suo doppio hamburger con doppia porzione di patatine fritte e torta di mele. 

“Quando torna tuo marito?”

“Oh, oggi è andato a sentire alcuni clienti che vorrebbero affittare qualche appartamento, non tornerà prima delle due.”

Ruby sbatté le palpebre quando probabilmente realizzò che l’ordine non era per due ma solo per lei. Belle tirò fuori un paio di banconote e sorrise.

“Ho dato una sbirciatina al libro nero di mio marito e ho visto che vi mancano cento dollari per l’affitto… prendi, non vorrei che tua nonna avesse un altro infarto, non troverei altri hamburger così buoni a Storybrooke.”

La cameriera sgranò gli occhi.

“Ma… sei sicura?”

“Assolutamente. Mio marito è di pessimo umore oggi e il resto della settimana sarà ancora peggio, potrebbe non acconsentire a darvi più tempo.”

“Wow… grazie, Isabeau, il minimo che possa fare è darti tutti i Mac che  vuoi sulla casa.”

Si sentì un educato bussare. Andò ad aprire Ruby che era già sulla porta per uscire ed entrarono due ragazzini. Belle era sicura di averli già visti… la ragazza doveva avere l’età di Henry, forse di un anno o due più grande, con lunghi capelli biondi e occhi azzurri, ed era accompagnata da un bambino dai capelli scuri e le lentiggini. Dovevano essere Hansel e Gretel, anche se li aveva incontrati una volta sola nel suo regno. 

“Ava, Nicholas, avete bisogno di qualcosa?”

“Noi? No, volevamo solo…”

Gretel tirò una gomitata al fratellino.

“Volevamo vedere se avevate vecchi giocattoli.”

Belle sorrise, cercando di metterli a suo agio.  Gli occhi della ragazzina erano pieni di diffidenza. 

“Ma certo. Venite, sono nel retro.”

“Preferiremmo aspettarla qui. Guarderemo il negozio.”

“Sì, veniamo subito!”

Gretel roteò gli occhi e lei sorrise. Diede loro un’occhiata più attenta:  i pantaloni di Hansel erano troppo corti, come pure le maniche del maglioncino, mentre la sorella non aveva calze e la maglietta aveva degli strappi strategicamente nascosti dai capelli, che sembravano non aver conosciuto una lavata decente da un pezzo. 

Belle riflettè: non poteva dire di essere esperta della loro storia, ne sapeva solo qualche punto essenziale, ma avrebbero dovuto riunirsi al padre molto prima che venisse scagliata la maledizione. Non aveva idea di chi fosse il loro genitore, ma tutto in quei bambini indicava l’abbandono.

“Dove vivete?”

“Perché ce lo chiede?”

“Voglio essere sicura che abbiate un posto sicuro per voi due da soli.”

“Come fa a saperlo?”

“Non è vero!”

Gretel pestò il piede di Hans e lo fulminò ancora con lo sguardo. 

“Ascoltatemi, non voglio chiamare i servizi sociali, se è questo che vi preoccupa.”

La ragazzina incrociò le braccia sul petto. 

“E allora? Perché dovremmo crederle?”

Belle cercò di pensare rapidamente. Aveva tra le mani due minorenni, abbandonati, a rischio d’esser trovati da Regina. Considerò le alternative che aveva e, prima di poter avere il tempo di ripensamenti, prese una chiave dal secondo cassetto della cassa.

“Venite con me, forza. Cercate di non farvi vedere.”

“Non ci veniamo con lei. Ci hanno detto che suo marito mangia i bambini che lei gli porta.”

“Non dire sciocchezze, Nick.”

“Mi sembra ovvio che non avete una dimora fissa. Vi porto in una casa non affittata che non si riesce a vendere. Non sarete costretti a rubare per vivere.”

I ragazzi arrossirono e lei aprì la portiera della macchina.

“Venite, o preferite ripulirmi il negozio?”

I due entrarono e si nascosero sotto il sedile posteriore. 

“Allora, come fate a non farvi scoprire? Voglio dire, andate a scuola, ma nessuno ha mai chiesto di vedere i vostri genitori? La signorina Blanchard?”

“No. Non siamo nella sua classe.”

Doveva essere colpa della maledizione di Regina. Beh, ad essere onesta, di Rumpelstiltskin.

“Chi vi ha parlato di me e mio marito?”

“Nessuno, sentiamo voci in giro.”

“Perché non mi parlate un po’ dei vostri genitori? Sono morti?”

“La nostra mamma, sì. Non abbiamo mai conosciuto nostro padre, non sa nemmeno di noi.” 

Le mani di Gretel accarezzavano dolcemente il suo ciondolo. No, non era un ciondolo, era una bussola.

“Apparteneva a lui?”

“Sì, è l’unica cosa che abbiamo sua.”

La fattura di quella bussola era eccellente, per quanto poteva vedere dallo specchietto. Un pezzo quasi unico, come avrebbe detto Rumpelstiltskin. Chissà se proveniva dal negozio.

“Siamo arrivati.”

La villetta era abbastanza graziosa, nonostante la pittura stesse svanendo e pezzi d’intonaco crollassero a poco a poco. Non appena scesa, si rese conto di un problema. E se qualcuno si fosse accorto delle luci? I bambini non potevano certo vivere al buio. Si diede della stupida per non averci pensato subito.

Fortunatamente, Gretel sembrava averci già pensato.

“Qualcuno potrebbe venire. La casa ha una cantina, una taverna…?”

“Certamente. Potrete stabilirvi lì, se vi sentite più sicuri. Vi giuro che non dirò a nessuno che siete qui. Il telefono e la televisione sono funzionanti, comunque.”

Scarabocchiò su un foglietto il suo numero e lo diede a Gretel.

“Potrete chiamarmi quando volete, se avete dei problemi. Verrò a prendervi e vi porterò da qualche altra parte, se dovessero scoprirvi.”

Li osservò nuovamente, poi scosse la testa.

“No, se doveste uscire, attirereste troppo l’attenzione. Sembrate dei piccoli vagabondi. Aspettatemi qui, non vi muovete, faccio una corsa al negozio e torno. Non dovete muovervi, chiaro?”

“Promesso.”

Belle non si fidava moltissimo, ma non aveva scelta. Cercò di rendere la corsa a prendere dei vestiti più rapida che potè, e al suo ritorno constatò con sollievo che i due fratelli si erano già ambientati nel seminterrato. 

Li prese per le spalle e li esaminò. Ad Hans sarebbe bastato darsi una lavata veloce, ma i capelli della sorella erano un disastro. 

“Che ne dici, ti do una mano a fare la doccia? Non puoi sciogliere da sola tutti questi nodi.”

Gretel annuì e Belle la portò in bagno, aprendo il getto della doccia.

“Caldo o tiepido?”

“Tiepido, grazie.”

La piccola non sembrava timida. Si lasciò spogliare senza fare storie e si mise subito sotto l’acqua, come se avesse paura che finisse. Belle le passò il sapone profumato alla rosa e iniziò a insaponarle i capelli, sfregandole la testa con attenzione. Non sembrava avere pidocchi, la poverina cercava chiaramente di mantenersi il più pulita possibile, nonostante gli scarsi mezzi. 

“Possiamo sbrigarci? Nicholas non può stare da solo a lungo.”

“Aspetta, vado a dargli un’occhiata.”

Sbirciò attraverso la porta: il bambino stava sgranocchiando dei biscotti al cioccolato, steso a pancia in giù nel pavimento. Tornò da Gretel.

“Non penso abbia intenzione di muoversi finchè c’è del cioccolato.”

“No, non lo farebbe nemmeno se scoppiasse una bomba sopra la sua testa.”

L’avvolse con l’asciugamano e la fece sedere davanti allo specchio del bagno. 

“Hai freddo? Posso trovarti un accappatoio.”

“No, non fa poi così freddo.”

Belle prese la spazzola e gliela passò sulle ciocche bagnate, facendo piano per sciogliere tutti i nodi. 

“Hai dei capelli davvero lunghi.”

“Grazie.”

“Hai mai provato a raccoglierli in due trecce? Ti sarà più facile tenerli.”

Gretel si morse il labbro, poi la fissò negli occhi attraverso lo specchio.

“Ha un figlio? O una figlia?”

Lei fece quasi cadere la spazzola, poi deglutì, cercando di ignorare la fitta sul petto. Non le piaceva pensare che la sua vita non era così perfetta come si sforzava di viverla.

“No… io e mio marito non abbiamo figli.”

“Perché no?”

“Suppongo non sia ancora giunto il momento giusto.”

“Peccato. Sarebbe un’ottima madre.”

Belle chinò il capo per nascondere le lacrime che erano iniziate a sgorgare. 

“Grazie. Sei una brava bambina, di cui qualunque donna sarebbe fiera d’esser madre.”

Mentre le asciugava i capelli nessuna delle due parlò più, ma Gretel sembrava aver perso l’aria di diffidenza iniziale. La vestì con gli abiti che aveva portato e fece un cenno di approvazione.

“Sembri proprio una brava alunna, così.”

“Ci penso io a mio fratello. Non si farebbe toccare da un’estranea.”

“Molto bene. Spero di rivedervi, magari stasera verrò a trovarvi.”

“Sarebbe bello. Ci può portare quei vecchi giocattoli?”

“Ma certo, avrei dovuto pensarci prima.”

Mentre tornava a casa, Belle continuò a chiedersi perché mai lei e Rumpelstiltskin non riuscissero ad avere un bambino. Ruby avrebbe probabilmente detto di provarci di più e Mary Margaret l’avrebbe semplicemente esortata ad aspettare. Leroy le avrebbe borbottato di essere fortunata. 

Forse Marco avrebbe potuto capirla, ma le sembrava ingiusto riversare il suo dolore su di lui. 

Sperò solo che suo marito tornasse presto a casa, anche se sapeva di dover aspettare ancora qualche ora. 

Frenò bruscamente quando Pongo si gettò all’improvviso in mezzo alla strada. L’airbag si aprì, evitandole di schiantarsi contro il volante, ma il contraccolpo le fece sbattere la nuca contro il poggiatesta.  Vide Archie bussare freneticamente al finestrino e poi provare ad aprire la portiera, fortunatamente sbloccata.

“Mio Dio, Isabeau, ti sei fatta molto male?”

Belle si toccò la nuca e non sentì del sangue, solo un bernoccolo che si stava formando e che avrebbe probabilmente assunto le dimensioni di una palla da baseball. 

“No, non ho sbattuto così forte, grazie. Mi dispiace molto, ero distratta…”

“Figurati, non so cosa sia preso a Pongo di buttarsi così… mi dispiace davvero.”

“Non fa niente. Piuttosto…”

Si bloccò. Forse aveva davvero conseguito danni al cervello. Cosa le saltava in mente di confidarsi con Archie sui suoi problemi? Regina sarebbe venuto a saperlo in un batter d’occhio. Come se richiamata dai suoi pensieri, il sindaco comparve dall’angolo della strada, guardando con un sorriso freddo e calcolatore i due. Belle si fece prendere dal panico: e se la regina avesse messo in giro la voce che aveva ancora bisogno di psicofarmaci? 

“Piuttosto? Hai bisogno di parlarmi di qualcosa che vuoi condividere?”

“Assolutamente no. Arrivederci, dottor Hopper e non si preoccupi. Sono tutta intera.”

Prima che lo sbalordito grillo potesse risponderle, ingranò la marcia e partì, le mani tremanti sul volante. Doveva tornare, o sarebbe impazzita. 

Riuscì ad arrivare senza incidenti e, dopo aver chiuso a chiave il negozio e aver spostato l’insegna sul lato con scritto “Chiuso” si sdraiò sul letto nel retro, massaggiandosi le tempie e mangiando il suo pranzo. Duchessa le si accoccolò vicino, imitata presto dai tre gattini e in poco tempo li sentiva vibrare contro le sue gambe. 

“Grazie, mici. È un peccato che non possa adottarvi.”

“Devo essere geloso?”

Belle vide suo marito vicino alla tenda che separava il retro dal negozio, con un mezzo sorriso e gli occhi più dolci e sereni di quando era andato via la mattina presto.

“Mi hai scoperta. Ti tradisco con i gatti da quando li abbiamo presi.”

“Penso di poterci convivere, dearie.”

Duchessa gli andò subito vicino, strusciandosi contro le sue gambe. Ruffiana traditrice. Almeno i piccoli non l’avevano abbandonata per il primo uomo che vedevano. 

Rumpelstiltskin la baciò e le si sedette vicino, circondandole la vita con un braccio per tenersela vicino e accarezzandole i capelli. Ovviamente, le dita scoprirono presto il bernoccolo.

“Non ti posso proprio lasciare da sola. Che è successo?”

Belle considerò le opzioni. Se avesse detto la verità avrebbe dovuto anche parlargli dei due ragazzini che stava nascondendo. Se avesse mentito, probabilmente l’avrebbe capito. Optò per una mezza verità.

“Sai quanto sia sbadata.”

“Non oso pensare a quando domani tornerai alla biblioteca. Ti metterò un bracciale trasmettitore di suoni come ai neonati.”

“Non oseresti.”

Pensava che avrebbe sentito la solita fitta alla menzione dei neonati, ma l’essere abbracciata a lui riusciva ad attenuare la tristezza che aveva provato prima. 

“Sai Belle, oggi ho incontrato Henry mentre andavo al mio appuntamento.”

Inconsciamente lei s’irrigidì. Gli aveva accennato che sapeva chi fosse?

“Mi ha fatto una serie di domande strane, penso stia cercando di capire chi sono tra i personaggi del suo libro.”

Tirò un sospiro di sollievo virtuale. 

“Mi meraviglio che non l’abbia già capito. Non ci sono molti che abbiano un’ossessione per i nomi e i patti.”

“Non ho un’ossessione.”

“No, certo che no.”

“Comunque, mi ha anche chiesto se sapessi chi fosse suo padre.”

Quello non se l’aspettava. Sgranò gli occhi e lo guardò a bocca aperta, poi scosse la testa.

“Poco tempo fa è partito per cercare la sua madre naturale. È ovvio che voglia sapere chi era suo padre. Cosa gli hai detto?”

“Gli ho spiegato che cos’era un’adozione chiusa, poi gli ho detto che comunque era stata Emma a fare le trattative.”

“Ma tu, lo sai chi era il padre di Henry?”

“Non ne ho la  benchè minima idea, dearie. Anche se…”

“Se?”

Lui alzò le spalle.

“È solo una sciocchezza.”

“Puoi permetterti di essere umano anche tu, di tanto in tanto.”

“Alle volte Henry mi ricorda così tanto il mio Bae, che mi chiedo…”

Belle sorrise e lo abbracciò più forte. Per consolarlo, gli passò una mano tra i capelli. Il gesto non era divertente come quando aveva quei riccioli indomabili, ma Rumpelstiltskin diventava come un grande cucciolo quando lo faceva. 

“Ammetto che sarebbe una coincidenza bellissima. Non possiamo escluderla, dopotutto…”

Ridacchiò.

Nonno.

Suo marito emise un ‘Hmpf’ di sdegno e lei rise ancora più forte. 

“Sono contento che ti faccia ridere. Forse hai dimenticato che saresti nonna anche tu.”

“Io non ho trecento anni.”

“No, ma ne avresti… sui cinquantacinque?”

Lei ci pensò, facendo un rapido calcolo. Aveva venticinque anni quando aveva fatto il primo patto con lui. 

“Può essere, sì. In fondo, sono pur sempre passati ventotto anni dall’inizio della maledizione.”

Belle guardò l’orologio.

“Devo incontrare il nuovo fornitore di libri per la biblioteca.”

“Cos’è successo al tronfio pavone di prima?”

Lei roteò gli occhi. Solo perché una volta, credendo che fosse single, l’aveva invitata a cena. La comparsa di suo marito e la sua espressione gelida avevano fatto fuggire l’altro quasi subito e la scena era stata esilarante.

“Eredità di famiglia, o qualcosa del genere. Ora ha preso il suo posto un certo John Reading.”

“Ottima persona.”

“Lo conosci?”

“Solo di sfuggita, quando ritiro l’affitto. Ha avuto abbastanza buon senso da non fare mai un patto con me e ha quasi settant’anni.”

“Un rivale di meno, sarai contento.”

Si alzò prima che lui potesse afferrarla e gli fece una linguaccia mentre usciva.

“Molto maturo, Belle.”

“Non mi vorresti diversa.”

Rumpelstiltskin sorrise, quel sorriso accompagnato da quello sguardo un po’ distante e malinconico. 

“No, hai ragione. Sei perfetta così come sei.”

Sapeva sempre cosa dire, quell’uomo. Tornò su suoi passi per prendergli il viso tra le mani e baciarlo velocemente. Trattenne a fatica una risata quando vide che un po’ del suo rossetto era rimasto sotto il labbro inferiore, ma non gli disse niente. Era una visione troppo tenera.

“Non uccidetevi, te e i gatti, mentre sono via.”

“Ce la faremo, dearie. Sopravvivremo.”

Il tempo si era rannuvolato, o meglio, il cielo era diventato di un colore bianco grigiastro, non c’era nemmeno un po’ di sole. Forse avrebbe piovuto. Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, Belle adorava la pioggia. Da piccola le piaceva mettersi in giardino e sentire le gocce fresche sul viso e quando era cresciuta le giornate piovose le permettevano di sedersi alla finestra a leggere, sbirciando di tanto in tanto il vento che muoveva le chiome degli alberi.

Il cellulare squillò all’improvviso e sul piccolo schermo comparve un numero sconosciuto.

“Pronto?”

“Signora Gold? Sono il signor Reading, volevo solo ricordarle l’appuntamento, se non ha cambiato idea.”

Belle si fermò quasi di strada, non per quelle innocue parole ma per la voce al telefono. La conosceva… 

“No, no, anzi, sto arrivando.”

Poteva davvero essere chi aveva in mente? Da quanto tempo non lo vedeva…

Il signor Reading abitava in un piccolo cottage vicino al bosco, circondato da un giardino con tulipani e giacinti. Bussò alla porta, ma non venne nessuno. Provò più forte.

“Arrivo, arrivo!”

Le aprì una pila di libri su due gambe. Non riusciva a vedere la persona che la reggeva.

“Serve una mano?”

“No, no, si figuri, appoggio questi e arrivo. C’è del the pronto, se si vuole servire.”

Lei sorrise teneramente. Non poteva sbagliarsi. John Reading era piccolo di statura, un po’ ingobbito, con una testa leggermente a punta, pochi ciuffi di capelli bianchi sulla nuca e vicino alle tempie e un paio di occhialetti a mezzaluna messi sopra un naso adunco. Stava dividendo i libri, così Belle versò il the su due tazze pulite, le stesse di quando era bambina, e mise in quello di lui due cucchiai e mezzo esatti di zucchero e del latte.

“Oh, signora Gold, non doveva disturbarsi per me, io sono un po’ difficile quando si tratta del mio the..”

Lei glielo passò sorridendo e il vecchio la guardò sorpreso.

“Come ha fatto a indovinare?”

“Diciamo che ho buon intuito quando si tratta di the e libri.”

Tese la mano.

“Sono Isabeau, piacere di conoscerla.”

“Un bel nome per una bella figliola.”

Belle ricordò con una certa malinconia che quelle erano state le sue parole anche quando l’aveva conosciuto la prima volta quando era piccola.

“Mi ha detto che intende regalare dei libri per la biblioteca.”

“Vede, sono sempre stato un avido lettore. Il mio sogno sarebbe stato gestire una biblioteca per conto mio, ma quando ho potuto permettermelo ero già troppo vecchio. Mio nipote intende vendere i miei libri ad un collezionista che non li leggerà nemmeno, solo per far vedere  quando sarò morto, così ho deciso di regalarli alla biblioteca di Storybrooke.”

“Perché non si è fatto vivo prima?”

“Perché prima mio nipote era il suo fornitore.”

Belle scoppiò a ridere.

“Non mi dica! C’è davvero di mezzo un’eredità come mi ha riferito?”

Il signor Reading si mise a posto gli occhiali, un gesto che faceva sempre quando era nervoso.

“Ho capito. Ha paura di mio marito, vero?”

“Ha detto che era un pazzo psicopatico e che non voleva più averci a che fare.”

Quelle parole la meravigliarono.

“Ma non lo ha nemmeno toccato!”

“Non saprei, signo… Isabeau. Cos’era successo?”

“Non dubito che mio marito gli abbia fatto prendere un bello spavento, ma solamente con qualche sguardo cattivo quando ha sentito che mi aveva invitata a cena fuori.”

“Non sapeva che era sposata?”

“Evidentemente no. Poveretto, Robert è molto bravo ad incutere paura.”

“Immagino, anche se con me è sempre stato gentile. Non ha la migliore reputazione in città.”

“Ci convivo.”

Posò la tazza di the ormai vuota e si alzò.

“Meglio che vada. Devo tornare in negozio e poi portare i libri in biblioteca, visto che riapro domani.”

Esitò, considerando se proporre la sua idea o no. Rumpelstiltskin non ne sarebbe stato felicissimo, ma si potevano arrangiare le cose in qualche modo.

“Perché non mi aiuta, visto che le sarebbe piaciuto essere un bibliotecario? Qualche volta il lavoro aumenta e poi, con lei alcuni clienti si sentirebbero più tranquilli.”

Gli occhi castani del vecchio si accesero come un bambino cui fosse stato regalato un cucciolo.

“Dice sul serio?”

“Sono molto seria.”

Il signor Reading le strinse una mano, entusiasta.

“Allora, accetto! Oh, non deve preoccuparsi di pagarmi, alla mia età non saprei cosa farne di soldi in più dopo aver vissuto tutta la vita con la stessa somma al mese.”

“Ma certo che sarà pagato, non intendo infrangere la legge praticando servitù involontaria. Ci vediamo domani, alle otto.”

“A domani, Isabeau.”

Forse avrebbe dovuto avvisarlo dell’ abitudine di Rumpelstiltskin di venirla a trovare e  comportarsi come fossero soli, ma si disse che c’era tempo. 

Non stava ancora piovendo, ma si affrettò lo stesso sulla via del ritorno. Si era completamente dimenticata di chiedere a Rumpelstiltskin della bussola e voleva rimediare quanto prima.

Quando entrò in negozio, scoprì che non era solo.

“…Perdono?”

“Limitiamoci alla tolleranza.”

“È già qualcosa.”

Cosa ci faceva Emma lì? E perché Rumpelstiltskin aveva in mano un biglietto girato accuratamente dalla parte bianca?

Lui si accorse per primo di lei e le sorrise.

“Tesoro, non ti aspettavo così presto. È andato tutto bene con il signor Reading?”

Emma si voltò.

“Isabeau, è un po’ che non ci si vede.”

“Di cos’hai bisogno, Emma?”

Fu suo marito a parlare per lei.

“La signorina Swan ha trovato due bambini che stavano rubando dal signor Clark, ha scoperto che erano senza genitori e si è rivolta a me per identificare il proprietario di una bussola, che potrebbe essere il padre dei due ragazzi.”

Belle sentì il cuore fermarsi per un attimo. Li avevano scoperti? E perché stavano rubando?

Tuttavia, non fece nessuna di queste domande.

“Regina lo sa?”

Sia Emma sia Rumpelstiltskin alzarono un sopracciglio.

“Sì, era lì anche lei quando li ho scoperti.”

Belle sospirò e si passò una mano tra i capelli.

“Ora li separerà, vero? Non li farà andare nella stessa famiglia.”

Emma non disse niente, ma continuò a guardarla con gli occhi socchiusi. Suo marito dovette presagire qualcosa perché si affrettò ad intervenire.

“Tillman. Il nome che cerca è Michael Tillman, signorina Swan. Dirige un’officina qui a Storybrooke.”

“Grazie.”

La Salvatrice se ne andò senza perdere tempo e lasciò soli i due. Rumpelstiltskin aveva negli occhi quello scintillio di divertimento che era più proprio del Signore Oscuro che non del signor Gold.

“Sai dove siano finite le chiavi della casa invenduta, dearie?”

“Può darsi.”

Lui sospirò e la prese per le spalle.

“Non dovresti intervenire. La signorina Swan deve svolgere il suo compito.”

“Lo so, lo so… ma cosa potevo fare? Quei due ragazzi erano completamente abbandonati…”

“Non ti sembra una coincidenza che, proprio oggi, siano venuti da te ed Emma Swan li abbia trovati a sua volta?”

“Pensi che Regina…?”

“No. Penso piuttosto che la maledizione si stia indebolendo sempre di più.”

Belle si sedette sul bancone e incrociò le gambe, ignorando suo marito che scuoteva la testa.

“Andiamo, anche al Castello Oscuro mi sedevo sul tavolo e non dicevi nulla.”

“Ci avevo provato, le prime cinque o sei volte.”

Le appoggiò una mano sul fianco e giocherellò con i lacci della sua camicetta. 

“La porta è aperta, può entrare chiunque.”

“Giusto.”

Il segnale venne spostato per la seconda volta nell’indicazione di chiusura, poi Rumpelstiltskin tornò a lavorare sui suoi lacci, sciogliendole i capelli sulle spalle. 

“Sei bellissima.”

Scostò alcune ciocche dal collo e le lasciò una scia di baci, proprio in quel punto che le faceva afferrare il bordo del mobile con le mani e gemere. E dove lui insisteva sadicamente.

“Disturbo?”

Rumpelstiltskin si bloccò, come se l’avessero fulminato, e Belle sbarrò gli occhi. Spostò la testa per vedere chi fosse, sperando di aver sbagliato a riconoscere la voce. 

Invece, eccolo lì, sorridente come in un incubo mentre osservava interessato un mulino in miniatura.

David Nolan, alias Charming.

Non aveva ancora alzato lo sguardo, così Belle immaginò non si fosse reso conto della situazione. Una situazione che comprendeva la mano del marito sotto la gonna, una serie di rossori rivelatori sul collo e un Rumpelstiltskin al principio di una crisi omicida.

Come diamine potevano fare un bambino se erano sempre interrotti da tali idioti?

Scese dal bancone e posò una mano sul braccio del marito, esortandolo a stare calmo, nonostante si avesse lei stessa i nervi a fior di pelle.

“Come possiamo aiutarla, signor Nolan?”

Purtroppo, doveva aver perso la facoltà di tenere a freno Rumpelstiltskin, perché proprio mentre Charming si stava per voltare, il Signore Oscuro lo aveva afferrato gentilmente per un braccio e condotto verso l’uscita.

“Il negozio è chiuso.”

“Ma io…”

“Io e Isabeau ci stavamo preparando per andare al mercato dei dolci, quindi abbiamo chiuso prima.”

“Che mercato dei dolci?”

“Quello in Fool Avenue. Non la può mancare.”

“Grazie, signor Gold, passerò un’altra volta. Ho un debole per i dolci.”

Belle aveva rinunciato a stare seria e aveva il viso seppellito tra le mani, cercando di soffocare le risate.

“Sua moglie sta bene?”

“Oh, sono certo che sia molto eccitata. Anche lei adora i dolci.”

Mentre chiudeva la porta a chiave, sentirono entrambi David Nolan chiedere a voce alta:

“Scusa, Leroy, sai per caso dove sia Fool Avenue?”

“Mi prendi in giro, fratello?”

Rumpelstiltskin sospirò e l’abbracciò, ricominciando a baciarla con foga.

“Sei stato crudele.”

“Se lo meritava.”

 

 

Erano tutti e due a casa, sotto le coperte, la stanza semibuia per il sole che stava tramontando, quando il cellulare di Belle squillò. 

“Non rispondere.”

“Può essere importante.”

Riuscì a prenderlo con la mano e si chiese se fosse il signor Reading.

“Pronto?”

“Signora Gold?”

La voce era infantile, preoccupata.

“Nicholas?”

“Nostro padre non ci vuole, lo sceriffo vuole portarci a Boston. Ci aiuti, la prego! Verremo separati!”

“Chi c’è con te?”

“Sono solo, ma stanno arrivando mia sorella, Emma e quella donna dagli occhi cattivi, il sindaco. È lei che vuole farci portare via.”

“Vengo subito.”

Con sua sorpresa, Rumpelstiltskin si stava già vestendo. Belle sapeva di poter contare su di lui. 

“Hai sentito?”

“Te la senti di trattenere Regina e la signorina Swan? Io andrò a parlare con il signor Tillman.”

“Forse è meglio il contrario.”

“Prometto di comportarmi bene, terrò a bada il bastone.”

Gli diede un bacio veloce, prima di correre per la strada e raggiungere la casa di Mary Margaret ed Emma. Trovò i bambini già in macchina e lo sceriffo e il sindaco lì vicino, intente a discutere.

“Emma!”

Regina strinse le labbra quando la vide, riservandole quello sguardo freddo che rivolgeva solo a lei, suo marito ed Emma.

“Signora Gold, tutto questo è molto inappropriato.”

“Ha perfettamente ragione, signora Mills. Non può separare Ava e Nicholas, è una cosa estremamente crudele!”

“Anche vivere per la strada, come due vagabondi. Avranno una casa e una famiglia.”

“Ma non saranno insieme.”

“Cosa suggerisce, signora Gold? Vorrebbe adottarli?”

“Piuttosto di lasciare che siano separati, sì.”

Regina sorrise, inaspettatamente. 

“Peccato che lei sia reduce da sei anni di manicomio. Quale giuria affiderebbe due bambini quasi adolescenti ad una disturbata mentale e ad un piromane?”

Belle arrossì, ma sostenne lo sguardo.

“Non saprei. La stessa che ha affidato un neonato ad un’assassina sociopatica?”

Regina sibilò, mentre Emma la guardò quasi con rispetto.

“Stia attenta a quello che dice, signora Gold. Suo marito non è qui a difenderla.”

“So difendermi da sola, sindaco. Perché non fa del suo peggio? Ci ha già resi tutti talmente infelici in questi anni, che ormai non può fare nulla di peggiore. Ma, d’altra parte, è il suo scopo togliere la felicità agli abitanti di Storybrooke, non è vero?”

Le sue parole centrarono perfettamente il bersaglio. Negli occhi di Regina passarono il sospetto, l’odio, e finalmente, la paura.

“Non capisco cosa vuole dire.”

“No, certo che no, vero?”

“La smetta di fare insinuazioni.”

“Io non insinuo niente. Io affermo.”

“Glielo ripeto, stia attenta, o contrariamente a quello che pensa, posso renderle la vita un inferno.”

“Non ha che da provarci. Ogni volta che mi ferirà, io restituirò il favore, dieci volte più dolorosamente.”

“Lei è pazza.”

“Fossi in te, Regina, parlerei in modo diverso a mia moglie.”

Era arrivato il suo cavaliere in lucente completo italiano. Aveva fatto presto a convincere Tillman… o forse non ce l’aveva fatta? 

“Le stia lontana, sindaco, per favore.”

Regina fu costretta ad indietreggiare, lo sguardo carico di odio. Ma Rumpelstiltskin ne era abituato e ricambiò con un sorriso freddo.

“Se sento ancora una volta definire Isabeau una pazza, Regina, farò in modo che la tua vita sia un inferno. Ricordati ciò che mi devi, per favore.”

La regina se ne andò, i tacchi che risuonavano sul cemento come se lo pugnalassero ad ogni passo. Emma li guardava, come se fosse indecisa su chi tra i tre fosse quello da portare in manicomio o in galera.

“Un giorno dovrà spiegarmi come fa, Gold.”

“Pratica, signorina Swan. Conosco Regina da molto tempo.”

“Mi dispiace, Isabeau, ma devo portare lo stesso Ava e Nicholas a Boston.”

Belle annuì, sentendo la mano di suo marito stringere la sua. Mentre il maggiolino giallo si allontanava, lui le sussurrò all’orecchio:

“Non raggiungeranno mai Boston. Il loro padre lo impedirà.”

“Ce l’hai fatta… niente ossa rotte?”

“Non è stato necessario. Gli ho detto cosa sarebbe successo ad un padre che abbandoni un figlio.”

 Lei gli passò un braccio attorno alle spalle, stringendo per esprimere il suo supporto.

“Mi dispiace che tu abbia dovuto rivangare qualcosa che preferisci dimenticare.”

“Non gli ho detto che ero io quel padre. Ma gli ho promesso una riduzione dell’affitto.”

Belle sbuffò e Rumpelstiltskin alzò le spalle.

“Se ti può essere di consolazione, aveva già deciso di prenderli con sé prima che lo corrompessi.”

“Lo spero. Sono due ragazzi adorabili.”

Il marito le baciò i capelli, abbracciandole la vita con il braccio che non reggeva il bastone. 

“Ne avremo uno presto, dearie. Le cose stanno cambiando, e in meglio. Verrà anche il nostro momento.”

Incominciarono a camminare verso casa, condividendo lo stesso pensiero di una famiglia. Tuttavia, c’era un peso che Belle doveva assolutamente levarsi dallo stomaco.

“Non ti dispiace, vero, se ho assunto il signor Reading come assistente in biblioteca?”

La risposta di Gold venne coperta da un un’esclamazione di delusione.

“David! La torta alla zucca era per Emma, era la preferita di mio padre!”

“Scusa Henry, ma era lì, tutta sola sul tavolino…”

“Potrebbe andare peggio, Rumpel. Avrei potuto assumere Charming.”

“Non ti degnerò neanche con una risposta.”

 

 

 

 

Angolo dell’autrice: la connessione e l’università ce la mettono tutta per non farmi aggiornare, ma sono sempre qui con bello alto lo striscione Rumbelle. Ringrazio tutti quelli che hanno la pazienza di aspettare e non mollano la storia e quelli che la leggono in generale, siete sempre la forza maggiore che spinge a continuare a scrivere. Per il prossimo episodio, bastano solo tre parole: tutti contro Charming.

 

  
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