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Autore: Astrid Leda    08/05/2013    1 recensioni
"...mi attirava dal basso...tanto affascinante quanto sconosciuto..."
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il colore distorto della cima del mondo mi attirava dal basso. Il blu del profondo, che mi teneva segreta da una verità lontana, si allargava sempre di più in un in un azzurro chiaro e lucente. Dal freddo mi ritrovai sempre più vicina ad un calore tanto affascinante quanto sconosciuto.

Il manto che mi teneva unita al tutto si faceva sempre più leggero man mano che salivo verso l’ignoto. Finché in alto, proprio sopra di me, vidi delle luci dorate che si agitavano tranquille sospese in un punto tanto lontano quanto vicino. Era come se la luce stessa fosse caduta in pezzi, per poi rimbalzare su un velo invisibile che divideva il mondo da tutto il resto. Allungai le mani verso i piccoli frammenti, ma erano ancora troppo lontani, così cominciai ad avanzare spingendomi sempre più su, cercando almeno di sfiorare quei frammenti che sembravano irraggiungibili.

L’azzurro che mi circondava iniziò a perdere colore, fino a diventare parte di qualcosa di indefinito. Dietro le luci ebbi l’impressione di vedere un blu del tutto diverso, stranamente lontano.

Quando mi sembrò di essere abbastanza vicina, cercai nuovamente di afferrare quelle macchie che danzavano sopra di me. Sapevo di averle raggiunte. Distesi il braccio convinta che le avrei finalmente afferrate. Ma quando le mie dita le attraversarono, sentii uno strano freddo che mi accarezzava le mani. Non appena tirai indietro il braccio il corpo fu improvvisamente spinto in alto, e quel freddo mi sferzò il viso come uno schiaffo impalpabile.

Luce e freddo era tutto quello che provai nei primi istanti. La testa cominciò a girare, mentre fluttuavo alla cieca, alla ricerca di un appiglio che mi fermasse da quel improvviso smarrimento. Dopo aver afferrato il nulla per qualche istante, con le mani tastai il ruvido di una roccia e mi ci aggrappai. Strisciai su di essa con tutte le mie forze, mi sentivo terribilmente pesante, finché quella strana sensazione di freddo non mi avvolse completamente. Mi trascinavo con una fatica mai provata, ma ormai dovevo continuare ad avanzare. Volevo sapere.

A un tratto la mia gola mi sembrò improvvisamente troppo stretta, l’acqua era diventata qualcosa di troppo e la sputai fuori con uno spasmo improvviso. Sentii poi una pienezza  intangibile che mi entrò dentro fino al petto, la trattenei in me per qualche istante per poi lasciarla andare con una forza più docile e morbida. Questa azione diventò sempre più semplice e naturale. Quasi mi stupii della semplicità di un gesto tanto strano, che aveva però in sé un qualcosa di puro e solenne allo stesso tempo. Il cuore che mi bussava da sotto la gola rallentò poco a poco la sua agitazione. Nel mentre alzai lo sguardo dalla cima della roccia sulla quale mi ero avventurata. Osservai ciò che avevo di fronte come se vedessi per la prima volta. I colori erano vivi, travolgenti; sembravano pulsare insieme al sangue nelle mie vene. Ero al di là di tutto, ero sopra al tetto della vita che conoscevo. Quello che per me era mondo diventò di colpo un piccolo angolo del tutto. Dalla roccia scrutai il velo che mi imprigionava fino a poco prima, poi osservai la cornice scura che avvolgeva il velo della mia culla in un abbraccio lontano. Solo allora la meraviglia investì tutto il mio essere. Sopra l’anello scuro un morbido candore si aprii su un’esplosione di luce vivente che si intrecciava con una oscurità discreta e gentile. Alzai la testa per cercare un qualche limite, un confine, però non lo trovai. Quel infinito si allargò come un manto freddo e remoto, inizialmente sembrava quasi che si estendeva come a esitare a cadere su di me; questo pensiero mi spaventò e mi fece sentire smarrita come non mai. Poi un rumore mi fece trasalire e attirò la mia attenzione, facendomi distogliere lo sguardo da quello spettacolo affascinate e terribile. Una strana creatura arrivata da chissà dove scese su quel velo sfiorandolo appena, per poi appoggiarcisi sopra con una grazia semplice e innocente. Il mio sguardo esitò in direzione della candida creatura: dalla divina eleganza con cui si era presentata ora sembrava davvero bizzarra, in certi momenti anche goffa. Fu solo allora che senza accorgermene mi ritrovai ad osservare di nuovo l’infinità sopra di me. Ma non avevo più paura. Al contrario me ne sentivo avvolta, protetta. Non mi ero persa, non ero abbandonata, ero sempre parte del tutto, quello che osservavo era un altro tetto del mondo che proteggeva tutti gli altri. In quel momento la creatura alata si innalzò di nuovo, riacquistando la sua grazia perduta, e si spinse in lontananza, verso il profondo della luce lontana; forse cercando di toccarla, al di là del mondo, al di là di tutto. Verso la cima del mondo.

  
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