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Autore: Daewen    27/11/2007    1 recensioni
Spoiler 7° libro!
Una serie di vicende o riflessioni dei vari personaggi. Quasi tutte prendono spunto dagli avvenimenti rivelati nel settimo libro. I pairings sono quelli scelti dall'autrice.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Dopo alcuni mesi di silenzio sono tornata. Ho lavorato a lungo su questo capitolo, visto che parla dei miei personaggi preferiti. Spero vi piaccia. x MartyTorsy e Joey: grazie, spero che vi piaccia anche questo chap; x Eneri_Mess: il racconto di Kreacher ha colpito molto anche me, questo capitolo mi è venuto piuttosto naturale. x BlackRoseImmortal: sono felice che ti sia piaciuto anche lo scorso capitolo. Per quanto riguarda l'suo del Sectumsempra, ci ho riflettuto parecchio. Alla fine comunque ho scelto la magia per due motivi: Regulus ha subito un lavaggio del cervello contro i Babbani e i loro metodi, e comunque, da ragazzino qual è, dubito che riesca a farsi molto male... comunque, a posteriori, credo sia preferibile la scelta del coltello.

Una difficile promessa

Io canto per riempire l’attesa:
annodarmi la cuffia,
richiudere la porta di casa
e non ho altro da fare,

finché risuoni vicino il suo passo,
e insieme camminiamo verso il giorno,
l’uno all’altro narrando di come cantammo
per scacciare la tenebra.
Emily Dickinson (c.1864)

Traduzione di Margherita Guidacci


Mio Dio,
(chi)
cosa diavolo aveva
(combattuto)
bevuto per ridursi così? Era sdraiata e aveva gli occhi chiusi, eppure la sua testa la stava facendo impazzire, doveva
(aver lottato)
essersi scolata quantomeno...
Tonks lanciò un urlo e si rizzò a sedere. La sua testolina, non contenta di dolere in modo insopportabile, prese anche a vorticare furiosamente. Fece leva sulle braccia e aprì prudentemente un occhio.
Era al S. Mungo. Girò prudentemente il capo verso destra, e il suo sguardo frastornato incrociò quello di Kingsley. «Ben svegliata» le sorrise l'Auror, incerto. Accanto a lui c'erano i suoi genitori, chiaramente sollevati.
«Il Ministero, i Mangiamorte... zia Bellatrix...» gemette Ninfadora. La ragazza ricambiò impotente lo sguardo mesto del collega «Cosa...?»
«Abbiamo vinto.» mormorò lui.
«A vederti non si direbb...»
La porta della stanza si spalancò con un frastuono non indifferente, e il suo protettore entrò a passo di guerra. Malocchio Moody, in tutta la sua affascinante bruttezza, la fissò ardentemente con l'occhio buono: quello magico vorticava come impazzito. «Ben svegliata. Si sentono le tue urla dal piano di sotto, Ninfadora» specificò, facendo arrossire la sua pupilla «Kingsley, gli hai detto di Sirius?» ringhiò subito dopo, senza darle il tempo di arrabbiarsi per la storia del nome. Il nome Ninfadora fa schifo, bla bla bla.
Il diretto interessato lasciò vagare lo sguardo, evitando accuratamente di guardare la giovane, il cui sguardo era evidentemente assetato di informazioni. «Kingsley, cosa...?»
Moody sbuffò: non doveva gradire molto quello che stava per fare, ma non cambiò atteggiamento «Tuo cugino è morto.» borbottò dopo un'eternità.
Il cuore di Tonks mancò un battito, le braccia si fecero molli e lei scivolò di nuovo in posizione sdaiata. Kingsley, furente, afferrò Moody per il mantello e lo trascinò fuori della stanza. Lei tenne gli occhi chiusi, cercando di svuotare la mente. «Parla di Sirius, vero?»
Non le rispose nessuno e lei riaprì appena gli occhi. Spiò sua madre attraverso le ciglia folte.
«Mamma?»
«Sì.»
Tonks richiuse di scattò gli occhi.

Morto.

Si rannicchiò sul fianco sinistro, per dare le spalle al mondo.

Morto, morto, morto.

Suo cugino, l'unico che riconoscesse come suo parente – eccezion fatta per i suoi genitori, ovviamente- era morto. Sirius era morto.

Era morto, era morto, era morto.

L'unico parente accettabile.

Morto, morto, morto.

Perché i suoi genitori non erano accettabili, andiamo, chi mai, sano di mente, avrebbe mai definito i propri genitori accettabili? Sua madre era troppo perfetta e suo padre troppo imperfetto. Da nausea. Sirius invece era quello che si scolava tanto Whiskey Incendiario da mettersi a cantare canzoni di Natale babbane ad un ippogrifo, quello che per un amico aveva imparato a trasformarsi in un cagnaccio pulcioso, quello che era tanto coraggioso, e tanto stupido, da accettare qualsiasi, qualsiasi sfida, che fosse stata lanciata da un elfo domestico un po' alticcio, dai suoi migliori amici, o da un Mangiamorte.
Sirius era quello forte, che ti ispirava qualsiasi azione avventata. Quello che non rideva di lei ma con lei, che quando era una mocciosetta di cinque anni si era trasformato in quel cagnaccio rognoso e l'aveva fatta salire in groppa, tra gli sbuffi divertiti di Ted Tonks e le lamentele sconsolate di Andromeda Black, quello grazie al quale era fiera di essere una Black, appunto.

Morto, morto, morto.
Morto.

Si costrinse a fissare le lenzuola che chissà quando, e come, si erano mosse a coprirle la testa, a fissare il colore strano che le tingeva, un misto del riverbero del sole sulla sua pelle e della luce stessa. Le fissò, le fissò, le fissò, fino a quando non riuscì a scivolare in un sonno agitato, vagamente conscia del furioso litigio tra Malocchio e Kingsley sulla mancanza di tatto del primo.


Dormì a lungo,e si svegliò stranamente serena. Si stiracchiò, chiedendosi pigramente perché diavolo era completamente coperta dalle lenzuola, e soprattutto perché quelle lenzuola non erano assolutamente familiari. Sospirò, e si scoprì la testa con un gesto impacciato dai residui di sonno. Girò su se stessa, rannicchiandosi sul fianco destro, e registrò vagamente la presenza di sua madre. Si accorse... beh, era stupita, come se avesse dovuto esserci qualcun altro al suo posto. Dei brandelli di sogno riaffiorarono senza preavviso. Un funerale, e lei che si aggrappava a Lupin -ommioddiommioddiommioddio- e ricordò la lapide.
Sirius Black: prigioniero del suo passato, c'era scritto-
Si tirò su a sedere come se la sua vita dipendesse da quel gesto, no, come se la vita di Sirius dipendesse dal quel gesto. E scoppiò a piangere. Sua madre si chinò verso di lei e prese a consolarla, come l'aveva consolata quando una mattina aveva trovato Dandelion, il suo gerbillo, sdraiato sulla schiena. Si sentì piccola e fragile e non le piacque, e poi c'era... quel tarlo... perché quando sua madre le passava una mano sulla fronte incandescente per la febbre davanti agli occhi le compariva il volto stanco, ma sorridente, di Lupin?

Riscomparve tra le lenzuola spiegazzate, e scivolò in un soffocante dormiveglia. Sentì vagamente suo padre che rientrava nella stanza e appoggiava qualcosa sul comodino.
«L'ha presa male» mormorò sua madre, sconsolata.
Fu l'ultima cosa che catturò la sua attenzione prima che il sonno – con i suoi incubi- la ghermisse di nuovo.

Era buio e caldo. Un caldo simile ad una sauna, umido e soffocante. Respirava male. Sentì una sensazione opprimente sul petto, simile a quella che avrebbe provato se avesse sofferto di claustrofobia. Si portò una mano al collo. Era appiccicoso e umido. In un modo diverso dal sudore. Non riusciva a vedere le sue mani, tanto era buio, così le avvicinò al viso. L’odore impastato e ferroso del sangue le colpì il naso come una frustata. Si tastò di nuovo il collo. C’era uno spacco orizzontale. Vi infilò la mano. Le dita affondarono fino a toccare la spina dorsale. Il taglio attraversava perfino la trachea.

Si tirò a sedere, gettando via le lenzuola. Il sogno le aveva messo un’agitazione tale addosso che saltò istitivamente giù dal letto. Voleva fuggire! Poi alzò la testa e... beh, c’era Lupin davanti a lei, con un’espressione imbarazzata, diversa da quell’educato sorriso che mostrava talvolta. Lei arrossì, memore del sogno, e tornò ad abbassare la testa, e lui si grattò la fronte, cercando intanto di guardare altrove. Ovunque, ma non davanti a sé. Tonks ricadde pesantemente sul materasso.
«Come stai?»
La giovane indossò il suo miglior sguardo inquisitore e lo puntò sull’uomo. Mosse appena il capo per scansare dagli occhi la frangia, un po’ troppo lunga. Non aveva voglia di cambiare taglio di capelli, in quel momento. Non aveva voglia di fare granché, compreso respirare. Inclinò la testa e si sporse in avanti, verso lui, e sorrise amaramente «E tu? Tu come stai?» non era proprio una vera risposta – non era nemmeno una risposta educata, e fortunatamente sua madre non c’era. Non era una vera risposta ma diceva tutto. Si sentivano nello stesso identico modo.
Sospirò e chiuse gli occhi. Doveva avere la febbre, o comunque stava piuttosto male. Si sentiva svenire, per l’esattezza. Lupin la scrutò, comprensivo. Tonks sentì qualcosa, dentro, un formicolio decisamente piacevole. Singhiozzò e tornò a stendersi sul letto. Si accartocciò sotto le lenzuola, cercando di sopprimere quel sorriso dolce che lottava per salirle alle labbra. Non era tempo per essere felici, quello.
Però ora il freddo si era un po’ placato, si sentiva meglio.

Sentì il rumore della sedia di metallo che grattava il pavimento. Lupin sarebbe rimasto accanto a lei, a proteggerla, ancora per un poco.

  
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