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Autore: Ardespuffy    27/11/2007    4 recensioni
Ti disarmo con un sorriso. E ti lascio come hanno lasciato me, ad appassire nel diniego. L'amarezza di chi è rimasto solo...
Perchè gli anni bruciano.
L'assassino che c'è in me è lo stesso che c'è in te.
Aphrodite e Deathmask. Dal primo all'ultimo atto.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cancer DeathMask, Pisces Aphrodite
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disarm you with a smile

Disarm you with a smile

And cut you like you want me to

Cut that little child

Inside of me and such a part of you…

 

(Ti disarmo con un sorriso

E ti ferisco come tu vuoi che faccia

Ferisco quel bambino

Dentro me e in una parte di te…)

 

 

 

 

Disarm

 

Se lo ricorda, il loro primo incontro.

Era appena sceso dal dragone alato, come chiamava il mini-jet con cui era partito da Stoccolma. Se ne stava lì, ai piedi della scaletta reclinabile, come una bella statuina accanto all’uomo che lo scortava.

Non ricorda più il suo viso.

Ciò che invece rammenta con chiarezza è l’impatto con l’opprimente calura greca, mista alla più asfissiante sensazione che l’essere umano sia capace di provare.

Angoscia.

La sentiva montare dentro, saldamente annidata alla bocca dello stomaco, espandersi verso l’alto in un doppio flusso di nausea e brividi freddi.

Voleva tornare a casa.

Buffo, dolorosamente buffo. Lui, che non si era mai sentito accetto nel grigiore svedese, avrebbe dato l’anima per non trovarsi bloccato in quel posto, quel mini aeroporto privato dai soffitti troppo alti e le vetrate ingiallite dai fumi di scarico.

Era tutto così squallido, rimuginò.

Lontana, la voce dell’uomo senza volto annunciava il loro arrivo a qualcuno che, in un primo momento, non aveva notato.

La sagoma estranea entrò nel suo campo visivo. Era un uomo alto e distinto, non più anziano di quello con cui aveva viaggiato.

Non riesce a rammentare neppure il suo, di viso.

Solo la voce gli è rimasta in testa, chiara e forte, con quell’accento marcato terribilmente poco elegante.

“Cavaliere dei Pesci… il Gran Sacerdote vi da il benvenuto ad Atene.”

Aphrodite si era limitato a sospirare.

Se quella era la Grecia, c’era poco per cui stare allegri.

 

 

 

Avevano attraversato la pista insieme. I due accompagnatori conversavano tra loro, pianificando il suo futuro e decidendo al suo posto.

Ci aveva fatto l’abitudine.

Sin dai primi anni dell’addestramento era stata la medesima storia.

Non ascoltava, naturalmente. Niente di ciò che i due vegliardi potessero dire avrebbe mai avuto anche solo la possibilità di destare il suo interesse. Invero, tutto ciò su cui posava lo sguardo non gli dava alcuno stimolo.

Brutto. Semplicemente, brutto.

Non c’era la scintilla della bellezza, in quella città. Non riusciva a sentirla nell’aria.

Rigirò la rosa che portava tra i capelli, in cerca del conforto che sempre gli recava. Aveva bisogno di sapere che l’apatico nulla di quel posto non aveva intaccato la sua fulgida bellezza.

Per la seconda volta, in quel giorno o in tutta la vita, desiderò casa sua.

Il suo roseto.

Una familiare fitta al cuore.

Le cose saranno diverse lì, Aphrodite. Ti farai dei buoni amici con cui condividere la sorte; lotterai nel nome di Atena ed ella sarà fiera di averti al suo servizio.

Nessuno oserà più farti del male.

Il Cavaliere sfiorò di nuovo la rosa, un sorriso appena percettibile ad increspargli le labbra dipinte.

Non ne dubito affatto, Maestro.

Ucciderò chiunque avrà l’ardire di provarci.

 

 

 

Il sole, florido e accecante nel cielo terso, serbò loro accoglienza trionfale. L’aria era, se possibile, persino più secca fuori le cupe mura dell’aeroporto.

La luce inondava le strade. Bagnava il bianco abbacinante delle case, pungeva sfrontata la superficie cristallina del mare.

Camminavano.

Parlavano.

Loro.

Lui rimase lì.

Immobilizzato al suolo.

Occhi cerulei fissi su di un unico dettaglio, un punto marginale del paesaggio.

Tra la vegetazione arida e brulla, sul pendio scosceso che la nobile Atene sovrastava, v’era un’unica gemma di prezioso infinito.

Una rosa selvatica.

Il dono di Atena per lui.

Aphrodite non colse il fiore. Ma un bagliore d’emozione era ormai irrimediabilmente acceso nei suoi occhi.

 

 

 

Incontrare gli altri Saints. Solo l’idea non lo entusiasmava per nulla.

Se li immaginava già: uno squadrone di energumeni fanatici e sboccati, trasudanti testosterone in modo orrendamente untuoso. 

Come ci si poteva anche solo aspettare che potesse avere qualcosa in comune con… quella gente?

Tanto più che, con un po’ di fortuna, sarebbe stato anche l’unico straniero. L’ordine di Atena era greco per tradizione; non lo avrebbero mai accettato come uno di loro.

Aphrodite strinse i denti.

Andassero pure al diavolo, tutti quanti. Figurarsi quanto gl’importava.

Per uno che è stato solo tutta la vita, la solitudine non esiste.

Attendevano fuori le grandi vetrate del terminal, ai piedi del colle della rosa. Dall’alto poteva scorgere la cloaca variopinta delle chiome che brillavano al sole.

Oh beh, considerò, almeno non sarebbe stato l’unico con dei capelli poco ortodossi.

Man mano che procedeva giù per il pendio, scortato dai sue ciarlieri anziani, guadagnava una visione più precisa. Era certo di venire scrutato a sua volta, ma a dir il vero la cosa non lo preoccupava.

Guardassero pure, i mocciosi.

Un’occhiata storta e sarebbero finiti come puntaspilli.

Si rigirò come d’abitudine la rosa tra i capelli, prima di sollevare il mento e scandagliare il gruppo.

Non gli occorse che un istante per realizzare la mancata unità dei nove eroi.

A colpirlo per primi furono due gemelli. Se ne stavano ritti ritti, uno accanto all’altro, come ad accogliere un dignitario in visita. Avevano una buffa espressione seria, che contrastava curiosamente con i visi paffuti.

Aphrodite non si sarebbe stupito nel constatare, poco tempo dopo, che i due erano in egual modo Cavalieri di Gemini.

Il momento successivo notò un ragazzino minuto, dai folti capelli color del grano e vividi occhi di giada. Si teneva accostato ai gemelli, e faceva loro da spalla in quella buffa ostentazione d’inopportuna solennità. Sebbene la mancanza di una lunga chioma oltremare riducesse la magnificenza dell’effetto.

Non molto distante stavano due figure longilinee. Lunghi capelli e occhi penetranti anche per loro, ma con un’accezione del tutto differente nello sguardo.

Il primo, pelle brunita da anni sotto il caldo sole ateniese, lo fissava con una curiosità che potè solo definire analitica.

Negli algidi occhi d’acqua del secondo albergava il più bieco disprezzo.

Aphrodite lo odiò dal primo istante.

Era solo l’inizio, con Camus d’Acquario; ma già sapeva, per quell’istinto da Cavaliere cui aveva sempre fatto affidamento, che il bastardo francese non gli avrebbe reso vita facile.

Più oltre stava la coppia più curiosa su cui avesse mai posato gli occhi. Il primo era un vero e proprio gigante, un energumeno assurdamente alto per la sua giovane età. Era umiliante, rifletté l’esile principe delle rose, essere costretto a reclinare il capo per guardarlo in faccia. Ma lo consolava sapere di non essere l’unico a subire un tale smacco.

Al fianco – o,per meglio dire, ai piedi – del gigante stava una diafana figura dagli incantevoli occhi d’ardesia. Questi era l’unico a fissarlo con aperta cordialità, un sorriso gentile sulle labbra sottili. Solo ad un esame più accurato il Cavaliere delle rose avrebbe notato i piccoli circoli distintivi che spiccavano sulla fronte lattea: il marchio dell’Ariete.

Fu improvvisamente distratto da un rumore soffocato. Puntò gli occhi sull’ultima coppia, causa dell’inatteso tumulto sonoro, e assisté alla prima scena realmente interessante dal suo arrivo in Grecia.

Un ragazzetto slanciato dagli ispidi capelli smeraldini stava pungolando a più riprese l’ultimo dei compagni.

“Ehi, mi senti?? Mi ascolti? Dieeeem, ci sei?”

“Non chiamarmi così.”

E allora come ti chiamo? Non mi vuoi dire il tuo vero nome!”

Fottiti.”

“Come?”

Fottiti. Levati dalla minchia, cornuto d’un caprone.

“In che cavolo di lingua stai parlando??

“Caprone ignorante.”

Ma che roba è? Oh no, aspetta, ci sono: è italiano, giusto? La tua lingua d’origine?”

’N to’ dico più, mi’: levati. Dalla. Minchia!”

“…”

“…”

“EH??”

ME CAPISTI, CORNUTU??”

“Cancer no Deathmask! Capricorn Shura! Vi sembra questo il contegno da portare di fronte al nuovo Cavaliere??

Era stato il vecchio dell’aeroporto ad interrompere il poliedrico battibecco. Aphrodite lo fulminò con lo sguardo.

Aveva appena distrutto l’unica cosa che fosse riuscita ad attirare il suo interesse.

I due Saints si posero istantaneamente sull’attenti.

“Le mie scuse, signore” fu il mormorio grave del ragazzo dai capelli verdi.

“Chiedo scusa, brutto minchione” fu il dissimile eco.

Momentaneamente soddisfatto, il vecchio benefattore introdusse il nuovo arrivato al resto del gruppo; ma Aphrodite non prestava attenzione.

Tutti i suoi sensi erano inequivocabilmente catalizzati dal Cavaliere del Cancro.

Alto, poco più di quanto fosse lui stesso, ma più massiccio. Pelle scura, sulla quale spiccavano due vitali occhi cobalto. Chioma folta e disordinata, sparata verso l’alto e lasciata cadere negligentemente sulla nuca. Labbra sottili arcuate in un sogghigno annoiato.

Fu proprio la sua espressione a colpire Aphrodite.

Quel totale disinteresse, la strafottenza che mostrava nei suoi stessi confronti, lo irritava, offendeva, e – gli dèi lo perdonassero – affascinava.

La rosa selvatica era stata un dono di Atena.

Ma cominciava a chiedersi se fosse stato l’unico.

 

 

 

“Benvenuto ad Atene! Io sono Kanon, Cavaliere di Gemini. E questo è mio fratello Saga.”

Aphrodite degnò i due di un cenno distratto, gli occhi inesorabilmente erranti verso un punto poco lontano.

Come aveva detto di chiamarsi?

Oh, già. Non l’aveva detto.

Ma quel pomposo vegliardo si era riferito a lui come a Deathmask, giusto?

Ponderò la cosa per un istante.

Deathmask. Dall’inglese, Maschera di Morte.

Possibile che fosse quello il suo vero nome?

Rammentò parte del siparietto bilingue col Capricorno. No, evidentemente non lo era.

Aphrodite ridusse gli occhi a due fessure.

Quel granchio sbruffone cercava uno sfidante?

Stirò le labbra in un sorriso felino.

Aveva trovato pane per i suoi denti.

 

 

 

Aveva fatto la conoscenza di tutti i Cavalieri. Aries e Taurus si erano rivelati i più affabili, ed era persino riuscito a intrattenersi per qualche minuto in conversazione con loro. Scorpio no Milo pareva aver terminato il suo interno esame, e a giudicare dalla cordialità vagamente melliflua con cui gli si era rivolto doveva aver tratto conclusioni soddisfacenti.

Al suo fianco, l’altezzoso Camus lo aveva apostrofato con un saluto stentato, al quale Aphrodite aveva risposto con freddezza persino superiore. Milo non aveva potuto fare a meno di ghignare, nel notare la cosa.

Sembrava proprio che il nuovo Cavaliere avrebbe portato un bel po’ di scompiglio da quelle parti.

Aiolia si era limitato a sorridergli con aria schiva, mentre Shura lo aveva avvicinato senza la minima esitazione.

Spaventandolo.

“Hola, tìo! Soy Shura de Capricuerno. Qué tàl?”

L’espressione vagamente attonita sull’efebico volto dell’interlocutore lo spinse a ripetersi.

“Scusami. La forza dell’abitudine. Non mi sono ancora del tutto abituato a questa lingua.

Aveva parlato con un accento che Aphrodite sapeva essere nettamente migliore del suo.

Una ragione in più per starsene zitto e lasciare che fosse ‘esagitato spagnolo a condurre la conversazione.

Shura prese a scrutarlo con un’insistenza che mise presto il Saint dei Pesci a disagio. L’impaccio si trasformò rapidamente in irritazione, e l’irritazione in rabbia.

Sbottò prima che avesse modo di pensarci: “Si può sapere che diavolo hai da guardare??”

L’altro Cavaliere parve riscuotersi da una qualche sorta di torpore, e batté due volte le palpebre, in fretta.

“Guardavo te. In verità…”

S’interruppe bruscamente.

“Beh, non so se faccio bene a dirtelo…”

I cristalli negli occhi dello svedese si ravvivarono di una lucentezza pericolosa.

“Parla.”

Vale. Bueno, mi stavo solo chiedendo… tu hai un aspetto molto… beh, femminile. Lo sai, no? Quello che voglio dire è…”

Aphrodite lo fissò senza realmente vederlo.

“Sì, sono un maschio. Era questo che volevi dire, no?”

La voce era fuoriuscita più tagliente di una lama, gli occhi tracciati dal rimmel intorbidati.

Sul volto di Shura apparve un’espressione a metà tra il sollievo e l’imbarazzo: “Yo… oh, beh… d’accordo. E’ solo che, sai, con quei… capelli, e quegli occhi… truccati, e, beh, quel neo…”

“Sì, sì. Levati di mezzo.”

Era una delle poche espressioni che aveva perfettamente imparato in lingua greca.

Shura ammutolì, cedendo servilmente il passo all’androgino Saint dei Pesci.

Restò ad osservare il compagno allontanarsi, un sospiro rassegnato gli sfuggì dalle labbra.

Mierda.

Perché era maledettamente circondato da ragazzi?

 

 

********

 

 

Eccolo lì, il suo obiettivo.

La sua preda, per meglio dire.

Aphrodite si avvicinò a passo lento ma sicuro, il mento fieramente eretto, lo sguardo fermo. L’idea di quel confronto lo intrigava da impazzire.

Lo eccitava, persino.

Sperava solo di non restare deluso.

Il Cavaliere del Cancro se ne stava in disparte nella grande sala addobbata a festa, un’espressione di supremo disinteresse dipinta in volto. Espressione che non mutò di una virgola quando il nuovo arrivato, la star del ricevimento, entrò nel suo campo visivo.

Aphrodite si concesse un solo istante per valutare la situazione, poi esordì con tutta calma:

“Salve. Non mi pare di esserci presentati.”

Deathmask di Cancer sostenne gli occhi del compagno senza che il minimo turbamento gli si disegnasse in viso.

“Dieci e lode per lo spirito d’osservazione, principessa!”

Principessa.

Ma tu guarda.

Aphrodite rifiutò categoricamente di perdere la calma: “Visto che sei l’unico dei presenti a non avermi ancora reso omaggio, ne deduco che tu sia il Saint di Cancer.”

La risata che lasciò la bocca di Deathmask risuonò roca e sguaiata: “Renderti omaggio??! Per amor del cielo, chi ti credi d’essere?? Qui vali esattamente quanto gli altri, e in più sei l’ultimo arrivato. Spetterebbe a te salutare me per primo.”

Aphrodite digrignò appena i denti. Maledetto granchio.

“Il tuo atteggiamento non è proprio quello che ci si aspetterebbe da un Cavaliere d’Oro. Comincio a dubitare che meriti la tua armatura” commentò sostenuto. Un sorrisino compiaciuto gli illuminò il volto all’espressione truce di Cancer.

Sembrava sul punto di perdere la calma.

“Il giorno in cui il mio Cloth mi abbandonerà sarai il primo a saperlo. Scommetto che ti piacerebbe vedermi in mutande” ingiunse con un luccichio lascivo negli occhi.

Aphrodite non si lasciò cogliere in fallo, nonostante l’intimo stupore: “Non più di quanto piacerebbe a te.

Le labbra di Deathmask di schiusero in un sogghigno perverso: “Sai che non hai tutti i torti? D’altronde con quel faccino che ti ritrovi…! Prima del tuo arrivo pensavo che Shaka fosse effeminato; ora posso proprio dire che i miei standard sono cambiati!”

Una risatina tenue rilasciò in risposta le labbra di Piscis: “Che buffo, è esattamente ciò che penso anch’io. Prima di parlarti mi ero convinto che fosse Shura l’idiota del gruppo. Evidentemente di avevo sottovalutato, Cancer.

Deathmask sorrise appena, poi socchiuse gli occhi.

Aphrodite era assolutamente certo che fosse il suo modo di scrutarlo.

L’italiano non parlò che dopo una pausa: “Sei proprio un bel tipo, principessa. Come hai detto che ti chiami?”

Nonostante gli incoraggiamenti del suo insegnante, nonostante tutti i buoni propositi, si sentì improvvisamente piccolo e vulnerabile: “Aphrodite.

Tacque, in attesa dell’inevitabile scoppio d’ilari banalità che il suo nome suscitava invariabilmente.

Deathmask inarcò le sopracciglia: “Wow. Cos’è, un’usanza svedese dare nomi compromettenti ai nascituri? Oppure è un nome d’arte? Non sarà che nel tempo libero fai la drag queen??

Meglio di quanto avesse temuto. Poteva gestirlo.

“Dimmelo tu, Deathmask”.

Seppe di aver colto nel segno quando Cancer si accigliò: “A quanto pare tu il mio nome lo sai. E’ evidente che quel caprone ficcanaso non ha ancora imparato la lezione.”

Aphrodite si esibì in un sorriso serafico: “Forse il tuo aspetto burbero non è sufficiente a trasformare gli altri in servili cagnolini.

Il siciliano lo squadrò spudoratamente, da capo a piedi: “Ammettilo, principessa. Ti piacerebbe eccome essere il mio cagnolino!”

Ormai era una sfida. Una letale partita di ping-pong verbale.

“Solo se tu fossi all’altezza di fare il padrone.

Quasi non si accorse che l’altro Saint si era avvicinato, a passi lenti e misurati, senza mai distogliere lo sguardo.

“Credimi, Aphrodite. Non troveresti al mondo padrone migliore. Io sono nato per dominare.”

Le ultime parole erano state pronunciate con una sensualità così sfacciata che il principe delle rose fu scosso da un brivido.

Caldo, lungo la schiena.

Terribilmente piacevole.

“Questo perché non hai ancora incontrato qualcuno in grado di metterti sotto” ribattè a tono.

Un altro passo in avanti: “Spiacente di deluderti, ma non sono il tipo che sta sotto. In nessun caso.”

I loro sguardi si scontrarono con furia, nell’impatto più intenso che Aphrodite ricordasse di aver mai avuto.

Allusione.

Aveva imparato a conoscerla, nel corso di quella grottesca commedia tragica che era stata la sua infanzia. Non sapeva esattamente da quando avesse preso a riferirsi a quegli anni come ad un tempo passato; ciò di cui non dubitava, d’altro canto, era che un Cavaliere cresce in fretta.

La malizia era stata parte della sua vita sin da quando aveva memoria, scudo di velluto contro i colpi dello scherno, fino a diventare una componente integrante di se stesso.

Solo che non aveva mai trovato qualcuno degno di sfidarlo su quel piano – né su molti altri, a dir il vero.

Deathmask di Cancer ci andava giù pesante.

E questo gli piaceva da impazzire.

Scrutò in quegli occhi di petrolio, assurdamente vicini ai suoi. Un unico desiderio prese possesso del suo essere, una brama di conoscenza inusitata.

Curiosità morbosa e scalpitante, come un grido ad una voce che sgorga dal centro del petto.

La domanda scivolò liquida dal fiore dipinto della sua bocca:

“Qual è il tuo vero nome?”

Potè distinguere lo scintillio della sorpresa nello sguardo cupo del suo interlocutore.

Solo per un attimo, però.

Il Cavaliere recuperò brillantemente la tipica verve e sogghignò: “Non te la prendere, principessa, ma certi argomenti restano off limits!”

Nella vita, Aphrodite aveva imparato, c’è un momento per tutto, e ognun deve adattarsi meglio che può. Quello era il momento di sfruttare la più innata delle sue doti.

La malia.

“Anche per me?” chiese con eccessiva dolcezza, sbattendo le lunghe ciglia dipinte.

Era una mossa semplice, eppure estremamente subdola.

Nessuno resisteva agli occhi di Aphrodite.

Mai.

Deathmask non smise quel sorriso fastidiosamente accattivante: “In che modo ti ho dato l’impressione che tu fossi diverso dagli altri?”

Oh, quello era un vero oltraggio! Urgeva passare al secondo livello della tecnica.

Il broncio.

Ma io lo sono!”

La cosa parve divertire Cancer. Immensamente: “Su questo non v’è dubbio!”. Il suo sguardo si fece più penetrante: “Non avevo mai neppure visto uno come te, prima d’ora.”

Di nuovo quel brivido.

Viscido cobra di seta rovente.

Aphrodite non sapeva come prendere il commento.

Ma sapeva esattamente come replicare.

Inconsciamente si leccò le labbra: “Una confessione speciale ad una persona speciale, Deathmask.

Aveva parlato con la sua voce più allettante.

E stavolta ottenne una reazione.

Gli occhi dell’altro s’incupirono, ammantati di quel velo d’ombra che donava loro un’intensità superiore a quella della più splendida rosa.

C’era qualcosa, in quegli occhi.

Erano più spenti, ed erano più scuri.

Ma così simili ai suoi.

Aphrodite frenò bruscamente quei pensieri, prima di cadere nella banalità.

Rose.

Pensa alle rose.

Languidamente fece scorrere tra le dita una ciocca di capelli turchini: “Maschera di morte non è neppure un nome elegante” osservò con noncuranza. “Non ti sta nemmeno bene.”

Cancer lo fissò inarcando lievemente le sopracciglia: “Questo vuol dire che mi ritienielegante?!

C’era un’ilarità, in quelle parole, che Aphrodite ardeva dalla voglia di smontare.

“In un certo qual modo.”

La curiosità si allargò a macchia d’olio sul volto brunito: “E in quale modo, di grazia?”

Quella non era una domanda pertinente.

Aphrodite non rispose.

Tutto ciò che fece fu sfilarsi dolcemente la rosa rossa dai capelli.

“William Shakespeare” esordì distrattamente, gli occhi fissi ai petali cangianti. “…disse che una rosa avrebbe avuto lo stesso profumo… anche con un altro nome.

Solo allora sollevò la testa, per niente sorpreso di constatare il rapimento sul viso del compagno.

Ma se non mi è dato di conoscere il tuo profumo, devo almeno donarti un nome, o non potrei pensarti. Svaniresti come mille anime fanno ogni minuto, nell’oblio della memoria temporanea.

Aphrodite si era avvicinato, sicuro, quasi colmando le ultime distanze.

“E’ questo che vuoi, Cavaliere d’oro?  Vuoi finire in polvere prima del tuo tempo?”

Vi era stato il silenzio.

Poi Deathmask si era chinato, annullando del tutto lo spazio tra di loro.

Il suo viso abbronzato, dalla pelle ancora liscia d’infanzia, sfiorò la guancia nivea di Aphrodite, travolgendolo. Nel turbine di un’essenza calda e amara, troppo acre per la delicatezza del gesto.

Parlò in un soffio, le labbra che danzavano all’altezza del lobo bianco:

“Tu il mio profumo puoi sentirlo quando vuoi.”

E poi si era ritratto, e nello stesso istante una voce estranea era piombata a sciogliere l’ipnosi.

Aphrodite si svegliò.

E nel medesimo frangente seppe di essere perduto.

Definitivamente.

Tutte le rose che Atena poteva donargli non avrebbero restituito alla vita il suo colore.

Condannato ad uno spettro di grigio perpetuo.

Era solo l’inizio, e aveva già visto la fine.

In quegli occhi e in quel profumo.

La voce tornò a farsi sentire, così dolorosamente, stupidamente materiale in quel momento di visione.

Il sorriso di Deathmask sbocciò come una corolla cremisi sulla lama di un pugnale: “I sudditi reclamano la tua presenza, principessa. Farai meglio ad andare.”

Aphrodite andò.

Senza voltarsi.

concedersi il lusso di pensare.

Il battito ritmico nel petto, solo un po’ più accelerato.

Si sarebbe calmato in pochi istanti.

O forse avrebbe corso ancor più forte. Fino ad esplodere in un vortice di pece e argento, e carminio ed ametista, e quell’essenza, e quel profumo.

E le sue rose, maledettamente presenti fino all’ultimo baleno.

Era tornato allo stupido ricevimento con un sorriso tenue sulle labbra.

Già contornato dall’orma invisibile di due lacrime di sangue.   

 

 

 

 

Oh oh, the years burn…

 

(Gli anni bruciano…)







Ed eccomi con l'ennesima prova. Sono un'inarrestabile macchina delle fanfics! >.< Stavolta mi dedico interamente a due personaggi ingiustamernte sottovalutati. Perchè ho scorto un immenso potenziale in loro, ed è mio intento almeno provare ad omaggiarli.

Attraverso le memorie di una vita al capolinea.
  
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