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Autore: CowgirlSara    06/09/2004    1 recensioni
Un rigido e tagliente critico cinematografico, una recensione a dir poco cattiva, un attore incavolato, una donna algida ed elegante, dubbi, parole, scherzi del destino.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ Capitolo 7 ~

~ Capitolo 7 ~

 

Le due ragazze stavano facendo la spesa nel loro abituale supermercato e, mentre Franny si tratteneva al bancone della verdura biologica, Josie camminava distrattamente tra gli scaffali, sgranocchiando le patatine che aveva nel carrello; quest'ultima, poco dopo, si fermò davanti allo stand di giornali e riviste, ne prese una e si mise a sfogliarla.

Fran la raggiunse qualche minuto dopo, aveva finito di fare la spesa e voleva andare alla cassa; vide l'amica osservare la rivista con sguardo vago e perso, così si avvicinò incuriosita.

"Cosa succede?" Le domandò; Josie sussultò lievemente, poi si girò verso di lei.

"Niente..." Rispose stringendosi distrattamente nelle spalle.

"Joss..." Replicò scoraggiata l'amica. "...hai la faccia come il culo di un gatto, perciò parla." L'altra ragazza sospirò, poi le porse la rivista, guardando però verso il soffitto.

Franny la sfogliò, assumendo via via una faccia più consapevole; sulle pagine che stava guardando c'era un lungo servizio fotografico di Orlando e Kate, l'inquadrava per strada, che si tenevano per mano, si scambiavano smancerie e, infine, si abbracciavano appassionatamente. La ragazza si morse il labbro inferiore, restituendo il rotocalco all'amica.

"Capisco..." Commentò amara. "I piccioncini tubano, e le palle girano..." Aggiunse osservando preoccupata l'altra ragazza.

"Proprio una bella coppiettina, eh?" Fece Josie, con un mezzo sorriso acido.

"Scusa, Joss..." Riprese Franny. "...ma l'ultima volta che n’abbiamo parlato, non mi avevi detto che era tutto risolto?" Le chiese insospettita; lei sbuffò.

"Ho imparato che, purtroppo, con Orlando non si risolve mai nulla definitivamente." Rispose, rimettendo a posto la rivista e allontanandosi col carrello, seguita dall'amica.

"Temo che mi manchi qualche scena... per vedere il quadro completo." Affermò Fran, mentre si avvicinavano alle casse; Joss si fermò e guardò negl'occhi l'altra ragazza.

"Da circa un mese, io e lui ci vediamo ogni mercoledì, a casa mia." Confessò secca, e si voltò di nuovo; dopo trenta secondi si rifermò e si girò di nuovo. "Alle quattro." Riprese a camminare; Fran la osservava sbalordita.

All'altezza dei pelati, Josie si fermò ancora una volta e sospirò arresa; Franny le fu subito accanto, incuriosita e preoccupata. La ragazza prese una bottiglia di passata, la mise nel carrello e guardò l'amica.

"E' diventata una roba tipo appuntamento dall'analista..." Mormorò sconsolata; Fran l'osservò aggrottando le sopracciglia.

"Però..." Disse poi. "...non credo che passiate questi pomeriggi a sviscerare le teorie del dottor Freud, o mi sbaglio?"

"No." Ribatté atona Josie. "Decisamente, facciamo sesso." Aggiunse decisa.

"E questa situazione ti dispiace molto?" Domandò Franny, seria, osservando ogni reazione dell'amica; lei sospirò ancora, prima di rispondere.

"Beh, non mi dispiacerebbe, se lui non avesse ufficialmente un'altra, e io non fossi diventata il sesso dopopranzo del mercoledì pomeriggio!" Sbottò Josie.

Dieci minuti dopo erano in macchina; guidava Fran, mentre l'altra osservava davanti a se senza espressione. Quelle foto non le erano decisamente andate giù.

"Dai, non sembravano poi così felici, in quel servizio!" Esclamò allegramente Franny, cercando di tirarla su. "Se ci pensi bene, ad un certo punto sembrava quasi che lui stesse cercando di soffocarla!" Aggiunse ridendo; anche Josie fece un breve sorriso.

"Il fatto è che..." Esordì l'amica incrociando le braccia. "...questa situazione è troppo comoda, per lui." Affermò con rabbia. "Non affronterà mai Kate, finché dall'altra parte ci sono io che, nonostante tutto, non so dirgli di no!"

"Ti sei innamorata, Joss." Dichiarò sconsolata Fran.

"Lo so." Replicò lei.

"E ti sei infilata in un ginepraio." Aggiunse preoccupata l'altra.

"Grazie al cavolo! Lo so, perfettamente!"

"Senti..." Fece l'amica, dopo qualche attimo di silenzio. "...ma tu gli hai mai chiesto di mettere le cose in chiaro con Kate?" Le chiese; Josie storse la bocca.

"No." Rispose infine. "Ma come faccio? Non è così semplice." Aggiunse scoraggiata. "Io mi sento tremendamente in colpa, verso di lei..." Mormorò poi, chinando il capo. "E poi... ha anche dei problemi di salute che..."

"In che senso?" L'interruppe Franny; Josie la guardò.

"Ha un qualche disturbo alimentare, e non vuole rivolgersi ad uno specialista." Spiegò. "Così lui ha paura che, se la lascia adesso, combina qualcosa." Allargò le mani, storcendo il naso.

"Allora, ne avete parlato?" Fece Fran, mentre cambiava per svoltare a destra.

"Certo." Annuì Josie. "Per quello che può servire."

"Ad ogni modo, sarebbe un passo avanti se tu sapessi cosa prova lui per te." Affermò l'amica.

"Mh..." L'altra fece una smorfia. "Orlando è l'essere più indecifrabile del pianeta, al limite del maniaco depressivo." Dichiarò poi. "Passa da momenti di euforica deficienza, a fasi di serietà contemplativa, nel complesso è un tipo piuttosto fragile, ha bisogno di continue conferme, e di certezze." Spiegò. "Non gli ho mai chiesto se mi ama, ma, del resto, dubito che ne sia consapevole."

"E fagliela venire, la consapevolezza!" Esclamò drastica Fran; Josie la guardò sorpresa.

"Spiegami un po' cosa intendi." Le disse poi.

"Mia cara, io sono sempre per la vecchia norma secondo la quale in amore vince chi fugge." Dichiarò sicura, gesticolando con una mano e guidando con l'altra. "Perciò, siccome questa faccenda ti pesa, sparisci per un po'." Le consigliò, strizzandole l'occhio.

"Ma Fran, io non posso andarmene così!" Protestò la passeggera. "Ho il mio lavoro, le mie piante, e... e..."

"Smettila Joss, sei sempre la solita!" Replicò l'amica, fermandosi alla prima area lungo la strada, poi si girò verso di lei. "Alle piante ci penso io ed hai un sacco di ferie non godute, perciò fottiti di tutto e parti, vai alle Hawaii, in Polinesia, dove ti pare e falla finita!"

"Non posso andare così lontano!" Continuò Josie. "Fra tre settimane ho un importantissimo convegno a San Francisco, e devo andarci assolutamente!"

"Niente scuse! Vuoi che lui si renda conto di amarti, o no?" Ribatté decisa Fran; Josie titubava. "E poi, che problema c'è? Puoi andare più vicino." Aggiunse allargando le mani. "Cosa c'è di meglio della baia di Acapulco, con la sua lussureggiante vegetazione ed il suo mare cristallino?" Proclamò con tono pubblicitario; l'altra ragazza dava l'impressione di riflettere, finché non alzò gli occhi in quelli dell'amica.

"Acapulco?" Franny annuì. "Potrei anche farci un pensierino... ma dici che funzionerà?" Chiese dubbiosa; l'arredatrice si girò e la prese per le spalle.

"Tranquilla!" Esclamò entusiasta. "Metodo garantito!" Josie alzò uno scettico sopracciglio, ed entrambe scoppiarono a ridere.

 

Orlando partecipava ad una cena in un esclusivo club sulla spiaggia di Santa Monica; gli ospiti erano stati fatti accomodare su comodi day-bed, mentre i camerieri servivano indaffarati le vivande. La moda dei letti da spiaggia era nata in Florida, e si era rapidamente diffusa in tutte le spiagge più esclusive del pianeta; in questa occasione di trattava di strutture dalla forma di grandi letti a due piazze, sormontate da una struttura di legno scuro, con tende fini decorate in stile orientale. Gli invitati stavano semi distesi sui materassi candidi, adagiati contro cuscini di seta, divisi in gruppetti, cinque o sei per letto, godendosi la cena; la spiaggia era illuminata da torce e, da alcuni bruciatori appositi, emanavano fragranze rilassanti e avvolgenti. Ma, ad Orlando, non importava nulla di tutto questo.

Era disteso sul bordo del suo letto, mentre alle sue spalle Kate, Scott e Deb, ed altri, chiacchieravano animatamente; lui si era acceso una sigaretta ed osservava il nero del mare e del cielo confondersi all’orizzonte, si distinguevano solo perché sulle onde appena increspate si rifletteva una pallida luna.

Il giorno prima aveva visto Josie, ma non avevano fatto l’amore; fin da subito era stato chiaro che nessuno dei due ne aveva voglia. In camera c’erano arrivati, qualche bacio e niente di più, c’era un’atmosfera strana quel giorno. Erano finiti sul letto, abbracciati; il silenzio iniziale era durato una buona mezz’ora, finché, chissà per quale motivo, Orlando le aveva chiesto di suo padre. Forse era stata una foto che quel giorno, per la prima volta, il ragazzo aveva notato sul comodino, o forse solo perché la vedeva malinconica, ma lo aveva fatto. E allora Josie aveva parlato, raccontandogli del suo rapporto col genitore, di quanto il suo modo di vivere, la sua personalità, il suo carisma, l'avessero influenzata, di come la sua vita fosse il risultato della forte presenza di quel padre filosofo e anticonformista, giramondo, che parlava l'arabo e il giapponese, e che l'amava sopra ogni cosa. Orlando l'aveva ascoltata in silenzio, commuovendosi del suo dolore per la perdita; infine, dopo un'altra pausa di silenzio, fu lui a parlare. Anche il ragazzo parlò del padre, o meglio, della mancanza di un padre, della situazione confusa della sua infanzia e del fatto che, dopo anni di autoanalisi, aveva raggiunto la consapevolezza che da quello dipendevano molte delle sue insicurezze.

Orlando gettò il mozzicone consumato nella sabbia, poi lanciò un'occhiata distratta alle persone dietro di lui; in quel momento Kate si avvicinò a lui con un piatto.

"Prendi un altro bocconcino di sushi, amore." Gli disse, porgendogli la portata; il ragazzo si mise seduto e la guardò male.

"Ti ci vuole forse un corso apposito, per capire che il pesce crudo mi fa schifo?" Le chiese con arroganza; lei spalancò gli occhi e la bocca.

"Ma... lo hai sempre mangiato..." Mormorò stupita, fissandolo.

"Non significa che mi piaccia!" Sbottò Orlando, poi scese dal letto, incamminandosi sulla spiaggia; presto scomparve oltre la luce delle torce.

Scott e Deb si scambiarono un'occhiata preoccupata. "Ma che gli succede ultimamente?" Domandò la ragazza al marito.

"Deb, non lo so..." Rispose sconsolato lui, osservando la fiammella di un accendino nel buio. "...ma spero che gli passi..."

Orlando, nel frattempo, camminava nervosamente sulla sabbia, dopo aver sputato la sigaretta che si era appena acceso; in quel momento gli dava fastidio tutto. La mente, inevitabilmente, gli ritornò al giorno prima; non si era mai aperto così con nessuno, ma gli era venuto naturale con Josie. Sarà stato per il suo calore, per la sua tenera comprensione, ma ad Orlando sembrava sano e giusto, mettere il proprio cuore nelle mani di quella donna, lo sentiva sicuro e protetto. Quando Josie non c'era, gli mancava in maniera insopportabile; gli mancavano le sue braccia che lo facevano sentire sicuro, il modo in cui gli carezzava il viso e i capelli, questi gesti lo facevano tornare all'infanzia, quando la vita era facile... Ormai, nella sua mente, Josie era associata ad un'immagine di sicurezza, di dolce stabilità, di cui lui sentiva un enorme bisogno in quel momento della sua vita.

In quel momento il suo cellulare gli comunicò l'arrivo di un messaggio; un po' scocciato, Orlando tirò fuori dalla tasca l'apparecchio. I suoi occhi, però, s'illuminarono, quando vide il mittente: Joe, pseudonimo sotto il quale aveva nascosto il numero di Josephine. Guardò subito il contenuto, ma presto s'incupì; il messaggio diceva: Sto partendo, non cercarmi per un po'. Joss.

Orlando sentì un'ondata di pura disperazione attraversargli il corpo, gli tremavano le gambe e si ritrovò con gli occhi lucidi; non riusciva a crederci, era impossibile! Rilesse incredulo il messaggio, incapace di reagire, era come se gli avessero tolto all'improvviso il pilone di sostegno. Riuscì, bene o male, a riprendersi leggermente e ricompose il numero; l'implacabile voce registrata gli comunicò che il telefono chiamato era spento.

"Cazzo!" Imprecò ad alta voce. "Non puoi farmi questo, Josie..." Aggiunse scoraggiato; rimise in tasca il telefono e si diresse velocemente verso la festa.

Arrivato al letto dov'erano i suoi amici gli comunicò che se n'andava a casa, poi, senza badare alle proteste di Kate, s'incamminò verso il parcheggio; era sicurissimo che la sua ragazza non gliel'avrebbe fatta passare liscia, ma in quel momento non gliene poteva fregare di meno. Continuò a chiamare il numero di Josie, ma il cellulare risultava sempre spento, finché, verso l'una di notte, diventò irraggiungibile, e lo restò per i due giorni successivi.

 

Fran, come ogni sera, stava facendo il suo dovere prendendosi cura delle piante di Josie; la serra aveva un suo sistema automatico d'irrigazione, ma in casa c'erano molte altre piante. Il sole, ormai, era tramontato, e la collina era illuminata da una luce aranciata sempre più pallida.

Per la seconda volta, Fran ebbe l'impressione che qualcuno si aggirasse nel giardino; mentre dava un po' d'acqua anche alla grande palma al centro del salone, vide chiaramente un'ombra davanti alla casa. Preoccupata, ma decisa, la ragazza si avvicinò al portone e afferrò un vaso d'ottone che stava sul tavolino del telefono; l'oggetto aveva il collo stretto, ma era bombato sul fondo, ideale per spaccare la testa ad un malintenzionato. Spalancò la porta brandendo il vaso.

"Ahhhhhhhhh!" Gridò Fran, facendo per colpire; il tipo fece un passo indietro, scoprendosi il capo, e alzò minaccioso una mano.

"Colpiscimi e ti manderò contro una schiera di avvocati da far impallidire Perry Mason!" Sbottò lui; fu allora che la ragazza lo guardò meglio: quegli occhioni nocciola, tra le folte ciglia scure, erano inconfondibili.

"Umpf, sei tu!" Sbuffò Fran, chinando il capo, ma tornò subito a guardarlo. "Comunque è colpa tua, passero, non ci si aggira incappucciati tra le ombre del crepuscolo!" Gli rimproverò, indicandolo.

"Cercavo Josie." Mormorò Orlando, ancora fermo sulla porta.

"Non c'è." Rispose la donna. "E' andata in vacanza." Aggiunse continuando a tenere la mano sulla pesante maniglia.

"E... dove?" Chiese timidamente l'attore.

"Non lo so." Fece vaga Fran, agitando una mano nell'aria. "Ma, anche se lo sapessi, forse non te lo direi." Lui la guardò strano, poco convinto.

"Posso entrare?" Domandò Orlando aggrottando la fronte; lei diede l'impressione di pensarci un attimo, poi si scostò dalla porta.

"Accomodati." Gli disse. "Tanto so che conosci il posto..." Alluse acidamente; il ragazzo la seguì dentro, chiudendosi il portoncino alle spalle.

"Tu, veramente non hai idea di dove sia?" Franny stava recuperando l'annaffiatoio, e lui la seguiva con l'aria depressa di un'anima in pena. "Perché io..." La seguì fin nello stanzino, dove era andata a riporre l'attrezzo. "...avrei davvero bisogno di parlarle..."

"Ascoltami, gioia." Replicò la ragazza, voltandosi verso di lui. "Joss doveva prendersi questa vacanza, una pausa da tutto, e specialmente da te."

"Tu... tu non capisci... io... noi due..." Tentò di protestare Orlando; lei gli posò una mano sul petto con sguardo retorico.

"Io capisco tutto perché SO tutto." L'interruppe. "Ad ogni modo, tu dovresti parlare di «noi tre», visti i risvolti di questa storia." Aggiunse, muovendogli davanti alla faccia tre dita della mano; l'attore, arreso, alzò gli occhi al cielo.

"Io, veramente, non so che cosa fare..." Ammise sconsolato, mentre raggiungeva Fran che era andata in salotto; lei si girò.

"E te lo devo dire io?" Ribatté indicandosi. "Sei il solo responsabile delle tue azioni." Continuò sedendosi sul divano; Orlando si spostò davanti a lei. "Guarda, io da una parte la capisco Josie..." E lo osservò attentamente. "...dal vivo sei perfino più sdraiabile che in fotografia, ed hai proprio un gran..." Lo sguardo, che si era abbassato per un secondo, si rialzò negl'occhi dell'attore. "...una gran presenza, ma lei è una ragazza seria e pretende impegno." Orlando era serio e con la mascella tirata. "Se non glielo puoi dare, allora rassegnati a perderla."

Vinto, nella battaglia con i suoi mille pensieri, il ragazzo cadde seduto sullo stesso divano di pelle che molte volte aveva visto scambi di tenerezze tra lui e Josie; si sentiva stanco e incapace, come prima di conoscerla. Perché tutto sembrava giusto e fluido quando c'era Josie e, invece, quando mancava, gli sembrava di sopravvivere annaspando in una palude? Un cosa era certa, lui di Josie aveva bisogno, in un modo o nell'altro.

Alzò gli occhi su Franny, erano lievemente lucidi e lei si sentì un po' imbarazzata, così si passò le dita sulla nuca.

"Come ti chiami?" Le chiese.

"Frances Olson." Rispose, dopo un breve attimo di smarrimento.

"Ascolta Frances..."

"Franny, ti prego!" L'interruppe lei. "Solo mia madre mi chiama Frances."

"Ok." Acconsentì lui annuendo. "Franny, io sono sicuro che tu sei molto amica di Josie..." La ragazza intervenne di nuovo, stoppandolo con la mano alzata.

"La sua migliore amica, praticamente una madre putativa." Ci tenne a precisare, e Orlando annuì nuovamente.

"Dunque, Franny, io ammetto tutte le mie colpe." Esordì il ragazzo, dopo aver posto i gomiti sulle ginocchia. "Ho rimandato cose che dovevo affrontare, e non ho fatto capire a Josie quanto sia importante per me, quanto io abbia bisogno di lei, perciò ho necessità di un'altra occasione." Continuò accorato, mentre gli occhi gli si facevano sempre più lucidi. "Tu devi aiutarmi." E le prese le mani. "Dammi questa possibilità, devo incontrarla, parlarle." Il tono era appassionato e Fran si stava commuovendo.

"Tu sei..." E alzò su di lui una faccina speranzosa. "...innamorato?" Orlando sospirò, chinando il capo, poi la guardò.

"Sì."

"E mi prometti che, questa volta, glielo farai capire chiaramente, e senza ombra di dubbio, che sei innamorato?" Continuò decisa.

"Te lo giuro." Proclamò il ragazzo, che fremeva in attesa che lei si decidesse a parlare.

"Oh, vabbene!" Si arrese infine Fran, con un sospiro. "E' ad Acapulco, Bay Queen Hotel, fatti perdonare!" Orlando saltò in piedi sorridendo come un cretino.

"Tu sei veramente un'amica, Franny!" Esclamò contento, abbracciandola e baciandole una guancia; lei sorrideva compiaciuta. "Grazie, grazie..." Continuava a dire lui, quando si decise a raggiungere la porta. "Grazie e... mi piacciono i tuoi capelli!" Dichiarò infine, indicando la chioma color fiamma sfoggiata dalla ragazza; lei si toccò soddisfatta l'acconciatura.

"Sei il mio attore preferito, Orlando!" Replicò allegramente; lui le regalò un ultimo splendente sorriso ed uscì. Franny tenne quel colore per un periodo più lungo del solito.

 

Orlando, una volta arrivato all'albergo, aveva scelto l'impiegato più anziano della reception per chiedere informazioni; l'uomo, ovviamente, non lo riconobbe, ma fino all'ultimo l'attore era rimasto in tensione. Ad ogni modo, era riuscito a sapere che Josie era in spiaggia; sollevato dal fatto di non doverla aspettare nell'affollata hall, s'incamminò verso il mare.

Una scala stretta di pietra scendeva incassata nella scogliera scura coperta di piante lussureggianti e fiori; in fondo, dove lo stretto passaggio si allargava, s'intravedeva uno spicchio di mare cristallino ed una piccola spiaggia bianca. Ogni tanto, sulle curve della tortuosa scalinata, c'erano delle nicchie, da cui spesso si godeva di una vista splendida. I fiori d'ibisco sfioravano il capo dei passanti, mentre il sottofondo della risacca accompagnava i passi. Josie si era rifugiata proprio in una specie di paradiso.

Il ragazzo era arrivato circa a metà della discesa, quando si accorse di qualcuno che saliva; s'infilò nella prima nicchia a disposizione, la cui entrata era coperta dai rami di un grosso albero. Gli passò davanti un gruppetto di allegri turisti, corredati di pargole adolescenti, alle quali Orlando ringraziò di essere sfuggito; ma non era finita, qualcun altro saliva, lui rimase fermo.

Era una ragazza bruna, con un costume intero rosso e un pareo bianco e rosa; aveva i capelli ancora bagnati da un recente bagno e portava una borsa di paglia. Era Josie. Il cuore di Orlando di fermò per un secondo, mentre la guardava salire lentamente le scale; era elegante, abbronzata e bellissima, ma sembrava vagamente triste, anche se i suoi occhi erano nascosti da grandi occhiali da sole. Ecco, gli stava passando davanti e lui, a causa dell'emozione, stava per farsela sfuggire; infine, con un filo di voce, mormorò: "Josie..."

La ragazza si girò di scatto, Orlando non credeva che lo avesse sentito; quando lei vide, nel rientro del sentiero, quel tipo stropicciato con cappellino e occhiali scuri, le partì uno sciame di farfalle nello stomaco. Se lo aspettava, come negarlo, ma adesso era arrivato davvero. Gli andò incontro senza sapere che dire; tornarono dentro la nicchia.

Il piccolo spiazzo era circondato dalla vegetazione, ma su un lato si apriva una specie di finestra; il panorama includeva un pezzo di cielo dall'impressionante colore turchese ed un frastagliato costone roccioso, che si tuffava nella cristallina trasparenza del Mar dei Caraibi.

Josie e Orlando si guardavano negl'occhi senza dire una parola; entrambi si erano tolti gli occhiali. Pozze di sole attraversavano i rami e le foglie, colpendo i loro piedi. I loro cuori battevano forte, rimbalzando nel petto; erano tutti e due piuttosto emozionati.

"Sono qui." Affermò infine il ragazzo.

"Lo vedo." Ribatté lei, continuando a fissarlo. "Perché sei venuto?" Quella domanda non aveva nulla di arrogante, lei voleva solo sapere.

Orlando era molto teso, si torceva le mani, poi passava a torturarsi la nuca, ma sapeva che era il momento di parlare; si giocava tutto, e questa partita non la voleva perdere.

"Dovevo chiederti perdono." Rispose finalmente. "Perdono per non aver affrontato Kate, per non averle detto che è finita..." Riprese fiato. "...per non averti fatto capire che... io... non posso vivere senza di te, passare le giornate a pensare come fare per vederti!" Orlando era accorato, gli occhi lucidi; Josie stringeva le labbra, era presa da un'emozione talmente forte che non sarebbe riuscita a dire nulla in quel momento. "E volevo dirti..." Lui chinò il capo, poi tornò a fissarla. "...che ora sono pronto, non rimanderò più, io non voglio perderti... e io..." Un lacrima gli scese sulla guancia, Josie sussultò coprendosi la bocca con la punta delle dita; anche lei aveva gli occhi lucidi. "Io ti amo... non mandarmi via..."

Scese un silenzio irreale intorno a loro, attraversato solo dalle onde che s'infrangevano leggere contro la scogliera e dal verso lontano dei gabbiani. La ragazza, infine, si avvicinò a lui, sorridendo tra le lacrime; gli prese il viso tra le mani, carezzandolo dolcemente, poi gli passò le braccia intorno al collo e lo abbracciò.

"Ma come faccio a mandarti via, se me lo dici così, eh brutto scemo?" Gli sussurrò nell'orecchio sorridendo. "Anch'io ti amo, e non ho intenzione di lasciarti andare..." Orlando la strinse a se con forza, nascondendo il viso contro il suo collo.

 

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