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Autore: Justanotherpsycho    09/05/2013    2 recensioni
Può l'orgoglio di un Dio e la sua sete di gloria e potere aizzarlo contro suo Padre? Verrà l'Olimpo scosso dall'ultima e più grande delle Tre Guerre Divine, quella mai narrata?
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 29 - l'Isola degli Omicidi Ripetuto lo stratagemma anche per l'altra catena, il gigante è libero di muoversi.
Dopo qualche prima esitazione dovuta alla cattività forzata per millenni, muove i primi passi quasi come un infante, ma poi riprende la sua forza e comincia a marciare con passo regolare, smuovendo l'oceano di lava con le gigantesche gambe come fa uno che si fa strada faticosamente nella palude.
Ed ecco comparire davanti a loro il Palazzo Reale, l'Ecatonchiro e l'arcipelago da esso sostenuto.
Lo sguardo di Ares, in piedi sull'isola, viene catturato irrimediabilmente dall'enorme Centimane che si agita e urla con una forza e una fierezza inumane.
Gli occhi fissi, le braccia incrociate sul petto, a stagliarsi contro quella gigantesca figura, come a sfidarla; ma persino lui avverte, se non paura, un qualche timoroso rispetto, una sensazione fredda, di piccolezza, che gli stampava bene in teste, come a dissolvere ogni dubbio "fa attenzione, non sarebbe un avversario facile".
Anche l'Ecatonchiro si avvede di lui, o meglio, del gigante che avanza libero nella sua direzione.
Per un istante interrompe la sua lotta millenaria con le catene che lo imprigionano e, addirittura, smette di urlare: cala il silenzio nell'Ade, forse per la prima volta dall'alba dei tempi, solo una risata flebile, in lontananza...
«EHI! - riprende però poco dopo -Sei libero, fratello! Come hai fatto?!»
«Non rispondere - intima il Dio - Prosegui senza fermarti»
E così fa: abbassa la testa  e continua per la sua strada, scatenando l'ira dell'Ecatonchiro che si dimena più forte di prima.
Ma quello non risponde ancora e alla fine è oltre il suo re.
Per un altro bel tratto di oceano lavico le urla dell'Ecatonchiro si fanno sentire tanto da scuotere la terra dell'Isola dell'Idra, ma alla fine, nel vuoto alle spalle del Palazzo, finalmente compare un'altra unica, singola Isola.
«Eccola, è l'Isola degli Omicidi» commenta la Sfinge.
«Preparatevi a sbarcare» annuncia Ares.
Così l'isola-traghetto si ferma a largo di quel solitario atollo e Ares, Sfinge e Leone, con un balzo, raggiungono quelle nuove coste.
L'Isola degli Omicidi, al contrario delle altre "visitate" fin ad ora, non sembra avere nulla di strano: subito dopo il bordo inizia una folta foresta di normali alberi, senza facce e senza cadaveri parlanti impiccatici sopra; l'unica stranezza, se non si fosse nell'Ade, sarebbero le urla in lontananza, ma folte come un muro, dalla natura strana, quasi spettrale, data la loro esistenza non fisica, ma nella testa di quanti vi si trovano.
Addentratisi nella foresta, però, iniziano a comparire i primi cadaveri, o meglio, quello che ne resta: brandelli di essere umano seminati qui e là, alberi e fogliame ridipinti di un rosso acceso, pelli umane appese sui rami, come ad asciugare, appena divelte dal loro precedente proprietario. Poi anche alberi tranciati a metà, sia longitudinalmente che trasversalmente, fumo che si alza in enormi colonne... poi un uomo, presumibilmente un dannato, spunta fra i tronchi, in fiamme, e si dirige correndo verso i tre visitatori, quasi volesse attaccarli, urlando intanto il suo infinito e rovente dolore.
Per nulla mosso a compassione, Ares affila il braccio e con un unico, preciso movimento, gli taglia via la testa prima che si avvicini abbastanza da nuocere.
«Tu, Olimpico, mi hai appena sottratto una preda» sibila una voce suadente nel buio tra gli alberi, esattamente dal punto da dove era sbucato il dannato in fiamme.
«Non è colpa mia se non te le tieni strette» risponde l'Enialo, ancora all'oscurità.
Ficcando uno sguardo nel punto da cui proviene quella voce così profonda, sperando di cavarci almeno un profilo, egli intravede solo un bagliore, simile ad un occhio.
Poi, lentamente, il proprietario di quell'occhio si rivela, avanzando in mezzo all'ombra, con la luce proveniente dai vicini incendi a disegnarli i contorni degli alberi sulla pelle.
Chimera, mostruoso essere, forse il più abominevole di tutta la figliolata della strega: Testa da leone come il fratello, ma fornita di ben quattro corna, due un po' sopra gli occhi, dritte e appuntite ma non lunghissime, e due che spuntano dalla folta e regale criniera e si avviluppano su se stesse come quelle di un ariete, molto più lunghe delle altre sebbene questa costituzione non lo faccia notare; parte anteriore del corpo, possenti arti compresi, ancora da leone, ma dalla schiena partono due enormi ali di drago, che egli, ora che procede a quattro zampe, tiene raccolte; zampe posteriori caprine, simili a quelle dei satiri e, infine, per coda, un lungo serpente, identico ad una delle teste dell'idra.
«Ho stretto un patto con tua madre e i tuoi fratelli, Chimera: insieme rovesceremo l'Olimpo» attaccò Ares.
Il mostro, raggiunto il gruppetto, si ferma con molta calma, poi spalanca le enormi ali e, senza mostrare sforzo, come se fosse la cosa più facile e naturale che esista, le sbatte una volta, sollevando la parte superiore del corpo e rimanendo eretto sulle zampe caprine, un po'm come la sorella.
«Già, noi rovesceremo l'Olimpo.. ma senza di te. Tu sei l'Olimpo, finchè esisterai tu esisterà l'opprimente tirannia degli Dei. Posso capire come tu sia riuscito ad abbindolare i miei poveri fratelli, ma non mi sarei mai aspettato che qualcuno, mortale o immortale, potesse ingannare mia madre, la potente strega Echidna. Hai fatto un ottimo lavoro per riunire la famiglia, ora possiamo cavarcela da soli: avanti, fratello e sorella, tradite quest'ipocrita, fatemi sapere che era questo il vostro piano si dall'inizio!»
  
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