Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Princess of the Rose    12/05/2013    1 recensioni
Raccolta su 2pTalia.
Miscellanea 2: "Republic of Canada," disse America aprendo la scatolina e rivelando un anello dorato con sopra una decorazione a forma di maglietta di hockey, "Se vuoi farti perdonare per avermi tradito con Russia, accetta di sposarmi!"
Il turbine: Backmasking, Jouska, Rubatosis, Énouement, Chrysalism [Tabella "Il dizionario delle emozioni" di Lande di fandom]
Incontri del 2p tipo: XX.XX.20XX: per qualche motivo, si è aperto un varco interdimensionale. Visto che non si è richiuso, le due dimensioni comunicanti decidono di intraprendere relazioni diplomatiche.
Le vacanze unite: La quasi-Federazione europea va in vacanza
Romano e i gatti che non voleva: titolo esplicativo... [Maritombola 14]
Natale 1991:Il Natale del 1991 è considerato un momento di svolta per la politica mondiale...
L'UPE va alla guerra: Poco prima dell'avvento della Costituzione e il passaggio da Unione a Federazione, l'UPE avanzò delle richieste per poter aumentare il proprio livello di autonomia.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: 2p!Hetalia
Note: OOC, Raccolta, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Through the Looking-Glass and what Hetalians found there'
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Titolo: Tanto va il gatto al pane... che si trova casa

Personaggi: Germania (George Joseph Beilschmidt); Belgio (Laura Magritte); Paesi Bassi-Olanda (Christian van Dyk); Francia (Jean-Baptiste Bonnefoy); Lussemburgo (Sébastien Junker); Italia Romano (Matteo Vargas); Italia Veneziano (Marco Vargas).

Genere: Commedia, Fluff

Avvertimenti: GerIta one-sided (ve lo ritrovere spesso XD) accennato.

Note aggiuntive: Ehehehe, guarda chi si rivede ^///^ Finalmente sono riuscita a finire la shot per la raccolta. Uff, che faticata, erano mesi che non riuscivo a buttare giù una riga, ma alla fine chi la dura la vince, ed eccola qua! 

Temo che l'idea dell'aggiornamente settimanale sia impossibile da eseguire, ma cercherò di impiegare meno tempo tra una pubblicazione e l'altra (ormai "La sottile arte di farsi gli affari propri" è bella che finita, e quella nuova mnon mi recherà alcun problema, spero)

Noto inoltre, con piacere, che sul fandom hanno iniziato a fioccare fic sui 2p ^^. Finalmente, anche sul fandom italiano sono approdati! Purtroppo, non ho avuto il tempo di leggerne alcuna, ma intendo recuperare il prima possibile.

Nel frattempo, rinnovo l'annuncio delle richieste (sto già lavorando ad alcune che mi sono state fatte).

 

Spero che la fic vi piaccia ^^.

 

Enjoy!

 

 

 

 

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Pioveva. Pioveva fittamente, tanto che a tratti era difficile perfino vedere la strada e dove si stava andando. Tuonava, anche, come da anni non tuonava. Mancava solo la grandine, e si sarebbe potuto tranquillamente parlare di tempesta perfetta.

Era una serata estiva, con un anomalo ed intensissimo freddo, e l’atmosfera stava dando il meglio di sé riproponendo il diluvio universale in scala ridotta sul Bruxelles: chi era il povero pazzo che poteva andare in giro con un tempo simile?

<< Gottverdammdt!!! >>

Il povero pazzo in questione era Germania, avventuratosi per le strade della capitale dell’Impero, con qualcosa come due dozzine di buste per mano (dentro cui c’era la cena di quella sera, o forse era meglio dire ex-cena, dopo la doccia subita poco prima), intento ad insultare il maledetto automobilista che non aveva rallentato quando era passato sopra una pozzanghera, schizzando di conseguenza l’acqua e colpendo il povero tedesco, inzuppandolo ancora di più di quanto non fosse già di per sé.

Irato, poggiò le buste a terra e controllò la sua giacca – nuova - macchiata di fango sui bordi inferiori, e neanche i suoi pantaloni – bianchi – erano stati risparmiati dalla crudele schizzata. Digrignò i denti, cercando di controllare la rabbia – e c’è da dire che non era una nazione famosa per la sua pazienza – e riprese in mano le buste, per poi riprendere a camminare, cercando di non intruppare o colpire gli altri poveri pazzi che per chissà quali motivi si erano ritrovati per strada con un tempo simile, e di non scivolare per terra a causa dell’asfalto bagnato e di altre pozzanghere particolarmente bastarde che nascondevano abilmente eventuali buche.

Se vi state chiedendo il motivo per cui questo povero cristo teutonico stesse in giro quando imperversava una tempesta di queste proporzioni, il motivo risiede nel fatto che l’Impero Europeo, quel giorno, era appena rientrato da un “interessantissimo”  meeting in Russia, e si erano accorti che avevano il frigorifero e la dispensa completamente vuoti, salvo numerose ragnatele e qualche simpatico ragnetto qua e là che per poco non avevano fatto venire un infarto a Romano. Assai poco inclini a mangiare insetti o aracnidi, i sette avevano deciso che la spesa andava fatta, anche urgentemente, e poco importava che fuori ci fosse un diluvio; per scegliere il sacrificio da immolare “per il giusto apporto di proteine e vitamine che si confà ad un gruppo di nazioni potenti e belle come noi” (testuali parole di Lussemburgo), si era deciso di tirare a sorte, estraendo dei bigliettini di varia lunghezza da una scatolina: chi avesse pescato il bigliettino più breve, sarebbe andato a fare la spesa.

Indovinate chi era stato a pescare l’infausto fogliettino…

<< Verdammdt! >> urlò Germania quando il piede prese in pieno una pozza profonda, per poi tirare giù tutti i santi del calendario nel tentativo di riprendersi la scarpa rimasta incastrata nella buca. E, giacché c’era, l’ennesimo automobilista incivile decise di passare su un’altra pozzanghera vicina alla nazione a tutta velocità.

Rimessa la scarpa, con i pantaloni che ormai di bianco avevano solo il ricordo, Germania riprese la sua marcia verso casa . << “Ma che prendi la macchina!” >> disse, scimmiottando Olanda, << “Sprechi solo benzina, il negozio è vicino per una nazione come te!” Si, a cinque chilometri di distanza, e senza contare i centinaia vicoletti che districano la strada! >>

Il poveretto, preda del nervosismo, diede un calcio a un sasso che, vuoi per il destino, vuoi perché aveva calcolato male la traiettoria e il dosaggio di forza impressa, andò a finire proprio contro il vetro di un negozio lì vicino, distruggendolo; inutile dire che dovette anche mettersi a correre a tutta velocità per evitare di essere preso di mira dal fucile del proprietario.

Quando, finalmente, mancava una sola traversa per arrivare finalmente a casa, Germania avrebbe tanto voluto mettersi in ginocchio e ringraziare il Signore, se avesse avuto ancora un minimo si sensibilità alle braccia e alle mani per potersi mettere a pregare. Finalmente contento per la prima volta quella sera, decise di affrettare il passo, pensando solo al calduccio del camino e, forse, anche alle coccole che Italia gli avrebbe riservato dopo quella giornataccia – di solito, nelle giornate piovose, diventava stranamente tenero con lui.

Pensate che le disavventure fossero finite per la nostra nazione germanica preferita?

STRAP!

Vi sbagliate.

Il desiderio di inginocchiarsi e ringraziare Dio che aveva provato poco fa andò a farsi benedire quando due buste della spesa si ruppero sotto il peso eccedente, spargendo sull’asfalto bagnato il loro contenuto. Il tedesco, tra un’imprecazione contro Olanda e un’altra contro i maledetti sacchetti che si rompevano nei momenti meno opportuni, si mise a raccogliere i vari prodotti, cercando di equilibrare il peso nelle altre buste per evitare di fare il bis: gli otto pacchetti di biscotti al cioccolato da una parte, la moka nuova – Veneziano e Romano lo avrebbero ucciso se l’avesse persa – in un'altra, le decine di penne che Lussemburgo aveva detto di comprargli urgentemente sparse nelle varie buste, la pasta, il latte, il burro, il pa- Dove era il pane? Ah, no, eccolo lì: la busta si era aperta, ma senza spargere le pagnotte sull’asfalto, per fortuna. Rimesse dentro il loro contenitore, Germania si accorse che all’appello mancava un filetto di pane, quello che le noci che tanto gli piaceva e che era riuscito a prendere dopo essere quasi venuto alle mani con una donna incinta e una vecchietta – a cui si era aggiunto mezzo negozio che era venuto in soccorso delle due signore.

Con l’ira che già rimontava, si guardò intorno, certo che la pagnotta fosse caduta a terra sull’asfalto bagnato e che quindi fosse ormai zuppa ed immangiabile. Quando la vide in bocca ad un gatto nero che camminava a passo sostenuto sotto la pioggia battente, evidentemente fiero di quel piccolo pasto improvvisato da poter gustare in santa pace nel suo rifugio, la sua rabbia schizzò alle stelle.

<< Verdammte katze! Torna qui col mio pane! >> esclamò il tedesco, dimentico delle altre buste, e iniziò a rincorrere il piccolo animale che, accortosi di essere stato beccato, si sbrigò a nascondersi in un vicoletto, cercando di sfuggire all’ira della nazione.

Svoltato l’angolo, Germania guardò attentamente l’oscuro vicolo, cercando di captare anche il più piccolo miagolio che gli potesse dire dove si fosse nascosto quell’infame di un gatto ladro; ma il gatto, oltre ad essere ladro, era anche molto silenzioso, e il manto scuro gli dava il vantaggio di mimetizzarsi nell’oscurità. Controllò ogni angolo del vicoletto e dietro i cassonetti, senza alcun risultato: del gatto non c’era traccia. Perfetto: era bagnato dalla testa a i piedi, con la cena quasi inservibile, e gli avevano anche fregato il suo pane preferito. Semplicemente perfetto.

Sconsolato, fece per uscire da quell’angusto spazio quando sentì un lieve miagolio provenire da uno dei cassonetti dell’immondizia. Perplesso, si avvicinò ad un grosso container grigio e, dopo essersi coperto bocca e naso con la sciarpa, alzò il coperchio: sette paia di piccoli occhi scintillanti si voltarono all’unisono verso di lui, allarmati da quello sconosciuto che aveva scoperto il loro nascondiglio segreto.

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, cercando di abituarsi all’oscurità del cassonetto, e rimase estremamente sorpreso quando vide sette piccoli gattini, tra cui il ladro, ammucchiati dentro una scatola di cartone, accerchiati da avanzi di cibo, tra cui il suo filetto di pane con le noci.

Il gatto ladro, dal pelo nerissimo e con svariate cicatrici sul corpo, si erse a difesa degli altri assieme ad un altro suo simile, bianco con delle chiazza biondicce sulle spalle e sulle zampe, anche lui con dei segni profondi sul muso e sui fianchi, posizionandosi davanti al gruppetto e soffiando contro l’intruso, il pelo ritto sulle schiena e lungo le zampe nonostante fossero completamente bagnati.

Uno degli altri cinque felini, il più piccolo, marroncino con delle chiazze bianche, si nascose dietro ad un altro suo compagno, dal pelo interamente marrone salvo per una zampa bianca.  Un altro gatto, anche lui bianco con delle chiazze scure che ricoprivano tutta la testa e la maggior parte della schiena, e con uno strano pelo che sbucava a sinistra del muso, cercò di alzarsi per poter collaborare alla difesa del territorio, ma ricadde sul cartone, troppo debole a causa di una dolorosa ferita alla coda; davanti a quest’ultimo, sulla difensiva, si pose un gatto estremamente simile a lui, differente sola per il pelo posizionato sul capo. Il settimo gatto, dal manto grigio e lunghissimo, si unì ai due in prima fila.

Germania li osservò esterrefatto. Non era un esperto, ma sapeva che i gatti non erano animali molto socievoli, e che spesso preferivano uno stile di vita solitario a quello in comunità; era strano trovare una colonia di felini che andasse così d’accordo, a giudicare da come si erano posti in difesa l’uno dell’altro. Ed era orrendo che fossero stati abbandonati in un cassonetto dell’immondizia da chissà quale imbecille.

Il tedesco rifletté per qualche istante sul da farsi, per poi allungare una mano ed afferrare velocemente per la collottola il gatto nero prima che gli altri potessero reagire, sollevandolo fino ad averlo all’altezza del viso. I due si guardarono per un lungo istante, sotto la vigilanza degli altri sei gatti pronti ad intervenire al minimo accenno di pericolo.

<< Hai preso il mio pane per sfamare loro, eh? >> chiese Germania al felino nero, che rispose soffiando minacciosamente e riprendendo ad agitarsi tentando di liberarsi. << Tranquillo, non ti farò del male. Anche se te lo meriteresti per avermi rubato quel pane. Non hai la minima idea della fatica che ho fatto per prenderlo. >> disse, rimproverandosi subito dopo - stava davvero parlando ad un gatto? Doveva essere la stanchezza a giocargli certi brutti scherzi.

Ripose il felino all’interno del cassonetto, si tolse la sciarpa e la usò per coprire i tre gatti rimasti dietro, facendo attenzione a non toccare la coda di quello ferito, il tutto sotto lo sguardo sospettoso degli altri quattro.

<< Se ti ribecco a rubare, non te la passerai liscia, chiaro? >> disse, rivolgendosi al gatto nero, il quale si limitò a girare la testa dall’altra parte, come se fosse stizzito da un gesto così generoso, per poi rivolgere la sua attenzione al suo compagno ferito.

Germania sbuffò, chiudendo lentamente il coperchio del secchione e ridirigendosi verso le buste della spesa. Doveva ammetterlo, gli dispiaceva lasciare lì quei gatti, ma non poteva certo portarseli a casa: Aster, Berlitz e Blackie non avrebbero certo fatto i salti di gioia a ritrovarsi nel territorio una specie animale a loro avversa per natura, e Romano avrebbe come minimo avuto un secondo infarto quel giorno – l’italiano non era esattamente un amante degli animali, e ancora gli riusciva difficile accettare di vivere con tre << Bestiacce pulciose! >> come chiamava i suoi poveri cani.

Il tedesco riprese le buste – che notò totalmente bagnate anche all’interno, ma rifiutò immediatamente l’idea di tornare al negozio di alimentari e prendere  qualcosa di commestibile con un tempo simile, preferendo di gran lunga rimanere a digiuno - e si diresse verso casa, senza però riuscire a non pensare a quei micetti abbandonati in maniera così crudele, specie a quello con la coda ferita. La sua parte amante degli animali voleva disperatamente prendere quelle povere creature e portarsele via, o almeno in posto migliore rispetto ad un cassonetto dell’immondizia; la parte più pigra voleva fortemente tornarsene al calduccio della sua abitazione, mollare la spesa a qualcuno e ficcarsi sotto il letto – possibilmente di Italia – e farsi una bella dormita.

Temporaneamente, la linea “Gioco dell’uva ognuno a casa sua” ebbe la meglio, e Germania si sbrigò a rifugiarsi sotto il portone della villa, appena in tempo per non essere investito dalla pioggia fattasi improvvisamente più fitta; fece per suonare il campanello, ma un urlo tremendo proveniente da dentro l’edificio fermò il suo dito a pochi centimetri dal pulsante. Rimase in ascolto per pochi attimi, il tempo di capire che quegli strilli provenivano da Veneziano, probabilmente colpito da una delle sue crisi; sospirò amaramente, ricacciando dentro l’abituale senso di impotenza e di rabbia, e decise di aspettare che quelle urla terminassero prima di provare a suonare – sapeva che, tanto, non gli avrebbe aperto nessuno in quel momento.

Si appoggiò contro una colonna, e osservò mestamente la pioggia battere ferocemente sulla strada; non un’anima viva in giro; chiuse gli occhi, rilassandosi col ticchettio costante delle gocce d’acqua. Dopo alcuni minuti, le urla di Veneziano si fermarono.

Negli ultimi tempi, le crisi di Italia era si erano fatte più frequenti. Romano diceva che la causa era, probabilmente, il periodo non proprio favorevole in economia, ma c’era sicuramente dell’altro: aveva notato che con l’avvicinarsi di agosto* il Settentrione diventava più irascibile del solito, e la sua isteria sembrava aggravarsi, per poi tornare alla solita frequenza non appena arrivava settembre. Come se nell’ottavo mese dell’anno Italia portasse una sorta di lutto, a giudicare anche dal suo carattere più malinconico e meno irriverente.

Gli venne in mente una sera molto simile a questa, di un’ottantina di anni fa; fu la volta in cui lui e Giappone vennero a conoscenza della malattia che affliggeva Italia, dopo aver assistito ad una sua crisi e averci quasi lasciato un occhio.

 

<< Forse dovremmo ripassare domani. >> mormorò Giappone, cercando di non farsi sentire da Veneziano, seduto sul letto della sua stanza , le gambe al petto e la testa poggiata sulle ginocchia, perfettamente immobile e con lo sguardo perso nel panorama che intravedeva fuori dalla finestra, una campagna scura e abbruttita dalla pioggia battente.

<< Nein. >>

<< Non ci parlerà tanto, >> disse la nazione asiatica, lanciando un’occhiata all’enorme cerotto che copriva quasi tutta la guancia sinistra di Germania, << temo che possa avere una ricaduta se vede quella ferita. >>

<< Non mi convincerai. Non me ne andrò fino a quando non avrà ricominciato a parlarmi. >> replicò rigidamente il tedesco, senza distogliere lo sguardo dall’amico. Giappone sospirò, commentando ironicamente: << Sei completamente cotto, ne Doitsu-kun? >>

<< Taci. E’ mio amico, è pertanto è mio dovere aiutarlo come posso. Vorrei ricordati che è anche amico tuo. Non sei preoccupato? >>

<< Mi ferisci dicendo certe cose. Mi accusi forse di non preoccuparmi della saluta di una persona a me cara? >>chiese il giapponese, il volto perfettamente inespressivo, al punto che se non fosse stato per la mano stretta a pugno malamente nascosta dietro il mantello viola della sua divisa, difficilmente si sarebbe potuto intuire che fosse arrabbiato. Germania, comunque, non gli rispose, continuando a fissare il suo amico italiano, sempre più preoccupato. Dov’era finito quel sorrisetto di sfida, l’irriverenza e la sfacciataggine di Italia? Quell’essere seduto come un automa sul letto, e che ostinatamente ignorava la loro presenza, sicuramente non poteva essere il suo alleato, quello che non perdeva occasione per fargli scherzi idioti o per farlo arrabbiare.

Quella specie di gioco del silenzio durava da ore ormai, ma né Germania ne Giappone, per quanto questi dicesse, erano intenzionati a lasciare quella stanza senza che Italia si fosse voltato verso di loro, o almeno li dicesse di andarsene via; ma il Settentrione si era chiuso in se stesso, e non sembrava affatto intenzionato ad interagire con loro in alcun modo.

Giappone inspirò profondamente, per poi alzarsi in piedi e dirigersi verso la porta: << Vado a prendere qualcosa da mangiare. Itaria-kun vuoi qualcosa? >>

L’italiano non gli rispose, e neanche distolse lo sguardo dalla finestra.

<< Bè, chi tace acconsente. Doitsu-kun, vieni anche tu. >>

<< M-Ma- >>
<< Vieni. Anche. Tu. >> il tono del giapponese, per quanto apatico, non ammetteva repliche, e Germania, anche se a malincuore, si costrinse a seguire l’altra nazione fino in cucina, dove presero un po’ di frutta e Giappone preparò una tisana per l’amico italiano.

<< Perché sono dovuto venire giù anche io? >>

<< Magari se lo lasciamo solo per qualche minuto Itaria-kun sarà più invogliato a parlare quando torneremo su. >>

Il tedesco annuì prima di addentare una mela rossa, incapace però di gustarsi il sapore di un frutto così ottimamente maturo e succoso a causa della preoccupazione. Rimasero in silenzio per molti minuti, incapaci di parlare di qualunque cosa che non fosse quanto accaduto quel pomeriggio: di quelle urla tremende che nessuno dei due aveva mai sentito sulla bocca di una nazione, delle lacrime che neanche pensavano Italia fosse capace di versare, di quel respiro affannoso, come se qualcosa lo stesse strozzando, e, soprattutto, di quell’espressione di puro terrore e sofferenza – e anche vergogna – che gli aveva totalmente presi in contropiede.

Nessuno dei due voleva tornare sull’argomento – anche perché ci sarebbe stato ben poco da dire – ma quel silenzio stava iniziando ad essere insopportabile. Infine, Germania sospirò amaramente, buttando il torsolo della mela nel cestino:<< Pensi che sia arrabbiato con noi? >>

<< Ya. >> mormorò l’altro, spegnendo la fiamma del fornello e prelevano il contenitore dell’acqua bollente, << E’ arrabbiato con se stesso, non con noi. >>

<< Cioè? >>

<< Ah, Doitsu-kun, si vede che sei giovane. Sei così duro a comprendere certi comportamenti. >>

Germania storse il naso vedendo quel sorrisino quasi di scherno sul volto dell’amico: << Mi stai offendendo? >>

<< Più o meno, >> replicò il giapponese mentre versava il liquido caldo dentro una tazza, filtrandolo prima dentro un passino contenente l’erba della tisana, << comunque sia, credo che Itaria-kun si senta ferito nell’orgoglio. Probabilmente, quelle crisi che ha non le vedono molte persone, e penso che neanche ci tenga a far sapere di soffrire di… Non so sinceramente cosa gli provochi quelle crisi, ma sono certo che non voglia farlo sapere in giro. >>

Germania rifletté su quelle parole, trovandole decisamente veritiere. Certo, era un sollievo sapere che Italia non ce l’aveva con lui, ma si domandava cosa gli provocasse quegli attacchi di isteria. Qualcosa del suo passato, forse? Salvo quanto era scritto sui libri di storia, effettivamente non sapeva molto della sua vita; era anche vero che non si conoscevano da tanto, e non aveva il diritto di fargli domande che sicuramente lo avrebbero messo a disagio, ma era così dannatamente preoccupato! E poi, era sicuro che sfogarsi un poco non avrebbe fatto altro che bene all’italiano; decise che, una volta salito su, avrebbe riprovato a parlargli.

Terminata la tisana, i due tornarono al piano di sopra, e bussarono alla porta della camera, senza ricevere risposta esattamente come sospettavano. I due si lanciarono un’occhiata d’intesa, per poi aprire la porta. Il letto di Veneziano era vuoto.

<< W-Was!? >>

<< Kuso! >>imprecò Giappone, per poi poggiare la tisana sul tavolo e correre sul corridoio, << dove pensa di andare quel baka nelle sue condizioni!? >>

<< Japan cerca Italien su questo piano, io controllo di sotto! >> urlò Germania, per poi precipitarsi sulle scale. Ci mancava solo quel colpo di testa per complicare ulteriormente quella stramba giornata; senza contare che se Romano fosse venuto a sapere di quella situazione, Dio solo sa cosa avrebbe fatto.

Rifletté su dove potesse essere andato Veneziano- non molto lontano, comunque – e si mise a cercare in tutte le stanze del piano inferiore, dal soggiorno fino alla cucina, trovandole tutte vuote. Giappone ancora non era sceso, ma sospettava che il suo amico nipponico non avrebbe trovato molta più fortuna di lui ai piani superiori. Era improbabile che si fosse nascosto da qualche parte,  ma se non era in casa voleva dire che era uscito? Di sera in mezzo ad una tempesta? Sarebbe stato stupido, ma Italia non era sicuramente nelle condizioni di pensare lucidamente in quel momento.

Sempre più preoccupato, Germania  prese un ombrello e uscì nel giardino nonostante la pioggia battente. L’esterno dell’abitazione del Settentrione non era molto grande, ma l’edificio si trovava nel bel mezzo della campagna romana; e se Veneziano avesse superato i cancelli e fosse uscito per andare chissà dove?

Germania imprecò sottovoce mentre si guardava intorno cercando di orientarsi nella fitta pioggia. Tempesta o meno, sarebbe andato fino in capo al mondo per cercare l’italiano.

Fortunatamente, non fu necessario, e la sua ricerca durò relativamente poco: trovò Veneziano sotto i rami spogli di un albero, probabilmente un pesco; era in ginocchio, rivolto verso il tronco della pianta e perfettamente immobile, senza un ombrello o una giacca che lo riparasse dalla pioggia – indossava solo il suo pigiama, ormai zuppo e del tutto attaccato al suo corpo. Notò anche che il corpo dell’italiano tremava leggermente, se per il freddo o per altro non avrebbe saputo dirlo.

Il tedesco sospirò di sollievo, si tolse la giacca e, silenziosamente, la poggiò sulle spalle della nazione mediterranea. Questi non sussultò, probabilmente aveva avvertito già da prima la sua presenza.

<< Ti ho cercato per tutta casa, >> urlò Germania per farsi sentire sopra il rumore della pioggia, chinandosi vicino all’amico << e, per la cronaca, Japan ti sta ancora cercando. >>

<< Um. >> fu la semplice replica dell’italiano; non alzò neanche lo sguardo. Germania sbuffò pesantemente, iniziando a sentirsi spazientito da quel comportamento.

<< Si può sapere che ti è saltato in mente? Perché sei uscito fuori con questa tempesta? >>

Italia rimase in silenzio, lo sguardo fisso sul terreno, e non sembrava nemmeno ascoltarlo. Solo allora Germania sentì un piccolo miagolio, flebilissimo sotto il rumore della pioggia battente, e notò un piccolo gatto bianco comodamente sdraiato sul grembo dell’italiano , avvolto in una copertina azzurra e con una zampina perfettamente fasciata.

<< L’ho sentito miagolare, mi sono affacciato e l’ho visto ferito, >> disse Veneziano, pronunciando le prima parole di senso compiuto di quella serata, << ho pensato di curarlo. >>

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, stupito – sia per l’inaspettata sensibilità dell’amico, sia per il suo udito fine: come diavolo aveva fatto a sentirlo dalla finestra al primo piano, per di più col rumore della pioggia? -  per poi chinarsi per osservare meglio il piccolo animale, che riposava tranquillo tra le braccia di quell’inatteso salvatore. Non era esattamente un amante dei gatti, ma non poteva non trovare quella creaturina estremamente carina; inoltre, così serenamente sistemato sulle gambe dell’italiano formava una scenetta molto dolce, che gli donava una strana ma piacevolissima sensazione di calma.

<< Non sembri il tipo a cui piacciono gli animali, sono sorpreso. >> confessò, osservando la mano affusolata dell’altra nazione che accarezzava il pelo bagnato  del gatto con infinita dolcezza – dolcezza? Aveva veramente usato la parola “dolcezza” associandola ad Italia? - :<< Portiamolo dentro, almeno starete entrambi al caldo. >>

<< No, >> mormorò Italia, rabbuiandosi, << Romano non me lo lascerebbe mai tenere. A lui non piacciono gli animali. >>

<< Romano non c’è, però. Potre- >>

<< Se ne accorgerà al suo ritorno. Se ne accorge sempre, per chissà quale motivo. E poi neanche a Giappone piacciono gli animali, non vorrei che lo cacciasse. >> disse l’italiano, stringendo protettivamente a sé il gattino. Cadde il silenzio, anche se decisamente meno opprimente di quello che aveva troneggiato nella camera dell’italiano. Quest’ultimo sembrò immerso in qualche oscura riflessione per parecchi attimi, per poi sospirare e amaramente: << Sai, carezzare gli animali mi ha sempre calmato dopo… Dopo le mie crisi. Specie se sono gatti, mi rilassano molto. >>

Germania spalancò gli occhi, sorpreso da quella improvvisa, piccola confessione: << D-Davvero? >>

Italia annuì leggermente, per poi alzare lo sguardo verso l’amico, le iridi violette stranamente meste. << Io soffro… Soffro di i-isteria da… Non so nemmeno da quanto tempo, sinceramente, non me lo ricordo. La maggior parte delle volte  mi metto ad urlare, e se le cose vanno proprio male inizio a strapparmi i capelli, a graffiarmi, o a mordermi. Se c’è qualcuno con me, invece… >>

Non ebbe bisogno di continuare: il cerotto sulla guancia del tedesco completava la frase per lui.

Germania rifletté per qualche istante, per poi rimettersi in piedi e porgere la mano alla nazione mediterranea: << Comunque sia, non posso lasciarti qui. Ti prenderai un malanno sotto la pioggia. >>

<< Germania, sono una nazione, non mi posso ammala- >>

<< Ti sentiresti comunque male, e in guerra non puoi permetterti di star male. >> replicò il tedesco, per poi aggiungere con voce un poco più dolce, << Romano non credo tornerà prima di dopodomani, fino ad allora credo tu possa tenere quel gatto. >>

Veneziano lo guardò mestamente: << Ma Giappo- >>

<< Japan se ne farà una ragione. E’ solo un gatto, quante storie vuoi che faccia per un animaletto del genere? E poi è un tuo ospite, può lamentarsi solo fino ad un certo punto. >>

Italia rifletté per qualche istante, per poi afferrare con un po’ di titubanza la mano che gli era stata offerta e che usò come leva per sollevarsi; il movimento, però, destò il gatto tra  le sue braccia, che protestò con piccoli miagolii quel risveglio improvviso e affatto gradito.

<< Ops, scusa piccolino. >> disse dolcemente Veneziano, riprendendo subito a carezzare il pelo del felino per calmarlo; quelle coccole funzionarono quasi subito, e il micio si strofinò felicemente contro la sua mano prima di tornare a dormire, il tutto sotto lo sguardo stupefatto ed intenerito di Germania,

<< La zampa ha solo una piccola distorsione, un paio di giorni e sarà del tutto guarito, >> disse l’italiano mentre si incamminavano verso casa, << se trovo un animale ferito, di solito dopo averlo curato lo lascio libero, o lo affido ad una famiglia di fiducia. >>

<< Non è la prima volta che lo fai, quindi. >>

Veneziano scosse la testa, prima di sorridergli piano: << Sono sicuro che la figlia di sua Maestà sarà felice di avere un animaletto domestico così carino. >>

La nazione teutonica annuì distrattamente, del tutto incapace di distogliere lo sguardo da quella tenera scenetta: non aveva mai visto Italia sorridere così dolcemente; neanche pensava che Italia fosse capace di sorridere così.

<< Ah, e… G-Grazie,  >> continuò Veneziano, voltandosi dall’altra parte per non far vedere il rossore sulle guance, << p-per essere v-venuto a cercarmi. >>

L’altro lo guardò per qualche attimo, stupito, per poi sorridere, sistemare l’ombrello sotto il braccio in modo che non cadesse, e avvolgere un braccio attorno al collo dell’italiano, bloccandolo per poter strofinare con forza il pugno  della mano libera sul suo capo.

<< Di niente, mein freuden. E comunque, questo è per essere fuggito in quella maniera senza dirci nulla, Italien. >>

<< M-Mollami, deficiente! Mi fai male! Pensa al gatto, poi! Fermo, Germania!!! >>

<< Miao! >>

 

Germania sospirò amaramente, e si voltò verso il vicolo dove aveva trovato quei poveri gatti. Gli animali avevano sempre avuto un potere rilassante su Veneziano, per chissà quale motivo. Sapendo del male di cui soffriva l’altra nazione, quando aveva iniziato a convivere con lui e le altre nazioni aveva addestrato i suoi cani in modo che gli potessero tenere compagnia nel periodo post-crisi quando, per qualche motivo, si trovava a casa da solo; il Settentrione sembrava aver gradito grandemente quel gesto,  ma, effettivamente, qualunque traccia di isteria evaporava quasi immediatamente solo se tra le braccia aveva un gatto.

Italia. Piccolo, dolce, caro Italia, che non aveva meritato nulla di cattivo nella sua vita, ma che ne aveva passate di tutti i colori.  Il suo amato Italia, così forte all’esterno e fragile all’interno, l’amore della sua vita; ah, avrebbe fatto qualunque cosa per lui, letteralmente. Forse fu per questo che quando quell’idea lo colpì, non si sentì ne sorpreso ne spaventato: per quanto malsana e stupida, e logica avrebbe voluto che rifiutasse in pensiero simile, sapeva che, quando di mezzo c’era la nazione a lui più cara al mondo, nulla sarebbe stato in grado di fermarlo. Nemmeno il rischio di venire preso di mira da numerose pallottole.

 

 

 

 

<< Sono a casa. >>

<< Finalmente, >> esclamò Belgio, poggiando il libro che stava leggendo sul tavolino e alzandosi per andare ad accogliere Germania con una bella sgridata, << ma perché ci hai messo così tanto, si può sapere? Ti eri perso per ca- Oh? >>

<< Che succede? >> chiese Paesi Bassi avviandosi verso l’ingresso, allarmato dal tono eccessivamente acuto della sorella. La scena che si trovò davanti fu alquanto strana; Germania, completamente bagnato dalla testa ai piedi, senza giacca e sciarpa, e circondato da numerose buste della spesa, era fermo a gocciolare davanti alla porta, e Belgio stava osservando un qualcosa che si trovava sul suo braccio. Incuriosito, si avvicinò ai due, e rimase molto sorpreso quando vide sette piccole palle di pelo accartocciate nella giacca del tedesco, completamente bagnate anche loro: << M-Ma che- >>

<< Sono dei gattini, Hollande! >> esclamò estasiata la belga, per poi correre in cucina a prendere un panno con cui avvolse due dei piccoli felini, << guarda che amori, quanto sono piccoli! >>

<< Lo vedo. >> concordò l’olandese, carezzando la testolina di uno dei due micetti, intenerendosi quando questi si strofinò felicemente contro le sue dita << sembrano appena dei cuccioli. Ma dove li hai trovati? >>

<< Erano in un cassonetto dell’immondizia, >> rispose Germania, accuratamente evitando di raccontare il come li avesse trovati – aveva ancora una dignità, del resto, e sospettava che menzionare anche come si fosse fatto fregare il pane l’avrebbe inevitabilmente intaccata, << mi hanno fatto un po’ pena e- >>

<< Hai fatto bene a portarli qui. >> lo interruppe Belgio, sorridendo mentre coccolava i due gatti, che si guardavano confusamente attorno cercando di capire in che luogo si trovassero. Gli altri cinque, ancora in braccio a Germania, osservavano i loro compagni pronti ad intervenire.

<< E rilassatevi un po’, voi! >> mormorò Germania, mentre poggiava a terra il cappotto per permettere a quattro di loro di uscire e di ambientarsi un poco, ma tenendo in braccio quello ferito.

<< Oh, ma guarda che amori! Sono tutti bagnati poveri- ma quello è ferito! >>

<< Ehm, ja. >> disse il tedesco, carezzando il gatto leso sotto lo sguardo infastidito e indagatore di quello nero con le cicatrici, lo stesso che gli aveva prima rubato il pane; stranamente, la nazione si sentì messa  un poco in suggestione, << d-dov’è Italien? >>

Belgio e Paesi Bassi si scambiarono un’occhiata addolorata, per poi sospirare all’unisono: << Ha avuto una crisi. >> rispose la belga, carezzando distrattamente il pelo dell’unica gatta del gruppo, << non so che cosa gliel’abbia causata, però. È con Romano al piano di sopra, credo stiano in bagno. >>

Germania annuì, e fece per avviarsi al piano superiore, ma il gatto nero si arpionò alla sua gamba per cercare di arrampicarsi e salvare il suo compagno che evidentemente aveva percepito in pericolo.

<< Che vuoi tu? >> disse infastidito, scrollando la gamba nell’inutile tentativo di staccarsi quel gatto di dosso.

<< Credo che non voglia che te ne vada, >> disse Paesi Bassi, non potendo non sorridere davanti all’ostinazione del felino, << e poi dove stai andando con quel gatto? Dammelo, che lo curo io. >>

<< Ehm, a dire il ve- >>

<< Ma che state combinando? Che ci fanno tutti questi gatti qui?! >>

<< Da dove sbucano loro? >>

<< France, Luxembourg, Allemagne è stato così gentile da volersi prendere cura di questi micetti abbandonati. Non è stato carino da parte sua? Chi avrebbe mai detto che uno così avesse un cuore così dolce? >>

Germania non sapeva se sentirsi lusingato o offeso dal commento di Belgio, ma la reazione non proprio entusiasta di Francia e Lussemburgo gli dava molto più da pensare.

<< Gatti? Ma non ti bastavano tre cani? Questo posto sta diventando peggio di uno zoo. >> di lamentò la nazione lussemburghese, storcendo il naso quando vide due gatti iniziare a giocare tra loro, bagnando tutto il pavimento.

<< Ma dai, che fastidio ti danno? >>

<< Che fastidio? Belgique, spero seriamente che tu non stia pensando di tenerli qui. >> disse Francia con tono basso, rabbrividendo al solo pensiero.

<< Perché no? >>

<< Non pensateci nemmeno! >> protestò Lussemburgo, iniziando ad elencare tutta una serie di motivi economici per cui mantenere sette gatti sarebbe stato controproducente, sotto lo sguardo sempre più confuso dei presenti.

<< … Luxemburg, sono dei gatti, non delle sanguisughe. >> disse Olanda, cercando di interrompere il discorso del fratello diventato ormai del tutto incomprensibile.

<< Non c’è poi molta differenza, visto che i gatti sono rinomati per essere degli animali opportunisti. >>

<< Ma dai, non dirmi che non ti fanno neanche un po’ di pena. >>

<< In questo momento non la stanno facendo neanche a me. >> mormorò Germania mentre scuoteva la gamba cercando di liberarsi dal felino saldamente attaccato ad essa.

<< Non credo che la smetterà se non metti giù il gatto che hai in braccio. >>

<< Non fare il saputello, Frankreich! >>

<< Ma guarda che carino. Sai che ti assomiglia, Allemagne? >>

<< Eh!? >>

<< Ma si, >> continuò la nazione belga, indicando il gatto tra le braccia del tedesco, il quale osservava il suo compagno nero con un’espressione di stanchezza ed esasperazione insieme , << guardali attentamente: sembrano la perfetta copia tua e di Italie quando inizi a fare l’iperprotettivo con lui. >>

<< Lo sai che ci avevo fatto caso anche io? >> disse Paesi Bassi, ridendo leggermente mentre il felino nero continuava la sua complicata arrampicata sulla gamba della nazione germanica, miagolando ferocemente, << Stesso sguardo infastidito e arrabbiato, stessa testardaggine, e lo sguardo del suo amichetto è lo stesso di Italië quando ti vede fare il geloso. >>

<< Esasperato e imbarazzato. >> commentò Francia, ghignando per quella scenetta. Accanto a lui, neanche Lussemburgo riuscì a sopprimere una risata lieve.

<< … Ah. Ah. Ah. Molto. Divertente. >> disse Germania, stizzito, mentre afferrava per la collottola il gatto nero per allontanarlo dai suoi pantaloni; esausto com’era, neanche si sprecò ad imprecare quando vide la stoffa dell’indumento cedere e strapparsi sotto gli artigli affilati dell’animale, creando un bel buco e una grassa risata per tutti i presenti.

<< Tu mi odi, vero? >> sussurrò al gatto dopo averlo sollevato fino al volto, incrociando il loro sguardi, entrambi estremamente astiosi, << Avanti, brutta palla di pelo. Lo so che mi odi. Prima mi freghi il pane, poi mi rovini i pantaloni. Che farai poi? Mi sfigurerai anche tu? Non è che perché hai sette vite puoi fare quel che ti pare, sai? >>

Il gatto gli soffiò sdegnosamente in faccia, quasi a ritenere quelle minacce mere parole al vento, e se Germania non avesse avuto l’altro gatto ferito tra le braccia, probabilmente non avrebbe esitato a fargliela pagare cara.

<< Oddio, siete identici, proprio uguali! >> esclamò Belgio tra le risate, e perfino gli altri gatti guardavano divertiti quello strano essere umano litigare con il loro compagno.

<< S-Stille! >>

<< Come mai tutte queste risa- Ma che avete combinato! >>

Tutti i presenti si voltarono all’unisono verso le scale, dove trovarono Romano, evidentemente disgustato per le pozze d’acqua e fango nell’atrio e per la presenza di sette gatti, Veneziano, che guardava confusamente la scena mentre cercava di fare un po’ di ordine nella sua mente stanca, e i tre cani di Germania, che non avevano perso tempo a lanciare occhiate ostili verso gli intrusi.

<< Oh, Vene! Stai un po’ meglio? >>

L’Italia del Nord ci impiegò qualche secondo a rispondere, un po’ per la stanchezza, un po’ per il suo spirito animalista che era rimasto incantato di fronte a quei piccoli mici: << Ehm, si Lussemburgo, ma- >>

<< Che. Ci. Fanno. Quei. Cosi. Qui? >> domandò l’Italia del Sud, rabbrividendo quando uno dei gatti, quello bianco con le macchie marroni e un pelo che sporgeva verso destra dalla fronte, fece per strusciarsi contro i suoi preziosissimi pantaloni del pigiama firmati, << Sciò, pussa via! >>

<< Romano, non trattarlo così! >> esclamò Veneziano, prendendo al volo il piccolo animale prima che suo fratello avesse la pessima idea di dargli un calcio, << vuole solo una carezza! >>

<< Scordatelo! Sai che odio gli animali! Già mi è difficile convivere con quelle tra bestiacce pulciose, non abbiamo bisogno anche di gatti sputa-palle-di-pelo qui. >>

I tre cani ringhiarono sommessamente sentendo quell’epiteto, già nervosi per la presenza dei gatti, ma ritornarono in silenzio quando Germania gli lanciò un’occhiata di avvertimento; Aster, il più grande sia di stazza che di età dei tre, si avvicinò circospetto a due dei gatti, uno dal pelo lungo e grigio, l’altro marroncino, li annusò brevemente e infine gli leccò, evidentemente dando il suo consenso. Anche gli altri due cani, alla fine, ingoiarono il fastidio, e si misero in angolo ad osservare i loro probabilmente nuovi coinquilini.

<< Aw, anche ad Aster piacciono! >> esclamò Belgio, intenerita, mentre stringeva al petto l’unica gatta del gruppo, dal pelo marrone e con la zampina anteriore completamente bianca – l’altro gatto, quello bianco con le chiazze marroncine, lo aveva preso in braccio Paesi Bassi.

<< Ma per favore! >> il volto di Lussemburgo tornò serio in pochi istanti non appena si prefigurò la possibilità che i gatti potessero veramente rimanere in casa – un inutile ed ennesimo spreco di soldi dal suo punto di vista.

<< Non possiamo tenerli! >> Francia non esitò a rincarare la dose, anche se la sua motivazione risiedeva nella sua insita pigrizia – tutti quegli animali richiedevano un’attenzione che lui non aveva alcuna voglia di dare.

<< Ma dai, Frankrijk! Non vorrai davvero farli tornare per strada! >>

<< Per strada no, ma trovargli una sistemazione alternativa direi che è d’obbligo. >>

Mentre Francia, Lussemburgo, Belgio e Paesi Bassi discutevano su da farsi, Veneziano si avvicinò silenziosamente a Germania, osservando il piccolo gatto tra le sue braccia.

<< Germania? >>

<< Um? >>

<< Ma è ferito quello? >>

Il tedesco abbassò il braccio che teneva il gatto nero, liberò l’animale, e sfoderò il migliore dei suoi sorrisi per l’italiano: << Ecco, ja. Li ho portati qui anche per curare lui. Ha una piccola ferita sotto la coda, non credo sia grave. >>

<< Fammi vedere. >> disse l’italiano dopo aver poggiato il felino che aveva in braccio per terra, per poi prendere delicatamente l’altro e sollevargli la coda; il gatto miagolò dolorosamente, e subito prese a carezzarlo dietro le orecchie per calmarlo, sorridendogli piano: << Scusa piccolino. Per fortuna non è grave e non sembra neanche infetta. Però credo che sarebbe meglio disinfettarla e poi bendarla, che dici? >>

Il gatto miagolò debolmente, accoccolandosi contro il petto caldo dell’italiano una volta percepitene le buone intenzioni. La nazione italica lo grattò dolcemente dietro le orecchie, per poi portarlo in cucina per poter prendere il necessario per le medicazioni. Il tutto sotto lo sguardo sbigottito dei presenti – tranne di Germania, troppo intento a pensare a quanto fosse tremendamente carino il suo lieber.

<< Ah, ecco perché li hai portati qui. >> disse Romano, sorridendo esasperato.

<< Eh? >> la nazione germanica si voltò, fintamente confuso e sinceramente imbarazzato, verso i presenti-

<< Se non ti conoscessimo, >>  Francia scosse la testa, ghignando leggermente; poi il suo sguardò si spostò sul gatto dal lungo pelo grigio ai suoi piedi, che si era comodamente sdraiato vicino al suo piede e lo osservava con sufficienza mista ad aspettativa; infine, si chinò e prese a carezzargli la pancia, sorridendo leggermente quando l’animale prese a fare le fusa << oh bè, spero che tu sappia cosa vuol dire prendersi cura di un gatto. >>

<< Uh! >> Lussemburgo si voltò verso di lui, indignato, << Che vuol dire “spero che tu sappia”! Non avrai veramente intenzione di accettare di tenerli qui!? >>

<< Ma Luxembourg, >> Belgio alzo la gatta che aveva in braccio fino all’altezza del viso, ed entrambe gli riservarono lo sguardo più ‘carino-e-coccoloso’ del loro repertorio, << non ti fanno un po’ pena? >>

<< Neanche una goccia! Sono soldi sprecati, ecco cosa sono! >>

<< Ma dai, non pensare sempre ai soldi. >>

<< Holland! >>

<< Ugh, questa casa diventerà una zoo. >> si lamentò Romano, lanciando qualche occhiata verso la cucina per vedere cosa stesse facendo suo fratello, e sorprendendosi non poco quando lo trovò decisamente più calmo rispetto a prima, intento a curare la ferita del gatto.

<< Romano, dai! Non vedere solo il lato negativo. E poi i gatti sono animali molto indipendenti, non hanno bisogno delle stesse cure di una cane. >>

<< Lo so, Belgio, lo so. >> il Meridione sospirò pesantemente, per poi lanciare un’occhiataccia alla nazione teutonica, <<  Germania smettila di sbavare appresso mio fratello. >>

Il tedesco sussultò visibilmente, per poi voltarsi lentamente verso l’italiano, le guance leggermente rosee: << N-Non stavo sbavando. >>

<< Geen. >> disse ironicamente Paesi Bassi, mentre asciugava uno ad uno i gatti.

<< Dì un po’, Germania, non penserai veramente che regalando dei gatti a mio fratello ti guadagnerai il suo amore. >>
<< N-Non centra nulla questo, non stavolta, >> il tedesco si voltò verso Veneziano, osservando come quest’ultimo curava espertamente la ferita del gatto, sereno come poche volte lo aveva visto, << quando sono arrivato ho sentito Italien urlare per una crisi. Mi sono ricordato che quando si occupa di un animale si sente subito meglio, specie se sono gatti. E poi non mi andava di lasciarli dentro un cassonetto dell’immondizia! >>

<< Si si, certo, >> l’italiano sospirò, per poi alternare lo sguardo tra il gatto che cercava di ottenere la sua benevolenza strusciandosi contro la sua gamba e il suo sereno fratellino.

<< Perché non la mettiamo ai voti? La maggioranza vince. Allora, chi vota per tenere i gatti? >> disse Olanda prima di alzare il braccio, seguito da Belgio e da Germania. Romano rimase immobile per qualche istante, per poi alzare anche lui la mano: << Solo per mio fratello. >>

<< Bene, allo- >>

<< Fermi tutti! Il voto di Italien è unico, e ha votato solo Romano. Questo è un mezzo voto, non vale! >> protestò Lussemburgo, incrociando le braccia davanti al petto con stizza.

<< Non credo che Veneziano sia molto contrario all’idea, Luxembourg. >> disse Belgio, indicando il Settentrione mentre coccolava, beato, il gatto ferito tra le sue braccia.

<< Uhg! >>

<< Ma si, dai. Tanto sapevo che questa casa sarebbe diventata uno zoo fin da quando ho chiesto di sposarvi. >> disse Francia con un mezzo sorriso, per poi alzare la mano.

<< Frankreich, traditore! >> la nazione lussemburghese, dando dei piccoli pugnetti sulla schiena del francese, << solo perché sono il più piccolo di statura vi permettere di non ascoltare la mia opinione! Ricordatevi che sono io quello che amministra le finanze, qui! Vi taglio i viveri a tutti! >>

<< Luxemburg! >>

<< Luxemburg un cavolo, Holland! Anche io  mi devo far rispettar- uh? >> il lussemburghese sussultò quando sentì qualcosa di peloso strusciarsi contro la sua gamba; abbassò lo sguardo, e trovò il più piccolo dei sette gatti ai suoi piedi, che lo fissava con i suoi occhioni lucenti cercando di intenerirlo.

<< C-Che- >>

<< Oh, Luxemburg, guarda! Gli piaci! >> esclamò Belgio, osservando con un sorrisetto quella scenetta.

<< M-ma, >> la nazione lussemburghese sbatté le palpebre un paio di volta, incredulo, cercando di non farsi toccare da quegli occhietti lucenti, da “gattino  tanto bisognoso di coccole”: << oh, n-no, stammi lontano! Sono allergico alle cose carine, tsk! >>

Il gatto continuò a strusciarsi contro la sua gamba, alla ricerca di attenzioni, e il lussemburghese sentiva la sua resistenza sgretolarsi lentamente. La situazione peggiorò quando Francia, evidentemente stufo di quell’inutile atteggiamento restio, prese il micio per la collottola e glielo mise tra le braccia a forza. Il pelo del felino era ancora un po’ umido, e puzzava terribilmente, ma vedere quegli occhioni verdi così da vicino…

<< Ow, >> Lussemburgo lanciò un’occhiata avvilita alla nazione francese, << Frankreich, questo è barare… >>

<< Ok, direi che, all’unanimità, possiamo tenerli tutti e sette. >> disse Francia, ghignando leggermente mentre osservava la lotta interiore della nazione lussemburghese, indecisa tra il lasciarsi andare a coccole infinite verso il gatto o lasciarlo a terra e ignorarlo.

<< Che bello. >> commentò ironicamente il Sud Italia, per poi avvicinarsi alle buste della spesa e controllarne il contenuto, storcendo il naso quando vide che la maggior parte della roba si era bagnata con la pioggia, << Germania, questa dovrebbe essere la nostra cena? >>

Ma Germania non l’aveva neanche sentito, tanto la sua attenzione era per l’altro Italia; entrò in cucina, avvicinandosi cercando di non disturbare l’italiano, e si sedette accanto a lui, continuando ad ammirarlo incapace di staccare la vista da quella tenera scena.

<< Germania, la smetti di fissarmi? >> Veneziano gli lanciò un’occhiataccia, senza smettere di grattare dietro le orecchie il gatto che ancora aveva tra le braccia.

<< Sei così carino, lieber. >> sospirò estasiato il tedesco, sorridendo. La nazione mediterranea ebbe un brivido.

<< Non. Sorridere. >>

<< Ma come si fa a non sorridere vedendoti? Sei così carino quando carezzi gli animali. >>

<< Fai paura quando sorridi. Fai paura perfino al gatto. >> l’Italia del Nord si strinse al petto il micio, allontanandosi leggermente dall’altra nazione.

<< Andiamo, lieber. Non allontanarti da me. >>

<< Stammi lontano sottospecie di stalker! >>

<< Non sono uno stalker. Voglio solo starti vicino. E poi non potresti riservare un po’ di coccole anche a me? Non ho avuto una bella giornata. >>

<< No! >>

<< E dai. >> Germania avvicinò le loro sedie, cercando di incrociare i loro sguardi.

<< No. >>

<< Solo un pochino, almeno come ringraziamento per averli portati a casa. >>

Veneziano sospirò profondamente, lanciandogli un’occhiataccia – e arrossendo violentemente quando notò il volto dell’altro tremendamente vicino al suo: << S-Sparisci. >>

<< Solo un bacino. >> mormorò il tedesco, sporgendosi per poter catturare le labbra dell’italiano, ma un improvviso bruciore sul naso lo costrinse alla ritirata. Toccandosi il punto dolente, scoprì delle piccole tracce di sangue sulle dita, e guardando in basso notò il getto-ladro in piedi sul tavolo, che lo guardava in cagnesco – o in “gattesco”, che dir si voglia.

Germania sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo; poi, la rabbia montò in pochi istanti e, al grido di: << Bastard einer katze! >> fece per afferrarlo e stritolarlo tra le mani; ma Italia  prese il gatto prima di lui e lo portò al sicuro tra le sue braccia.

<< Non ti azzardare a fargli del male! >> esclamò l’italiano, lanciandogli la peggiore delle sue occhiatacce per poi grattare tornare ad osservare i due felini che aveva in braccio, intenerendosi quando vide quello nero sfregare il felicemente il  muso contro quello dell’altro, il quale rifuggiva con ben poca voglia quelle attenzione, limitandosi a voltarsi dall’altra parte.

Germania rimase a fissarli per qualche istante, immobile, per poi tornare a sedersi sbuffando pesantemente; ma il broncio si trasformò quasi subito in un mezzo sorriso quando vide l’espressione, rara e tremendamente bella, di pura calma e contentezza sul volto dell’altra nazione. Senza intenzioni moleste, avvicinò la sedia a quella del Settentrione, e passò un braccia dietro le sue spalle, limitandosi ad osservare i due gatti che giocherellavano tra loro in perfetto silenzio – e, con sua muta e somma gioia, Italia non lo respinse.

 

 

 

 

<< Germania!!! >>

L’interpellato sussultò vistosamente, voltandosi velocemente verso l’ingresso della cucina e trovandovi l’Italia del Sud, armata di tutto punto, e con un mitra mirato esattamente contro di lui.

<< Germania, nazione inutile quale tu sei, hai visto come diavolo è ridotta la cena di stasera? >>

Germania deglutì faticosamente, notando che anche Belgio, Francia, Paesi Bassi e Lussemburgo gli stavano riservando occhiate non proprio amichevoli: << Ehm, ecco… N-Non è colpa mia… P-Pioveva… >>

Romano non smise di sorridere, e tolse la sicura all’arma, mormorando con voce fintamente cortese: << Hai tempo per poter portare altre bestie pulciose dentro questa casa, ma non per poter mettere al sicuro la nostra cena?  Hai uno strano senso delle priorità. >>

<< M-Ma- I-Italien, digli qualcosa! >>  disse la nazione teutonica voltandosi, ma l’italiano, intuendo l’imminente pericolo, non aveva perso tempo a darsela a gambe levate assieme ai gatti. Germania, tremante, tornò ad guardare verso l’ingresso, e con suo sommo orrore scoprì che anche Olanda e Francia avevano deciso di unirsi all’italiano meridionale, anche loro ben equipaggiati.

<< Doveva essere un pasto degno di questo nome dopo quella sborra che Russie ci ha servito a casa sua! >> disse con voce incolore il francese, infilandosi i guanti metallici.

<< E invece rimarremo a digiuno di nuovo. >> Olanda passò il pollice sulla spada che impugnava, saggiandone l’affilatezza.

Germania deglutì, completamente immobile dalla paura.

<< Che hai da dire a tua discolpa? >> disse il Meridione, abbassando leggermente l’arma per puro gusto di sentire cosa l’altra nazione si sarebbe inventata per salvarsi la pelle.

<< …Es tut mir lied? >>

<< … >>

<< … >>

<< …Germania? >>

<< J-Ja? >>

Romano prese la mira: << Sei morto. >>

 

 

 

Traduzione:

Nota: il lussemburghese è una lingua effettivamente esistente, anche se da molti è considerata più un dialetto tedesco che una lingua vera e proprio. Non ho trovato un traduttore che avesse il lussemburghese, così ho deciso di usare il tedesco standard.

Nota2: Belgio, in questa fic, parla francese. In Belgio le lingue ufficiali sono il francese, l’olandese e il tedesco. Fin ora, ho sempre usato l’olandese per farla parlare, ma in questa fic ho fatto un’eccezione e ho usato il francese, per fare un esperimento e vedere quale tra le due lingue sarebbe stato meglio usare (il tedesco lo uso già abbondantemente per Germania, Austria, Svizzera, Prussia e Liechtenstein, non mi va di usarlo anche per Belgio XD ). Dopo questa fic, credo che tornerò all’olandese, XD, ma lascio qui il francese anche per avere la vostra opinione in merito.

Tedesco:

Verdammdte Katze = Gatto maledetto

Stille = Silenzio

Bastard einer katze! = Maledetto di un gatto!

 

Giapponese:

Ya = No

Kuso = Maledizione

 

Olandese

Geen = No



*giusto per rendere le cose motlo angst: indovinate quale nazione è scomparsa nel 1806, proprio ad agosto... 

   
 
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