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Autore: Martolinsss    12/05/2013    13 recensioni
L'orgoglio di lui, il pregiudizio di lei. Due mondi lontani che arrivano a toccarsi per uno strano scherzo del destino. Lo scontro sarà inevitabile: forse uno dei due vincerà, distruggendo l'altro. O forse ne usciranno entrambi feriti, deboli, ma soprattutto migliori.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!! Eccomi qui con la mia prima fan fiction. Inizio subito dicendo che questa non è la storia tra Harry e Louis che volevo scrivere e di cui avevo accennato già nelle altre one shot. Al momento infatti mi è impossibile scriverla perchè tra poco avrò la maturità e trovare del tempo libero è davvero difficile. Senza scrivere però non sto stare e quindi ho voluto mettere quest'altra storia che non sarà comunque più di cinque o sei capitoli. Ho deciso così sia per ringraziare tutti coloro che hanno letto le mie storie sui Larry anche se non credono in loro e perchè mi mancava scrivere dal punto di vista una ragazza.
Ci tengo però a farvi capire che questo non significa che io non creda più in loro due, anzi sono già molto affezionata alla storia che ho in mente per loro e voglio essere sicura di scriverla nel modo migliore possibile, quindi non di certo ora che la scuola mi uccide e ho pochissimo tempo libero.Tra l'altro, sarà una relazione abbastanza platonica tra Louis e la protagonista, un viaggio più interiore che fisico quindi non c'è da preoccuparsi.. Harry e Louis con me sono al sicuro!
Spero che vi piaccia e che avrete la pazienza di aspettare in caso dovessi aggiornare con un po' di ritardo!! :)
Aspetto i vostri commenti e per favore non abbiate paura di "ferirmi" se c'è qualcosa che pensate io non stia scrivendo in modo adeguato, sono qui per imparare!
Buona lettura e un bacio a tutti!
Marta


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PROLOGO


Che cosa spinge una persona a cancellare, con un colpo di spugna, diciotto anni della sua vita e a ricominciare da zero? Dove trova la forza di strappare le proprie radici e piantare i suoi semi in una terra straniera sperando un giorno, grazie a un sole e a una pioggia completamente nuovi, di vederli germogliare di nuovo? Come si fa a guardarsi intorno e ad accettare che tra quello che vedi non c’è più niente che valga la pena di essere vissuto? Sophie non lo sapeva.
Una mattina si era svegliata e si era sentita strana, di troppo, perfino nel suo letto. Come se le stesse lenzuola in cui era avvolta fossero stanche di quel contatto forzato, che loro non avevano scelto, e quindi la stringevano, quasi fino a soffocarla, a schiacciarla sotto il loro gracile peso, giusto perché così lei si stancasse di quel tepore e se le scrollasse di dosso, liberandole finalmente da lei. E la sveglia che sul comodino suonava più stridula del solito, così che lei si decidesse ad alzarsi e ad andarsene da quella stanza il prima possibile.
Una straniera in casa sua.

Lo disse, ad alta voce, un mercoledì di metà settembre. C’era il sole quel giorno. Va detto perché quasi tutti pensano che quando una persona comunichi la sua decisione di partire, il cielo si ribelli e cascate di acqua gelida si riversino sull’asfalto grigio delle strade.
Ma non quella volta, non con Sophie. Il suo era un addio, è vero, ma neanche minimamente sofferto. Partire per lei significava soltanto libertà e fiducia in se stessa, una nuova occasione per sentirsi ancora viva dentro.
Molti ovviamente avevano provato a fermarla, a dissuaderla. Le avevano detto che stava scappando, che non avrebbe risolto niente, che non serviva andare lontano se i suoi demoni erano al sicuro dentro di lei. Forse un po’ le volevano davvero bene o forse era solo invidia perché lei stava effettivamente facendo quello che nessuno di loro aveva trovato il coraggio di fare. Ma a Sophie non importava.
Tutti quei giudizi, quelle parole vuote, erano come bolle di sapone che i suoi occhi non più da bambina si erano ormai stufati di guardare.

Lei era stanca di farsi piacere una vita che non faceva il minimo sforzo per venirle incontro o ricambiare i suoi timidi sorrisi. Una vita che non la capiva, che le stava troppo stretta e sapeva che era arrivato il momento di cominciare a fare di testa sua. Quello che pensavano gli altri non le interessava più. Come mai tutti improvvisamente si interessavano a lei? Perché di punto in bianco volevano tanto che restasse? Perché ci era voluta la certezza di un addio per fare capire loro che anche lei valeva qualcosa, che anche lei aveva il diritto di essere ascoltata, capita, amata come tutte le alte persone? Aveva capito che il fatto che lei non si piacesse non poteva più essere per gli altri una scusa o una giustificazione per trattarla con così poco riguardo.
Aveva sempre pensato che fosse stupido dire “meglio tardi che mai”, perché a volte, come in quel caso, quando è tardi è tardi, e c’è solo bisogno di silenzio e di distacco per non farsi più male a vicenda.

Sophie era pronta, non era mai stata così pronta in vita sua. Aveva passato gli ultimi anni della sua misera esistenza a tentare di portare a termine tutto quello che il resto del mondo si aspettava da lei. Aveva studiato ogni pagina di ogni capitolo di ogni libro di scuola.
Era stata onesta, giusta, educata, ma in qualche modo non era stato mai abbastanza. E lei ne soffriva. Perché non si sentiva mai a casa, nemmeno in camera sua. Non si sentiva mai al sicuro, mai al suo posto. Vedeva un aereo nel cielo e le prendeva uno strano senso di nostalgia e un nodo le si formava in gola. Vedeva un treno partire e pensava soltanto che lei, da lì, doveva andarsene al più presto.

Per un po’ quell’idea era stata solo un sogno, un bellissimo e rincuorante sogno al quale abbandonarsi ogni volta che non riusciva a scrollarsi lo schifo della vita quotidiana di dosso, un rifugio dove nascondersi quando le cose andavano troppo male. Poi, poco alla volta, era nato in lei il pensiero che, forse, quello non era il modo in cui la sua vita avrebbe dovuto andare, che quello non era il modo in cui le persone normali vivevano, che soffrire così da parte sua non era solo inutile, ma anche e soprattutto ingiusto.
Sophie iniziò a rendersi conto che forse aveva sbagliato ad avere sempre voluto essere perfetta in tutto ciò che c’era da fare, sempre puntuale e in ordine. Aveva capito che non sono cose come quelle a salvare la gente, perché l’unico modo per tenersi a galla sono i desideri che uno ha, così intimi e nascosti dentro di noi che dirli ad alta voce ci fa quasi paura.
Aveva capito che, se voleva salvarsi, finché ne era ancora in tempo, doveva stare dalla parte dei desideri perché loro l’avrebbero tirata fuori da quella spirale senza fine, perché sono l’unica cosa che conta e che ci fa sorridere alla fine della giornata. Perché, dopotutto, i desideri sono l’unica cosa vera che una persona ha.

Dopo aver superato gli esami più grandi della sua vita, la tanto temuta maturità, e ottenuto un diploma di cui
non le importava nulla, si chiuse nella sua camera, ma piano, senza sbattere la porta, e iniziò a mettere via tutto.
In quanti scatoloni stava la sua vita?
I suoi libri, i suoi vecchi diari pieni di citazioni che parlavano per lei, i suoi cd. Staccò le foto dalle pareti e tolse le lenzuola dal letto, lasciandolo bianco, indifeso e nudo. Aveva coperto e riposto tutto con cura, perché quando si era sentita sola, quelle cose erano state quello che di più simile ad un amico lei avesse mai avuto. Fece tutto questo con calma ed attenzione perché quelle cose, le sue, non si meritavano di essere sommerse di nostalgia e di polvere una volta che lei non sarebbe stata più lì ad avere bisogno di loro. Per un attimo fu anche tentata di portarle via con lei, ma se voleva partire, se voleva cambiare, doveva trovare il coraggio di lasciarsi indietro tutto, senza possibilità di voltarsi, senza contatti, senza ponti di salvataggio.

Sua madre, forse la sola persona che l’avesse mai amata per quello che era, l’aveva lasciata andare. Con gli occhi lucidi e la morte nel cuore l’aveva accompagnata all’aeroporto, l’aveva aiutata a mettersi lo zaino sulle spalle e l’aveva guardata andare via, capendo che, anche se faceva male, quello era l’unico modo in cui sua figlia avrebbe potuto trovare se stessa e rischiare di essere felice. Ora si sentivano un paio di volte al mese, ma sua madre, ogni volta che la chiamava, la lasciava parlare e mentre l’ascoltava copriva con la mano la cornetta per non farle sentire i suoi singhiozzi, perché forse lei era l’unica ad aver capito che sua figlia, almeno per ora, non sarebbe tornata.

Sono trascorsi mesi da quella separazione e le cose per Sophie non avrebbero potuto andare meglio. O forse sì, ma rispetto a tutta la sfortuna che aveva avuto fino a quel momento, il semplice fatto di avere un posto sicuro dove stare e da chiamare casa, dove non c’era un silenzio assordante  durante la cena, rotto soltanto dalla voce squillante della giornalista alla tv, la faceva sentire  meglio di qualsiasi altra cosa.
La città dei suoi sogni, Oxford, finalmente era diventato il suo posto nel mondo, la sua casa.
All’inizio non era stato del tutto facile ambientarsi, perché aveva dovuto lottare per farsi spazio tra quel groviglio di strade e quegli edifici universitari così antichi, silenziosi ma allo stesso tempo imponenti. Ricordava il senso di smarrimento le prime notti, quando il rumore della pioggia battente la svegliava all’improvviso e lei si ritrovava, da sola, in un letto che ancora non riusciva a chiamare suo.

Per quanto le fosse sempre piaciuta l’Inghilterra, vivere lì da cittadina e non come semplice turista, era stata dura anche per lei. Lei che non si era mai sentita completamente italiana e non si vergognava a dire che, secondo il suo parere, era nata nel paese sbagliato. Non andava matta per le giornate di sole che il suo paese avrebbe potuto offrirle per la maggior parte dell’anno. Non le interessava studiare di quanto fossero stati potenti e fieri i Romani, non le piaceva nemmeno poi così tanto la pasta al pomodoro.
Sophie si ricordava ancora l’angoscia e la tristezza che l’assalivano ogni volta che tornava a casa dopo qualche settimana trascorsa all’estero. Quei giorni lontani erano come una boccata d’ossigeno rigenerante per i suoi polmoni ormai stanchi di respirare solo ipocrisia e giudizi affrettati sul suo conto. Con un po’ di fortuna, ora non avrebbe più dovuto sentirsi così.
Forse, fuggire una volta le era servito a non doverlo fare mai più.
Dopo tanti anni passati a sentirsi sempre fuori posto, tra parentesi, dopo le mille giornate in cui aveva sentito sulle sue labbra il sapore amaro della vita, aveva trovato un mare nel quale nuotare non le faceva paura, una corda che non minacciava più di soffocarla, ma che la teneva ancorata al suo nuovo porto sicuro, impedendole di affondare ancora.

Sophie, ora che stava bene, non aveva più nostalgia o rancore per quella che era stata la sua vita prima della grande svolta.
Non ce l’aveva più con i suoi genitori per averla fatta crescere in una casa senza amore, con i muri impregnati di silenzio e di rimorsi. Non c’era affetto, aiuto reciproco o conforto a tenere insieme quei mattoni. Nessun legame, nessuna compassione, tanto che lei spesso si era chiesta come facesse quella casa a stare ancora in piedi, a non essere già crollata sotto il peso delle cose non dette, degli abbracci non dati.
Non dava più la colpa ai suoi amici per non averla saputa ascoltare, per averla lasciata da sola quando lei chiedeva, in silenzio, di essere saltava. Dio solo sa quante volte lei aveva avuto bisogno di silenzio, di camminare da sola.
E soprattutto Sophie aveva chiesto scusa a se stessa, aveva saputo perdonarsi per essersi fatta così tanto male, per avere cercato così a lungo di adattarsi ad un mondo che chiaramente non era fatto per lei. Aveva capito che non era stata colpa di nessuno, che era semplicemente andata così e che doveva essere grata a tutte quelle piccole cose, anche le più buie e le più dolorose, che le avevano fatto prendere la rincorsa e dato la spinta di cui aveva bisogno per andare via.
Si era venuta incontro, e a metà strada aveva ritrovato se stessa. Aveva finalmente imparato a camminare al centro della strada, senza più oscillare in equilibrio lungo il bordo, con la paura di sbandare e di precipitare giù da un momento all’altro.
Aveva capito chi voleva diventare e non avrebbe mai più permesso, a nessuno, di mettere un’altra volta in discussione tutto il piccolo mondo che lei si portava dentro, con così tanta delicatezza e fragilità.

O almeno, questo era quello che Sophie pensava prima di incontrare quegli occhi.
Prima che una sfumatura di blu la facesse sentire nuda come il giorno in cui si era accorta di non avere più niente per cui vivere.
Prima che, nella sua vita, arrivasse l’uragano Louis.

Un uragano che tutto distrugge e nulla risparmia, trascinando con sé, nel suo vortice,pezzi rotti e consumati di una vita che ormai non aveva più nulla da dire.
Un uragano che non si fermò nemmeno di fronte a un cuore in via di guarigione, che ancora da solo non sapeva respirare; un cuore non ancora del tutto intero, che se andavi a sfregare le vecchie ferite sanguinava ancora un po’.
Un uragano che sapeva che non si può davvero cominciare a ricostruire qualcosa senza prima averla liberata da quello che in essa non stava più in piedi, che non funzionava più.

Un uragano che fu in grado di ripulire Sophie da tutto ciò che ancora le faceva male, da tutto ciò che la frenava e soprattutto dalla persona solitaria e malinconica che lei, ormai, non si meritava più di essere.

   
 
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