Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Cali F Jones    13/05/2013    3 recensioni
{Parigi, 1939}
Arthur Kirkland, di origini inglesi, vive a Parigi dove, insieme alla sorella Michelle e al cognato Francis, gestisce una piccola locanda. Un giorno il cognato si arruola per la legione straniera e Michelle, preoccupata per la sua incolumità, prega il fratello di seguirlo. Arthur cederà, sperando che, nel frattempo, la vita da legionario lo faccia guarire da una vecchia ferita d'amore.
Alfred F. Jones è un giovane americano da poco trasferitosi a Parigi, pieno di speranze, felicemente fidanzato con Natalia e in procinto di sposarla. Con questa promessa, Alfred si arruola nella legione straniera e casualmente conosce il fratello maggiore di Natalia, Ivan, fermamente contrario al matrimonio tra i due.
Le vite dei personaggi si incroceranno più volte e cambieranno radicalmente, mentre sullo sfondo imperversa la Seconda Guerra Mondiale.
Genere: Guerra, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Seychelles
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2
 

La luce filtrò delicata attraverso le tende di raso. Il sole si specchiava placidamente nel candore delle lenzuola appena smosse che delineavano la figura magra e sensuale di una donna. I lunghi capelli biondi, dalle sfumature argentee, riposavano sparsi sul cuscino, contornando il bel viso dai lineamenti completamente rilassati.
Emise un gemito di disappunto quando un raggio particolarmente fastidioso le fece strizzare gli occhi, disturbando il suo sonno pacifico. Si girò, portando con sé un lembo di lenzuolo e distendendo le braccia lungo il materasso. Fu solo in quell'istante che una strana sensazione la colse e la spinse ad aprire gli occhi: il letto, accanto a lei, giaceva vuoto. Che se ne fosse già andato? Sbattè le palpebre un paio di volte, mentre i contorni della stanza si delineavano uno alla volta davanti ai suoi occhi ancora impastati dal sonno. Facendo perno sulle braccia, si mise a sedere e, con le mani chiuse a pugno, si strofinò gli occhi per poi riuscire, con una certa lucidità, ad osservare meglio la stanza. Essa appariva come la sera precedente, quando lui era arrivato a casa sua, avevano bevuto insieme ed infine tutto si era risolto tra un bacio, una carezza e qualcosa di più tra quelle coperte.
Indossò velocemente una vestaglia color vaniglia e si avviò verso l'uscio della camera da letto. Nell'istante in cui passò accanto alla parte di materasso dove aveva dormito il suo amato, il suo profumo così intenso e caratteristico le invase le narici. Rimase qualche istante ad inebriarsi di quell'odore particolare che solo lui era in grado di emanare e, per un breve istante, un brivido le percorse la schiena. Fu un attimo in cui la serata precedente le si ripresentò davanti agli occhi: il corpo tonico e scultoreo dell'americano che la sovrastava, mentre le gocce di sudore gli imperlavano i pettorali, per poi scivolare sempre più un basso, verso il più dolce dei paradisi.
Dovette scuotere un paio di volte il capo, Natalia, per risvegliarsi da quell'idillio in cui il semplice odorare il profumo forte del ragazzo l'aveva fatta sprofondare.
Si incamminò con passo felpato nel corridoio, sbadigliando e tenendo la vestaglia chiusa a livello del seno con una mano. Un fischiettìo allegro risuonò dalla cucina, intonando una vecchia canzone del vaudeville.

 

Oh, shine on, shine on harvest moon, up in the sky;
I ain't had no lovin' since April, January, June or July.
Snow time ain't no time to stay outdoors and spoon,
So shine on, shine on harvest moon, for me and my gal.


«Imparerai mai una canzone che non sia cantata con quell'accento irritante?»
All'udire quella voce del tutto inaspettata alle proprie spalle, il giovane americano sobbalzò. Sorrise, però, non appena constatò che non si trattava d'altri che di Natalia.
Le si appropinquò con passo ciondolante e le lasciò un fuggevole bacio a fior di labbra. La ragazza aggrotò le sopracciglia, fingendosi quasi contrariata da quel contatto, ma percependo chiaramente il proprio cuore aumentare sproporzionatamente velocità dei battiti. Come faceva quell'idiota a fargli sempre quell'effetto? Quando Alfred si voltò nuovamente per tornare in cucina, ella si morse appena le labbra, come a voler gustarsi meglio il sapore di quelle di lui sulle proprie.
«Cosa stai facendo?» domandò, andando a sedersi al tavolo.
«Colazione, no? Sono uscito a prendere il pane fresco e il burro.»
Così dicendo, posò sulla tavola un piattino in ceramica con due fette di pane già imburrate. La ragazza ne prese una e, con una sorta di ritrosia, le diede un morso. Era tanto impegnata ad assaporare a pieno la morbidezza di quel pane che si accorse dopo diversi istanti che l'altro la osservava. Teneva la testa appoggiata contro un palmo e il gomito sul tavolo e un tenero sorriso gli increspava le labbra. Natalia distolse lo sguardo, ma puntualmente questo cadeva sui suoi grandi fari azzurri, limpidi e cristallini. La prima cosa che aveva visto in lui e che l'aveva fatta perdutamente innamorare.
Curioso come si fossero incontrati la prima volta. Lei era nata in Bielorussia e giunta in Francia in tenera età insieme al fratello maggiore che poi l'aveva abbandonata per arruolarsi in Legione Straniera. Non era più tornato, Ivan. Le mandava lettere, rassicurandola sulle proprie condizioni ed informandola della propria carriera militare che proseguiva con tutti gli onori.
Lei, rannicchiata in un angolo di una strada nella periferia di Parigi, ormai senza soldi, implorava i passanti di carità. E ad un tratto le si era piazzato davanti questo giovanotto, dal tipico accento yankee, che le aveva detto quanto la trovasse carina e che l'aveva invitata a bere qualcosa. Natalia era convinta di non aver mai ringraziato abbastanza Alfred per averla salvata e il suo carattere generalmente freddo e distaccato poco aiutavano questo genere di relazioni. Ma non passava giorno che lei non l'amasse. E l'amava davvero, con tutto il suo cuore.
«Hey, Nat.»
Il suo flusso di pensieri venne puntualmente interrotto dalla voce del ragazzo. Nat. Alfred adorava chiamare la gente per soprannomi. Natalia lo aveva sempre detestato. Eppure, a lui solo concedeva un onore simile.
Sollevò appena il capo, restando in silenzio ad attendere che l'altro parlasse.
«A te non piacciono le smancerie, vero?»
«Vero.»
«Bene, allora vediamo di fare in fretta.»
Lo sguardo ancora un poco assonnato della bielorussa divenne via via sempre più accigliato mentre seguiva l'americano che si era alzato, aveva frugato in un cassetto ed ora era inginocchiato davanti a lei. E ancora non smetteva di sorridere.
«Credo che se tuo fratello venisse a sapere che ti sto per chiedere una cosa del genere tornerebbe dalla Legione a cavallo di un dromedario solo per farmi fuori. Ahahahah!»
Fu un attimo in cui la sua risata tornò ad essere quel sorriso di cui tutti rimanevano abbagliati. Un sorriso sincero e genuino, come i sentimenti che egli stesso provava per la bella giovane.
«Nat, te lo chiederò senza troppe cerimonie, come piace a te: vuoi sposarmi?»
Nel preciso istante in cui quelle parole furono pronunciate, la ragazza sentì il proprio cuore fare una capriola nel petto, come se fosse in procinto di scoppiarle da un momento all'altro. Più sfumature di rosso si impadronirono del suo viso che poteva percepire chiaramente in fiamme. La voce le mancò e riuscì solamente a balbettare qualche sillaba confusa. Quella proposta giungeva alle sue orecchie del tutto inaspettata e fu solo dopo diversi istanti che si rese effettivamente conto di alcune lacrime che avevano preso a bagnarle le gote. Si nascose il volto nei palmi, cercando invano di trattenere quel pianto emozionato.
Alfred, ancora in ginocchio davanti a lei, la fissava mordendosi lievemente un labbro, indeciso sul come interpretare quella reazione. Era un sì o un no? Di certo l'americano non era il più esperto a leggere l'atmosfera o comprendere le persone senza l'uso delle parole e l'ansia e il dubbio di quegli istanti sembravano voler consumarlo lentamente.
Infine, fu lei ad alzare nuovamente lo sguardo, ancora annebbiato dalle lacrime, e, senza dire nulla, semplicemente annuì.
Il sorriso del ragazzo si ampliò, diventando più luminoso del solito, e subito egli gettò le braccia attorno alla vita magra della novella fidanzata, stringendola fortemente a sé ed appoggiando la testa sul suo grembo.
«Ti amo, Nat. Ti amo.»
La bielorussa aveva preso ad accarezzare i ciuffi biondi e disordinati di Alfred con amore e dedizione. Le sue labbra rimanevano ancora serrate, ancora incapaci di proferire parola dopo una tale sorpresa. Solo dopo circa un minuto di silenzio battuto dal ritmo incalzante dell'orologio a pendolo del salotto, parlò: «Shine on, shine on harvest moon, up in the sky...»
Intonò le prime note di quella canzone e presto le parole divennero più un mormorio confuso di chi conosce poco più della melodia. Subito pensò l'americano a riempire quel vuoto, proseguendo con quel ritornello ormai ben noto.
«Snow time ain't no time to stay outdoors and spoon...»
Aprì la scatoletta in velluto rosso che aveva preso poco prima dalla credenza, rivelando al suo interno un anello in argento, semplice, ma elegante. Una volta che ebbe infilato il filo argentato all'anulare della sua fidanzata, si rialzò, aiutandola a fare lo stesso e, trovandosi mano nella mano con lei, terminò quel dolce motivetto.
«...So shine on, shine on harvest moon, for me and my gal.»


«Ma si può sapere che stai aspettando? Vai da lei e chiediglielo!»
«Ti sei bevuto il cervello? È con i suoi genitori, suo padre mi ammazzerà se lo faccio davanti a lui.»
«E allora chiedile di uscire e quando sarete da soli le farai la proposta.»
«E se... e se fosse troppo presto? E se mi rifiutasse?»
«Mathias, quella se ne tornerà in Norvegia tra cinque giorni e non la vedrai più. È rimasta qui a Parigi per un anno, vi siete frequentati, tu la ami, lei ti ama. Cos'altro vuoi aspettare prima di farti avanti?»
La ragazza dai lunghi capelli biondi sedeva ad un tavolo appartato del locale, insieme al padre, alla madre e al fratellino che discutevano animatamente nella loro lingua madre i dettagli del viaggio che avrebbe dovuto riportarli a casa. Sin dal primo momento in cui aveva messo piede a Parigi e, più precisamente, in quella locanda, Astrid Bondevik, così si chiamava, aveva attratto su di sé l'attenzione di diversi pretendenti. Non si poteva dire che non fosse splendida: aveva capelli biondi, leggermente mossi sulle punte, perennemente pettinati con una cura ed un'impeccabilità uniche. I suoi occhi azzurri brillavano come due zaffiri e la sua pelle di porcellana assumeva un lieve colorito rosato a livello delle gote. Non era di certo un caso che molti giovanotti fossero caduti al fascino della bella norvegese. E il Signore solo sapeva quanti insulti ed epiteti poco cordiali il danese Mathias era riuscito ad attrarre su di sé, semplicemente facendosi ricambiare dalla suddetta Astrid. Ci aveva messo un po', in effetti, la ragazza ad abituarsi all'irruenza dell'altro, tuttavia, dopo un curioso incidente che coinvolgeva del ghiaccio, del ferro e la lingua del danese, ella aveva cominciato progressivamente ad apprezzare la sua compagnia, fino a quando entrambi non si dichiararono. Mathias amava Astrid e aveva già espresso al suo amico Alfred l'idea di chiederle di diventare sua moglie. Ed ora, seduti ad un tavolo della locanda, fissavano la giovane con malcelato interesse. Non ci mise molto, infatti, la norvegese ad accorgersi delle attenzioni che le venivano rivolte dal suo compagno e dal di lui amico e, nonostante la solita rigidità che la caratterizzava, si sforzò di lanciare loro un sorriso appena accennato.
«Andiamo, muovi il culo e vai da lei!»
Così dicendo l'americano afferrò l'amico per un polso, spingendolo ad alzarsi da suo posto e ad avviarsi verso il tavolo dove sedeva la famiglia Bondevik. Era Gunner Bondevik uno dei più noti e ricchi industriali della Norvegia. Mathias non aveva mai ben capito di cosa si occupasse di preciso, tuttavia non gli importava. Fin dal primo momento in cui era entrato in contatto con quella famiglia, a differenza di molti altri pretendenti, il suo unico pensiero era stato Astrid e il suo cuore e non il portafoglio del padre.
Si appropinquò al loro tavolo con fare leggermente indeciso e, una volta che anche i genitori della ragazza si furono accorti della sua presenza, li salutò con un inchino appena accennato, in una forma di rispetto. Infilò nervosamente le mani in tasca, rigirando tra le dita l'anello di fidanzamento. Quando avrebbe potuto darglielo? Di certo non lì, non davanti a tutte quelle persone, non davanti ai suoi genitori. Ancora immerso in questi pensieri, però, Mathias non si accorse del fratellino della ragazza che gli saltò letteralmente alla vita. Preso del tutto alla sprovvista, per afferrare il bambino prima che potesse cadere e farsi del male, il danese lasciò andare l'anello che cadde a terra con un tintinnìo. Non ci mise molto a realizzare la situazione e, preso dal panico, si gettò a terra per recuperarlo. Quando si rialzò, trionfante, con l'anello stretto in un pugno, incontrò lo sguardo perso e stranito di Astrid e un moto di vergogna si impadronì di lui. Che avesse notato l'anello? E adesso? Che cosa avrebbe dovuto fare?
Il danese si guardò attorno con fare esagitato e solo in un secondo momento si avvide del suo amico, ancora seduto al tavolo, che rideva sotto i baffi, facendogli cenno con una mano di farsi avanti una volta per tutte. D'altronde cos'altro aveva da perdere? Prese un ampio respiro, socchiudendo gli occhi, come a voler ricercare una concentrazione che, in mezzo alla confusione generale del locale mai sarebbe arrivata.
«Io... io programmavo di chiedertelo in un altro modo, ma ormai non credo ci sia momento migliore per farlo. Voglio dire, certo, un momento migliore ci potrebbe essere, in effetti avrei voluto essere da solo con te, non davanti a tutta questa gente, ma ci dobbiamo accontentare, no? E poi--»
In quel momento preciso, la ragazza scattò in piedi e pose la sua mano sulla bocca del danese, impedendogli di blaterare oltre.
«Papà, mamma, vogliate scusarmi.»
E, così dicendo, si affrettò verso l'uscita, trascinando con sé il ragazzo che, ancora confuso da quell'intera situazione, perseverava nel balbettare cose senza logica. Una volta che furono fuori dalla locanda, ella afferrò il colletto della camicia del danese e gli lanciò uno dei suoi sguardi più freddi e cinici, tipici di chi, dopo ore passate a discutere con un idiota, aveva ormai perso ogni briciolo di pazienza residua.
«Si può sapere che diavolo ti è preso? Farmi fare una figura del genere davanti ai miei genitori? Che cosa pensavi di fare? Non puoi venire qui e stare a fissarmi per un'ora con il tuo amichetto come due pervertiti e credere che i miei parenti non notino nulla! Dio, Mathias, sei così--»
«Vuoi sposarmi?»
La domanda arrivò come un fulmine a ciel sereno, interrompendo quel flusso insensato di parole ed epiteti che la norvegese gli stava letteralmente sputando addosso.
«C-cosa?»
«L'anello, Astrid. Quello che mi è caduto poco fa. È per te. Allora? Vuoi sposarmi?»
In quel momento, un fastidioso nodo si formò nella gola della ragazza, a livello delle corde vocali, impedendole di emettere qualsiasi suono che non fosse un farfugliamento inarticolato. La sua pelle, solitamente diafana, divenne di un rosso vivace, come le rose che sbocciavano in primavera, e Mathias non poté fare a meno di sorridere a quella vista. Le portò una mano al bel viso, accarezzandole delicatamente una guancia e scostandole appena un ciuffo biondo che le ricadeva sugli occhi.
«Sei bellissima quando arrossisci.»
«Stai zitto, stupido.»
E, con infinita lentezza, le loro labbra si unirono e si assaporarono, come il più dolce degli idilli, mentre all'interno della locanda un silenzioso brusìo nasceva e moriva tra chiacchiere e lacrime.

Françaises et Français!

Depuis le 1er septembre au lever du jour, la Pologne est victime de la plus brutale et de la plus cynique des agressions. Ses frontières ont été violées. Ses villes sont bombardées. Son armée résiste héroïquement à l’envahisseur.

En nous dressant contre la plus effroyable des tyrannies, en faisant honneur à notre parole, nous luttons pour défendre notre terre, nos foyers, nos libertés.


 

Note dell'autrice:

Secondo capitolo, eccomi qui. Anche con un giorno di anticipo. E poi provate a dire che non sono stata brava! Per il terzo capitolo spero di aggiornare entro martedì prossimo, ma non posso garantire, dato che dalla prossima settimana comincerò gli esami, quindi sarò parecchio impegnata. Ma ci provo, contateci!
Bene bene bene, in questo secondo capitolo ho voluto introdurre le storie di Alfred e Natalia e di Mathias e Astrid (Fem!Norvegia per chi non l'avesse capito). E Eirik sarebbe Islanda. Come vedete qui c'è molto fluff, addirittura due dichiarazioni (awwww ~) e spero vi sia piaciuto, nonostante la dose massiccia di insulina che vi siete dovuti iniettare.
La canzone che canta Alfred è “Shine on, Harvest Moon”, una canzone del vaudeville del 1908 di Nora Bayes e Jack Norwoth. Ho scelto proprio quella canzone perché nel film “I diavoli volanti” -da cui ho preso ispirazione per questa fanfiction- Ollio la canta quando lui e Stanlio se ne stanno andando dalla legione straniera. Questa canzone la sentite solamente nella versione originale in inglese, in quella italiana -che personalmente preferisco mille volte a quella originale- la canzone che canta è “A Zonzo” di Ernesto Bonino.
Come con il primo capitolo, qui di seguito scrivo la traduzione dell'ultima parte di testo in francese.
And the last but not the least, volevo ringraziare tutti voi che avete letto, inserito tra le preferite/seguite questa storia e in particolare SnowBlizard, Faint e LiberTea per aver recensito il primo capitolo. Grazie davvero a tutte voi per tutti i complimenti che mi fate e che mi fanno andare letteralmente in brodo di giuggiole ♥ Grazie. Spero di non avervi deluso con questo secondo capitolo.
Alla prossima ~

Cali.
 

Traduzione:

Françaises et Français!
Depuis le 1er septembre au lever du jour, la Pologne est victime de la plus brutale et de la plus cynique des agressions. Ses frontières ont été violées. Ses villes sont bombardées. Son armée résiste héroïquement à l’envahisseur.
En nous dressant contre la plus effroyable des tyrannies, en faisant honneur à notre parole, nous luttons pour défendre notre terre, nos foyers, nos libertés.

Uomini e donne francesi!
Il primo settembre, al levare del giorno, la Polonia è stata vittima della più brutale e cinica delle aggressioni. Le sue frontiere sono state violate. Le sue città bombardate. Il suo esercito resiste eroicamente all'invasore.
Ergendoci contro la più terribile delle tirannie, facendo onore al nostro popolo, noi lottiamo per difendere la nostra terra, i nostri focolari, le nostre libertà.

  
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