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Autore: Smeralda Elesar    13/05/2013    3 recensioni
"I Miserabili" ambientato nel XXI secolo: Durante la rivolta delle Banlieue dell'ottobre/novembre 2005 il latitante Jean Valjean raggiunge i quartieri della sommossa per proteggere Marie Pontmercy, la fidanzata della sua figlia adottiva Cosette, e lì incontra l'unico uomo in grado di riconoscerlo e denunciarlo, l'Ispettore Javert. Contro ogni logica e contro ogni legge Valjean e Javert si trovano legati da qualcosa di più che una caccia all'uomo nei sobborghi di Parigi o dal loro passato di guardia carceraria e di detenuto. Riusciranno a gestire questa strana situazione?
AVVISO: Capitolo 5 completamente riscritto.
Genere: Angst, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Liberté

 

31 ottobre 1990, Digne

 

Jean Valjean non ricordava di aver mai pianto in quel modo.

In ginocchio mezzo alla strada, sotto la pioggia autunnale che lo infradiciava fino alle ossa, i singhiozzi gli scuotevano le spalle e gli graffiavano la gola, e poi c’era il dolore. Un dolore così straziante che Valjean non credeva neanche potesse esistere.

Perché doveva essere tutto così dannatamente complicato? Perché quel maledetto prete si era immischiato nella sua vita?

Avesse potuto tornare indietro avrebbe scelto di essere riportato in prigione piuttosto che mettere piede in quella casa! Eppure lui lo sapeva, mai fidarsi di un prete, mai, quella gente in tonaca porta solo un mucchio di rogne!

Fino a quel momento la sua vita era stata cosi meravigliosamente semplice…

Lui rubava, la gente si incazzava con lui, lui rivendeva quello che era riuscito ad arraffare fregandosene del fatto che loro si erano incazzati e l’unica sua preoccupazione era stata sfuggire alla polizia le poche volte che era stato beccato.

Solo una volta lo aveva tradito un taglio sul braccio che si era fatto perché non aveva potuto fare il suo solito lavoro pulito ed aveva dovuto spaccare il vetro, ed era stato quello che gli era costato un paio di anni di galera a Tolone.

Gli anni sarebbero stati solo due, ma lui continuava a piantare grane, così alla fine gli anni per i problemi che aveva creato erano più di quelli della condanna originale.

Finché non era riuscito ad evadere.

Neanche lui si aspettava più che gli riuscisse, e invece alla fine ce l’aveva fatta.

Credeva di poter tornare alla sua vita di sempre, magari riallacciano un paio di contatti di quelli giusti e con l’aiuto di qualche amico che ritoccava carte di identità e patenti di guida… e quel prete della malora aveva rovinato tutto!

Perdonarlo! Che razza di idiozia!

A Valjean erano capitate tante cose perché era un ladro, era stato odiato, insultato, disprezzato, una volta persino picchiato, ma mai, mai nella sua vita gli era successo di essere perdonato, neanche da sua madre quando le fregava il resto della spesa.

Se solo avesse lasciato perdere quelle cavolo di posate d’argento!

Sapeva che era strafare, la prudenza gli consigliava di starsene buono e di allontanarsi ancora un po’ da Tolone prima di tentare qualche colpo, ma alla fine non aveva saputo resistere.

L’ebrezza di sentirsi di nuovo in gioco, la possibilità di un colpo così facile in una casa con solo un vecchio prete ed una governante mezza sorda, la convinzione che rubare ad un prete in realtà non fosse neanche rubare perché quella gente sono solo parassiti della società, e poi l’argenteria che doveva avere valore anche come antiquariato… insomma, non aveva avuto pace finché non si era alzato dal letto e non aveva ripulito l’armadietto dove erano custodite le posate.

Per uscire era stato anche troppo facile visto che la porta non era chiusa a chiave, ma già là aveva fatto il suo primo errore: passando in fretta con lo zaino aveva fatto cadere un vaso che si era spaccato a terra con uno schianto da infarto.

Maledizione, ma perché quell’imbecille di prete non usava i vasi di plastica come tutte le persone normali?!

Quando aveva visto accendersi la luce al primo piano, in quella che doveva essere la camera del prete, Valjean aveva fatto il suo secondo errore: si era fatto prendere dal panico ed era scappato quando invece sarebbe stato più prudente acquattarsi nell’angolo in ombra del giardino.

Se fosse rimasto fermo e zitto invece di correre verso il cancello e scavalcarlo senza prima guardare cosa c’era dall’altra parte, non sarebbe mai stato illuminato in pieno dai fari di un auto della polizia di pattuglia quella notte.

Non ci aveva neanche provato a discolparsi né aveva lottato mentre lo ammanettavano.

Il pensiero di tornare in prigione lo teneva inchiodato.

 

:-Cosa sta succedendo?-:

 

Valjean aveva alzato gli occhi solo quando aveva sentito la voce del prete.

 

:-Monsignor Bienvenu… abbiamo appena arrestato questo ladro che fuggiva con la vostra argenteria-:

 

Era rimasto immobile.

Monsignore?! Se aveva rubato ad un vescovo stavolta l’aveva fatta troppo grossa per sperare di cavarsela con soli due anni! Però avrebbe avuto la soddisfazione di poter dire “Sono Jean Valjean, e sapete perché sono in galera? Perché ho rubato ad uno che si arricchisce facendo segni nell’aria!”

Era rimasto a testa alta ad ascoltare le parole che lo avrebbero di nuovo condannato.

 

 :-Cosa? Questo…? Ah, capisco… mi dispiace, signori, ma avete sbagliato-:

 

Valjean lo aveva guardato strano.

Il prete, vescovo, monsignore o quello che era non gli era sembrato tanto fuori di testa la sera prima… e allora perché stava dicendo tutte quelle fesserie che lui era un suo caro amico a cui aveva affidato il compito di rivendere l’argenteria, che era uscito di notte perché doveva rispettare una serie di coincidenze di autobus e che stava scavalcando il cancello perché aveva dimenticato dove fossero le chiavi per aprirlo e certo non aveva voluto svegliare un povero vecchio che dormiva.

Man mano che si rendeva conto che il prete… no, vescovo… lo stava coprendo, la sua espressione di sfida era scomparsa, sostituita da un disagio indefinito.

Quando gli sbirri lo avevano liberato non osava neanche respirare.

 

:-Bene, io rientrerò in casa prima di prendermi un malanno con quest’aria umida qui fuori-:

 

Aveva detto il vescovo.

Valjean aveva sentito dentro di se qualcosa che lo costringeva a muoversi.

 

:-Aspettate! Il vostro argento-:

 

Gli aveva teso lo zaino senza avere il coraggio di guardarlo in faccia.

 

:-Oh, quasi me ne dimenticavo! No, tenetelo, questo argento appartiene a voi. Non ne avete voi più bisogno di me? E allora è vostro di diritto, diciamo che semplicemente lo avete preso senza avvertirmi. Non preoccupatevi, vi ho già perdonato perché mi avete promesso di usare questo argento per diventare un uomo onesto. E poi la galera non deve essere un posto piacevole… non è vero, Jean Valjean?-:

 

Valjean lo aveva guardato con occhi sgranati.

Lo stupore per essere stato chiamato con il suo vero nome non gli aveva fatto notare che lui non aveva promesso proprio niente.

 

:-Voi… voi sapevate chi ero? Vi avevo dato un nome falso e voi non avete detto nulla, sapevate che sono un evaso e non avete chiamato la polizia ieri sera, non avete… non avete…-:

 

Il vescovo gli aveva messo le mani sulle spalle e lo aveva guardato negli occhi nonostante lui facesse di tutto per sfuggire al suo sguardo.

 

:-Io non voglio farvi soffrire più di quanto già sicuramente avete sofferto, fratello mio-:

 

Valjean aveva cominciato a tremare.

Quell’uomo aveva tenuto in mano la sua vita e, pur avendo la possibilità di rovinargliela, gliel’aveva restituita intatta.

Non sapeva bene cosa provava in quel momento.

Provava l’impulso di picchiare quell’uomo e allo stesso tempo quello di inginocchiarsi davanti a lui.

 

:-Fatemi arrestare!-:

 

Aveva gridato infine come una supplica.

Il vescovo aveva semplicemente scosso la testa, poi si era girato per rientrare in casa.

 

:-Il vostro argento…-:

 

Aveva tentato di nuovo Valjean disperato.

Il vescovo si era voltato un attimo, prima di richiudere la porta.

 

:-No, no, vi ho già detto che adesso è vostro. In verità mi dispiace più per il mio povero vaso di peonie-:

 

Il vescovo era rientrato in casa e lo aveva lasciato libero di andare dove voleva… ma lui dove voleva andare? Aveva fatto solo pochi passi fuori dal cancello quando le vertigini erano diventate troppo forti e lui era crollato sul marciapiede gelido con la testa tra le mani.

 Così adesso Jean Valjean si trovava in ginocchio a rantolare come un animale ferito.

Neanche sapeva quando era che aveva iniziato a piovere o quando lui aveva iniziato a piangere.

“Perdono” era quella la parola che gli stava lacerando le viscere.

Valjean non capiva… aveva sentito dire che il perdono era un atto di amore… e allora perché faceva così dannatamente male?

Forse perché lui vi si stava ribellando? Ma non poteva accettare di essere perdonato! Accettare il perdono voleva dire ammettere la colpa e Valjean non voleva assolutamente riconoscere di essere colpevole di qualcosa.

Tremava, di freddo e di paura, mentre si stringeva inutilmente le braccia intorno al corpo e la pioggia gli sferzava la nuca con aghi di ghiaccio, che poi gli scorrevano lungo la spina dorsale.

Perché? Perché quell’uomo non lo aveva voluto fare arrestare? Perché aveva coperto il suo crimine? Davvero il suo unico scopo era stato non farlo soffrire? Perché? Perché un estraneo avrebbe dovuto preoccuparsi di alleviare il suo dolore?

Gli tornava in mente ogni gesto gentile che il vescovo aveva fatto per lui quella sera ed ognuno era una coltellata.

Il vescovo sapeva chi era… ed ugualmente lo aveva accolto!

Gli aveva riservato ospitalità e vera comprensione quando lo aveva visto debole ed indifeso, mentre chiunque altro lo avrebbe immediatamente scacciato o trattenuto con l’inganno per chiamare la polizia.

Oh, quell’uomo lo aveva fatto sentire così al sicuro, come aveva potuto fargli una cosa tanto vigliacca?!

Improvvisamente capì cosa era che lo stava facendo soffrire tanto! Non era il perdono ricevuto, erano la vergogna ed il senso di colpa per quello che aveva fatto!

Si sentiva un verme!

Per la prima volta da quando era ladro, Valjean si vergognava di esserlo.

Si rendeva conto che non era stata tanto la necessità a spingerlo a rubare, quello era solo un alibi che lui si creava, il vero motivo era che ottenere le cose rubandole era più facile, e se le grida rabbiose contro di lui non avevano avuto altro effetto che quello di renderlo fiero di se e del suo vivere fuori dall’ordine “borghese”, le parole gentili del vescovo lo avevano costretto per la prima volta a confrontarsi con se stesso.

C’era davvero un altro modo di vivere? Senza odio, senza inganno, senza meschinità? Sì, c’era, Valjean ne aveva appena avuto la prova.

Aveva sempre creduto che le persone si comportassero le une con le altre in base a quello che ricevevano, “niente per niente” insomma, invece l’ospitalità del vescovo che non gli aveva chiesto in cambio nulla ed ancora di più quel momento di vertigine in cui gli aveva detto “vi ho già perdonato” distruggevano tutto l’equilibrio su cui si reggeva il mondo di Jean Valjean.

Più pensava alla generosità che lo aveva toccato più si sentiva un essere squallido, ed i suoi singhiozzi diventavano più violenti. Le sue spalle, le più forti della Francia qualcuno le aveva definite, erano state piegate con una carezza.

C’era un modo di alleviare quel tormento? Forse accettare il perdono? Confessare la sua colpa e lasciare che fosse la pietà a lavare via quello che aveva fatto? Era difficile… era impossibile per lui, orgoglioso come era, trovare la forza di essere debole e mettersi volontariamente a testa bassa a chiedere misericordia.

Eppure sapeva che se non lo avesse fatto la sua vita sarebbe stata avvelenata per sempre.

O cedeva in quel momento o avrebbe perso per sempre la possibilità di riscattarsi.

Le lacrime continuavano a scorrere calde anche dopo che aveva chiuso gli occhi.

Gli tornava in mente ancora una volta tutta la gentilezza del vescovo nei suoi confronti, il suo sorriso bonario, come lo aveva fatto sentire protetto quando gli aveva detto “qui potrete riposare da tutte le vostre fatiche”… perché lui sapeva! Sapeva che era un evaso, ma invece di guardare alle sue colpe aveva guardato quanto era spaventato di essere scoperto ed essere riportato in prigione… lo aveva chiamato fratello! Subito dopo che lui aveva rubato nella casa che lo aveva ospitato!

Quell’uomo, il vescovo, aveva ricambiato un’azione spregevole con un atto di carità.

Valjean si sentiva schiacciato.

 

:-E va bene!-: aveva gridato infine nella notte, con il viso inondato di lacrime e pioggia :-Va bene! Sono un miserabile!-:

 

Dopo averlo ammesso a voce alta si era sentito meglio.

Allora era quella la cosa giusta da fare?

Aveva parlato a se stesso senza curarsi di essere preso per pazzo se lo avesse visto qualcuno.

 

:-Va bene, va bene, prometto che cambierò vita… davvero… io… io prometto che diventerò un uomo onesto…-:

 

Se glielo avessero detto solo il giorno prima che si sarebbe trovato a balbettare in ginocchio di rinunciare ad essere un ladro…

 

 :-Prometto che ripagherò il mio debito, prometto che sarò generoso ogni volta che potrò… come il vescovo è stato generoso con me… lo prometto…-:

 

La sua voce era appena un sussurro.

Si era rialzato ancora tremante e si era incamminato per le strade bagnate, portando lo zaino pieno di argenteria con un timore reverenziale che non aveva mai provato prima.

 

“Probabilmente è ora che comincia la parte difficile” Aveva pensato.

Come diavolo si faceva ad essere onesti?

Non ne aveva la minima idea, ma avrebbe dovuto trovare il modo perché, dopo aver accettato il perdono, non poteva più essere lo stesso uomo che era stato fino a quel giorno.

Voleva cambiare davvero, non voleva più essere un ladro, e non per paura di finire di nuovo in galera, ma per dimostrare di essere degno della fiducia che il vescovo gli aveva concesso.

Alla fine un momento di compassione era riuscito dove anni di punizioni avevano fallito.

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Novembre/Dicembre 2005, Numero 7 Rue de l’Homme-Armé

 

 

E così alla fine Javert era rimasto.

Era rimasto perché, per quanto il suo orgoglio si ribellasse all’idea, in quel momento Jean Valjean era l’unico punto fermo della sua vita mentre il resto era un caotico cumulo di macerie.

I primi giorni erano stati decisamente travagliati per l’Ispettore, diviso tra la coscienza di dover tornare prima o poi al proprio dovere, la certezza di aver tradito tutti i suoi principi, l’attrazione sempre più forte che provava verso Valjean, e la convinzione che quell’attrazione fosse solo una specie di capriccio della natura.

Decine di volte al giorno aveva considerato seriamente l’idea di affrontare Valjean e dirgli che finiva tutto lì, che non aveva intenzione di costruire nulla con lui, che mai un poliziotto avrebbe mischiato la sua vita da uomo onesto a quella di un ladro latitante, poi però, al momento decisivo, si scopriva incapace di troncare quel rapporto.

Gli tornava in mente il calore confortante che trovava ogni sera tra le braccia di Valjean, il suo sorriso, a volte malizioso ma più spesso comprensivo, le piccole attenzioni che gli riservava durante la giornata, ed alla fine non ne aveva la forza.

Dopo la prima mattina in cui ancora una volta era sembrato dovesse accadere chissà cosa e invece alla fine non era successo, Javert non aveva più osato tentare nessun approccio e rimaneva ad aspettare, diviso tra la speranza ed il timore, che fosse Valjean a fare la prima mossa: qualsiasi cosa gli andava bene, un braccio intorno alle spalle, un bacio sulla tempia, un rapido sfiorarsi di labbra, e la accoglieva con un misto di trepidazione e senso di colpa.

Dal canto suo Valjean, dopo quella prima mattina, aveva tentato approcci molto più leggeri, forse spaventato a sua volta dalla reazione quando gli aveva chiesto il nome, ed  in ogni caso non era mai invadente.

Sembrava capire perfettamente il bisogno di Javert di starsene un po’ per conto suo a cercare di mettere ordine nei suoi pensieri e lo rispettava.

Valjean sembrava possedere uno strano sesto senso per cui era sempre presente per regalargli un gesto affettuoso nei momenti in cui Javert si sentiva spaesato o insicuro, e per stargli fuori dai piedi nei momenti in cui rischiava di infastidirlo.

Il risultato di queste attenzioni discrete era stato che Javert lentamente, molto lentamente, aveva cominciato a sentire meno i sensi di colpa ed a permettere a se stesso di provare sensazioni piacevoli.

Anche in casa all’inizio Javert si era mosso cauto come un lupo che esplora un nuovo territorio cercando di non lasciare traccia di se, poi, pian piano, aveva cominciato a muoversi con sempre maggiore disinvoltura.

Come se cominciasse davvero a considerare quella casa come sua.

Per quanto riguardava la sua sistemazione notturna era sempre nel letto di Valjean, possibilmente tra le sue braccia, e se la cosa spesso lo imbarazzava, era altrettanto spesso consapevole di non poterne più fare a meno.

 

:-Perché dai per scontato che io dorma con te?-:

 

Gli aveva chiesto una sera prima di stendersi.

 

:-E dove altro vorresti dormire?-:

 

Javert aveva dovuto mordersi le labbra per non rispondere “Da nessun’altra parte”

 

Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato a non addormentarsi abbracciato a Valjean!

Ogni sera Javert si riprometteva di non cascarci, di mettersi a letto e basta, finita lì, ma poi Valjean lo guardava in quel modo, faceva quel gesto di invito ed era la fine: Javert si sentiva immediatamente debole come un cucciolo ed era l’istinto a rispondere per lui, spingendolo in quel rifugio.

:-Perché? Perché fai questo, Jean Valjean? Qual è il tuo scopo?-:

 

:-Solo farti stare bene-:

 

:-Ah. Ed io… perché te lo lascio fare?-:

 

:-Non saprei… forse perché stai bene?-:

 

Centro perfetto. Stava bene. Non avrebbe dovuto ed invece ci stava benissimo.

Così bene che al mattino, quando si svegliava, scopriva sempre di aver dormito di un sonno profondo e pieno che lo aveva completamente rilassato, e che era felice di trovare accanto a se Jean Valjean.

 

:-Dimmi la verità. Quando mi hai chiesto di venire a vivere qui con te lo hai fatto perché credevi  che… che…-:

 

:-Puoi dirlo: avevo il terrore che avresti di nuovo tentato di suicidarti per colpa mia, sì. Non me lo sarei mai perdonato-:

 

:-Tanto per tranquillizzarti… sappi che adesso non lo rifarei-:

 

Quella era stata l’unica volta che avevano speso poche parole sul suo tentativo di suicidio, poi Javert non ne aveva più parlato e Valjean non aveva voluto forzarlo.

Un'altra cosa a cui avrebbe tanto voluto saper resistere era, come aveva detto Valjean, “amoreggiare come due adolescenti inesperti”.

La parte più difficile era stata scoprire ed accettare l’idea che in un rapporto a due il piacere fisico era qualcosa di reciproco. Javert all’inizio aveva accettato le carezze di Valjean come qualcosa di ineluttabile che soddisfaceva il suo corpo, ma era convinto che presto avrebbero richiesto come prezzo una uguale dose di dolore che lui, pur essendo pronto a pagarlo, temeva.

Tuttavia gli stimoli piacevoli si erano susseguiti ed il dolore non era mai arrivato, così, dopo le prime volte, Javert aveva capito come funzionava: era come l’abbraccio della sera in cui l’unico scopo di Valjean era farlo stare bene, e lui non doveva pagare nessun prezzo per quello.

Quando lo aveva capito aveva provato una strana vertigine, e siccome non trovava le parole per spiegare cosa gli stava succedendo, non aveva saputo fare di meglio che stringere Valjean e premergli un bacio tremante sulle labbra semiaperte per la sorpresa.

Ogni tanto gli capitava di lasciarsi andare e di comportarsi come la prima sera che si era presentato in Rue de l’Homme-Armé, come chiedendo di essere posseduto senza riguardo, allora Valjean si fermava, lo calmava parlandogli piano e accarezzandogli i capelli, finché lui non si rilassava e magari si addormentava cullato da un dolce senso di sicurezza.

In questo modo Valjean, lentamente, gli stava insegnando ad avere rispetto per se stesso, e Javert si rendeva vagamente conto che aveva superato un ostacolo nella sua vita quando aveva ammesso di non dover rendere conto a nessuno delle le emozioni positive che provava, ed ancora una volta doveva ringraziare Valjean che gli stava facendo capire che era un suo diritto essere felice indipendentemente da quanto poteva offrire in cambio.

Man mano che si abituava a questa idea si sentiva più libero. Non era più in quel perenne stato di sorveglianza su se stesso, sentiva di potere parlare liberamente, esprimersi liberamente, quasi respirare più liberamente.

Si sentiva come se Valjean lo stesse prendendo per mano per aiutarlo a muovere i primi passi in un mondo completamente nuovo in cui lui acquisiva di giorno in giorno una strana sensazione: essere libero di esistere.

All’inizio schivo e guardingo, Javert aveva prima dovuto imparare a riconoscere la tenerezza, poi aveva dovuto imparare a non rifiutarla come se fosse una vergognosa manifestazione di debolezza, e solo dopo molto tempo fu in grado di accettare senza imbarazzo quella che Valjean gli porgeva.

La verità era che se ne sentiva irresistibilmente attratto.

All’inizio tutta quella premura lo aveva spaventato perché non capiva neanche cosa fosse, poi però da qualche parte dentro di lui qualcosa aveva iniziato a rispondere.

Era come se, tra una miriade di fibre di acciaio di cui era formato il suo cuore, ce ne fosse una sola ancora fragile e delicata, che si tendeva bisognosa verso la minima manifestazione d’affetto.

Assolutamente inqualificabile! L’Ispettore di primo grado Javert che era incapace di opporsi alle coccole di un ladro latitante!

In ogni caso c’era un altro motivo di disagio: si vergognava tantissimo perché la sua vita sessuale stava cominciando a quarantasette anni e lo faceva morire di imbarazzo il fatto di rispondere agli stimoli come un adolescente ma con un corpo di uomo adulto.

Tutto questo finché non si era accorto che Valjean era indietro almeno quanto lui da quel punto di vista, che spesso le allusioni maliziose lo facevano arrossire e che toccarlo in certi punti lo portava a fare versi più decisamente più acuti di quanto ci si sarebbe aspettato da un uomo come lui.

I dieci giorni di congedo per motivi di salute che gli restavano erano passati troppo in fretta fino al sedici di Dicembre e Javert si era trovato davanti ad un dilemma esistenziale: doveva tornare al lavoro? E come faceva con Valjean? Non poteva fare il poliziotto e convivere con un latitante! Ma appena solo pensava di troncare tutto, tornare al suo dovere ed abbandonare per sempre il prigioniero 24601 qualcosa dentro di lui urlava di dolore.

Alla fine trovò un compromesso: prese due mesi di aspettativa, così non avrebbe dovuto lasciare definitivamente né la polizia né Valjean, e nel frattempo avrebbe avuto il tempo per riflettere per bene su cosa voleva davvero.

 

:-Davvero hai preso l’aspettativa… per me?-:

 

Gli aveva chiesto quell’impiastro con gli occhi lucidi ed un sorriso commosso.

 

:-Ho preso l’aspettativa per “motivi di famiglia”. Che mi sembra… appropriato-:

 

Valjean lo aveva baciato con foga.

 

A proposito di famiglia, un problema particolarmente difficile da affrontare per Javert era stata Cosette.

 

:-Sai, adesso è da quasi due settimane che viviamo insieme, credo che sia il momento di presentarti mia figlia-:

 

Gli aveva detto Valjean una mattina.

 

:-No, per favore! Tu lo sai come mi sono comportato con sua madre. Non riuscirei neanche a guardarla in faccia!-:

 

Valjean lo aveva costretto a guardarlo negli occhi.

 

:-Dimmi la verità, Ispettore, tu ti senti in colpa per quella donna?-:

 

Sì, si sentiva maledettamente in colpa per avere trattato male una madre che cercava solo di dare da mangiare alla sua bambina!

Ma non era riuscito a dirlo a voce alta, aveva solo potuto annuire.

 

:-Ispettore… credi che chiedere scusa a sua figlia potrebbe farti sentire meglio?-:

 

A quello non aveva pensato.

 

:-Credi davvero che potrei?-:

 

:-Ma certo che puoi! È la parte migliore di te, quella che sa riconoscere i suoi errori. Chiedi scusa a Cosette se ti senti di farlo. Ah, a proposito, il suo vero nome è Euphrasie, Cosette è solo un soprannome-:

 

Qualche giorno dopo Javert era in salotto in piedi davanti alla ragazza bionda, ancora una volta a testa bassa, a dire :-Mademoiselle Euphrasie, vi prego di accettare le mie scuse-:

 

Ovviamente non le aveva detto che sua madre era una prostituta, ma era stato assolutamente sincero nel dire che l’aveva giudicata male, in un modo meschino e superficiale.

 

:-Accetto le vostre scuse, Ispettore… e per favore, chiamatemi anche voi Cosette come fanno tutti in famiglia-:

 

Javert aveva sentito il suo cuore perdere un battito… come tutti in famiglia! Quindi lui era parte di una famiglia…

 

Cosette era stata decisamente adorabile… l’incontro con Marie invece era stato molto più burrascoso!

 

:-A proposito, oggi pomeriggio vengono Cosette e Marie, quindi stamattina non posso prendere impegni perché devo fare i biscotti-:

 

A Javert era andato il pane imburrato della colazione di traverso.

 

:-Tu… tu fai i biscotti?!-:

 

:-Eh, sì, faccio i biscotti per mia figlia-:

 

Gli raccontò che una volta, quando Cosette aveva tredici anni, era tornata a casa in lacrime perché la scuola avrebbe organizzato la “fiera del dolce” nel fine settimana e le mamme degli altri bambini avrebbero preparato dei dolci.

Cosette non aveva una mamma che sapeva preparare i biscotti che lei avrebbe voluto portare alla fiera, ma Valjean non sopportava che la sua piccola si sentisse diversa dagli altri, così aveva fatto una settimana di prove mentre lei era a scuola, aveva impastato chili di pastafrolla per bruciarla o tirarla fuori dal forno con la consistenza del calcestruzzo, aveva ridotto la cucina in uno stato disastroso per poi pulire in fretta prima che Cosette tornasse e si accorgesse che i suoi tentativi erano uno peggiore dell’altro, ed aveva incassato in silenzio i rimproveri della vicina perché le appestava il pianerottolo con la puzza di bruciato, finché non era stato in grado di preparare dei biscotti che non rompevano i denti e non sapevano di burro rancido, e Cosette aveva potuto portare orgogliosa  il suo bravo vassoio di dolci come tutti gli altri.

Javert era senza parole.

Riuscì solo a borbottare delle scuse imbarazzate quando Valjean gli propose di aiutarlo ad impastare uova, burro e farina.

Va bene, lui stava cambiando, ma c’era un limite a tutto!

Nel pomeriggio Javert era nervosissimo all’idea di rincontrare Marie Pontmercy, ossia quella che lui considerava ancora una pazza esaltata.

Personalmente la detestava perché rappresentava uno degli smacchi peggiori della sua carriera e del suo orgoglio virile: era stata quella minuscola ragazzetta che pesava poco più della metà di lui a rifilargli il micidiale destro alla mascella che lo aveva messo KO quella sera delle Banlieue.

Però Marie era la fidanzata della figlia di Valjean, quindi trattare male Mademoiselle Pontmercy voleva dire trattare male Cosette, che d’altra parte era stata tanto gentile con lui, e trattare male Cosette voleva dire trattare male Valjean, cosa che gli riusciva assolutamente intollerabile.

Per i primi cinque secondi l’incontro era andato bene, perché Marie, seduta assolutamente composta nel salotto, gli aveva detto che gli dispiaceva di averlo colpito… poi però aveva aggiunto che di solito lei “non infieriva su chi considerava più debole” allora Javert si era sentito punto e gli era scappato che era a lei che le era andata bene solo perché lui non aveva voluto combattere contro una donna.

Errore, grosso errore!

Marie non sopportava questi discorsi sessisti, e glielo aveva fatto capire chiaramente cominciando a parlare a raffica con toni da parecchi decibel su quanto lo riteneva gretto, retrogrado, perbenista, di mentalità piccolo-borghese, e “fascista come tutti gli uomini in divisa”.

Questo era stato davvero troppo! Javert non tollerava che si criticasse il suo appartenere alla polizia, soprattutto non tollerava che gli si desse del fascista perché lui aveva il massimo rispetto per la divisa che aveva portato per venticinque anni e, sebbene Valjean avesse messo in discussione alcune delle sue convinzioni, altre erano ancora bene impresse dentro di lui, ed in quel momento doveva assolutamente difenderle contro quella piccola arrogante!

 

:-Bene, papà, andiamo a mettere su l’acqua per il thè-:

 

Aveva detto ad un certo punto Cosette in tono pratico.

 

:-Ma Cosette… e loro?-:

 

:-Oh, bè… lasciamoli a fare amicizia-:

 

Non appena Cosette e Valjean erano usciti i toni della discussione si erano alzati ancora di più e dopo due minuti entrambi urlavano per sovrastare la voce dell’altro.

 

:-Non fossimo in casa di Monsieur Fauchelevent avresti già la faccia gonfia dall’altro lato, lo sai, “signor Ispettore”?-:

 

Javert si era bloccato un attimo interdetto.

 

:-Ah… quindi tu non mi prendi a pugni perché rispetti il fatto di essere in casa di un’altra persona? Lo sai… questo è esattamente il motivo per cui io non ti ho già riempito la faccia di schiaffi-:

 

:-Allora almeno su una cosa siamo d’accordo… hei! Hai detto riempirmi la faccia di schiaffi?!-:

 

Dopo aver trovato quel punto di contatto nel rispetto per il padre di Cosette avevano stabilito una tregua, e Javert credeva che il resto del pomeriggio sarebbe potuto passare tranquillo… se solo Marie non si fosse messa a spiegare nel dettaglio la sua campagna di sensibilizzazione  sull’importanza dell’uso del condom!

 

:-Allora? Che te ne pare di Marie?-:

 

Gli aveva chiesto Valjean appena le due ragazze se ne erano andate.

Javert non si era proprio potuto trattenere.

 

:-La tua genera è completamente fuori di testa!-:

 

Valjean era scoppiato a ridere.

 

:-Già… lo credo anche io!-:

 

Intanto si avvicinava Natale, ed una sera Javert era in piedi davanti la portafinestra del salone a considerare che quello era il primo in tanti anni che lui non faceva il turno del venticinque dicembre o della vigilia alla Centrale di Polizia.

Si offriva sempre volontario per coprire i festivi perché i suoi colleghi litigavano per averli liberi, per passarli con le famiglie, lui arrivava e diceva “Ci sono problemi per questo giorno? Mettete me” e li guardava dall’alto in basso perché era orgoglioso di restare a fare il proprio dovere mentre tutti gli altri cercavano di scansarsi.

Solo ora si rendeva conto che, nel disprezzarli, in realtà li aveva invidiati perché loro avevano una vita ed una famiglia fuori dall’ufficio, e lui invece non aveva niente e nessuno.

Si guardò negli occhi approfittando che il contrasto con l’oscurità fuori rendeva il vetro simile ad uno specchio.

Era cambiato, non poteva negarlo a se stesso.

Si vedeva diverso, si sentiva diverso.

Non aveva più le sopracciglia corrugare né la mascella perennemente contratta, anche i suoi occhi verdi sembravano più limpidi.

Dentro di se invece il cambiamento che più lo sorprendeva era che stava imparando a perdonarsi.

Prima di incontrare Valjean era sempre stato spietato con se stesso, sempre pronto a darsi addosso al minimo errore e a condannarsi senza sconti di pena, ora invece suo malgrado, aveva cominciato ad assorbire la filosofia di vita di Valjean: “Hai fatto un errore? Chiedi scusa e cerca di rimediare piuttosto che punirti, perché in fin dei conti la punizione non è utile a nessuno”.

Perdonare se stesso… per cosa? Per essersi innamorato? Più tempo passava più si accorgeva che i motivi per amare Valjean gli sembravano sempre più forti, mentre quelli per respingerlo diventavano sempre più inconsistenti.

Più di tutto lo meravigliava quello che Valjean aveva fatto con lui.

Non solo salvargli la vita, più di tutto lo aveva raccolto quando lui ormai si era gettato via, gli aveva restituito dignità, speranza e momenti di vera gioia.

Stava cominciando a scendere a patti con il fatto che era lui ad essere irrimediabilmente perso per il suo prigioniero 24601, e che la sua convinzione che era Valjean a dominarlo era solo una patetica scusa dietro cui si era nascosto per troppo tempo.

E al diavolo, se amare un evaso latitante era un errore, lui per una volta era contento di sbagliare!

Era così immerso in queste riflessioni che non si accorse del movimento alle sue spalle se non quando fu troppo tardi.

Lo vide nel riflesso: Valjean che lo abbracciava da dietro, gli incrociava le mani sopra il cuore, e lui che spalancava gli occhi paralizzato da un sentimento nuovo e stranissimo.

Forse il fatto che Valjean fosse apparso all’improvviso proprio mentre stava pensando a lui, o forse chissà che altro, ma gli aveva scatenato qualcosa di terribilmente intenso che gli faceva pizzicare gli occhi e gli serrava la gola.

 

:-Scusa… ti ho spaventato?-:

 

Mormorò piano Valjean.

Doveva rispondere? Prima avrebbe dovuto ricordarsi come si faceva a parlare…

 

:-No… no, io… io credo di essere tanto felice in questo momento-:

 

Scandì lentamente, come se dovesse spiegare a se stesso il significato di ogni parola.

Stette per un po’ ad occhi chiusi ad ascoltare i palpiti del suo cuore che si scagliava contro lo sterno.

 

:-Lo senti il mio cuore? Senti come batte? È questo, Valjean? Dimmi, è questo l’amore?-:

 

:-Sì-: mormorò Valjean con il viso affondato nel suo collo :-Sì, è proprio questo-:

 

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Cantuccio dell’autore

 

Buon giorno, care persone che leggete!

Per premiarvi della pazienza nell’aspettare il capitolo, ecco un paio di cose che vorrei condividere con voi:

 

1 a proposito del nome del pairingValverthttp://browse.deviantart.com/art/Valvert-351099973 e http://browse.deviantart.com/art/Valvert-2-351101732

 

2 a proposito di slash e del fatto che per me in questa fiction i due baldi giovani hanno l’aspetto di  Crowe e Jackman c’è questa… attenzione che è materiale da maneggiare con cautela, io vi avviso, se decidete di aprire sarà solo il primo passo su una strada lastricata di  slash dal rating arancione in su. Lasciate ogni speranza voi che cliccate   http://browse.deviantart.com/art/Valvert-359101213 io non so come è possibile ma chi l’ha fatta ha centrato in pieno le espressioni che io credo debbano avere Valjean e Javert nelle scene lime XD_

 

Poi, lo dico subito: siate spietate nelle critiche perché ho l’impressione che alcuni punti siano… non so… strani? No, non si dice strani… vabbè, avete capito il concetto (forse) ma siccome non saprei proprio come cambiarli e non voglio lasciare la fiction in sospeso per troppo tempo lascio a voi poster(i) l’ardua sentenza e se necessario riscrivo il capitolo di sana pianta.

 

                                                                       Makoto

 

 

 

   
 
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