Fanfic su attori > Robert Pattinson
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Autore: Ely82    13/05/2013    2 recensioni
Elisa è una ragazza normale, con una vita normale che si trova catapultata all'improvviso in una realtà del tutto inaspettata. Incontra il suo "amore virtuale" Robert Pattinson e quello che accade va oltre ogni sua più rosea aspettativa.
"Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… "
"Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo."
Un viaggio immaginario che permette di sapere cosa potrebbe accadere (o meglio, cosa vorremmo accadesse) se dovessimo incontrare il nostro amato Rob.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco qui il terzo capitolo.
All'inizio della storia avevo detto che sarebbero stati solo quattro ed invece sono cinque, perché uno l'ho diviso in due parti, per alleggerire la lettura.
Dopo l'incotro al bar e la passeggiata al parco, la sorte riserverà ancora qualcosa a questa fortunatissima ragazza?
Aspetto i vostri commenti (anche negativi...ma spero di no!)

Buona lettura





Me ne stavo lì, nell’appartamento di Luca, seduta sul divano a guardare fuori dalla finestra. Non avevo voglia di uscire, ne di fare qualsiasi altra cosa. Avevo la testa in panne, completamente fuori uso.
Luca aveva chiamato verso l’ora di pranzo, dicendomi che sarebbe tornato tra un paio di giorni. Mi chiese se mi ero ripresa dall’incontro del giorno prima. Come una codarda non riuscii a dirgli niente della mattinata all’Eur che avevo trascorso con Rob. Probabilmente avrebbe capito la situazione e non si sarebbe arrabbiato più di tanto, ma il problema, a quel punto, era un altro: ero io a sentirmi in colpa. Mi sentivo in colpa perché Rob mi mancava come l’aria, perché avevo desiderato ardentemente buttargli le braccia al collo per non lasciarlo andare via; perché ero pazza di lui e non si trattava più solo del suo aspetto fisico: amavo tutto di lui.
Potevo essere innamorata realmente di un attore? Mi sembrava stupido e infantile, eppure era così. In fondo ero cotta di lui ancor prima di conoscerlo e la strada per perdere completamente la testa era stata davvero breve!
Ma cosa avrei dovuto fare? Lui avrebbe lasciato l’Italia il giorno seguente e di quegli incontri cosa sarebbe rimasto a lui? Forse un piacevole ricordo che lo avrebbe accompagnato per qualche mese. E a me? A me la consapevolezza che dall’altra parte del mondo esisteva una persona come lui che non avrei mai potuto avere. Lui non mi avrebbe più rivisto, ma io avrei continuato ad avere la sua immagine davanti agli occhi pronta a far riaffiorare tutto il dolore e la nostalgia per quei giorni magici trascorsi insieme. 
Erano quasi le quattro quando mi ricordai che quel pomeriggio ci sarebbe stata la diretta, su MTV, del festival del cinema: Lui sarebbe stato lì.
Accesi la TV e quando vidi che il programma era già iniziato mi venne da piangere. Molti attori avevano già attraversato il Red Carpet e non avevo idea se lui era uno di quelli. Passarono Rober De Niro e Kate Winslet che erano in gara con un film sull’Africa di cui non ricordavo il titolo, vidi arrivare Sergio Castellitto, Vittoria Puccini e altri attori che non conoscevo.
Poi, il giornalista che si trovava lì in diretta, annunciò l’arrivo di un attore inglese molto amato dalle ragazze di tutto il mondo. Scivolai in ginocchio davanti al televisore con il viso a pochi centimetri dallo schermo. Il cuore mi batteva come un martello pneumatico e trovai la cosa davvero stupida. Ero stata con lui fino a poche ore prima, quello sì, che era incredibile, non vederlo in TV come avevo sempre fatto!
Dopo pochi secondi l’auto nera arrivò e la portiera si apri. Prima scese Dean, l’onnipresente, e poi apparve Lui, come una visione.
Indossava un completo blu elegantissimo e il suo viso brillava di luce propria. Sorrideva ai flash dei fotografi e salutava la gente che gli urlava intorno. C’erano tantissime ragazzine e anche molte donne adulte che aspettavano solo lui. Quello stesso giorno lo avevo visto terrorizzato davanti ad una fan, mentre in quella circostanza sembrava essere un leone nel suo regno. Alcuni gesti, come toccarsi di continuo i capelli o le labbra, erano un chiaro segno del suo disagio e imbarazzo, ma per il resto se la stava cavando alla grande. Era bellissimo, ogni altro aggettivo sarebbe stato insufficiente per descriverlo in quel momento.
Lo guardavo estasiata, orgogliosa di aver passato con lui qualche ora. Tutte quelle ragazze avrebbero pagato con il loro sangue per essere state al mio posto.
Si fece fotografare in tutta la sua bellezza e subito dopo si avvicinò alle transenne iniziando a firmare autografi. Nessuno degli altri attori americani che avevo visto arrivare lo aveva fatto. Dean era al suo fianco e non lo mollava un momento, come fosse la sua ombra. Una ragazzina piangeva di fronte a lui mentre lo riprendeva con il cellulare a dieci centimetri dalla faccia, un’altra urlava come un’indemoniata il suo nome, un’altra si sporse talmente tanto per toccarlo che Dean dovette intervenire per allontanarlo, mentre Rob dolcissimo regalava sorrisi e smorfie a destra e a manca, senza scomporsi. Quando Dean gli disse che era il momento di entrare, Rob fece una specie di inchino alle sue fans e le saluto con un “CIAO!” adorabile.
Poco prima di entrare, un giornalista della Rai gli si avvicinò chiedendogli se poteva fargli qualche domanda e lui acconsentì, ovviamente.
«Benvenuto in Italia, Robert! Era da un po’ che non tornavi nel nostro paese!», esclamò il giornalista.
«Grazie! Avete un paese meraviglioso, se potessi ci verrei più spesso, credimi!», gli disse sorridente.
«L’ultima volta sei stato in Toscana per girare New Moon, ti piacerebbe lavorare in un film ambientato completamente in Italia? Magari a Roma?»
«Sarebbe un’occasione da non perdere! Vorrebbe dire passare qui almeno un paio di mesi… non è male come idea!», disse ridendo abbassando lo sguardo.
«Tornerai a novembre per presentare la prima parte di Breaking Dawn? Le tue fans non aspettano altro che una tua conferma!»
«Emh… credo di sì… ma non posso ancora darlo per certo. Dipende molto dagli impegni che avrò in quel periodo, ma lo avevo promesso… perciò farò di tutto per esserci», disse carinamente, passandosi ripetutamente la mano tra i capelli scompigliati.
«Grazie Robert, a presto allora!», gli disse il giornalista stringendogli la mano.
Robert gli rivolse l’ennesimo sorriso cortese e sparì all’interno dell’auditorium pochi secondi dopo, lasciando Roma al buio. Sì, perché Lui era come il sole, come le stelle del firmamento: lui ti illuminava la giornata con un sorriso o uno sguardo ammiccante.
Me ne stavo lì, imbambolata, con il telecomando in mano e il volume al massimo. A me aveva detto che sarebbe tornato a novembre, lo aveva dato per certo, ma forse pubblicamente non poteva ancora far trapelare la notizia.
Spensi il televisore e mi alzai da quella posizione scomoda con tutte le ginocchia indolenzite.
Obbligai il mio corpo e la mia mente ad uscire da quello stato catatonico e a reagire.
Passai il pomeriggio a pulire l’appartamento e a stirare qualche camicia di Luca e verso le otto mi preparai la cena: nelle ultime quarantotto ore avevo praticamente saltato tre pasti principali, era ora di riprendere un po’ di regolarità e di tornare alla quotidianità.
Dopo una bella mangiata di spaghetti al pomodoro e un’abbondante porzione di gelato mi infilai il pigiama e chiamai mia sorella.
«Ciao Ti!», esclamai al telefono.
«Ciao! Dove sei, a Roma?», mi chiese.
«Sì, sono arrivata da un paio di giorni. Ieri ho fatto il colloquio, ma ovviamente non mi hanno detto niente!»
«Ma Luca è lì?»
«No, sono sola. Dovrebbe tornare dopo domani. Adesso è a Parigi con un collega», le spiegai.
«Ma non ti annoi da sola? Potevi venire qui, a me faceva piacere!»
Che avrei dovuto risponderle? Quanto volevo raccontarle la verità! Magari non tutta, perché forse non l’avrebbe presa bene, ma almeno qualcosina.
«Annoiarmi? Dopo quello che mi è successo ieri? No, direi che non mi annoio!», esclamai euforica.
«Perché? Che è successo?», mi chiese curiosa.
«Ti dico subito che non è una balla, ok? E’ successo davvero!»
«Ma cosa?», disse impaziente.
«Ho visto Robert in giro per Roma!», dissi di getto.
«Ma va!», esclamò, com’era prevedibile. «Robert Pattinson? Ma che dici?!»
«Lo so è assurdo, ma l’ho incontrato davvero… anzi l’ho “scontrato”!», le dissi ridendo. «Gli sono letteralmente caduta addosso!»
«Ma ci hai parlato?», mi chiese incredula.
Fosse solo quello, pensai.
«Sì, ho preso una coca cola con lui», iniziai a dire, non sapendo fin dove poter arrivare.
«Tu e lui?», ripeté sconcertata.
«Beh, lui aveva la sua guardia del corpo… però, in pratica, sì», ammisi.
«Quindi gli hai chiesto un autografo? E gli hai anche fatto una foto? Mi ti immagino: sarai andata nel pallone!»
«Mi ha regalato il suo cappello autografato! Dire che ero nel pallone è poco: ero nel panico più totale. Ma lui.. lui è stupendo, credimi!», sospirai.
«Che scema che sei! Ma a Luca glielo hai detto?»
«Sì», risposi veloce, ma con un tono colpevole, che fortunatamente non carpì.
«Oggi lo hai visto al festival del cinema?», mi chiese.
«Ovvio! Hai visto che spettacolo? E poi è così carino, anche nei modi… non puoi capire!», dissi con tono lascivo.
«Addio, l’abbiamo persa! Ci mancava solo questa!», esclamò Tiziana, esasperata.
Ero lì, desiderosa di raccontarle ogni cosa, ma avevo paura di farlo. Non mi avrebbe mai capita, anzi, mi avrebbe rimproverata. Avrebbe detto che ero scorretta verso Luca, che, in un certo senso, lo stavo tradendo con il mio atteggiamento inappropriato.
«Che effetto ti ha fatto?», mi chiese con tono più pacato.
«Allucinante. Tu lo sai quanto sono in fissa con lui! E’ stato come vivere un sogno… è stato incredibile e assurdo! Ancora non riesco a crederci…»
«Ma lei c’era?»
«Lei?», chiesi confusa.
«Kristen, non si chiama così? Stanno o non stanno insieme?»
Mi bloccai di colpo, colpita in pieno petto da quell’ultima frase. Non avevo mai pensato a lei fino a quel momento, forse perché lui non l’aveva mai nominata. Fui invasa da una gelosia ingiustificata e ridicola e non sapevo cosa rispondere.
«No, è qui da solo… Non si sa se stanno davvero insieme!», risposi scocciata.
«Certo che hai avuto una gran botta di…», esclamò ridendo di gusto.
«… e sì, proprio grossa!», dovetti ammettere. «Senti ora ti lascio, mi metto a letto a vedere un film.»
«Con lui?»
«Mi pare il minimo!»
«Allora buon divertimento. Buona notte.»
«Notte», le risposi riagganciando.
Quella conversazione mi aveva fatto venire la sudarella! Era davvero stressante non avere nessuno a cui raccontare senza remore tutta la verità su di lui.
Dopo una doccia rinfrescante e rigenerante mi gettai sul letto con l’intenzione di rivedermi Twilight.
Erano da poco passate le dieci, quando il citofono squillò. Scattai seduta con le orecchi tese. Era il mio citofono ad aver suonato? Ne ebbi la conferma al secondo squillo.
Mi diressi in cucina, non del tutto convinta di voler rispondere. Non c’era nessuno che potesse venirmi a trovare e per di più a quell’ora! Con riluttanza alzai comunque la cornetta.
«Chi è?»
«Buonasera. La signorina Elisa?», mi chiese una voce maschile.
«Sì… lei chi è?», chiesi stupita dal fatto che sapesse il mio nome: non vivevo nemmeno lì.
«Ci siamo visti oggi, sono Giorgio, l’autista del signor  Pattinson.»
Gli occhi mi uscirono fuori dalle orbite appena lo sentii pronunciare quel nome. Rimasi a bocca aperta, mentre mille domande vorticavano nella mia testa.
«E’ ancora lì?», mi chiese un po’ divertito.
«Sì…», balbettai. «Ma che…» Proprio non riuscivo ad esprimere un concetto.
«Mi è stato detto di passarla a prendere e di accompagnarla all’albergo in cui alloggia in signor Pattinson. Non so altro.»
«Cos’è uno scherzo?», gli dissi agitata.
«Senta, se vuole venire io l’aspetto qui, se mi dice che non le interessa, io me ne vado», tagliò corto.
«No, aspetti!», gli urlai. «Mi dia qualche minuto, ok?»
«L’aspetto in macchina», disse con calma.
Riappesi la cornetta e rimasi a fissare l’apparecchio per un po’. Potevo fidarmi di quel tipo? E se era un maniaco? Perché Robert non mi aveva mandato un messaggio come la sera prima? Me ne stavo lì, nel panico più totale senza sapere cosa fare.
Possibile che volesse vedermi di nuovo? Nel suo albergo per giunta?
Non avevo molto tempo per decidere, così presi probabilmente la decisione più sciocca della mia vita.
Corsi in camera cercando nella valigia qualcosa di adatto da indossare. Non potevo certo provarmi tutte le varie combinazioni come avevo fatto la mattina! Mi venne tra le mani un abito nuovo che non avevo ancora mai messo. Era beige e blu, lungo fino al ginocchio e con le bretelline. Non era né elegante, né troppo sportivo: l’ideale, visto che non sapevo cosa mi attendesse.
Lo indossai di corsa passando di sfuggita davanti allo specchio solo per assicurarmi che non fossi ridicola; indossai i sandali con un po’ di tacco, mi spolverai le guance con un po’ di fard e abbellii gli occhi con un po’ di mascara e un filo di matita. Mi guardai di nuovo allo specchio per vedere l’effetto finale e ne rimasi abbastanza soddisfatta. Avrei avuto bisogno di molto più tempo, ma, dato che non ne avevo, dovevo accontentarmi di quello che ero riuscita ad inventarmi.
Mi precipitai giù per le scale, sperando di trovare ancora la macchina ad aspettarmi, ma non senza paura. Non ero ancora convinta che fosse la scelta giusta, ma non trovai la forza per rifiutare l’invito.
L’auto nera era lì e l’autista se ne stava appoggiato su di essa ad aspettarmi. Appena mi vide, salì in macchina e mise in moto. Un inquilino del palazzo mi vide salire sull’auto e rimase a fissare la scena stupito. Chissà che avrà pensato?
Mi sedetti vicino all’autista, il quale si voltò a guardarmi sorpreso.
«Dovevo sedermi dietro, vero? Scusa non sono abituata, scendo subito!», gli dissi aprendo la portiera.
«No, tranquilla, non c’è bisogno. Puoi stare qui, se ti va. Allaccia la cintura però», mi ordinò mettendo in moto.
Mi stavo leggermente calmando e stavo riacquistando il controllo di me. Non sembrava un tipo pericoloso, sembrava solo scocciato per essere costretto a lavorare a quell’ora.
«Scusami per prima, sono stato un po’ sgarbato», mi disse poco dopo.
«Figurati», gli risposi. «Il fatto è che mi hai colto di sorpresa e non sapevo che fare! Proprio non me l’aspettavo!»
«Devi aver fatto colpo, se ti fa venire a prendere a casa dal suo autista!», dichiarò con ammirazione.
Lo guardai felice di quelle parole, anche se non sapevo se corrispondessero alla verità. Non avevo la più pallida idea del perché volesse vedermi.
«Sei nervosa?», mi chiese, non sentendomi più parlare.
«Un po’», ammisi imbarazzata.
«Però sei felice?»
«Anche troppo», dissi con un velo di tristezza. «Presto sarà tutto finito ed io rimarrò con un pugno di mosche.»
«Beh, non sta a me dirlo, ma, visto che durerà poco, ti conviene goderti la cosa finché sei in tempo. Certi treni passano una volta sola!», disse in modo solenne.
Non potei ribattere, né dirgli che non era il caso, non riuscii a dire una sola parola dato che condividevo tutto ciò che aveva appena detto.
 
«Eccoci arrivati», disse all’improvviso fermando l’auto davanti ad un maestoso albergo nel cuore di Roma, di cui non conoscevo il nome. «Vai alla reception e dagli questa», mi disse consegnandomi una busta.
«Tu non mi accompagni?»
«Io non conto niente lì dentro, non potrei esserti di nessun aiuto», disse sarcastico. «Credo che ci rivedremo tra qualche ora per riaccompagnarti a casa.»
Scesi dall’auto ed entrai quasi in punta di piedi nell’hotel. Era immenso ed esageratamente lussuoso. Nella hall c’erano poche persone, ma tutte vestite con abiti eleganti: mi sentivo un pesce fuor d’acqua.
Mi avvicinai a testa bassa alla reception dove vi era una donna che mi guardava incuriosita e forse anche un tantino sospettosa.
«Buonasera, sono stata invitata da un ospite del vostro albergo», balbettai imbarazzata dicendogli il mio cognome. «Mi hanno detto di consegnarvi questa», aggiunsi, porgendole la busta.
La donna non si degnò nemmeno di rispondere al saluto o a rivolgermi un sorriso di circostanza, afferrò la busta e si mise a leggere il contenuto. All’improvviso la sua espressione mutò e fu lei ad essere imbarazzata, comprendendo chi fosse la persona che dovevo incontrare. Alzò gli occhi dal foglio e mi guardò seria e incuriosita.
«Fabio? Puoi accompagnare la signorina alla 120, per cortesia?», chiese al ragazzo che si trovava poco più in là.
«La 120?», ripeté sorpreso.
«Sì, credo che di sopra siano stati già avvertiti dell’arrivo della signorina», disse acida.
“Lo scelgono proprio bene il personale! Gente simpatica e cordiale, adatta ad un albergo a cinque stelle”pensai.
Salii con il ragazzo in ascensore al sesto piano e una volta scesi lo seguii attraverso un lungo corridoio, fino ad arrivare ad un pianerottolo su cui vi erano due porte. Vicino ad una di esse c’era un uomo alto, vestito di nero che leggeva un giornale.
«La signorina Elisa», disse in inglese il ragazzo della reception all’uomo vicino alla porta, prima di congedarsi.
«Salve, mi segua», mi disse l’uomo aprendomi la porta con il numero 120.
Entrammo in una stanza immensa in cui vi erano due divani, un megaschermo, un tavolo da biliardo e un angolo bar fornitissimo.
«Il signor Pattinson mi ha detto di riferirle che arriverà appena possibile. Nel frattempo può aspettarlo qui. Si metta comoda», mi riferii con tono gentile.
Quasi il cuore mi si fermò nell’udire quelle parole.
«Lui non è qui?», chiesi delusa.
«E’ ad un party, ma non credo che si tratterrà ancora per molto. In ogni caso, lei faccia pure come fosse a casa sua. Può prendere da bere, guardare un film. Io sono qua fuori se ha bisogno di qualcosa», aggiunse, uscendo dalla stanza.
Rimasi sola, impietrita, disorientata. Mi trovavo in una suite spettacolare, la sua suite! Mi guardai in giro per trovare qualcosa che gli appartenesse, ma la stanza era praticamente vuota. Forse non era lì che stava. Iniziai a girare, folgorata da tutto quel lusso: certe cose le avevo solo viste in televisione. Nella stanza c’era poi una grande porta scorrevole, che provai ad aprire, ma che trovai chiusa. Mi accorsi che vicino alla maniglia c’era una piccola tastiera, che serviva probabilmente per accedere all’altro locale.
Voltandomi mi accorsi che vi era una porta finestra che con buone probabilità dava sul terrazzo e così l’aprii. Vi era un balcone enorme, grande quasi come la stanza in cui ero. C’erano delle piante curate e dei tavolini con le sedie. Era illuminato con dei faretti lungo il bordo del cornicione. Mi avvicinai alla ringhiera e rimasi a bocca aperta davanti al panorama che mi si presentò. Roma era magica. Lo era sempre, ma di notte e da quell’altezza era bella da mozzare il fiato.
In quel momento sentii delle voci provenire dal corridoio e rientrai in fretta nella stanza richiudendo la finestra. La porta si aprì e lui entrò per primo.
Lo spettacolo che avevo visto poco prima sul terrazzo era niente in confronto a lui: era divino.
«Ehi! Sei qui!», esclamò entusiasta vedendomi.
“Avanti respira!”,iniziai a ripetermi, “respira e dì qualcosa!”.
«Già…», farfugliai.
«Che c’è? Qualcosa non va?», mi chiese premuroso, avvicinandosi decisamente troppo a me.
«Non pensavo ti avrei rivisto…»
«Ti dispiace?», chiese titubante.
Davvero era titubante??? Davvero non aveva capito niente di me?
«No, ma che dici!», esclamai con enfasi. «Solo non me lo aspettavo. Sto ancora cercando di riprendermi.»
Lui sorrise, nel modo in cui solo lui sapeva fare. Era ancora vestito con il completo blu che avevo visto in televisione ed era una specie di visione.
«Mi andava di uscire. I miei amici da Londra sono ancora qui in città e sembra abbiano trovato un localino tranquillo per bere qualcosa insieme. Ho pensato che sarebbe stato bello se ci fossi stata anche tu!», mi spiegò con un’espressione dolce.
«Vuoi uscire? Adesso?», esclamai.
«Qual è il problema?», chiese alzando le spalle.
«Beh…», iniziai a dire, «… nessuno!»
«Ottimo allora! Dammi solo due minuti per togliermi questa roba», disse indicando il suo vestito, «e poi andiamo!»
Si voltò in direzione della porta scorrevole, ma poi si fermò di colpo e tornò indietro verso di me. Mi si fermò davanti a pochissimi centimetri. Il battito del mio cuore si fermò e poi ripartì all’impazzata a causa di quella vicinanza: aveva un odore così invitante e sensuale. La testa iniziò a girare e la gola mi si seccò.
«Sono davvero felice che tu sia qui», mi sussurrò. «Sei molto bella.»
Abbassai lo sguardo e cominciai davvero a sentirmi cedere le ginocchia. Lo guardai di nuovo e gli sorrisi.
«E’ assurdo che sia tu a fare dei complimenti a me», gli dissi con un filo di voce.
«Perché?», mi chiese con la sua voce calda.
«Perché tu togli letteralmente il fiato», gli sussurrai con voce tremante.
Mi fissò come non aveva mai fatto nessuno fino a quel momento. Il mio corpo si protraeva verso di lui, come il ferro ad una calamita, pur sforzandomi di rimanere ferma al mio posto.
Il momento più magico che avessi mai vissuto venne interrotto da un idiota che bussò alla porta.
«Sì?», disse Rob, senza muoversi di un millimetro e senza distogliere lo sguardo da me.
«Sono arrivati i suoi amici, signore. Vi aspettano nella hall», ci avvertì la voce di Dean.
Solo a quel punto, Rob indietreggiò abbassando lo sguardo e regalandomi un sorriso molto eloquente.
«Non scappare via ok?», mi disse aprendo la porta scorrevole inserendo un codice sulla tastiera.
Quando la porta si spalancò riuscii a vedere quello che nascondeva di tanto prezioso: la sua camera. Riuscii a vedere il letto a baldacchino, le sue valige mezze disfatte, la custodia della chitarra appoggiata su una poltrona. Rob entrò e si richiuse la porta alle spalle, lasciando uno spiraglio aperto. “Bastardo!”, pensai, “Lo fai apposta per torturarmi!”.
Non seppi mai se il gesto di non richiudere bene la porta fosse voluto o accidentale, quello che so è che non seppi resistere alla tentazione di sbirciare.
Era di spalle e si stava togliendo la camicia. Riuscii ad intravedere la sua schiena nuda mentre si dirigeva nel bagno.
Qualcuno bussò di nuovo ed io mi misi di corsa a sedere dando le spalle alla camera di Rob.
«Se è Dean, fallo entrare», mi disse Rob dall’altra stanza.
Mi avvicinai alla porta:
«Chi è?», chiesi, sentendomi un’idiota.
«Dean», disse bruscamente.
Gli aprii la porta e lui entrò senza troppa esitazione.
«Il signor Pattinson?»
«Si sta cambiando», dissi nervosamente.
Dean si voltò verso la camera di Rob e vedendo lo spiraglio che era rimasto aperto, chiuse deciso la porta e poi tornò a fissarmi in malo modo.
«Dovrebbe tornare a casa sua», mi disse sottovoce.
«Ma che ti ho fatto di male?», gli chiesi spazientita.
«Crede che ce l’abbia con lei? Io lo dico solo per il suo bene! Tutto questo non porterà a niente, anzi le porterà solo un po’ di sofferenza», mi disse cupo.
Rimasi gelata dalle sue parole, per la verità che nascondevano. Poi, però, ripensai a quelle che mi aveva detto l’autista e decisi che fossero quelle da seguire.
«Non mi importa», gli risposi a testa alta.
«Non mi dica che non l’ho avvertita», mi congedò prima di uscire dalla stanza.
Quale fosse la cosa migliore da fare nessuno lo sapeva, io per ultimo. Sapevo solo che per niente al mondo avrei rinunciato a lui: finché mi avrebbe voluto, io ci sarei stata.
Quando Rob uscii dalla camera era un ragazzo trasformato. Non solo per i jeans scoloriti e la t-shirt nera che indossava, ma anche per la sua espressione e il suo viso disteso: il divino si era fatto mortale!
«Ora va molto meglio!», esclamò soddisfatto. «Che voleva Dean?»
«Accertarsi che non ti fossi saltata addosso, suppongo», mentii con facilità.
«Dovrò fargli un piccolo ripassino su ciò che è male e su ciò che è bene… credo che abbia un po’ di confusione in testa se pensa di avere il diritto di controllare che combino in camera mia con una ragazza da me invitata!», disse ridendo.
«Si preoccupa per te.»
«Non ne ha motivo. Non in questa occasione.»
Tornò a fissarmi come poco prima e la reazione del mio corpo fu esattamente la stessa.
«Dovremmo andare…», mormorò con poca convinzione.
«Già…», gli risposi con lo stesso tono.
Mi sorrise compiaciuto e mi afferrò la mano conducendomi fuori dalla stanza.
   
 
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