Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Princess_Klebitz    13/05/2013    2 recensioni
Amici fino alla morte ed oltre; nemici controvoglia. Musica, amore e morte nella metà sbagliata degli anni '90, scaraventati avanti volontariamente per non poter più tornare indietro.*
La tregua tra la Ragione ed il Caos durava da troppo tempo; quando si accorsero dell'errore, corsero ai ripari, e l'Immemore e l'Innocente si trovarono faccia a faccia, dopo anni di ricerche, per riportare la situazione in parità.
Un errore troppo grosso, la persona sbagliata, un imprevisto che non doveva assolutamente accadere.
Storia scritta nel 1997, e l'epico tentativo di riscriverla senza snaturarla.
Spero qualcuno apprezzi.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
15. Le cose rotte non possono essere riparate; semplicemente, cambiano.
 
Il primo concerto a Dublino, in un vecchio pub, andò bene. Non vi furono cadute al ribasso, semmai punte di eccellenza, nonostante Shane fosse sfibrato dall’aver guidato senza sostituzione un furgone e fosse poi dovuto scappare a casa a prendere degli effetti che Dorian aveva dimenticato nel suo garage. Riuscì fortunatamente a tornare venti minuti prima dello show.
Anche Justin era fisicamente e psichicamente a terra, ma durante lo spettacolo scintillava di una febbrile e malata luce oscura. A fine show rimase in disparte, nascondendosi letteralmente o andando in giro a fumare.
Eddie e Dorian, che parlottavano, afferravano con lo sguardo solo un’ombra nera in lontananza, prima che girasse ennesimamente un angolo. A quel punto si guardavano, con una punta di panico: non avevano affrontato l’argomento, ma era quasi ora.
 
I loro pezzi di punta furono accolti con tiepido interesse, ed a ragione: nonostante la considerassero la loro città, Dublino non li conosceva. Come biglietto da visita, la vittoria ad un contest universitario ed una demo non erano un granché, viste le miriadi di gruppi rock che affollavano la città da metà anni ’80 in poi, diventata insospettabilmente un fulcro per la musica mondiale.
Riproposti nel bis, però, il pubblico aveva imparato, i pezzi su cui puntavano di più: Someone in my mind e specialmente Silences,che in versione live era più elettrica poiché cantata da Justin e non da Dorian, che si dedicava all’arpeggio e al suo solo di chitarra.
 
Justin cercava qualcuno tra la folla, a Dublino, non perdendo mai comunque il cantato, e facendo brillare d’orgoglio Dorian. Il ragazzo si sentiva responsabile per ciò che era successo, e mai come prima era stato così fiero dell’amico, ferito così profondamente ma in grado di ipnotizzare la folla. Quello speciale ‘andare in bambola’, quei momenti di stupore in cui il loro cantante si svegliava come da un brutto sogno ed accantonava i cattivi pensieri per rendersi conto che era davvero su un palco, e che era, più o meno, acclamato.
Che il sogno della sua vita era ad un passo dall’essere realizzato, era la sua luce che appariva all’improvviso;  e che, mentre non perdeva una nota, nel pensiero stesso, appena schiaritosi, affiorava subito una nube: che non ce la faceva a tenere il ritmo, non più.
Così prendeva una boccata di realtà e tornava nel suo mondo interiore, dove smetteva di soffrire e si inabissava invece sempre più.
 
Il risvegliarsi improvviso di Justin, le sue immersioni nell’oscurità, la passeggiata sobria che aveva imparato a tenere sul palco, non per originalità, ma per necessità. Non guardava dove andava, camminava lentamente ma senza movenze ricercate. Si fermava, e a volte all’improvviso alzava i suoi occhi, che da opachi passavano a lucenti, come una specie di start, o di stop.
 
Come la sua voce, come il carillon di ghiaccio di Phoenix, il basso continuo con ampia risonanza di Shane, il drumming non così potente ma elegante ed a volte inaspettato di Eddie, quell’immobilità splendente, quel riemergere alla luce di Justin, stava diventando un marchio di fabbrica. L’immobilità davanti alla luce e il suo cantare nel ‘Più in là’.
 
E fu così che rimase, mentre Dorian da solo cantava Silences,  e lui la mormorava e basta, talmente basso da non essere sentito, e fuori tono: come una bambola la cui molla stesse per esaurirsi.
 
Troppo bella per non essere apprezzata.
Troppo strana per essere rifatta.
 
**
Galway e Cork furono una mezza delusione. Mezza perché preannunciata fin dall’inizio, ma comunque delusione dopo il buono start di Dublino, anche se la gente non scappò, quando, dopo le band in contest, dovettero suonare loro, ‘stranieri’ e sconosciuti.
Riuscirono a vendere anche qualche cd, i collezionisti si trovavano anche nei posti più impensabili e nelle serate in cui si pensava di aver fatto più schifo. Questo era l’ottimistico motto di Edmond, che li aveva raggiunti a Dublino alla fine della prima sera, per guidare, gestire la vendita delle demo, prendere eventuali accordi, ed in generale sorvegliare che non si scannassero.
 
Eddie si trattenne per miracolo dal dire a Dorian che questo era il prezzo del suo patteggiamento al posto della registrazione ai Windmill lane, ma vi rinunciò vedendo come il suo passerotto preferito fosse uscito abbacchiato dai due concerti, letteralmente senza una parola.
 
Dorian non voleva più tornare a casa, e il fatto che la vita da tour gli piacesse non faceva che accrescere questo sentimento, alimentato in origine dalla paura, che si era trasformata in euforia nel lasciare Linayr, come se fosse stato per sempre.
 
Erano mesi che non parlava col padre, se non per sporadiche e banali, quanto inevitabili, conversazioni, ma qualcosa nel suo cervello, qualcosa che ormai non si sarebbe mai spento, a dispetto delle rassicurazioni pratiche e verbali fornitegli, gli segnalava un pericoloso ritorno di alta marea violenta.
Forse uno strano luccichio negli occhi di William Kierdiing, forse il silenzio quasi imbarazzato della madre, prima di abbracciarlo e augurargli tanta fortuna, al suo annuncio di partire per il ‘tour’.
 
Quel partire all’improvviso per Dio-solo-sa-dove, annunciato con l’arroganza di un principino viziato con un’assoluta noncuranza, aveva risvegliato qualcosa.
 
Qualcosa del vecchio Dorian, e qualcosa in suo padre.
Si era spinto davvero troppo in là, facendo il bello ed il cattivo tempo, in quei mesi, ma non voleva tornare indietro.
 
**
Nel furgoncino scrostato degli ex- Golden Ghost, dopo ‘il grande fiasco di Galway’, come l’aveva definito Eddie in un momento di rabbia, un silenzio dilatato come un ultimo respiro si era diffuso nel mezzo.Era come se fossero stati separati di fronte al primo numero andato male della loro carriera.
“Non tutti gli incontri si vincono.”, aveva sentenziato Edmond, caricando i cd da vendere e dava una mano con gli strumenti e le loro cose.
“Con i Golden Ghost abbiamo vinto più prendendo fischi che acclamazioni, e…”
“E facevate schifo.”, gli sibilò Dorian, strappandogli dalle mani Phoenix, che Edmond stava per caricare, e salendo direttamente, per poi fermarsi, mentre tutti lo guardavano, a bocca aperta, persino Edmond.
Si voltò, lentamente, gli occhi verdi che luccicavano di rabbia nell’impietosa luna invernale sopra Galway, nel locale appena fuori città, in quella che tutti loro, più o meno cittadini, avevano sognato come ‘la romantica campagna irlandese’.
 
Quante balle.
 
Edmond posò a terra con cura lo scatolone dei cd, fissando i suoi occhi più maturi in quelli del ragazzo più giovane; quello che stava mandando avanti, e nemmeno troppo bene, la band.
“Vuoi essere lasciato a Galway ad ululare le tue lamentele alla luna, Dorian? Perché se è questo che vuoi, ti accont…
“Ho sbagliato, Edmond.”, lo interruppe Dorian, ma con un sorriso strano sulle labbra, più stirate che altro.
“Non facevate schifo. Facevate cover. Solo cover. Anni e anni a rifare parti di chitarra di altri.”, e riprese Phoenix in mano, girandosi del tutto, cercando gli occhi dei compagni.
“Noi siamo su un altro livello. È inutile discuterne.”,e si piegò in un mezzo inchino. “Perciò ti faccio le mie scuse. Continua ad instillare gocce di sapere in chi vuole ascoltarti.”
E scomparve nell’oscurità del furgone.
 
Edmond rimase ancora a bocca aperta, mentre le prime gocce di pioggia costringevano tutti a velocizzarsi, nonostante la stanchezza e lo stupore.
“Parola mia, quello è indemoniato…”, mormorò il maggiore dei Joyce.
 
Eddie lo guardò, ma non trovò niente con cui ribattere. Forse perché nel momento in cui l’aveva detto, gli aveva dato ragione, come Shane ed ovviamente Justin.
Aveva fottutamente ragione.
 
**
Limerick stava per apparire loro come un disastro preannunciato. Un completo disastro che si stagliava all’orizzonte e che non potevano evitare.
 
Eddie dormiva su un sedile, completamente distrutto. Se ne stava stravaccato, abbracciando con divertimento di tutti una copertina come Linus; Shane stava sul sedile del passeggero, davanti, a chiacchierare oziosamente e pigramente con Edmond, pronto a suggerirgli di accostare, poco voglioso di prenderne il posto, anche se la tabella di marcia che avevano studiato aveva imposto loro di essere in città all’alba, per riposare un po’ ed orientarsi poi con calma.
 
Dorian si era appena svegliato, in uno dei suoi dannati dormiveglia sempre più frequenti, in un lago di sudore nonostante il freddo fosse più che tangibile. Incrociò lo sguardo con il pezzo di specchio che uno dei membri del gruppo prima aveva installato, in qualche modo, e sospirò, stizzito. Gli stava restituendo un’immagine turbata che troppo spesso incrociava, anche se pochi la notavano: i capelli madidi di sudore, le occhiaie che iniziavano ad apparire nel suo bel viso, gli occhi verdi offuscati, i lineamenti tirati.
La paura di aver trascinato quel gruppo, i suoi amici, sull’orlo di un precipizio, quando invece potevano essere così vicino ad una vittoria, se la sua avventatezza e la sua fretta non gliel’avessero mostrata come troppo lontana ed improbabile. Tutto ciò gravava sulle sue spalle dal giorno del contest, e sguardi più o meno accennati gli avevano dimostrato che i suoi non erano solo sospetti.
 
Mesi fa nessuno gliel’avrebbe apertamente rinfacciato, ma le cose avevano presoun abbrivio veloce, troppo veloce: erano diventate una slavina, e si erano resi conto di poterla cavalcare, se nessuno avesse commesso errori.
Se lui non avesse commesso errori.
 
Questo pensava, mentre continuava a guardarsi nello specchio, un ragazzo troppo giovane e fragile per quelle responsabilità e per le parole che aveva detto in quei giorni, per quella maschera di durezza che si crepava ogni notte, per quel se stesso rimasto che si spezzava ad ogni parola dura rivolta ai suoi compagni per il loro bene.
 
O forse l’aveva solo creduto?
 
“Non dormi neanche tu?”
La voce di Justin, un bisbiglio morbido anche se un po’ rauco, lo raggiunse dalla brandina sopra di lui, forse non del tutto inaspettatamente.
 
 “No. Io… questo furgone è una maledizione.”, deglutì Dorian, all’improvviso sull’orlo delle lacrime.
Quanto aveva contato la sua ambizione, combinata alle ossessioni dell’amico, nel trascinarlo al punto in cui si era trovato, a sembrare l’ombra del ragazzo scherzoso, il suo compagno di banco  imitatore di David Bowie, Bono e Dave Gahan?
Justin non imitava più nessuno. Quando sentiva commenti sul suo imitare Ian Curtis o Robert Smith, avrebbe voluto condurre quelle persone nel backstage e mostrargli l’amico, no; la sua assenza.
Quell’assenza di Justin che urlava, letteralmente.
“Tu sei una maledizione, Dorian.”, gli rispose, lentamente ed alzandosi a sedere; si calò dalla brandina, ancora una piuma rispetto al ragazzo che conosceva, che già non aveva brillato per la stazza e il sonno. I capelli neri che mandavano riflessi violacei nei fanali delle altre auto, un fantasma che intraprendeva la strada della corporeità nel suo ricominciare a mangiare e dormire, nei jeans di pelle e in una maglietta prestatagli da Shane per dormire che lo infagottava letteralmente.
Poi si sedette vicino a lui.
“Dorian. Tu sei una maledizione.”, ripeté, sempre lentamente, guardando anch’esso il pezzo di specchio. Il resto del gruppo, davanti, dormiva o parlottava.
Sembrava uno spicchio del loro passato che stava tornando a visitarli.
Dorian accennò un sorriso triste.
“Credo proprio di esserlo. Credo di…”
“…credi di esserlo. Hai detto bene. Tu credi di averci portato alla rovina. Di essere il responsabile.”
“Non lo sono?”, sospirò Dorian, parlando al Justin dello specchio. Allo stesso modo Justin gli sorrise, dolcemente, quegli occhi così trasparenti che non potevano nascondere niente, resi ancora più incredibili dall’intrico di capelli ricaduti e dal riflesso che gli mandava lo specchio.
Una volta ancora, Dorian si stupì di che strana bellezza avesse Justin, e di come fosse riuscito a
farla risaltare, mettendo quasi a repentaglio la sua vita in modo quasi scientifico.
“Non lo sei.”, e gli passò una mano attorno alla spalla, in una specie di abbraccio. Il gesto fu fluido, elegante, come i movimenti del Justin di un tempo, non del Justin di adesso che esauriva la carica e poi la riprendeva.
“Siamo una band, Dorian. Ognuno di noi ha una responsabilità, e tu…”, e finalmente lo fissò negli occhi. “Sei stato lasciato solo. Quando abbiamo sempre pensato che nessuno di noi avrebbe lasciato gli altri, o un altro.”,e tacque, riflettendo, per poi parlare, a voce più bassa, quasi un sussurro.
“Prima che la droga mi mandasse in pappa quel poco di cervello, avevo giurato che se non avessi trovato nessuno, avrei diviso la colpa.”, e strinse, di poco, la stretta sulla spalla di Dorian, che era quasi comicamente sorpreso dalle sue parole.
“Ora che ne sto uscendo, mi rendo conto che ho fatto troppo poco. Ero troppo preso da me, e volevo solo cantare, essere un personaggio, e non… non un leader, ma una maschera.”, sospirò, per poi alzare lo sguardo allo specchio. Sorridente.
“Ti ho lasciato troppo campo libero, Kierdiing. Ora dovrai discuterne con me, di queste cose. E recupererò quello che mi hai rubato.”
“Ti occorrerà un bel po’ di tempo e forza di volontà, per rimettermi in rotta, Justin. Ed altri dieci chili, ancora, minimo.”, scherzò Dorian, con la voce tremante.
Voleva crederci.
E ci credeva. Fatto o non fatto, credeva a quel tipo di sguardo di Justin.
Justin sbuffò, quasi divertito, affettando la voce e sbattendo le palpebre.
“Non mi trovi bella? Potrei indossare qualsiasi cosa, con questa taglia.”, smielò, alzandosi e facendo una giravolta.
“Quanto pesi?”, chiese Dorian, non mollando l’osso.
Justin incrociò le braccia e finse di ricordare; in realtà pensava, sì, ma se aggravare o meno le sue condizioni, optando per la verità.
“Quando siamo partiti, pesavo 53 chili.”, confessò, roteando gli occhi.
Checa…sei alto quasi più di me! Un metro e ottanta lo sei!”, sputò Dorian, trovando qualcosa su cui indirizzare i suoi pensieri.
“Lo speed, le anfetamine, le efedrine… ti fanno espellere i liquidi, Dorian. Avrò di certo rimesso già cinque o sei chili.”, scosse la testa l’amico, poco preoccupato. Effettivamente Justin sembrava stare di nuovo bene, e non se n’era neanche reso conto, preso dal proprio dramma personale.
A torturarsi raffinatamente, come se al mondo non vi fossero gli altri, come gli era appena stato rivelato.
Justin, ridacchiando, si tolse la felpa, rimanendo in maglietta, e incrociò le braccia dietro la testa, sporgendo inesistenti pettorali.
“Non trovi sia l’immagine perfetta del disagio giovanile?”, disse ridendo.
Una vera risata, che costrinse Dorian a sorridergli di risposta.
E poi mettersi a ridere, quando il flash di Eddie,  risvegliatosi, li beccò entrambi in quelle assurde pose; un Eddie sorridente, anche se addormentato, che aveva sentito metà discorso come minimo.
“La pubblicità per un tonico anni ’50, semmai, scheletrino!”
E Dorian rideva ancora, quando Eddie si girò a 180° e sentì, dai posti davanti, la voce gioiosa e potente di Shane, esultare.
“Ce l’abbiamo fatta, gente, siamo a Limerick!!”
“Foto vicino al cartello di ingresso della città!!”, rise Eddie, aprendo le portiere nel freddo dell’alba irlandese.
“Sono in maglietta, cretino!”, urlò e rise Justin, cercando in fretta la felpa, mentre Dorian rideva ancora e si allacciava le scarpe, scuotendo la testa.
 
Dopo tanti mesi, aveva ancora il suo gruppo.
 
**
 
Lo show di Limerick fu il migliore dei tre programmati fuori città, grazie al ‘recupero’ di Justin, che girò mezza città, sulla base di informazioni e pochi numeri di telefono, chiamando e minacciando parenti dispersi da chissà quanto tempo da parte di sua madre. Edele sarebbe stata furiosa, ma danno più danno meno…
Suo cugino Fiònan, che Dorian giudicò la persona meno simpatica della terra, lo aiutò in questo compito, con un prevedibile risvolto acido. Una torma di zie e cugine che caddero a terra davanti alla bellezza da angelo stropicciato del biondino, beccato casualmente mentre portava la sua pedalboard nel locale, che scatenò un furioso ticchettio sui cellulari delle cugine ed anche in alcune zie più giovani, che chiamarono amiche di amiche di amiche, fino quasi a riempire il locale.
Edmond rimpianse di non avere Jem con cui fare battute sull’isteria che Dorian scatenava alla chitarra, anche se Fiònan tentò di prenderne il posto.
“Sai, Edmond, ci sarebbe un modo per far vendere a quei quattro qualche copia in più…”
“Mm-mh?”, chiese Ed, soprappensiero, mentre Shane finalmente riscuoteva anch’esso il meritato successo da cotante oche starnazzanti, e Justin tornava nella sua speciale bolla, ignorando che sarebbe stato anch’egli poi assediato, anche se in modo diverso, da zie e parenti che non lo vedevano da minimo quindici anni.
“Se lasciassi quei due suonare in mutande, come i Red Hot Chili Peppers… Sai che botto!”, ridacchiò Fiònan; Edmond lo guardò lentamente, come a soppesarlo, poi pensò che nessuno doveva permettersi di offendere il suo gruppo (a parte Jem).
Le parole di Dorian avevano fatto più vittime di quel che pensava il biondino.
“Sì. È quello che piacerebbe fare a te, e che non ti riuscirà mai.”, ghignò, bevendo dalla sua pinta, e dandosi un cinque mentale con l’amico assente.
Non vedeva l’ora di rientrare in patria.
 
**
 
Quando, dopo due giorni, videro il cartello di entrata a Dublino, il quartetto di nuovo riunito urlò di gioia e, come a Limerick, scesero per una foto celebrativa, nella nebbia piovigginosa, per il ritorno.
Edmond pensò che quei matti se li era voluti, in fondo; non poteva neppure lamentarsi.
 
**
Come sarebbe che la data è spostata?!”
L’urlo di Dorian al telefono del suo cellulare li fece voltare tutti dal bancone, dove stavano bevendo una birra, e riposandosi, come se fossero reduci da un tour mondiale: se questa era la loro tenuta, i veri tour potevano scordarseli, si era convenuto, scherzosamente.
 
In realtà si erano divertiti, nonostante le delusioni, ed avevano recuperato molte cose e imparato altre, da brava band in tournèe per la prima volta. Partiti ingenui, si erano smaliziati in molte cose, come Justin che aveva fatto suo quel modo particolare di passeggiare per il palco e di cantare, pubblicizzare ulteriormente un evento come a Limerick e come in quel momento stavano facendo, passando nei pub dove trascorrevano le sere durante gli studi o il lavoro, non fidarsimai  degli organizzatorie controllare ognuno cosa facessero gli altri: il tour era duro e prima o poi qualcuno cedeva, l’avevano dimostrato prima Justin e poi Dorian, e solo stando uniti l’avevano superato.
 
La regola del non fidarsi degli organizzatori aveva spinto il biondino a chiamare, ed ora avevano l’ulteriore conferma. Justin si accese una sigaretta, agitando una mano davanti a Dorian perché spiegasse. Questi mise la mano sul microfono e spiegò, la fronte corrugata.
“Dicono che hanno spostato la location. Non suoniamo più al Cube.”
“E?”, chiese Shane, con aria minacciosa, quasi dovesse prendere una stecca da biliardo ed andare personalmente all’Ol’ music vox store.
“..aspetta…”
Dorian ascoltò, girato dall’altra parte, con una mano sull’orecchio per non sentire commenti o domande irritanti dei suoi amici, e  mormorò qualcosa, scuotendo la testa che finalmente era riuscito a far risplendere, con tre shampoo a casa di Shane, che era stata trasformata in un vero accampamento; in compenso Justin non aveva notizie di sua madre, né si avventurava a cercarne.
 
Il biondino assentì un paio di volte, poi mise giù, sospirando, e prese la sua birra, sentendosi osservato. Effettivamente tre paia d’occhi, due chiari ed uno nocciola, erano fissi su di lui.
“Occristo, hanno solo cambiato la location, dai!”
“Ma come solo?! Il Cube è un locale perfetto per la nostra musica, e per le dimensioni, per non parlare del tecnico delle luci che…”
“Justin, tu adori quel posto solo perché trovi quelle schifezze che piacciono a te!”
“Le anfetamine?”
“Cretino! La musica dark!”
“Se parla ancora di droga lo mando dall’altra parte del banco, lo giuro!”
“Oooooh, Shane, sfoga il tuo testosterone in eccesso su Dorian che non parla, o sull’Ol’ Music!”
“Effettivamente, Dorian…”
“Ma che è colpa mia, adesso?!”, si difese il biondino, poggiando una birra sul bancone, trattenendo a stento un sorriso. “A me non pensate!? Pensate sia felice?! Non ho neanche la mia camicia migliore stirata, per suonare all’Art Music Centre!!”
 
Le bocche aperte che vide spalancarsi gli bastarono come risposta e come tempo per scolarsi la birra.
“Oddio…”
“Non nominarlo invano, Shane, sia mai che ci ritira questo colpo di culo!”
“Justin, non è che per stasera puoi ri-drogarti? Se ci scappa il morto diventeremmo famosi di botto!”
Ma vaffanculo, Eddie!!
 Dorian si alzò, stiracchiandosi, finalmente sollevato.
 
“Signori… siamo tornati in città.”, e guardò il traffico vicino al Trinity, dove stavano battendo la zona, per informare la gente del loro concerto.
E sorrise.
“Prendiamola, stavolta. Rientriamo come trionfatori.”
 
**
Alle 20 e 30 di sera, Justin faceva su e giù in un vero camerino di backstage, fasciato letteralmente dai pantaloni di pelle, che iniziavano finalmente a stargli un po’ aderenti, e da una camicia nera lunga, che gli dava la solita aria lugubre.
Solo un filo di matita lo truccava, per una volta. Non voleva cadere in clichè troppo banali, ma neanche rinunciare ai suoi trucchetti. Se ne stava costruendo una riserva, da bravo frontman.
 
Dorian stava in un angolo a tubare con Monik, che aveva recuperato al quarto locale visitato per pubblicizzarsi, attorno al Trinity ed al Dublin Tech. Aveva passato altre due ore al telefono,  per la disperazione di tutti.  Pare che i riscontri positivi avuti come ‘guest’ negli altri contest sempre organizzati dalle filiali del negozio, specialmente in quelli di Limerick, avessero convinto l’Ol’ Music store ad organizzare loro un evento pubblicizzato e, appunto, da conquistatori. Le loro demo erano state acquistate e mandate tramite il negozio, a molte etichette, e qualcuna si era detta interessata a delle prove e dei colloqui.
Specialmente una di Londra stava facendo pressioni, e forse il concerto sarebbe stato registrato per quello scopo. Non era una prassi usuale, ma stavano imparando che le regole discografiche erano state scritte per essere continuamente rivoluzionate.
Da loro, speravano, la prossima volta.
 
**
Lo show, un vero concerto finalmente, non in pub oscuri, palchi di dieci centimetri, o supportati solo da parenti ed amici, fece venire giù il soffitto, e nonostante qualche errore di esecuzione dovuto all’emozione da parte di Eddie, l’audio risultò quasi perfetto nella maestria e nell’energia rinnovata che Dorian stava stillando dalla chitarra, approfittando di un nuovo delay che aveva avuto in prestito dal negozio di strumenti, che sperava di spremere il più possibile dai tour con i quali li avevano ‘sponsorizzati’.
Justin, sviluppò una tecnica tra il teatrale e l’assente per la sua performance: andava nella sua speciale bollaper poi tornare con quei movimenti fluidi che avevano caratterizzato le loro prime esibizioni, con i suoi capelli, erti a vette inarrivabili (la povera Monik si era intossicata per farglieli), ondeggianti e poi perfettamente immobili nella luce.
 
Silences fu, incredibilmente, cantata da tutti.
 
Il loro ultimo show con quelle canzoni, suonate in quel modo, divenne qualcosa di mitico, una pietra miliare; e purtroppo, qualcosa che avrebbero ricordato con nostalgia per molto tempo.
 
**
 
Dopo il concerto, sudati come maledetti, avevano chiesto una mezz’ora per riprendersi, pensare a cos’avevano fatto, prima di uscire; pretenziosi era quello che avevano letto nella mente degli organizzatori, e Dorian aveva preferito sostituirlo con ambiziosi.
In quel momento se ne stava con Monik, appoggiato al suo seno inesistente ma comunque accogliente, mentre questa gli accarezzava i capelli, fiera e amorevole, bisbigliandosi paroline dolci e rassicuranti.
La cosa che tutti, nel gruppo, apprezzavano della sua ragazza, era che capiva benissimo l’importanza della loro musica e giudicava correttamente uno show, senza indorare loro troppo la pillola. Collaborava con loro e spingeva Dorian avanti, a parte l’inizio; la fase pericolosa dell’innamoramento, in cui la coppia tendeva ad ignorare gli altri 6 miliardi di persone sulla Terra.
 
Shane fumava una sigaretta dietro l’altra appestando il camerino, ed Eddie se ne stava semplicemente ad occhi chiusi, con una maxi Guinness da cui beveva a lenti sorsi, battendosi le bacchette sulle cosce, ripassando gli errori commessi, ingigantendoli per poi ridimensionarli, ansioso di vedere e\o sentire.
Non sapevano neanche se sarebbe stata una registrazione video o audio, e a quel punto se ne sbattevano.
Erano sfiniti.
 
Justin, che si era messo a passeggiare nervoso, dopo una birra uscì nel retro per fumarsi una sigaretta, insistendo che se avessero fumato in due sarebbero rimasti soffocati tutti in una terribile nebbia. voleva stare un po’ solo, ma dopo tutto quel tempo in cui era rimasto solo, gli pareva una cosa brutta da dire, la peggiore forse.
La verità era che sperava, se fosse stato un video, di non avere rovinato tutto, con le sue cretinate. Sentiva su di sé, stavolta, e non su Dorian, il peso dell’esibizione, e come tutti i leader, era insicuro.
Avrebbe voluto rifarla subito, aveva energia per rifarla almeno altre cinque volte, e meglio; si accese una sigaretta, ne aspirò avidamente due o tre boccate e la gettò via, facendo due o tre passi nella notte dublinese.
“Merda…merdamerda…merda!!!
“Primo grosso concerto? L’ho sentito dire…”, bucò l’oscurità una voce, seguita da una figura improbabile di una ragazza della sua età, con un cellulare in mano, che digitava qualcosa, uno di quegli sms probabilmente che anche Dorian usava tanto con Monik, senza guardarlo in faccia.
 
Justin rimase a guardarla un attimo, pensando fosse una barista o una delle ragazze in sala, notando il particolare più sgargiante: non l’abbigliamento, nero come il suo e non adatto assolutamente alla stagione, non il trucco nero vistoso, ma i lunghi capelli rosso arancio, con mèches rosa, che le arrivavano a metà schiena, fermati con numerosi fermagli per resistere al vento di Dublino che aveva spazzato via le nuvole minacciose della mattina.
E gli occhi blu, quasi viola, quando alzò il piccolo viso, che spariva in quel mare di fuoco di capelli improbabili, a guardarlo; occhi che guardavano ben più a fondo dei suoi, grandi quasi come i suoi.
 
La ragazza sorrise e si avvicinò.
“La mia amica aveva ragione: ho fatto bene a venire. Suonate davvero bene e…”, fece per fargli il giro intorno, come un cartone animato, e si fermò quando anche Justin si girò di scatto, come non sopportasse di averla alle spalle. “E tu sei proprio un bel tipo.”, finì, arricciando il naso in una smorfia divertita.
“E tu chi sei?”
“Catherine. Kat per gli amici.”, scrollò i lunghi capelli, offrendogli la mano, mettendo finalmente via il cellulare.
Justin non prese la mano, rimanendo a fissarla con curiosità, senza maleducazione, e la ragazza la ritirò, ridacchiando.
“Spaventato come una marmotta davanti ai fari di un’auto! Sul palco non davi questa impressione, sei davvero bravo! Almeno accetta i miei complimenti.”, e gli porse un pacchetto di sigarette.
Justin ne prese una, sempre fissandola.
“Chi sarebbe la tua amica?”
“Lei.”, ridacchiò di nuovo la ragazza, indicando Monik che usciva di corsa, scortata da Dorian, che incrociò lo sguardo con lui, perplesso, in una comunicazione non verbale.
-Ma che cazzo..?!?-
-Io non ne so niente, Just, le donne sono pazze!!-
“Monik, meine Freundin!” (-Monik, amica mia!-)
“Katherine, kleine Prinzessin!” (-Katherine, principessina!-)
 
Justin approfittò dei baci ed abbracci che le due si diedero, ammirandosi i capelli a vicenda e parlando fittamente in tedesco, con qualche difficoltà da parte della rossa, tra risatine e interruzioni a vicenda, per fare a segno a Dorian di spiegargli, il quale alzò le spalle.
 
“Se ti dico quanto so ti accontenterai, spero, perché non capisco niente neanche io! Quella tizia è la sua corrispondente di penna da secoli, è canadese, e si è ritrovata a passare in Irlanda… E hanno organizzato tutto stasera. L’ho appena saputo, vedendola mandaretutti i messaggi in quella lingua assurda… Le ho chiesto. Ma è tutto ciò che so!”, finì di rispondergli in un soffio, visto che le due avevano finito di parlare, abbracciarsi ed esternare emozioni in modi a loro sconosciuti, e Monik stava tornando da lui, mentre la sua amica stava sorpassando rapidamente Justin per entrare nel backstage.
Ehi no, là dentro non…”
“Oh, giro sempre con maschi, non preoccuparti! SALVE, ragazzi!” , trillò una voce acuta, entrando direttamente e guardandosi attorno, non notando neanche lontanamente uno Shane a torso nudo che, inconsapevolmente, si era posizionato sull’attenti neanche fosse Capitan America, pettorali in bella mostra, ma dirigendosi verso Phoenix, con panico di Dorian e interesse un po’ curioso ed un po’ maligno di Eddie.
“Questa è la famosa chitarra? Posso farle una foto?”, chiese, estraendo una usa&getta e girandosi verso Dorian e sbattendo le ciglia, mossa che fece ringhiare qualcosa in tedesco a Monik, per poi mettersi a ridere.
“Io… cos… foto?! Ma che sei, tu?!”
“Un ricordino del mio viaggio in Irlanda. Siete l’unico gruppo che ho visto!”, e Dorian acconsentì, assediato anche da un ‘Pleeeaaaseee’ di Monik, abbagliato anch’esso dal flash e dalle parole seguenti: “…a parte gli Smashing Pumpkins. Ma mi siete piaciuti di più voi.”
“Co…!! Hai visto gli…”
“Sì, li ho visti. Vi spiace se faccio una bella foto di gruppo? Sapete, a casa scrivo per una fanzine e visto non abbiamo molte notizie dall’underground estero, mi piacerebbe farne un bello speciale dal mio viaggio in Europa. Ah…tu, bellezza, scusa, ti spiace metterti una maglia?”
“Ne stavo cercando una prima che tu entrassi, se è per quello…”, borbottò Shane, beccandosi una gomitata di Eddie, che si stava alzando, con la birra in mano, che aveva invece capito che era rimasto a far bella mostra di sé, e che ad occhio doveva averlo capito anche la ragazza.
Magguardaccheccarini! Di tutti i gruppi che ho visto siete di certo i più belli, e…Dov’è il vostro cantante aspirante Corvo?”
Si può sapere che diavolo stai facendo?! E chi sei?!”, entrò come una furia Justin, rimasto fuori ad osservare gli eventi a bocca aperta. Dall’insicurezza stava passando rapidamente al vecchio furore, e ragazza o no, non avrebbe permesso a quell’estranea di rovinargli il momento di pianto in solitudine.
Catherine andò a prenderlo per il braccio, con un’espressione più divertita che esasperata, e lo portò coma un bambino tra Eddie e Dorian, che a sua volta era abbracciato, buffonescamente, da Shane.
“Una foto, Lestat! Vai col tuo gruppo.”, disse, divertita. Era probabile che quella sua entrata fosse abituale, tanto non si era scomposta minimamente davanti al loro sconvolgimento.
“Ehi, un momento, non ho…”, iniziò a protestare Justin, avanzando irritato, ma…
-Flash-
“Complimenti, avanzo di anni ‘80, hai rovinato la foto! Mi tocca farne un’altra!”, e passò alla foto successiva, fulminandolo.
“Vedi di stare fermo, queste cazzo di foto costano, e non me le paga nessuno! Cristo, fai parte di una band indipendente o hai già il contratto con una major, che frigni così?!”, sbuffò, rimettendosi la macchina davanti e segnando con le dita il conto alla rovescia.
L’argomentazione tolse fiato a Justin, che stette fermo, con una faccia talmente sbalordita da sembrare in uno dei suoi momenti di riemersione alla luce.
Cosa che soddisfece la peste rossa.
“Bene, ora vediamo… Che ne dici di accompagnarmi al bar, bel moretto? Vorrei fotografare un po’ l’ambiente…”, sparò, mentre fotografava la sua amica avvinghiata ad un Dorian dalla faccia soddisfatta, ovviamente fotogenici come due angioletti caduti per sbaglio in Irlanda.
Shane fece per muoversi quando, sparaflashando un’istantanea a Eddie che beveva una birra, Kat alzò un dito e lo fermò, per poi riavviarsi i capelli, finitegli nella lunga giacca leopardata.
Non tu; il tuo amico spaventapasseri.”
Giuro che mi stai stancando, ragazza! Se pensi che…”
“Devo farti un’intervista, ma se non ci tieni a portare la voce del tuo gruppo in Nord America, anche se solo per una fanzine underground, puoi risparmiarti la birra chiara che volevi offrirmi e rimanere qua a frignare che la tua performance non è stata all’altezza, e cose simili, caro il mio lagnone.”, ed abbassò la macchina fotografica, con un sorriso tra il dolce ed il velenoso.
“Non penserai di essere il primo frontman che incontro, vero?”
Justin scosse la testa e la prese sottobraccio, ignorando il dito medio sogghignante di Shane, sbuffando e trascinandola via.
 
**
 
Al bar dell’ Art centre, poco dopo, Dorian, affannato e con Monik al seguito che moriva dal ridere, raggiunse Eddie, che faceva la ruota con delle ragazze di Linayr amiche del fratello, che con Jem aveva aizzato la folla. Doveva raccomandargli una cosa.
“Eddie, Eddie!”
Cazzo vuoi, Kierdiing?! Non venire qui, mi fai scappare la fauna!”, ringhiò Eddie, trascinandolo (anzi, trascinandoli) da parte.
“Non dire a Shane che quella ragazza, Kat…”, e guardò Monik, che scoppiò di nuovo a ridere, assentendo con la testa. “È la cantante degli Administrators!”
“Echiccazzosono?!”
“Il gruppo che ha aperto in Inghilterra e in Irlanda del Nord per gli Smashing Pumpkins! Per quello Monik l’ha invitata!”
“E perché dovrei non dirlo a lui e non a Justin?! Stanno amabilmente litigando al bar come una vecchia coppia!”, e si girò verso il ciuffo nero-violaceo che ondeggiava sopra un po’ di teste, chiaro segno dell’agitazione di Justin, e il punto luce creato dai capelli di lei, anch’essi scossi. Ora gli era chiaro il perché si erano subito scontrati: erano due teste di cazzo della stessa razza.
Dorian scoppiò a ridere, e abbracciò Monik, che prese fiato e scandì le parole con un pessimo accento.
“Perché lei suona il basso. E il bassista si suona la bassista, garçon!”,e scoppiarono a ridere, assieme con Eddie.
 
**
“Com’è essere leader di un gruppo? Un gruppo di così forte personalità, poi…”, chiese Kat, bevendo la sua pinta di lager, in un angolo appartato vicino al palco, ora scuro.
“L’insicurezza diventa una costante.”, sospirò Justin, bevendo dal suo drink superalcolico, con una sigaretta. “Non sei sicuro del tuo ruolo e…”, le mani gli tremarono un attimo, mentre tirava dalla sigaretta. “Ti aiuti come puoi, finché qualcuno non ti aiuta.”, e soffiò il fumo.
“Avere una band di amici che ti aiutano è vitale, in questi casi.”, disse, con un sorriso.
Kat scrisse un paio di appunti, sorridendo a sua volta.
Malinconica.
“Vorresti mai essere da solo?”
Justin ci pensò su, e bevve un lungo sorso.
 
L’aveva mai volutoveramente?
Quando Dorian aveva dato di matto?
Quando aveva dato letteralmente di matto lui?
Quando tutti l’avevano abbandonato?
 
Posò il bicchiere e guardò la ragazza dritto negli occhi, sorridendo.
“No. Mai.”, e cercò gli altri in giro per la sala; Eddie che bisbigliava con Dorian e Monik, con una ragazzina al fianco, dal fisico da modella ed un aspetto quasi latino.
Shane, che, con un’attraente bionda, al bancone, levò la pinta verso di lui, facendogli linguaccia e segno di augurio, che lo fece aprire in un sorriso e levare il suo bicchiere in risposta.
-Scemo…-
Kat lo osservava, e, nonostante la macchina fotografica a portata di mano, non si passò neppure la testa di fargli una foto con quel sorriso così radioso. Quando Justin spostò la sua attenzione su di lei, invece, posò il bicchiere e gli allungo una carezza, come intenerita.
“Sei bravo a farti delle maschere.”, sospirò, con dolcezza, gli occhi misteriosamente sull’orlo delle lacrime.
Justin deglutì, a fatica, e posò a sua volta il bicchiere: era stato bravo, sì.
Aveva solo perso la famiglia, la salute, quasi gli amici.
“Non sempre una maschera è quello che serve, sai…”, mormorò, abbassando gli occhi, come un’ammissione; quella ragazza, prima con la sua irruenza e poi con la sua dolcezza nascosta,  stava tirando fuori la verità, pian piano, da lui.
“No… Ma a volte occorrono a sopravvivere.”,sospirò Catherine, chiudendo il notes, ed abbassando gli occhi a sua volta. Pensava a quante ne stava creando lei, per sopravvivere a quel tour massacrante, e a quante ne avrebbe dovuto distruggere.
Forse fu quello, come avesse indovinato i suoi pensieri, a far prendere la sua mano a Justin e, dopo aver preso un respiro profondo, a baciarla.
E, accidenti, solo quando lo fece si rese conto di quanto fosse vero quel bacio.
 
Si interruppe solo quando sentì tossicchiare alle sue spalle, e, girandosi, pensò che il karma l’aveva ancora fottuto: davanti a loro stava Edele, sempre bellissima, che si torceva le mani, ma gli stava puntando uno sguardo armato contro.
Armato di non si sa cosa. Sua madre era l’unica più brava di lui a crearsi maschere, e a differenza sua sapeva nascondere cosa tramava in quegli occhi dallo stesso colore.
“Justin…”, iniziò, e si interruppe, guardandolo.
E guardando poi la ragazza alle sue spalle, che la fissava ad occhi sgranati, ripulendosi dal rossetto sbavato, e che, presa la birra, si allontanò di fretta; cosa di cui suo figlio non si accorse neppure, tra l’altro.
“Ma…mamma! Cosa…”
“Mi ha telefonato Dorian. Quella lingualunga è esperto nel metterti nei casini.”, e ridacchiò debolmente.
“Dorian… e… cosa...”
“Non avevo mai visto un vostro spettacolo. Sono venuta con Dave, spero non ti spiaccia se ti ho rovinato l’incontro ravvicinato con la signorina.”, e allungò il collo, inutilmente. Kat era già sparita nella folla.
“N- no. Cosa…Come ti è sembrato?”
“Sei bellissimo, Justin.”, gli disse, sull’orlo delle lacrime. E, aprendogli una mano, gli poggiò un oggetto, dicendogli le cose che aspettava da una vita.
“Ho parlato con Dorian e mi si sono chiarite molte cose. Quel ragazzo ti vuole bene, Just.”, e si fermò ad asciugare una lacrima che traboccò. “Mi hai reso molto, molto fiera, Justin. Sei insuperabile in ciò che fai.”, e gli chiuse le mani sull’oggetto.
“Hai dimenticato le chiavi. Domani mi racconterai del tour.”, e si voltò per raggiungere il compagno, per poi girarsi con un vero sorriso.
“Mi raccomando, con la ragazza… Non voglio cattive notizie, domani.”
Justin accusò il colpo, e si mise a ridere, intascando le chiavi, ancora troppo magro ma in via di ricostruzione.
Oh, mamma, ma vaffanculo!”
 
**
 
Kat se ne stava sui gradini dietro il backstage a fumare una sigaretta.
 
Di tutte le figure di merda, proprio stasera dovevi farne una, eh? Musicista, groupie, rapporti occasionali… Cos’aveva detto quel tipo, Justin? Insicurezza. La tua miglior amica.
Si alzò in piedi, fece per bere dallo stesso bicchiere di prima, e poi ci pensò un attimo; un attimo di rabbia, verso se stessa, e tirò il bicchiere contro il muretto di mattoni dietro l’Art Centre.
Vaffanculo, per Dio!!”, urlò, mentre una lacrima nera le scendeva, un qualcosa che intendeva ignorare.
“Per fortuna te ne ho portata un’altra…”, sentì una voce dietro di sé.
“Cos…”
“Non sei l’unica brava ad arrivare di sorpresa.”, le disse dolcemente Justin, porgendole una birra, che lei non prese. “Avanti, voglio una recensione favorevole.”
Kat lo guardò nel peggior modo possibile.
“È un gioco per te, Justin Swanson?”, soffiò lei, tirando poi rabbiosamente dalla sua sigaretta.
“Cosa?”, chiese, allibito.
“Per t…per voi: passare da una ragazza all’altra, un gioco!”, alzò la voce la rossa, avanzando rabbiosa verso di lui. “Una ragazza a casa ed una in tour!  Vi basta mettervi su quel palco, suonare due accordi e via, ragazze a frotte! E poi cazzi loro quando si incontrano! Almeno la tua ha avuto la decenza di non litig…”
“La mia…che?!
“Quella donna che… quella! Non prendermi in giro, non ti ci provare neppure!”, lo ammonì, mentre un lampo di rabbia la faceva passare gli occhi da blu a viola. Non voleva certo commentare che, per quanto stupenda, quella donna doveva avere più anni di lui, non era certo la prima volta che vedeva certe cose, specie in campo musicale. Le coppie più strane si intersecavano.
Monik stessa le aveva detto che uno degli amici di Dorian aveva un debole per le ragazze più vecchie.
“Dici…”, e Justin provò a farsi fissare negli occhi, impossibilitato da due birre in mano, decidendo di poggiarle. “Ehi, guardami!”, e le prese una mano, che lei tentò di colpire.
“Ah sì, guardami, credimi, piccola dico la verità! E lasciami subito o…
“Era mia madre, Cristo!”, sbuffò Justin, immobilizzandole le mani e abbassando gli occhi all’altezza dei suoi. “Abbiamo litigato prima del tour e mi ha riportato le chiavi!”, e, ripensandoci, scoppiò a ridere.
“Non ti credo.”
Justin la osservò, poi la lasciò andare, con un sorriso, e le porse la pinta, che finalmente accettò.
“Sai… neanche io ti credevo così.”
“Cosìcome?”
“Brava. Ma la maschera migliore era la mia.”, e fece per toccarle il bicchiere con il suo. “La tua è crollata subito. Quanti anni hai?”
“Diciotto.”, rispose lei, ancora imbronciata. Un broncio sexy che doveva aver provato molte volte, pensò lui, per poi fregarsene e prenderle una mano.
“L’insicurezza, ricordati…”, e le sorrise, finché anche lei gli sorrise, di rimando.
“Ci cammina a fianco.”
 
**
 
“Cazzo, mi sono ribaltato mezza birra sui jeans, meglio vada a prender…”
“NONONONONO!! Sul furgone non ci vai!”, Dorian si mise di traverso alla porta del backstage, alle 5 di mattina, dopo una serata apocalittica come quella del loro primo concerto.
“Dorian! Non ho intenzione di stare qua mentre sembra che mi sia pisciato addosso e…”
“Il furgone è occupato, bisonte!”, sibilò il biondino, con la fidanzata a dargli manforte, che scuoteva la testa, guardandolo male, come se con i suoi quaranta chili avesse potuto fargli davvero male.
“Co…”
La mia amica Kat e Justin stanno parlando.”, sibilò Monik, con un inglese atroce ma, chissà come, sottolineando il ‘parlando’.
Shane venne ricondotto all’interno, con una mano in faccia, mentre iniziava a ridere come uno scemo.
“Parola mia, questo tour è ciò che di più divertente mi sia capitato in vita, ahahahah! Justin con quella! Chiamate un’ambulanza, o prepariamo il cucchiaio più grande del mondo! Ahahahah!”
“Senti come ride l’invidia…”, borbottò Dorian, sbattendo Shane contro il banco, piegato dal ridere, e ordinando un altro giro di birre.
 
Aveva imparato che non voleva avere mal di testa da solo, il mattino dopo.
 
**
 
“…pensavo…”
“?”
Kat, mezza addormentata, sulla branda che fu di Dorian nel tour, con i capelli a ricoprire di fiamma il magro petto di Justin, un braccio di traverso ed appiccicata a lui per difendersi dal freddo, lo guardò interrogativa.
“Per il tempo che ti fermerai qua, ti piacerebbe…”
“Domani ripartirò.”, sbadigliò lei, prendendo mentalmente le distanze.
Non soffrire, non dargli corda. Non soffrire. Smettila. Non illuderti o non avresti neppure dovuto iniziare questo mestiere, stupida vigliacca sentimentale.
“Do…domani?”, restò allibito Justin, mettendosi a sedere di colpo. E la sua domanda rimase nell’aria, troppo facile da indovinare.
E purtroppo da ignorare.
-Vorresti stare con me? Essere la mia ragazza? Riempire la mia solitudine con la tua?-
“Sì, domani.”, fece finta di chiudere gli occhi Kat, sistemando la sua parte di coperta.
“Come…come mai?! Il tuo non era un giro in Europa?”
“Sì. La settimana scorsa eravamo in Inghilterra. Poi in Irlanda del Nord. Poi qua. Ed eccoci qua.”, fece per sbadigliare, da consumata commediante.
Tutto questo lavoro per non affezionarsi. Tutto questo lavoro. E ne vale la pena?
“Tu…e chi? Amiche?”, chiese Justin, per non chiedere quello che temeva di più.
-Amici? Sei una groupie? Come sarebbe ‘eravamo’? Non ho visto nessuno che…-
“Col mio gruppo. Siamo in tournèe con gli Smashing Pumpkins, e domani partiremo per l’Olanda.”, e si girò dall’altra parte, per non far vedere che stava diventando sempre più difficile tenere quella maschera. Che stava per piangere, da stupida sentimentale che era. Da affamata d’affetto, che purtroppo pensava di averne trovato.
 
Il silenzio successivo fu significativo e carico di addii.
“Dev’essere veramente bello…”, disse solo Justin, ristendendosi ed abbracciandola.
Certo. Lasciarti poi… È un’ebrezza continua, questa vita.
“Mmm, molto.”, rispose, invece, facendo finta di voler addormentarsi.
“Posso chiederti solo una cosa?”
“Parla.”
“Io… posso venire a salutarti?”
“Se vuoi un autografo di Billy Corgan, sappi che io non…”
“No. Possiamo trovarci prima? Solo…”, e deglutì, mentre pensava che il suo primo vero amore se ne stava per andare, e facendo una promessa solenne a se stesso.
Di quelle che manteneva.
“Solo per dirti addio. Non vorrei farlo, ma se deve essere, non voglio che sia qua. È troppo…
squallido.”
Kat non rispose, per un po’, e poi si voltò verso di lui, con un sorriso.
“Certo. L’aereo parte alla sera. Dimmi dove possiamo trovarci domani.”
Justin le baciò una spalla, e le sorrise, grato.
“Restiamo assieme finché sarà l’ora e, se posso, ti accompagnerò in aeroporto. Poi prometto che ti lascerò andare.”
Lei si girò verso di lui, fronte contro fronte.
“Credi di essere innamorato?”
“Lo so.”
Gli sorrise amaramente.
“Allora amami. E facciamo in modo di non sprecare questo tempo prezioso.”
“Ai tuoi ordini, signorina.”
Fu un brutto addio, quando, il giorno dopo, visibilmente segnata dalla nottata, ma non meno bella, Kat si infilò su un taxi per l’aeroporto, separatamente dal suo gruppo.
 
Justin si voltò verso il cielo di Dublino, guardando le scie degli aerei e pensò alla sua promessa, non pensando mai, neppure una volta, che era una promessa da ventenne nel pieno di una cotta e di orgoglio giustificato.
 
L’avrebbe ritrovata. Non sapeva niente di lei, tranne il suo nome ed il nome del suo gruppo sconosciuto, ma l’avrebbe fatto. 
 
Si mise le mani in tasca e ritrovò le chiavi di casa. Si avviò, sotto un cielo nel quale le nuvole si rincorrevano, sempre in movimento, e pensò che forse, le sue promesse erano vane. Forse quella era la fine di tutto, in fondo non avevano progetti per il futuro.
 
L’insicurezza, come una vecchia amica, tornò ad avvolgerlo come una coperta quasi rassicurante, mentre, a casa, la sua vecchia vita lo aspettava.
 

Eccoci; è un capitolo lunghissimo, perchè, come preannunciato, le cose cambieranno radicalmente. 
Le cose stanno cambiando e non potranno mai tornare com'erano, se non in un futuro, dove reincontreremo anche questo nuovo personaggio, per ora solo accennato, sul quale non mi esprimo.
E Dayer ed Alael? 
Grazie a Jo The Ripper che è riuscita, quasi a costo della vita, ad ignorare le mie citazioni continue e provocazioni e betare questo orrendamente lungo e incasinato capitolo. Grazie, e LOOOOOOOOOOOOVE!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Princess_Klebitz