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Autore: _Sinclair_    15/05/2013    3 recensioni
In una Parigi della fine del XIX secolo, una donna si trova coinvolta nella vendetta di un giovane scienziato, umiliato da un suo antico rivale e dalla vita stessa. Potranno la sua astuzia e le sue doti aiutare l'uomo a dare finalmente prova del suo genio? E lei, otterrà ciò che davvero vuole?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi veniva da sorridere nel pensare a quanto diverso era il mio stato d’animo abituale quando avevo salito quelle scale nei mesi precedenti. Il pensiero della serata di lavoro che mi attendeva era sempre stato in grado di calmarmi, di rilassarmi perfino. Jeanine, io sono una professionista... o almeno lo ero... diciamo che ai vecchi tempi, prima di tutti questi sconvolgimenti, era così che mi consideravo. Quindi per me andare a casa di Martin altro non era che prepararsi a investire un po’ del mio tempo in cambio del suo denaro. Un rapporto onesto, più sincero di molti altri “grandi amori” dei quali sentirai parlare in giro.

Ma quella volta era diverso. Tutto lo era, tutto si era trasformato. I passi, i luoghi, i respiri, i minuti. Le ore, le maledettissime ore. Di nuovo, mentre i miei piedi danzavano veloci sugli scalini un po’ sconnessi, rivedevo di fronte a me da un lato quell’orribile occhio dorato che mi forava la testa, dall’altro l’orologio della madre di Martin dal quale era cominciato tutto. E il ticchettio, il suo ritmico picchiare, risuonava nella memoria, invadendo ogni pensiero, violandolo, distruggendolo. 

Avanti, avanti. Sopra, sopra. Un altro scalino. Ancora un altro. Solo questo occupava il mio cervello.

Sottobraccio tenevo la piccola cartella di cuoio che conteneva ciò che più desideravo al mondo in quel momento. I progetti dell’occhio artificiale, fatti recapitare quella mattina stessa da Lucille a casa mia, erano il simbolo della mia vittoria, lo strumento che mi avrebbe permesso di ottenere ciò che volevo e di dimostrare a Martin quanto valessi realmente. Perché io, solo io, quella gran puttana di Rosalie, buona a nulla se non a dare piacere a un uomo per una notte, io avevo difeso Martin che, con tutta la sua intelligenza, si era sempre fidato delle persone sbagliate, si era lasciato ingannare tanto dai nemici quanto dalle persone a lui care, si era dimostrato per l’ennesima volta del tutto indifeso di fronte ai tranelli del mondo.

Io avevo vinto per lui, anche contro la sua volontà, e ora ne avrei raccolto i frutti, sotto forma di un bel mucchio di quattrini. Ma anche, e quella era la cosa che mi rendeva tanto felice, avrei avuto l’occasione di vedere la sua faccia mentre glieli consegnavo, mentre gli provavo una volta per tutte che servivo a qualcosa di più che scaldare un letto, che potevo perfino rendergli migliore l’esistenza.

Che soddisfazione, Jeanine, e che calore questo pensiero mi metteva nel corpo!

Bussai, no, picchiai contro la porta di Martin con una foga della quale non mi ritenevo nemmeno capace. Dovevo avere il viso stravolto dall’emozione e dall’orgoglio, poiché quando mi aprì, vidi Martin esitare per un istante sull’uscio, come se non mi riconoscesse. Poi il suo sguardo scese verso il basso e gli vidi gli occhi concentrarsi sulla cartellina. Comprese al volo.

«Li... li hai trovati...», sussurrò, con un timore quasi reverenziale nella voce. 

Non proferì altra parola. Me li strappò da sotto il braccio, correndo verso la scrivania per guardarli alla luce. Io rimasi per un attimo come una stupida sulla soglia.

Entrai dunque a passo di carica, chiudendo di botto la porta dietro di me e piazzandomi nel centro della stanza, le braccia puntate sui fianchi.

«Un bel grazie non sarebbe male, Martin.»

Come era naturale, nessuna risposta. Le sue dita correvano sui disegni, seguivano le linee, riempivano gli spazi vuoti lasciati dai tratti del pennino. Credo che se gli avessi restituito un braccio o una gamba non avrebbe potuto essere più felice.

E così, contro la mia volontà, le mie braccia si riabbassarono lungo i fianchi e un sottile sorriso mi si formò da solo sulle labbra. Era contento. Se fosse stato capace di farlo, credo che si sarebbe messo a piangere di gioia. Un po’ ero contenta anch’io.

Poi, come sempre, il temporale.

«Aspetta un secondo,» disse. Le dita si erano fermate e quando si voltò per guardarmi le mani erano ferme sulla scrivania, tenendovi i fogli inchiodati sopra. «Come hai fatto ad averli?»

«Ho le mie fonti, ho i miei metodi,» risposi. Andai a sedermi sul bordo del letto e mi tolsi il cappello. Non so perché, ma avevo un improvviso desiderio di rimanere in quella stanza.

«E’ stata Lucille a darteli? Devo sapere, Ros.»

Eccolo lì. Il solito impiccione incontentabile, incapace di vivere senza trovare un nuovo enigma da risolvere. Ed eccomi qui, la solita fessa che si esponeva per lui e che come unico ringraziamento si trovava incastrata tra due fuochi. No, non gli avrei detto nulla del coinvolgimento diretto di Lucille.

«Ascolta, io te l’avevo detto che la tua dolce biondina era la chiave della faccenda. Lei sapeva dove si trovavano, tutto qua. Adesso vuoi darmi almeno un bicchiere di vino o devo fare tutto da sola come sempre?»

Martin scosse la testa, si staccò dalla scrivania e mi si piazzò davanti. «No, non mi convince. Come faceva a sapere dove si trovavano? Li custodiva per Florent?»

«Oh Cielo, aiutami tu!» esclamai, gli occhi levati al soffitto. «Ma che accidenti ti importa? Li aveva lei, io le ho fatto capire che razza di mascalzone è Florent e lei mi ha aiutato. Ora, pensa a come utilizzarli per incastrarlo una volta per tutte e comincia a goderti la bella favoletta a lieto fine che ti ho preparato. E vivi una buona volta, Martin! Non c’è mica qualcosa di male ad essere felici, pezzo di cretino!»

Martin fece altri due passi in avanti. Ora era distante meno di un soffio e, anche se non era molto alto, la sua figura torreggiava sopra di me, tanto che per istinto mi piegai lievemente all’indietro, puntandomi al materasso con le mani dietro la schiena. Non riuscivo a vedere altro che il suo viso, in ogni dettaglio e in ogni particolare. Percepivo il suo respiro, il frusciare dei suoi vestiti e perfino il picchiettare della catena dell’orologio della madre contro i bottoni del gilet.

«Voglio sapere fino a che punto Lucille era coinvolta. Non me ne faccio nulla della tua favoletta se non saprò la verità. Come faceva ad averli lei?»

«E... e che ne so? Li aveva, punto. Glieli avrà dati Florent dopo che te li ha fatti rubare. Avrà pensato che non avresti mai sospettato della tua amichetta d’infanzia. Avrà creduto che si trattava del posto più sicuro, dell’ultimo posto in cui tu saresti andato a cercarli...»

Di nuovo, scosse la testa. Di nuovo, si fece più vicino. Ora ero quasi sdraiata sul letto. 

«Lucille sapeva qualcosa del furto, allora?» proseguì lui, come se io non avessi detto nulla. «Ne  era a conoscenza? Lo ha aiutato? Che ti ha detto quando sei stata da lei? Avanti, parla, Ros!»

Troppo. Era troppo. La smisi di andare all’indietro, irrigidii il petto e mi feci avanti a testa bassa. Il cuore mi batteva così forte che mi pareva essere sul punto di andare in frantumi come un bicchiere di cristallo.

«Non mi ha detto niente, maledetto idiota che non sei altro. Mi ha detto solo che li aveva lei ma... ma a parte questo non c’entra un accidenti. Hai capito? Lei non c’entra nulla!»

Quest’ultima bugia praticamente gliela gridai in faccia. Perché lo feci? Sì, lo avevo promesso a Lucille. Ma c’era di più.

Ero sicura che la verità avrebbe devastato Martin. Se avesse saputo che la sua bella biondina era stata in combutta col suo peggior nemico, matrimonio in vista o meno, lo shock lo avrebbe atterrito. Non potevo permetterlo, capisci? Non solo non ci avrei guadagnato nulla, ma gli avrei  fatto del male e in quel momento... oh, mi guardi ancora con quello sguardo così strano, Jeanine! Non sono totalmente priva di cuore come tu mi credi. No, non più, almeno.

Ad ogni modo ci pensò lo stesso Martin a fare tutto il lavoro, mandando all’inferno ogni mia premura. La risposta lo colpì. Non si aspettava una reazione così violenta e lo vidi indietreggiare con gli occhi sbarrati e le mani strette a pugno. Poi quelle stesse mani si riaprirono, ma le gambe continuarono a portarlo all’indietro. Quando arrivò al bordo della scrivania e vi si poggiò, tenendo la testa piegata verso l’alto, cominciai a preoccuparmi sul serio.

Facevo bene.

«Non c’entra nulla... E lei tiene nascosti i progetti senza essere coinvolta. Certo.» Poi si girò e rimise le mani sui disegni. Iniziò a stringerli. «Mi credi così sciocco, Ros?»

«Alle volte sei molto stupido,» gli dissi, con tono più calmo. Mi ero rialzata ed ero tornata vicino a lui. Dovetti sforzarmi per non mettergli una mano sulla spalla. «Ma non ti ritengo uno sciocco. Lucille... Lucille ti vuole bene, ti ha aiutato. Non distruggere ciò che ha fatto per te, rimangiati un po’ di amor proprio e chiudi questa storia. Prenditi i soldi, prenditi lei, prenditi tutto. Te lo meriti, te lo sei guadagnato. E’ tuo.»

Un fazzoletto? Ma Jeanine, cosa me ne faccio adesso di un fazzoletto? Ma quali occhi umidi, è... è l’aria della sera. Devo aver preso un colpo di vento, nulla più. Fammi finire questa storia, ti prego.

La testa di Martin sprofondò ancora di più. Potevo quasi vedere il peso che la stava schiacciando. Le sue mani stavano quasi stritolando i fogli.

«Io non ho nulla. Ho capito tutto, sai? Solo Lucille sapeva del mio nascondiglio, perché solo a lei lo avevo detto. E subito dopo è corsa da Florent, a riferirgli tutto. Ecco cosa è successo.»

Ora la mia mano era su di lui, non avevo potuto impedirlo. Era sul suo braccio e lo accarezzava.

«Martin, ma che importa? Lei me li ha dati e...»

Mi scostò. Anzi, mi gettò via con un colpo della spalla. Quel braccio che stavo sfiorando ora tremava, come tutta la sua persona.

«Tu credi che io abbia fatto tutto questo per i soldi? Per qualche migliaio di franchi? E’ solo a questo che pensi? Ma che me ne faccio dell’oro quando lei mi ha tradito? Quando chiunque mi ha tradito? Quando sono circondato solo da persone che pensano unicamente a ferirmi, umiliarmi, usarmi?»

Si voltò, i progetti stretti tra le mani. Mi guardava e credimi, non avevo mai visto tanto odio negli occhi di un uomo prima di allora. Ed era tutto rivolto contro di me.

«Anche tu, come gli altri. Più degli altri. Per mille, duemila, centomila franchi! Per questi progetti, per i miei sogni e il mio lavoro! Per avere un pezzo di me... Ecco, eccoti il tuo pezzo, sgualdrina che non sei altro!»

Sentii il rumore prima ancora che alzasse il foglio. Il rumore di carta che si strappa. Poi sentii un altro rumore. Quello dei miei passi. Della mia corsa. Delle mie urla.

E’ ancora tutto un po’ confuso, Jeanine, ma so che mi gettai contro di lui, sbattendolo sulla scrivania e facendo volare i fogli per tutta la stanza. Ero furiosa, credo. Non lo so, è così... fa così male a ricordarlo.

Ma quello che so è questo.

Ero sopra di lui, senza fiato. La mia voce era rotta, la pelle in fiamme, i polmoni gonfi come mai. «Piantala, Martin. Piantala! Non hai il diritto di frignare ancora! Ti ho salvato, ho girato mezza Parigi, mi sono lasciata scopare prima da un vecchio pittore fallito e poi da quel viscido essere di Florent, mi sono umiliata di fronte alla tua amata Lucille, ho commesso non so quanti reati e per poco non mi sono fatta friggere il cervello da te e dal tuo coso di metallo che mi hai legato in faccia! E tu, adesso, osi distruggere quei progetti? E mi accusi anche? Ma come ti permetti! Ho fatto tutto per te, tutto!»

«Cosa hai fatto, eh?» ribatté lui, le mani strette sulle mie braccia, così forte che iniziavo a sentire il sangue arrestarsi nelle vene. «Solo il tuo lavoro, putt...»

Lo schiaffeggiai. Gli lasciai un bel segno rosso sulla guancia, con così tanto gusto che non saprei nemmeno descrivertelo. E cominciai a piangere, mentre mi allontanavo dalla scrivania e mi dirigevo lentamente verso il letto per riprendere il mio cappellino. Ora l’unica cosa che volevo era andarmene... e sì, adesso quel fazzoletto mi servirebbe.

«Sei un miserabile, Martin,» gli dissi, sentendomi svuotare un po’ l’anima ad ogni passo che facevo. «Non ti meriti nulla... ma puoi tenerti tutto. Anche i miei soldi. Non mi interessa. Non mi importa più nulla di te, di Lucille, di Florent. Andate al diavolo tutti quanti. E siate felici o ammazzatevi, per me è uguale.»

Presi il cappello, ma il mio braccio si fermò. Era trattenuto dalla mano di Martin, che però ora lo stringeva in tutt’altro modo rispetto a prima. Sentii che mi sosteneva in piedi prima ancora di rendermi conto che avevo bisogno di un appoggio.

«Ros... è la domanda che ti ho fatto dalla prima sera, quella da cui siamo partiti. Perché hai fatto tutto questo, cosa te ne è venuto? Erano davvero i soldi e basta?»

Spalancai gli occhi. Il mio corpo si girò verso Martin più per un movimento dovuto all’inerzia che per una mia precisa volontà. Ben poche cose stavano accadendo per mia volontà da qualche minuto a quella parte.

La domanda, dunque. Perché? 

I soldi, cambiare vita, dimostrare agli altri che ero di più di una semplice prostituta ben pagata. Quanto futili e misere mi sembravano d’un tratto quelle motivazioni. Illusioni, chimere, sogni ad occhi aperti privi di ogni sostanza. Allora, perché?

Lo scopo, il senso. E non solo di quella macchinazione ma di tutto. Della mia vita, dei giorni che avevo trascorso fino a quel momento, delle mie azioni, delle mie scelte e delle mie fughe. Allora, perché?

E quante cose avevo fatto in quegli ultimi mesi. Quanto dolore avevo provato, quanti rischi avevo corso. Quante strade avevo percorso, quante porte avevo attraversato e quanti scalini avevo salito. Allora, perché?

«Io...»

«E’ stata Lucille a chiederti di non dirmi nulla. L’ho capito da solo, non devi negare nulla. Ma perché le hai obbedito?»

«Per te, io...»

«E avevi capito anche che ormai non avevi più molto da guadagnare da questa storia, visto che non avevi nulla in mano per obbligarmi a pagarti, eppure hai continuato ed anzi hai lottato perfino contro di me perché non mi arrendessi, arrivando ad affrontare Lucille a viso aperto. Perché lo hai fatto?»

«Te l’ho detto... tutto... io l’ho fatto per te... tutto per te...»

La sua mano non mi stringeva, mi accarezzava. La mia, invece, salita ad abbracciare il suo fianco lo stava tirando a me. Te l’ho detto, la mia volontà contava poco ormai. Tutto accadeva, e basta. Perfino le parole che uscivano dalle mie labbra più che dirle le stavo solo sentendo. Come se appartenessero ad un altra, anche se mai prima di allora avevo sentito la mia voce provenire da un luogo così profondo di me. Mai l’avevo sentita più mia che in quel frangente.

E mi piaceva. La cosa mi piaceva così tanto che avrei voluto sentirne altre di quelle parole. Solo che prima che potessi emettere qualsiasi altro suono, le mie labbra erano sulle sue, baciandolo allo stesso tempo per la millesima e per la prima volta. Da allora non si sono più fermate e, in un certo senso, da allora il mio corpo non ha più lasciato il suo letto.

Eccomi qui, dunque, da te. Non ti voglio annoiare ancora con i dettagli, quindi farò alla svelta. Il processo si è fatto, e Florent ha avuto quello che meritava. Quella povera disgraziata di Lucille deve avermi odiato a morte, ma chi se ne importa, anche io ho avuto quello che mi meritavo. In altre parole, ho avuto Martin.

Ora è mio, e ben presto lo sarà anche di fronte alla legge. Sì, Jeanine, ci sposeremo. Non gli ho permesso di pensarci troppo su, non me l’ha chiesto lui, bensì gliel’ho detto io per prima. E lui non ha accettato, ne ha preso atto. D’altronde, ora che con il brevetto dell’occhio artificiale ha cominciato a guadagnare così tanto, aveva bisogno di qualcuno che pensasse a lui, alla sua nuova casa e alla sua vita mentre si dedicava a costruire altri macchinari per aiutare gli sventurati. 

Il tutto, ovviamente, ad un ottimo prezzo. Come quello del contratto con il Ministero della Guerra che ha ottenuto la settimana scorsa, ad esempio. Non so quanti mutilati dell’esercito potranno tornare a camminare grazie alle gambe meccaniche di Martin e in tutta franchezza mi importa più sapere quanti soldi lui guadagnerà per questo. Anzi, quanti ne guadagneremo io e lui quando saremo marito e moglie.

Ci siamo trasferiti, dunque, e tra poco più di un mese si terranno le nozze. Il primo sabato di giugno, Jeanine, e tieniti libera perché voglio che tu sia la mia testimone. Sì, esatto, proprio tu. Non potrei trovare persona più adatta di te per questo compito, come per l’altro di cui ti voglio parlare. E non è facile. Ti avevo avvertito.

Ora, ti ho appena detto che Martin è mio, ma non so per quanto. L’ho avuto con l’inganno, dopo un duplice ricatto degno di un romanzo d’appendice. Questo l’ho capito, come ho capito come funziona la sua anima. Ossia, molto male.

Ho paura che riprenda a sfuggirmi, a scappare da me e dalla realtà. Devo tenerlo con me, nella nostra casa e nel nostro mondo. Non ho certo paura di altre donne e neanche della stessa Lucille, o almeno non quanto io abbia paura di lui stesso. Le mie carezze, le mie notti, le mie giornate potrebbero non bastare. E perché lui non scappi ho capito che devo essere sua più di quanto lui possa essere mio.

Devo dedicarmi totalmente a lui, assecondare ogni suo desiderio, lasciarlo da solo quando ne avrà bisogno e tornare ad esserci quando mi vorrà. Ogni secondo, ogni minuto, ogni ora, di qui fino alla fine dei miei giorni. E’ allo stesso tempo la mia condanna e la mia fortuna. Perché ho capito che se ho fatto tutto questo per lui, ho anche compreso che senza di lui non potrei più fare nulla.

Quindi, sarò per lui ciò che lui vorrà. Creerò un mondo ideale attorno a lui, fatto di amore, di gioia, di serenità e allo stesso tempo di fuoco e passione. Gli darò me stessa e anche di più, gli darò dei figli. Poi, quando lui comincerà ad aver noia di tutto questo – perché so che accadrà! –  dovrò essere pronta e tenerlo prigioniero dandogli l’illusione di essere libero. Se non mi vorrà più, voglio che abbia te, che lo terrai comunque legato a me. E se lo desidererà avrà me e te insieme.

Oh, ti pagherò per questo, amica mia. Ti pagherò bene. Saremo ancora più amiche di prima, potrò dare anche a te una vita migliore. Ma tu capisci, solo a te posso chiederlo, solo in virtù di ciò che ci lega, delle lacrime versate insieme, delle notti passate insieme, dei baci che ci siamo date tante volte per sentire meno il dolore delle nostre esistenze.

Gli creerò questo mondo perfetto, dunque, perché qualsiasi cosa che sia di poco meno della perfezione lo distruggerebbe.

Ecco, adesso devo andare. Chissà che ore si saranno fatte... oh, accidenti, sì, è tardissimo! Sta per tornare dall’incontro che aveva al Ministero e devo sbrigarmi, altrimenti si accorgerà che non sono in casa!

Cosa? L’orologio? Sì, è il suo. Beh, quello di sua madre. Me lo ha regalato quando gli ho detto che ci saremo sposati. A tal punto si fida di me... e adesso ha anche cominciato a piacermi. Questa catena, questa catena che sto sfiorando ora... mi lega a lui, quando la tocco sento di appartenergli. Sì, mi piace davvero, è il simbolo del fatto che alla fine ho vinto io e che in tutta questa storia sono stata brava.

Perché sono stata brava, vero?

Vero?

 

 

 

 

Cara Lucille,

alla fine è vero che la fortuna arride agli audaci. E’ incredibile, ma tutto è andato come speravamo.

Per questo, come per mille altre cose buone, il merito è principalmente tuo. Già ti vedo scuotere il capo, spinta dalla modestia a negare ciò che è nella realtà dei fatti un tuo pieno successo. Eppure, così fosco e triste pareva essersi fatto il nostro destino!

Ancora ho ben chiaro nella memoria il ricordo di quel terribile giorno in cui mi riferisti le parole di tuo padre, da lui pronunciate nel corso del vostro ennesimo litigio. Quando lui, per convincerti che altri non potevi sposare se non Florent, ti aveva infine rivelato la verità, taciuta a te e a me per tanti anni. Lui che ancora aveva la sfrontatezza di rovinare la tua e la mia esistenza, ignorando ogni legge del cuore, dell’anima e perfino del sangue. Lui che per primo aveva tradito i patti nuziali con sua moglie e che aveva poi cercato di rimediare nei confronti di mia madre con l’unica cosa che il suo spirito insulso poteva comprendere: ossia il denaro.

Non mi importa, Lucille, non ho remore a parlare così di lui, pur sapendo che si tratta oltre che di tuo padre, anche di mio padre.

Solo a scriverlo sento il dolore di quel giorno lontano in cui tutto si fece finalmente chiaro, quando io mi trovai finalmente a confessarti un amore divenuto impossibile. Ma anche la gioia che nacque in me dalla speranza che tu mi davi, trasformando ciò che ci aveva inconsapevolmente uniti in qualcosa di ancora più elevato. Tu sapevi della passione che aveva cominciato a legarmi con Rosalie, ma anche dei miei turbamenti per il suo animo troppo ribelle, certo adatto alla sventurata professione che si era trovata costretta a intraprendere ma del tutto inadeguato per creare un rapporto duraturo e per me davvero soddisfacente.

Di qui il tuo piano, quello che da un lato avrebbe liberato te dal promesso sposo Florent e me dalle paure nei confronti di Rosalie. Un piano che ha funzionato a meraviglia, anche grazie all’abilità da te mostrata quando prima hai convinto Florent a rubare i progetti dell’Occhio e poi ti sei confidata con Rosalie. E anche se te ne ho parlato mille volte, ancora ritengo di non essere riuscito a descriverti con abbastanza perizia lo stato d’animo che la poveretta aveva quando è venuta da me. Quando, alla fine, le ho fatto comprendere ciò che veramente provava nei miei confronti e che mai sarebbe venuto alla luce se non l’avessimo insieme costretta a quel modo.

Ora lei è mia, esattamente come la volevo. Percepisco con certezza la sua paura di perdermi, dopo avermi avuto in maniera tanto rocambolesca, e la userò come un abile chirurgo usa il suo bisturi: con misura, ma anche senza alcuna pietà. Lei mi appartiene e sempre sarà così, regalandomi un matrimonio d’amore e di gioia.

Certo, né io né te pensavamo che Florent sarebbe arrivato a fare ciò che ha fatto. Non facevo il suo animo tanto nobile da giungere a togliersi la vita per il disonore. Ma sia, questo è ciò che spetta a coloro che tradiscono le amicizie e si mettono in mezzo ad un vero amore.

Perché con tale nome io continuo a chiamare ciò che provo per te. Un amore più puro, un amore da vero fratello, un amore che può provare un uomo nei confronti della donna che è la vera fonte di ogni sua felicità. Un amore che farò provare anche a Rosalie quando, tra qualche tempo, la convincerò a riprendere a frequentarti con regolarità. Diverrà tua amica, vedrai, e tu potrai ancora di più aiutarmi a salvaguardare il suo spirito ribelle dalle sue stesse follie.

Te l’ho detto, lei adesso è mia. E devo tutto questo solo a te.

Con tutto il mio cuore,

 

Martin

 

 

 

Nota dell’Autore: 

Tanto per cominciare, grazie a tutti per avermi seguito fino alla fine di questa prima avventura! Spero che vi sia piaciuta questa piccola “gita” nella Parigi di fine secolo e dello steampunk (anche se molto “leggero”). Anche se questa storia mi girava nella mente da diverso tempo, l’ispirazione per lo stile introspettivo e per il “taglio” - in altre parole, l’idea di scriverla tutta in prima persona e dal punto di vista di Rosalie - mi sono venute dalle magnifiche opere di Sandor Màrai, e in particolare da La donna giusta

Non so se tornerò su questo genere nell’immediato futuro, ma di certo scriverò ancora di congegni mirabolanti, scienziati non del tutto a posto col cervello e donne fatali! Rimanete con me anche per i miei prossimi scritti, e se volete mettete il “Mi Piace” sulla mia pagina Facebook  e sul mio Twitter @rm_sinclair: lì troverete tutte le notizie relative ai miei prossimi aggiornamenti.

Au revoir, mes amis! :)

   
 
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