Anime & Manga > Lupin III
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Autore: serenestelle3    16/05/2013    2 recensioni
Insieme agli inseparabili Jigen, Goemon e Fujiko, Lupin si reca a Montelusa, in Sicilia, per compiere quello che potrebbe diventare uno dei suoi colpi più celebri. Anche questa volta sulle loro tracce c’è l’infaticabile Ispettore Zenigata, che sarà affiancato da una figura proveniente dal suo passato. Quello che né Zenigata né Lupin e i suoi sospettano è che la Mafia sa del loro arrivo e ha organizzato un comitato di benvenuto tutt’altro che amichevole. Un cross-over con le storie di Camilleri su Montalbano.
Genere: Avventura, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Goemon Ishikawa XIII, Koichi Zenigata, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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IV – Il passato che riaffiora

 
La piazza su cui si affacciava il bar era così gremita che Zenigata dovette aspettare quasi dieci minuti, prima che si liberasse un tavolo. Nel frattempo ne approfittò per studiare le persone che facevano ressa attorno a lui.

Per la stragrande maggioranza si trattava di turisti, ma c’era anche qualche casalinga con le borse della spesa, in cerca di po’ di tregua dai raggi estivi del sole. Zenigata guardò distrattamente l’orologio; segnava le dieci e mezza. Quindi ci sarebbero volute almeno due ore prima che schiere di impiegati in giacca e cravatta si riversassero all’aperto, dopo essere rimasti chiusi nei loro uffici per tutta la mattina. Qua e là scorse alcune persone più giovani, ragazzi e ragazze, probabilmente studenti in libera uscita o che comunque avevano le loro buone ragioni per saltare un giorno di studio.

Come Toshiko

Sua figlia avrebbe potuto tranquillamente essere una di quei giovani; Zenigata calcolò che l’età dovesse essere più o meno la stessa. Chissà com’era diventata adesso, Tosh? Ormai non la vedeva da cinque anni, anche se continuavano a sentirsi per gli auguri. Però una mezz’ora al telefono non era la stessa cosa come vivere insieme.

Non era la stessa cosa come avere una famiglia.

Negli ultimi tempi gli capitava sempre più spesso di pensare a lei. Certe volte non riusciva neppure a ricordarsi di che colore avesse gli occh; scuri come i suoi o verdi, come quelli di Martha? Allora si metteva a frugare nel portafoglio finché non ripescava una vecchia foto sbiadita con lei da bambina, a una festa di compleanno. Una delle poche feste di compleanno che Tosh aveva potuto festeggiare insieme al suo indaffaratissimo papà.

All’epoca in cui era stata scattata la fotografia, lei aveva quattro o cinque anni. Martha era radiosa come sempre, ma con quel velo di tristezza nello sguardo che Zenigata aveva imparato a conoscere tanto bene. E poi c’era lui, che armeggiava con il suo cercapersone mentre con la mano libera si strappava dalla testa un ridicolo cappellino triangolare.

Se lo ricordava bene, quel compleanno. Un istante prima che Tosh soffiasse sulle candeline, era arrivata una chiamata urgente dal suo ufficio della Metropolitan Police di Tokyo. Un’altra volta Lupin. Un’altra giornata sprecata a dargli la caccia.

Ricordava gli occhi sgranati di Tosh quando si era alzato per andarsene, senza neppure assaggiare una fetta di torta. Il sorriso tirato di Martha mentre gli porgeva l’impermeabile e le manette, il suo bacio freddo sulla guancia quando gli aveva sussurrato; “Buona fortuna.”

E la voce di Tosh, i suoi singhiozzi disperati;

“Ma papà, avevi promesso…”

Maledetto Lupin, pensò con rabbia. Gliel’avrebbe pagata anche per quello. A causa sua aveva rovinato il compleanno di Tosh. Aveva fatto piangere la sua bambina.

Adesso, quando le parlava al telefono, persino la voce della figlia gli sembrava diversa. Era un’estranea che ad ogni loro conversazione, ad ogni ricorrenza, si allontanava sempre più da lui e da tutto ciò che un tempo aveva rappresentato. Tristemente, Zenigata considerò che Toshiko aveva smesso da tempo di far parte della sua vita.

Aveva perso sua figlia e sua moglie ben prima di rendersene conto. Ormai non gli rimaneva che il suo lavoro; l’unica cosa che ancora desse un senso alla sua esistenza.

Questa volta non mi sfuggirai, Lupin.

Un cameriere vestito di bianco gli fece strada verso un tavolino che si era appena liberato. Mentre lo seguiva, Zenigata si ritrovò istintivamente a sorvegliare con la coda dell’occhio i gruppi di almeno tre o quattro persone, soprattutto se in mezzo c’era anche qualche donna (Fujiko, o lo stesso Lupin abilmente camuffato?)

Quando aveva ordinato ai suoi colleghi di tenere sotto controllo tutte le partenze di gruppo per la Sicilia, alcuni di loro lo avevano guardato con l’aria di chiedersi se fosse impazzito. Zenigata, però, era certissimo di non sbagliarsi. Il tesoro perduto di Gelone rappresentava un’occasione troppo ghiotta per quel maledetto ladro, che avrebbe immancabilmente trovato il modo di raggiungere Montelusa. Il pensiero che in quel momento Lupin potesse trovarsi lì, magari poco lontano da lui, lo faceva letteralmente andare in bestia.

Ordinò una tazza di caffè doppio formato gigante, perché era stanco morto dopo le lunghe ore di volo, i continui cambi e il viaggio in macchina da Palermo a Montelusa. Il cambio di fuso orario, naturalmente, faceva la sua parte, ma l’Ispettore non avrebbe permesso a niente e a nessuno di mettersi fra lui e la sua preda, a costo di imbottirsi di caffeina direttamente per endovena. Fosse stata l’ultima cosa che faceva, non avrebbe permesso a Lupin di lasciare l’Italia da uomo libero.

Il cameriere era appena sparito con la sua ordinazione, quando una mano calò senza preavviso sulla spalla di Zenigata.

“Ma che mi pigli un colpo… Koichi, sei davvero tu?”, esclamò una voce maschile, in un giapponese un po’ arrugginito.

Sbalordito, l’Ispettore alzò lo sguardo sull’uomo basso e tarchiato che era comparso accanto a lui. I suoi capelli grigi cominciavano a mostrare qualche filo bianco, ma gli occhi erano rimasti verdi e luminosi come un tempo.

“… Nino?”, balbettò Zenigata, balzando in piedi.

“E certo, no?!”, rispose l’altro con una risata. Neppure quella era cambiata. “Sei l’ultima persona che mi aspettavo di incontrare! Che ci fai da queste parti?”

“Sono qui per lavoro."

Non riusciva a credere ai suoi occhi. Che buffo… solo pochi istanti prima aveva pensato a Tosh e a Martha, e adesso… Nino. Erano anni che non lo vedeva, dal giorno del funerale. Gli sembrò leggermente più basso, ma forse era l’effetto dei vestiti; infatti indossava una comunissima camicia con le maniche ripiegate e dei jeans. Portava anche un bastone da passeggio.

“Sei sempre alla Metropolitan?”

“No, adesso lavoro per l’Interpol. E tu che ci fai qui? Non stavi in quella città... Caltanissetta?”

Nino gli sorrise tristemente.

“Sei rimasto indietro, Kò. Mi hanno trasferito cinque anni fa, dopo che c’è stato l’incidente.”

“Quale incidente?”, saltò su Zenigata, sempre più confuso.

“Una sparatoria… qui da noi le chiamiamo ammazzatine. Io ero con la squadra e un proiettile mi ha raggiunto alla gamba sinistra. Ho perso non so più quanti litri di sangue, ma sono riusciti a salvarmela.”

Zenigata era rimasto ad ascoltarlo in un silenzio attonito. Finalmente scosse la testa, soffocando un’imprecazione.

“Perché non mi hai fatto cercare? Avrei potuto…”

“No, che ti cercavo a fare? Tu stai tanto impegnato, Kò, hai i tuoi problemi a cui badare.”

“Tu sei sempre tanto impegnato”, gli aveva detto Martha, quel giorno di tanti anni fa. Si era sforzata di sorridere, allo stesso modo del fratello. “Non ti accorgerai nemmeno della differenza, Koichi. E ti passerà.”

“Sì, ma… se avessi saputo una cosa del genere, sarei venuto giù molto prima.”

“Ti saresti preoccupato per niente” ribatté Nino, stringendosi nelle spalle. “Tu sei un poliziotto come me, non un medico. Che potevi farci? Comunque mi hanno  ricucito, e adesso posso camminare di nuovo, anche se mi devo appoggiare al bastone. I colleghi di qui dicono che mi dona”, aggiunse ridacchiando.

“E tua moglie cosa ne pensa?”

“Mia moglie?”

Nino smise di colpo di ridere e lo guardò sconcertato.

“Sì… com’è che si chiama? Giada?”

“Oh, sì, Giada! Non stiamo più insieme. Abbiamo divorziato tre anni fa.”

Fu un altro schiaffo in faccia. La conferma che non si era perso solo gran parte della vita di sua figlia, ma di tutte le persone che aveva conosciuto e a cui voleva bene. In un lampo, il volto della moglie tornò a sovrapporsi a quello del cognato; gli stava urlando contro, una delle poche occasioni in cui avevano litigato.

“Non ci sei mai, tutte le volte che ho bisogno di te!”

“D’accordo, ma non lo faccio apposta! E’ il mio lavoro…”

“No, Koichi, per te è qualcosa di più. E’ la tua ragione di vita! Non riesci a smettere i panni del poliziotto neppure quando sei fuori servizio, devi sempre dimostrare che tu sei l’infaticabile Ispettore Zenigata…”

Scacciò quei ricordi nel dimenticatoio da dov’erano venuti e disse con voce rotta;

“Santo Cielo, Nino, mi dispiace…”

“A me no”, rispose l’altro, scrollando le spalle con indifferenza. “Ormai non andavamo più d’accordo. E poi avevamo tutti e due qualcun altro, da molto tempo. Hai una sigaretta?”

“Sì.” Zenigata rovistò nelle tasche finché non trovò il pacchetto. Poi spostò una sedia per lui. “Siediti, dai, non stare lì in piedi."

“Grazie. A proposito, Tosh come sta?”

L’Ispettore tentò di mascherare il disagio a quella domanda.

“Bene… l’ultima volta che l’ho sentita, mi ha detto che è andata a vivere con il suo ragazzo. Uno studente come lei, all'ultimo anno di medicina. Lui e Toshiko sono molto affiatati.”

“Che bello. E la vedi spesso?”

“Veramente… non quanto vorrei”, rispose Zenigata, schiarendosi nervosamente la gola. In quel mentre arrivò il cameriere con il caffè, e lui colse al volo l’occasione di cambiare discorso.  “Prendi qualcosa? Non fare complimenti.”

“Mangerei volentieri un gelato alla cassata, se c’è”, disse Nino. “E un bicchiere d’acqua frizzante.”

“Va bene. Per me un altro caffè doppio.”

“Ma non hai ancora neppure iniziato il primo”, gli fece notare il cognato, sorpreso.

“Credimi, ne ho bisogno, se voglio restare sveglio. Ho viaggiato per più di ventiquattrore di fila”, sbadigliò Zenigata. “Sono alle prese con un caso che mi sta logorando il fegato, ma penso di essere vicino a un arresto.”

“Qui a Montelusa?” Improvvisamente, Nino aggrottò la fronte. “Non dirmi che riguarda il tesoro di Gelone.”

“Bingo. Ti ricordi di Lupin, quel delinquente a cui davo la caccia?  So per certo che cercherà di trafugare il tesoro. E voglio essere qui ad acciuffarlo, quando lo farà.”

“Hmm,” annuì pensosamente il cognato. “Parlamene un po’…”

“In realtà, al momento non ho ancora nessun indizio. Comunque ho fatto mettere sotto controllo tutti i voli. Per il resto, posso solo tenere gli occhi aperti.”

“Lo sapevi che alla Sovrintendenza dei Beni Culturali di Montelusa…”

“Sì, c’è un tizio che viene da una famiglia di pregiudicati. Ci avevo già pensato, Nino. Secondo me Lupin o la sua donna cercheranno di contattarlo per mettersi d’accordo con lui. Tu che ne pensi?”

“Mah”, fu la risposta. “Io lo conosco poco, questo Nicolò Cuffaro. Mi sembra un giovanotto senza grilli per la testa. Però se le radici sono marce, quasi sicuramente è marcio anche tutto l’albero”, concluse, in tono inaspettatamente freddo. “Sai, Koichi, non mi stupirei sei tu avessi ragione. Anche se Nicolò Cuffaro non volesse rischiare personalmente di perdere la poltrona, può darsi che possa fornire qualche tipo di agevolazione a Lupin e ai suoi.”

“E’ quello che credo anch’io. Ho parlato con il commissariato di Vigata, dove abita la famiglia di questo tipo.”

“Ah, sì, il paese del nostro celeberrimo Commissario Montalbano”, rispose Nino, con un vago sorriso. “Sei riuscito a parlare con lui in persona?”

“Sì. Lo conosci?”

“Soltanto di vista. E’ un bravo poliziotto, uno che se volesse potrebbe fare carriera. Anche se dicono che i suoi metodi a volte siano… poco ortodossi. E’ disposto a collaborare?”

“Ha detto che terrà sotto sorveglianza la famiglia di questo tipo”, annuì Zenigata.

“Bene. Senti, Koichi, so che tecnicamente la faccenda non mi riguarda. Però vorrei ugualmente darti una mano ad acciuffare questo Lupin. Se per te va bene, voglio dire”, si affrettò ad aggiungere.

“Nino, non c’è assolutamente bisogno. So cavarmela da solo.”

“Lo so. Dico solo che mi piacerebbe. Se ci pensi, è ironico; due cognati poliziotti che però vivono agli estremi opposti del mondo e non hanno mai avuto modo di lavorare insieme. Quando ci ricapita un’occasione così, Kò? Dai. In memoria dei vecchi tempi!”

“ No, non me la sento di coinvolgerti. Scusami, ma dopo quello che ti è successo…”

“La pensione di invalidità non me la passano ancora, grazie mille!”, lo rimbeccò offeso il cognato, raddrizzando le spalle.

“Non capisci. Uno dei compari di Lupin è il pistolero più maledettamente bravo che conosca. Se ci trovassimo in uno scontro a fuoco…”

“Non dire stronzate, Kò”, ribatté Nino con veemenza. “Non mi hanno colpito perché ho sbagliato a sparare, ma perché sono stato lento ad abbassarmi. Poteva succedere a chiunque! E poi…” Esitò, prima di aggiungere; “Lo faccio anche per mia sorella. Sai, lei… nelle nostre ultime telefonate, mi diceva spesso che era in pena per te.”

L’Ispettore rimase sorpreso da quelle parole. Aveva sempre creduto che Martha nutrisse del risentimento nei suoi confronti.

“In pena per me?”

“Sì… mi parlava sempre dei rischi che correvi, a inseguire quel maledetto ladro francese su e giù per il globo. Quindi mi sento in dovere di aiutarti ad arrestarlo, non fosse altro per tutto il male che ha fatto a lei.”

Già… a Martha, una donna che Lupin non conosceva e che non aveva neppure mai visto in vita sua. Per un attimo, a Zenigata sembrò che fosse un’assurdità colossale. Odiava Lupin, ma di quello, se non altro, non poteva incolparlo…

Subito dopo, però, il risentimento soffocò la voce razionale nella sua testa. Era vero, Lupin non conosceva Martha, ma era comunque colpa sua se il loro matrimonio era stato un tale disastro, e se la donna non aveva potuto trascorrere gli ultimi anni di vita accanto a suo marito.

Vedendolo combattuto, Nino sorrise furbescamente.

“E c’è un’altra cosa. Se davvero Lupin vuole rubare il tesoro qui a Montelusa, allora la faccenda è di competenza della Questura. Perciò, come vedi, rientra nelle mie mansioni offrirti tutta la collaborazione e l’aiuto possibile.”

“Ma tu non hai altre indagini da seguire?”

“Ora come ora, niente di importante. Kò, per me sarà un onore aiutarti a mettere le manette a quel fituso, quando l’avrai catturato.” E gli tese una mano con fare incoraggiante.

Dopo un attimo di esitazione, Zenigata la strinse.

  
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