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Autore: piccola sognatrice_    16/05/2013    2 recensioni
La psicologa mi guarda spaventata e preoccupata per me, forse sarà vero che tutti mi ritengono pazza.
Quando andavo con la mamma al Luna Park da bambina, mi dicevo sempre che fare le cose pazze rendono la persona un po’ più speciale, d'altronde questo me lo ripeteva sempre il papà, ma questo non è la cosa che mi rassicura in questo momento
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo tre –

I dolori sono passati però sono sicura di non aver chiesto all’infermiera il suo nome, infondo lei sa il mio.

Ogni volta che ripenso al suo viso, penso che abbia davvero pianto per una persona, e penso se chissà suo marito l’abbia amata come lo ha amato lei dimostrandoglielo ogni giorno in fin di vita o forse dovrebbe essere il contrario, insomma, chiunque vorrebbe vedere che la persona che si ama gli resta vicino anche se potrebbe morire da un momento all’altro.
Tutti dicono, quando la persona che ami muore, “lui vorrebbe che tu andassi avanti, che ti facessi di nuovo una vita” ma sarà vero? Perché se io fossi stata nei panni del marito o del fidanzato morto non credo la penserei come loro dicono, anzi, vedrei se quella persona ci teneva a me non mettendosi con nessuno o se non ci teneva, però, questo da parte mia sarebbe solo un fattore di orgoglio e non è molto bello, quindi, ritornando alla gente che dice quella frase potrebbe essere vero.
Sono dall’idea che se una cosa deve succedere, allora, meglio se accada subito prima che la questione diventa troppo difficile da sopportare, prima che ormai due cuori siano finiti per innamorarsi e se fossi sposata con qualcuno, l’ultima cosa che penserei, è che lui possa morire, infatti, è ciò che avevo pensato stando con Nico.
Me l’aveva detto, mi aveva detto di stargli alla larga e che avrei finito per soffrire, ma non mi aspettavo una morte provvisoria. Quando mi ha raccontato la verità, non facevo altro che piangere davanti ai suoi occhi. Doveva morire, punto e basta, non sapeva né quando né dove, sapeva solo che doveva morire.
Mi vengono i brividi ricordando quella sera.
«Aurora!» Aisha.
Doveva succedere che alla fine mi doveva venire a trovare, e doveva vedere come stavo, infondo lei ci tiene a me, questo lo so.
«Aisha senti…» le dico in vena di scuse.
I suoi capelli sono cresciuti di molto da quando non ci siamo più viste, è come se quella parte della sua folta chioma sia stata solo un periodo della sua vita dove io non c’ero.
«No, Aurora, scusa. Scusa per ieri, insomma, sono io la causa del tuo incidente, non voglio parlare di niente che ti possa tormentare, voglio solo sapere come stai. Come stai?».
Nei suoi occhi c’è sempre quel pezzettino che mi ricorda il passato.
«Bene, molto. Ieri avevo un mal di testa tremendo, ma credimi, tutto finito. Ah, ho conosciuto un’infermiera. È stata bravissima con me, non vedo l’ora che venga nella stanza.»
Eppure quel tormento di sapere cosa è successo al marito mi esaspera.
«Aisha.» continuo «Ho trovato una rosa, ieri.»
Le spiego per filo e per segno cosa c’era scritto all’interno del bigliettino, indicando la rosa appoggiata sul comodino dell’ospedale.
Forse lei potrebbe svelarmi il mistero, ma ne dubito.
«Mi sa, mi sa, che hai un ammiratore baby» mi dice ridendo e io accompagno la sua risata.
E se avesse ragione, come mi comporterei? Uhm. Secondo me qui c’è sotto qualcuno che conosco già, ma non so chi.
«A te non viene in mente nessuno che direbbe cazzate e che conosco?» Sono certa che sia così.
«Lasciami pensare. Ok. Non credo sia lui. No. Aspetta, ci sono. Simon, ricordi?»
Oh sì. Simon. Quel ragazzo che mi seguiva anche al bagno. Mi veniva sempre dietro, però penso che siano passati mesi da quando io e lui non ci vediamo, insomma, ho incontrato Nico e da lì mi sono fottutamente fregata di chiunque tranne che di Aisha, ovviamente.
Aveva una cicatrice sul collo, molto, molto sexy, ma non aveva quel senso di romanticismo, lui era legato sempre a doppi sensi e per quanto riesco ad individuare una persona, credo non fosse poi così passionale.
Insomma, era solo bravo a farmi il filo ma del resto, anche se con quelle frase troppo conosciute, non riusciva ad essere perverso con nessuna, era il solito casanova. 
«Carino. Però sai che…».
Smettiamo entrambe, basta, che mi prende?
Inutile, Nicolin Perryl sbuca sempre fuori in ogni discorso.
«Aurora io devo andare ora, però facci un pensierino su quel tipo». Me l’ha detto solo per farmi un po’ capire che devo lasciarmi tutto alle spalle.
Ci salutiamo e lei va via.
Il sole è forte, gli occhi guardano la finestra, guardano fuori con la voglia di scoprire cosa sta accadendo nel mondo intero.
Una luce bianca, abbaiante, mi acceca e mi punge gli occhi.
Ho la netta sensazione di vedere delle ali, proprio come quel sogno fatto l’altro ieri, dove ne ho discusso con la psicologa.
«Merda». Ho davvero le allucinazioni allora. Sono pazza. Cazzo. Cazzo.
«Ciao.» Parli del diavolo, Betsy in persona.
«Sei da molto qui?» Sono spaventata, non vorrei che lei sapesse del fatto che ho visto quelle ali, la cosa l’andrebbe a dire a mia madre che mi farebbe aumentare dosi di medicine.
«No, appena entrata, ti rendi conto di ciò che hai fatto?».
Mi ha scoperta.
«Non farmi la morale Betsy. Non voglio più fare quelle sedute. Non ne ho bisogno.» Decisa, è così che devo essere, mi faccio adocchiare normale come se non fosse successo niente.
Anche se quella “allucinazione” mi fa credere che lei abbia ragione se lo può scordare cento volte che io mi faccio di nuovo un culo per pagarle queste maledette sedute e poi sono sicura che sono una persona normale non pazza.
«Se così hai deciso, bé allora ti auguro tutto il meglio, credimi, faresti meglio a lasciarti tutto alle…»
«Spalle? È questo che mi volete dire tutti? Andiamo. Non c’è niente che si possa fare per me e non basteranno quattro pillole oppure bere vino fino a ubriacarsi a farmi dimenticare, sai che significa ubriacarsi? Significa scordare ciò che è successo mentre lo eri non cosa è successo mesi fa.»
Bel discorsetto ragazzina falle vedere chi sei, altro che Betsy Reles.
Gli occhi della psicologa sono diventati severi, sempre più agghiaccianti: mi disprezza.
Facendo dei pugni con le sue mani, si alza dalla sedia accanto al mio letto e va via senza nemmeno salutarmi. Meglio così.
Ho voglia di scrivere e di mettere su un foglio tutte le mie emozioni, tutto ciò che mi viene in mente, ma non ho né un foglio e né una penna.
A un certo punto vedo spuntare fuori la mia stanza, sulla soglia della porta, un gattino tutto bianco e con un fiocco rosa sulla testa. Il contorno dei suoi occhi è nero come se avesse messo la matita agli occhi.  Ha un collare rosa e vicino un altro biglietto.
Adoro i gatti e l’ultima volta che me ne hanno regalato uno è stato quando ho fatto i miei tredici anni, poi lo abbiamo dovuto dare perché mia madre non voleva più tenerlo per la ragione che rovinava i divani e le tende per limarsi le unghie.
Mi avvicino per leggere il biglietto:
Ecco un mio regalo, per la più dolce; S.
S. Forse è meglio che chiamo Aisha.
Tu-tu-tu-tu… Niente.  
«Cosa c’è che ti turba?» mi turba che quando Aisha deve esserci non c’è.
«Ho trovato questo gattino» dico all’infermiera appena entrata, mentre accarezzo il gattino che ho messo sulla mia pancia.
«Chi te l’ha portato?» Vorrei proprio saperlo.
«Non lo so, cmq tu non mi hai ancora detto il tuo nome, non so nemmeno come chiamarti» vado subito al sodo.
«Che sbadata. Flor. Il mio nome è Flor.» si scusa e accarezza il micio, poi continua «deve essere un persiano».
Ha ragione è sicuramente un persiano, però deve essere anche metà europeo. Il pelo non è lungo come quello dei persiani ma è la metà di quella lunghezza.
Il volto mi fa capire che è una femmina e più tardi controllerò.
«Persiana e metà europeo.»
Convinta. Ecco cosa sono. Sono convinta, un po’ mi sento un’esperta di gatti e penso anche che avrà, circa, una settimana di nascita per quanto fosse piccolo e mi entra quasi in una sola mano.
«Come fai ad esserne così sicura?» Mi guarda come se fossi un mostro.
«Non lo sono, infatti, Flor. È tenerissimo. Come avrà fatto a capire che mi piacciono i gatti?».
«Capire, chi?».
«Leggi il biglietto. S
Entrambe ci sconcertiamo e dopo una lunga chiacchierata Flor mi dice che posso uscire anche oggi, la ferita ormai si è rimarginata.
Da quando due giorni fa mi ha detto della morte del marito non mi faccio altro che chiedere cosa lui abbia avuto.
Alla fine mi faccio coraggio, ero troppo curiosa, e le chiedo cosa fosse davvero successo.
«È successo che lui, bé, si drogava, non so il motivo, io non lo so. Era così felice con me, non riesco a capire cosa può essere successo, noi… anzi, io so cosa era successo, lui era al verde e aveva un paio di conti in sospeso, dopo la sua morte si sono annullati.»
Strazio. Che brutta storia… lui si drogava perché era nei guai fino al collo.
Dopo una serie di pause, continua dicendo «Mi amava più della sua stessa vita, capisci? Io non so se mi voglio trovare qualcuno che lo sostituisca, insomma, sarebbe dolorosissimo per me perché io sono ancora innamorata di lui, ma per quanto questo amore potrebbe essere eterno tutti mi dicono…» la interrompo «Di lasciarti tutto alle spalle… senti Flor, non so, nella vita si deve fare sempre ciò che si vuole, ciò che si sente, e questo è un consiglio che mi ha dato una mia carissima amica di nome Aisha.»
Fare ciò che si sente è la cosa più giusta, ma a volte non sempre si dovrebbe fare, bisogna sempre guardare chi ci sta accanto.
«Ora noi due come ci vedremo?» mi dice nervosa.
«Mi ero già affezionata a te. Ci vedremo stanne sicura.»
Mi da il suo numero di telefono e alla fine preparo la valigetta mettendoci le robe dando un primo e ultimo abbraccio a Flor e esco dalla stanza.
Quel terribile corridoio lo percorro molto velocemente e non vedo l’ora di superarlo.
Il voler sapere chi fosse quella persona mi tormenta. A proposito del gattino, tutti mi guardano perplessi e addolciti dal gattino portato dentro la mia maglia stretta dove la sua faccina spunta dal mio petto, i suoi occhi celesti mi guardano spaventati e io non faccio altro che ripetere che deve mantenere duro per un altro po’.
Mi avvio all’uscita dell’ospedale e vedo mia madre che mi aspetta in macchina.
Non avevo proprio voglia di farle vedere il gattino perché non lo avrebbe voluto anche se fosse così carino e piccino, per questo, vorrei trovarmi una casa tutta mia, anche se tra un po’ ricomincerò con l’università voglio solo essere più autonoma.
È giugno è devo ancora fare il tirocinio quindi ci metterò ancora tutto luglio.
Il tirocinio è un'opportunità d’inserimento nel lavoro in aziende, è un modo per mettersi alla prova, di verificare le proprie scelte professionali e acquisire un’esperienza pratica.
«A casa ci vado da sola» non ho veramente voglia di incrociarla e di farle vedere il gattino anche se sono sicura che lo abbia già visto da lontano.
«Possiamo tenerlo se vuoi, farebbe piacere anche a Luce.» So bene che a Luce le farebbe piacere, sono anche sicura che starebbe tutto il tempo a giocarci.
Entro in macchina sentendomi strana e mi affaccio al finestrino dove capisco che il cielo potrebbe essere quella speranza di vivere, andiamo, è giugno e fa un caldo tremendo da poter indossare una maglia a bretelle stretta e una gonna, questo, sarebbe il clima giusto per andare in spiaggia e farsi il bagno.
Mi piacerebbe fare una vacanza in un villaggio e farmi coccolare dalla mattina alla sera.
Forse sarebbe giusto prendermi una pausa dagli studi, magari fare il tirocinio e poi finirla lì. Basta con l’università.
«Sto pensando di lasciare l’università mamma, io non voglio più studiare vorrei solo che andassi in una vacanza da sola. Ti andrebbe bene vero?» spero che non si rifiuta e spero che mi lasci andare in quella vacanza.
«Ti ci vorrebbe proprio staccare la spina figliola. Mi va bene, hai ragione.»
Parcheggia l’auto e poi si volta verso di me quando scendiamo e mi abbraccia forte in lacrime:
«Non sei più la stessa da quando lui è morto, io vorrei poter fare qualcosa per te, ti prego dimmi che stai bene, mi fai del male così.»
L’abbraccio più forte e a quel punto non faccio altro che ripetermi che è stata una cazzata quella di essermi allontanata da tutti anche perché loro non centrano con tutto questo.
C’è chi darebbe oro per avere una vita più tranquilla, e una di quelle persone sono io.
Le persone non si accorgono delle cose belle che hanno e magari si lamentano dicendo che non è abbastanza ciò che hanno.
C’è chi ha e c’è chi non ha e questo è determinato solo dalle persone che ci stanno accanto e che magari, se non si è abbastanza maturi per loro, scelgono tutto per noi, ma questa cosa è sbagliata perché infondo, tutti, siamo consapevoli di ciò che facciamo e siamo coscienti delle azioni o degli sbagli dovremo affrontare.
Abbracciare mia madre mi commuove, non avevamo mai fatto una cosa del genere e questo mi conforta molto, lei ci tiene a me anche se quando è nervosa, mi dice cose che forse pensa o se le pensa davvero io le voglio bene comunque, però, spero di non comportarmi così semmai avrò dei figli perché non fai altro che dare un altro dolore in più all’altro dicendo cose di cui potresti pentirtene e magari ti farebbero allontanare da essa.
Quel lungo abbraccio termina e la città si spense e io prendo in braccio Luce che intanto dormiva in macchina e mi asciugo quelle stupide lacrime. 


 
  
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