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Autore: DarkPenn    04/12/2007    3 recensioni
[Xelloss x Philia] Un mazoku e un drago dorato alleati: avrebbe potuto essere una barzelletta. Ma Xelloss non aveva molta voglia di ridere, mentre affrontava un'oscura minaccia vecchia di migliaia di anni... Scritta solo dalla parte "penn" del nostro nick
Genere: Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Philia Ul Copt, Xelloss Metallium
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL SIGNORE DELLE OMBRE

 

 

Silenzio.

Buio.

Tutto attorno.

Non vedo niente che si muova, nemmeno il minimo suono di un essere vivente turba questo luogo abbandonato dalla luce. L’antico tempio di Cepheid, profanato e trasformato, con notevole senso di ironia, in un luogo sacro a Lord Ruby-Eye, quando ancora i mazoku spadroneggiavano su quelle terre, prima che l’avvento del Demone del Nord cambiasse tutto.

Dappertutto aleggiano ancora le risa di scherno dei seguaci di Dynast, uno dei quattro demoni maggiori, rivolte alle statue decadenti e infrante del Dio Drago Oceano: tanto impotente da non potersi opporre quando il suo luogo sacro era stato devastato, trasformato in latrina e bordello dagli esseri subumani e umani che l’avevano attaccato.

I miei occhi abituati all’oscurità incontrano l’arcigno muso di un drago, intagliato nella roccia sbrecciata, cui qualcuno aveva staccato corna e zanne. Sorrido. Quella era stata davvero un’epoca in cui il Male era potente e poteva dominare incontrastato sulla terra.

Un’epoca in cui io non ero nemmeno nato, e Zelas cavalcava ancora con i suoi tre fratelli spargendo morte, distruzione e terrore nelle terre dei draghi.

Ed ora la mia missione mi ha portato in questo antico luogo di culto della mia specie, fra le ombre e i fregi distrutti sulle pareti, cercando disperatamente un nemico, un mio nemico, forse l’unico che avrebbe potuto salvarci tutti dalla distruzione di Dark Star.

 

Quando, al termine della Kouma Sensou, i seguaci di Dynast, sbandati, avevano dovuto abbandonare questo luogo, scacciati dai draghi di fuoco di Vulabazard, crearono una barriera attorno alle rovine, in modo che nessuno potesse entrarvi. Solo in pochi ne conoscevano il vero motivo. Zelas era una di questi.

Lo confidò a me, in sogno, subito prima di intraprendere questa missione.

Quella barriera era una prigione. Al suo interno giaceva, addormentato, Moralobos, la Stella Cadente.

Erano passati millenni da quando, durante la guerra tra Cepheid e Lord Ruby-Eye, cadde dal cielo qualcosa. Era un essere dalla pelle blu e dai capelli più neri dell’ossidiana, bellissimo ma addormentato, secondo i racconti tramandati. Pareva fosse un’incarnazione del Dio Drago Nero, Volphied, appartenente ad un universo diverso dal nostro, e che fosse caduto qui per un motivo sconosciuto.

I seguaci di Cepheid, convinti di aver trovato un alleato inestimabile nella loro lotta contro di noi, cercarono di svegliarlo in ogni modo, ma fallirono sempre. Alla fine decisero di sigillarlo in quel tempio, sperando che col tempo si sarebbe svegliato da solo. Ma ben presto le loro deboli forze cedettero sotto la pressione di Dynast, che corruppe quel luogo e tutto ciò che conteneva. Così se Moralobos si fosse svegliato, sarebbe stato facile annientarlo.

E questo fu il motivo per cui fu creata quella barriera, in modo che né i draghi di fuoco potessero entrare, né la Stella Cadente potesse uscire. Ma ora, ad ennesima dimostrazione dell’ironia del destino, erano proprio un mazoku e un drago dorato che percorrevano quelle sale oscure per cercarlo e destarlo, nella speranza che potesse opporsi a Dark Star.

Lina e gli altri umani non avevano abbastanza potere per varcare la barriera. Io non ho avuto problemi, invece. Ma c’era da aspettarselo. Anche Philia ha dovuto contare sul mio aiuto per entrare e seguirmi tra le rovine, in modo che, se fossimo riusciti a trovare e svegliare Moralobos, cercasse di convincerlo ad aiutarci, perché quelli del suo universo hanno un modo piuttosto particolare di combattere il male, non del tutto condivisibile dai loro simili di questo universo.

 

Ora lei rabbrividisce, un passo dietro di me, e si stringe le spalle nell’alone tremulo del Lighting. Io sorrido e mi addentro di più nell’oscurità, senza nessun bisogno di luce per vedere.

Mi chiama, mi intima di rallentare e non distanziarla. Che abbia paura di restare da sola in quel luogo maledetto? Non c’è da biasimarla, l’aura malefica lasciata dai seguaci di Dynast è ancora potente. Si sente sola, abbandonata, schiacciata. E’ naturale che abbia bisogno di me.

Un drago dorato che vuole restare vicino ad un mazoku. Che bella sensazione. E soprattutto che ironia.

D’un tratto odo un grido e mi giro allarmato. Philia guarda con un misto di stupore e orrore la punta di un ago che le sporge dal braccio. Un atroce presentimento si fa strada nella mia mente.

La soccorro mentre si accascia al suolo e le estraggo l’ago, portandolo subito al naso. Impreco sotto voce.

La Notte Eterna.

Un potente veleno, creato con la magia, capace di uccidere un drago dorato in poche ore, dopo un’agonia atroce. E già Philia chiude gli occhi, gemendo. Le stringo le spalle, chiamandola a gran voce per non farla cadere nell’oblio, ma è tutto inutile. Le sue membra, già ardenti di febbre, si rilassano fra le mie mani e si lasciano cadere indietro. Si distende sul pavimento. Digrigno i denti. Una trappola lasciata da Dynast, nel caso qualche drago incauto fosse riuscito a superare la barriera. Ingegnoso, non c’è dubbio. Ma inutile.

L’effetto della Notte Eterna può essere contrastato da un mazoku abbastanza potente. Come sono io. Ma serve un rituale lungo e complesso, che non può essere compiuto fra quelle mura maledette. E d’altronde, trovare la Stella Cadente con Philia in queste condizioni sarebbe inutile. Dovrei caricarmela in spalla e riportarla all’esterno per guarirla. Che seccatura.

Ammetto che i suoi gemiti mi distraggono dai miei pensieri. Potrei lanciarle un semplice incantesimo per renderla incosciente, ma l’effetto potrebbe eccedere il mio intento…

Mi chino su di lei, cercando di tranquillizzarla.

“Philia, stai tranquilla, conosco un antidoto per questo veleno. Devo solo portarti fuori e fare un incantesimo. Puoi resistere fino ad allora?”

Lei sembra annuire. Il dolore che sopporta dev’essere atroce per ridurla in questo stato…

Reprimo con un moto di lieve sorpresa quello che stavo provando (Pietà? Compassione?) e mi carico la draghessa su una spalla. Credevo fosse più pesante.

Poi arrivano loro.

Le ombre.

Me ne accorgo prima ancora di sentire i loro sussurri e le loro risatine vili: il muro nero davanti a me si fa d’un tratto più nero, e avverto una presenza in quel buio.

Poi un’altra.

Poi un’altra, e un’altra ancora.

Sono circondato.

Senza parlare poso Philia a terra. Lei geme, non si è accorta di cosa sta succedendo. Meglio così. I mazoku d’ombra che ci circondano cominciano a sussurrare fra di loro, canzonandomi e indicandomi con le punte dei loro sudici tentacoli. Stupidi esseri. Troppo lontani dalla perfezione per capire chi sono. Mi giro verso l’interno del tempio, e scorgo qualcosa avanzare pesantemente.

“Che sorpresa, un nostro consanguineo, e uno dei più famosi, per giunta!”

La luce del Lighting si è ormai spenta, soffocata da tutta quell’oscurità, ma non me ne curo. Non ho bisogno della luce per guardare nelle tenebre.

“Sono il Custode,” si presenta la creatura, abbozzando un goffo inchino con la sua massa sgraziata. Intorno a lui gli altri esseri sghignazzano, come se lo stessero prendendo in giro.

Beffardo, mi inchino a mia volta: “Salute a te, Custode. Immagino tu sappia chi sono, creatura di Dynast.”

L’immenso corpo dell’altro è scosso da una grassa risata: “Oh, lo so, Xelloss Metallium. Qui, in questa trappola, nulla può entrare né può uscire, se non potenti fratelli mazoku come te, ma io so molte cose. Io sono il Custode.”

E sei anche il fratello mazoku più stupido che abbia mai incontrato, vorrei dire, ma non lo faccio. Non mi sembra il caso di farlo irritare. Con fare accomodante indico l’esterno del tempio maledetto: “La vostra trappola mi ha causato un certo fastidio. Lasciatemi uscire, così che possa rimediare al vostro errore.”

Il mostro d’ombra ride ancora più forte, e i suoi epigoni lo imitano grossolanamente.

“Uccidere un drago dorato: tu questo lo chiami fastidio? Io lo chiamerei favore!”

Comincio ad irritarmi per il fare un po’ troppo cordiale di quell’essere. Ma non lo faccio vedere. Dopotutto, lui è il Custode. D’un tratto la sua voce torna a risuonare nel corridoio, con una nota di contrizione: “Purtroppo, fratello Xelloss, noi non siamo l’unica cosa lasciata qui da Lord Dynast Grouscherra. Ha fatto un incantesimo. Un incantesimo molto potente. Una volta entrati nella trappola, non si può più uscire.”

QUESTO Zelas non me l’aveva detto. Impreco nella mia mente. Dynast è un mazoku troppo potente perché possa oppormi ad un suo incantesimo. Ma, visto che di magia ne so qualcosa, un modo per infrangere l’incantesimo c’è sempre. Si tratta solo di scoprire qual è la chiave.

“Custode,” esordisco, trattenendo la mia ira. “Conosci il modo di infrangere questo incantesimo?”

“Certo, io sono il Custode!”

“E qual è?”

Il coro di mazoku inferiori fa salire il tono delle sue risa ad un livello cosciente. Mi ero quasi dimenticato di loro. La loro presenza mi irrita. Che siano stati creati con la sola funzione di far impazzire dal fastidio gli incauti profanatori di quella tomba dei secoli?

Il Custode rotea su se stesso.

“Vuoi sapere qual è, Mastro Xelloss? Te lo dirò! E’ molto semplice. Serve il sangue di un drago.”

Il mio cuore si ferma. Forse ho capito male. Il Custode annuisce e punta una delle sue dita verso Philia, che ancora non si è accorta di niente, malata com’è. Il suo seno si alza e si abbassa rantolando, il suo volto è rosso e sudato. Sembra che sia l’oscurità stessa ad avere il sopravvento su di lei, non il veleno.

“Il sangue di un drago,” ripete ghignando, ora tutto meno che ridicolo.

No, non è possibile.

“Non posso… questo drago mi serve,” ribatto. Mi accorgo di un tremito nella mia voce. Come mai?

“Mi dispiace, Mastro Xelloss, ma questo è l’unico modo per uscire da qui. Se sei qui, è perché devi incontrare la Stella Cadente, Moralobos, vero? E questo drago ti serve per contrattare il suo aiuto, vero?”

Digrigno i denti. E’ più potente di quanto faccia pensare questo suo aspetto ridicolo. Mi chiedo se non sia un mio pari grado. Un priest di Dynast. Dimenticato in quel luogo da migliaia di anni.

“Sei piuttosto informato.”

“Ovvio, io sono il Custode!”

E doveva essere anche impazzito, tutto quel tempo insieme ai suoi stupidi sottoposti. Ma in fondo ha ragione: se quello è il modo che Dynast ha scelto per infrangere l’incantesimo, non c’è altro modo. Però…

“No, io non posso ucciderla.”

“Non ci vuole molto a trovare un altro drago da costringere a collaborare, Mastro Xelloss!”

“Non capisci… Io non…”

La risata del Custode riempie per l’ennesima volta l’antro buio: “Mi sorprendo, fratello! Avevo sentito che là fuori hai ucciso draghi a centinaia, a migliaia! Cos’è un drago in più? E poi ti serve, altrimenti non potrai mai più uscire da qui!”

Ha ragione. Ha dannatamente ragione. Guardo Philia. Lei, incosciente nella sua febbre magica, non sa che sto per ucciderla. Crede che la stia portando in salvo, per poi guarirla dalla Notte Eterna e tornare a cercare la Stella Cadente. Alzo la mano sulla sua fronte calda. Un piccolo sforzo di volontà e la mia energia può consumarla, inerme com’è, permettendomi di proseguire la mia missione. Consumarla, come ho consumato centinaia, migliaia di suoi simili. Senza un dubbio e senza un’esitazione. Ma ora… non posso. Ritraggo la mano. Attorno a me sento la vile risata dei mazoku d’ombra, subito ripresa dal loro ancor più vile capo. Mi rialzo in piedi e lo fronteggio. I suoi tre occhi brillano giocondi nel buio, visibili solo a me.

“Non lo farò.”

Risate. Ancora più acute. Che mi fanno scoppiare i timpani.

“Suvvia, non mi dirai che sei innamorato di lei!”

Ha superato il limite! Mi sento esplodere mentre tutta la mia rabbia si condensa in un fuoco violetto nella mia mano. Rabbia contro di lui… e contro di me. Più sorpreso che spaventato, il Custode scompare, avvolto e consumato dalla mia ira. E così tutti gli esseri stupidi e abietti che l’avevano servito per centinaia d’anni. Così come tutto ciò che esisteva nel raggio di cinquecento metri. Percepisco una presenza aliena, forse Moralobos, in fondo al tempio, che si sveglia stupita da un sonno profondissimo solo per essere distrutta dalla mia furia.

Attorno a me l’antico tempio di Cepheid, sopravvissuto all’invasione dei millenni, si sgretola come polvere. La barriera scompare. La trappola scompare. Tutto scompare. Rimango solo io. Io e la mia furia. No… Io… e Philia.

 

Lina e gli altri corrono a perdifiato nell’immenso cratere che era stato il tempio maledetto. Mi corrono incontro, preoccupati, angosciati. Guardano Philia, riversa sulla mia spalla, gemente, febbricitante. Mi chiedono cos’è successo. Rispondo che c’era una trappola, e che Philia era stata colpita da un dardo avvelenato. Amelia si propone per curarla, ma scuoto il capo. Solo io posso.

La deposito fra il pietrisco di questa zona arida. Mi inginocchio accanto a lei, chino il capo, concentrato, e pronuncio una rapida formula inintelligibile. Nessuno osa interrompermi. Mezz’ora dopo Philia si risveglia, sbatte le palpebre, si guarda attorno. Mi chiede cos’è successo. Rispondo che siamo stati attaccati. Di Moralobos nessuna traccia. Il tempio è crollato quando ho ucciso il capo dei nostri aggressori, dei mazoku rinnegati. Non c’era altro da dire.

Philia mi guarda sorpresa e indagatrice, e mi chiedo se non si sia accorta di qualcosa in realtà. Sto per chiederglielo quando si alza barcollando, subito sorretta da Lina. Mi alzo anch’io.

“Quindi Moralobos era una falsa pista?” chiede la maga.

“O non è mai esistito, o è morto da tempo,” rispondo. Ho mentito, ma non è la prima volta.

Poco dopo ci rimettiamo in cammino. Non ho il mio solito buonumore. Nessuno mi chiede perché. Philia mi guarda, un po’ incuriosita, ma non dice nulla. La guardo a mia volta. Verrà mai a conoscenza di ciò che è accaduto quest’oggi? Non lo so. Forse.

 

A Wolfpack Island, Zelas fece scomparire con un gesto della mano ferina lo schermo nebuloso che le aveva mostrato Xelloss. Era caduto nella sua trappola, ma non ne era uscito nel modo in cui lei aveva sperato. Scosse la testa, stizzita, e uscì all’aperto.

  
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