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Autore: ChandersonLover    17/05/2013    1 recensioni
Ship: Grant Gustin - Nuovo Personaggio
TRATTO DAL PRIMO CAPITOLO
"Se non fosse che io sia distesa per terra, nel bel mezzo di un’autostrada, ricoperta di sangue e con la vista annebbiata, nel punto più vicino alla morte di quanto io non abbia mai raggiunto, potrei persino essere felice.
Lui.
La persona per la quale io per ben 4 anni sono stata ossessionata.
Colui per il quale non ho quasi avuto vita sociale, se non tramite manufatti elettronici. Colui che ha reso la mia adolescenza un vero delirio…
E’ qui, mi tiene la testa, cercando di fermare il fiume di sangue che parte dalla mia tempia e… Sta piangendo.
Lui sta piangendo per me.
Grant Gustin.
Grant sta piangendo per me. "
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Grant Gustin
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8

 
 
 
 
 
E il fatto che non avesse aspettato nessuna risposta mi ha aiutato.
 
Mi ha aiutato a capire che lo voleva, che non era una richiesta buttata lì, tanto per controllare se riuscissi a tenere sotto controllo un imminente infarto.
Mi ha aiutato a sapere che Grant era lì, per me. Che voleva davvero baciarmi. Che voleva almeno provarci.
 
E lo ha fatto. Senza che io avessi possibilità di spostarmi o di ritirarmi.
 
Non lo avrei comunque mai fatto. Non ne avrei nemmeno avuto la forza o la lucidità.
 
Ma ... è successo.
 
 
Davvero.
 
 
“Non darai di matto nemmeno se ti bacio?”
 
 
Il mio viso, come controllato da una forza superiore, scattò verso di lui, per riuscire a guardare i suoi occhi. Avevo bisogno di sapere che non stessi sognando. Avevo bisogno di guardarlo.
 
E lo vidi.
 
Vidi ogni movimento delle sue labbra. Vidi come stava pasticciando con esse, mentre chiudeva gli occhi, avvicinandosi piano alle mie, non troppo lontane dalle sue, grazie alla posizione che occupavamo.
 
Ho sentito il suo respiro contro la mia bocca e ho stretto gli occhi, così forte, da farmi girare la testa. Non potevo lasciarli aperti. Non avrei avuto il coraggio.
 
Non potevo continuare a fissare il suo viso, la sua bocca, le sue guance, il suo sorriso. Non potevo più lasciarmi deconcentrare.
 
Perché stava accadendo. Un attimo e le sue labbra erano poggiate sulle mie.
 
“A volte, anche i sogni più incredibili, possono diventare realtà.”
 
L’ho letto in così tanti libri, che nemmeno ricordo, quali.
 
Come i giorni di pioggia, che danno lo spazio improvviso, ad un sole meraviglioso e ad un arcobaleno pieno di colori.
 
Ed è così che mi sentivo.
 
Sentivo come se nella mia vita, fatta di poco sole e tanta pioggia, finalmente stesse spuntando un arcobaleno.
 
Allungai istintivamente le mie labbra, dando forza a me stessa di vivere. Vivere quell’attimo, cercando di non restare immobile, godendo appieno di quel sogno che finalmente aveva avuto possibilità di realizzarsi.
 
Stavo baciando Grant Gustin.
 
Il mio idolo. Il mio amore adolescenziale. Il mio tutto.
 
Restammo semplicemente fermi, labbra contro labbra, qualche istante, lasciando tempo all’uno o all’altra, di staccarsi, presi, magari, da una voglia improvvisa di scappare.
 
Ma non accadde.
 
Io lo avrei fatto, se non fossi stata totalmente persa nelle sue labbra. Nel suo profumo. Nella sua essenza.
 
Se avessi avuto almeno un briciolo della mia solita razionalità, mi sarei staccata, dopo qualche istante, provando a scappare, pensando a tutto ciò a cui stavo andando incontro.
 
Stavo correndo come un treno, pronta a schiantarmi in una miriade di problemi.
 
C’erano troppi punti che non potevano essere cambiati. Troppi problemi che non avremmo potuto risolvere con un bacio. Troppi dilemmi che mi avrebbero presto fatto scoppiare il cervello.
 
 
Punto 1.Grant era una star.
Punto 2.Era in Italia soltanto per due settimane.
Punto 3. Io ero una semplice fan innamorata, senza speranza alcuna.
Punto 4. Era fidanzato.
Punto 5.Era fidanzato mentre mi stava baciando.
Punto 6.Era fidanzato e io mi stavo lasciando baciare.
 
 
E avrei potuto continuare all’infinito, ma quando la sua mano si spostò dal mio braccio, per accarezzarmi la nuca, stringendo i miei capelli nel suo palmo caldo, spensi, in un attimo, il cervello.
 
 
Dischiuse le labbra in una silenziosa richiesta, che venne subito accolta, non avendo alcuna possibilità di fare altrimenti e la sua lingua, arrivò a toccare la mia, accarezzandola così dolcemente, da farmi smettere di respirare.
 
Risposi al bacio piano, quasi passivamente. Volevo sentirmi viva, ma volevo anche che fosse lui a prendersi di me tutto ciò che voleva.
 
Senza che io glielo chiedessi.
 
Ero pronta per dargli il mio cuore, la mia anima, la mia adolescenza, vissuta tra la sua voce e il suo sorriso, ma doveva essere Grant a cogliere ciò che voleva ricevere.
 
Così mi baciò. Senza desiderio di andare oltre. Senza allontanare mai la sua mano, dalla mia nuca, accarezzandomi piano i capelli, mentre col palmo mi spingeva un po’ più verso di sé.
 
Ci conoscemmo un po’ di più, assaporando un po’ del corpo dell’altro, in quel bacio che sembrò, ai miei occhi, essere il più bello, più sincero, più desiderato, mai ricevuto.
 
Si allontanò, per riprendere fiato, riaprendo i suoi meravigliosi occhi verdi, studiando i miei che si dischiusero in quell’istante, per studiare i suoi.
 
Sentii un brivido attraversarmi tutto il corpo, quando i suoi occhi non furono né spaventati, né disgustati. Ma apparvero vivi, gioiosi, sorridenti, presenti.
 
Era ancora lì.
 
Non era pentito. Non era incredulo. Non aveva fatto uno sbaglio. I suoi occhi me lo dicevano. E i suoi occhi non mentivano.
 
 
 
E finalmente il mio mondo stava girando nel verso giusto.
 
 
“Scusami. No-non dovevo farlo.”
 
 
Ma poi, subito dopo, crollò.
 
 
 
Boccheggiai qualche istante, sbarrando gli occhi, iniziando a tremare. Non doveva farlo.
 
“Perché lo hai fatto?” Chiesi allora, tremante, sentendo un groppo in gola e una stretta al petto.
 
“Perché volevo.” Rispose subito, confondendomi ancora di più. “Ma... Ma non ti ho dato tempo di accettare. Io... io dovevo darti tempo di rispondere. Tu... avresti-”
 
E forse sembravo un’idiota colossale, ma scoppiai a ridere, sentendomi finalmente leggera. Non doveva farlo, perché pensava che io non volessi.
 
Un pensiero stupido, ovviamente.
 
“Grant. Fermati.” Lo bloccai, anche se stavo amando il modo in cui balbettava in inglese, mostrandosi per una volta lui, vulnerabile a me. “Va tutto bene. Credevi davvero che non volessi una cosa del genere?”
 
Grant mi guardò, pasticciando con le labbra, mordicchiandosi l’interno delle guance, non capendo seriamente a cosa mi riferivo.
 
“Grant, guardami.” Dissi, prendendo coscienza di me. “Io sono una persona qualunque e tu... Tu sei Grant Gustin. Pensavi davvero che avrei rifiutato?”
 
E finalmente sorrise.
 
Finalmente si riavvicinò e tornò a darmi un piccolo, leggero bacio, prima di guardarmi negli occhi così intensamente, da farmi sciogliere come neve al sole.
 
“Sei una persona qualunque...”Sussurrò contro le mie labbra, facendomi tremare, mentre il mio respiro si spezzava e il mio cuore si fermava.
 
“Ma sei una bellissima persona qualunque.”
 
E si fermava...
 
“E non parlo solo della bellezza fisica.”
 
...E si fermava
 
“Ma di te.”
 
E si fermava, ancora.
 
 
Forse non batteva proprio più.
 
O forse non aveva più intenzione di voler battere nel mio petto. Forse voleva semplicemente lasciarmi, per regalarsi totalmente, alla persona che mi stava regalando l’attimo più bello, importante e speciale della mia inutile vita.  
 
E fu così che decisi di non fare domande, di concedermi quello sprazzo di felicità che presto mi avrebbe abbandonato, quando Grant se ne sarebbe andato... ancora felicemente fidanzato, con un’altra donna, molto più bella, talentuosa ed elegante di me.
 
 
Perché il mio cuore ne aveva bisogno. Per una volta, aveva bisogno di regalarsi a qualcun altro, visto che a stento aveva imparato a battere per inerzia, soltanto per farmi sopravvivere e mai vivere sul serio.
 
Era una storia folle. Non sapevo nemmeno il perché Grant Gustin stesse provando interesse per una come me, ma era stato lui a cercarmi, lui a volermi e lui a trovarmi... Io semplicemente dovevo fare in modo che continuasse a tenermi con sé, fin quando, quel sogno idilliaco sarebbe finito.
 
Fin quando Grant si sarebbe reso conto che stava facendo una follia.
 
Per quanto ne sapevo, sarebbe potuto accadere anche quella sera stessa. O la mattina dopo.
 
Magari si sarebbe svegliato, trovandomi accovacciata su di lui, ancora su quel divano, essendoci addormentati, guardando un film, tra una carezza e l’altra, e avrebbe potuto avere un ripensamento, lasciandomi lì da sola, con un bigliettino di saluti.
 
Ma non accadde.
 
Ci addormentammo su quel divano. Mi svegliai da sola, come avevo previsto, ma, poco dopo, trovai Grant tornare dalla cucina, con del caffè pronto e delle piccole brioche calde che Dio solo sa, come fece a riscaldare, senza fare in modo che il microonde scoppiasse. O che l’intera casa prendesse fuoco.
 
“Buon giorno...” Sussurrò, sedendosi al mio fianco, lasciandomi un leggero bacio sulla guancia.
 
“Mmmh. ‘Giorno.” Mormorai, prendendo con uno scatto felino il cellulare, provando a specchiarmi, iniziando ad andare in panico.
 
“Oddio. Devo avere un aspetto orribile! Po-posso usare il bagno?” Balbettai, alzandomi di colpo, dirigendomi verso di esso.
 
Grant scoppiò a ridere, scuotendo la testa, divertito. “Devi chiedermi il permesso per farlo?” Urlò, prima che entrassi, mentre io lo guardavo da lontano, sentendo il cuore battere troppo velocemente alla sua risata radiosa e cristallina.
 
“E poi non sei affatto orribile. Sei bellissima, proprio come ieri sera.”
 
E mentre provavo a darmi una sistemata, per una volta, le sue parole mi fecero sentire meno aliena su questo mondo che proprio, fino a quel momento, non mi apparteneva.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Prima o poi a tutti arriva un attimo di felicità.
 
Quell’attimo che ti si scaraventa contro, come un tornado, inghiottendoti nel suo vortice pericoloso e impossibile da superare.
 
Perché se ti ha colpito, non hai possibilità di scappare.
 
Ed è meraviglioso, perché sai che mai potrai vivere un attimo così. Sai che tutto ciò che stai vivendo, non potrà ripetersi.
 
E’ quella felicità che cancella la tua razionalità. Quella che non ti fa pensare al futuro, vicino e doloroso. Quella che ti fa vivere il presente, come se fosse l’ultimo istante della tua vita. Come se non ci fosse un domani.
 
Ed era così che mi sentivo.
 
Era ciò che provavo quando, uscita da quel bagno, Grant era lì ad aspettarmi e mi fece segno di accoccolarmi sul suo petto, consumando insieme una colazione che sembrò la più buona mai mangiata in vita mia, seppur fossero soltanto semplici brioches confezionate e del caffè che, se bisogna essere sinceri, era troppo lungo e troppo Americano, per fingere che fosse leggermente bevibile.
 
Ma lo accettai, come tutto il resto. Accettai tutto di lui, di me, di noi.
 
Mi feci trascinare nel suo vortice, andando incontro alla vita di Grant Gustin.
 
Una vita fatta di sfilate, ragazzine urlanti, cellulari che suonavano impazziti e amici che, seppur fosse a milioni di chilometri da casa, spuntavano ovunque, non lasciandoci nemmeno spazio per respirare.
 
Però poi arrivavano quei momenti. Quelli di noi, chiusi nel suo appartamento, dove passammo ogni sera, imparando a conoscerci.
 
Come quella sera, che, mentre divorava la sua seconda pizza – non ho mai capito come faccia a mangiare tanto e restare così dannatamente asciutto e muscoloso – mi chiese tanto di me, forse troppo, da mettermi in imbarazzo.
 
“Betta è un nome comune qui?”
 
Scoppiai a ridere, perché ancora lo pronunciava così male, da farlo sembrare un Beth con una a quasi sputata nel finale.
 
Scossi la testa. “No, per nulla. E non è un nome, è un soprannome.”
 
“In che senso?”
 
“Che mi chiamo Benedetta, ma tutti mi chiamano Betta, da quando ero bambina.”
 
“Ben... Bened.. Okay è difficile. Meglio Betta.” Disse, facendomi scoppiare a ridere.
 
“E tu?”
 
“Io cosa?”
 
“Ti chiami proprio Grant?” Domandai, forse scioccamente.
 
“Mmmh, si. Ma in realtà, a casa mia, mi chiamano tutti Thomas. E’ quello il mio primo nome.”
 
“Lo so.” Dissi, mangiandomi subito la lingua, per essermi mostrata, di nuovo, una fangirl ossessionata.
 
Ma lui, non ci fece caso. E sorrise. Lo faceva sempre, quando notava qualcosa di lui, che sembrava già mia.
 
 
Poi c’erano quei momenti in cui era costretto ad alzarsi e a rispondere al cellulare. Quelli in cui, almeno una volta al giorno, non poteva fingere di non aver sentito.
 
 
“Hey babe?... Mmmh si, sto bene tu? No, sono solo... Tu? Come stai?... Torno tra qualche giorno... Non preoccuparti...”
 
 
E poi arrivavano quegli “anch’io” che mi spezzavano ogni giorno, un pezzettino di cuore. Ma era inutile fingere che non esistesse.
 
Hannah c’era.Era un essere umano. Anche se era distante, la sua presenza si sentiva, fin troppo, ed io potevo soltanto fingere che non fosse così, fin quando, qualche volta, mi rintanavo a casa della cugina di Ludo, scoppiando a piangere le prime lacrime, quelle che sarebbero seguite a fiumi, quando tutto quel sogno sarebbe finito.
 
Ma, poi tornavo sempre da lui. Non avrei potuto fare altrimenti.
 
Lo andavo a prendere dopo le giornate di lavoro in fiera - alla quale avevo oramai smesso di partecipare - e riusciva ad asciugare ogni lacrima versata, con un suo bacio.
 
O con una notte insieme.
 
Perché era successo.
 
Avevamo fatto l’amore, dopo una serata soli, nel suo appartamento, pochi giorni prima che sarebbe dovuto partire.
 
Mi ero lasciata andare. Lo volevo con tutta me stessa. Volevo tutto di lui e volevo dargli tutto di me.
 
E successe. Nel modo più semplice e naturale che avessi potuto desiderare.
 
Luiche chiedeva “Posso?”, ogni volta che mi toglieva un indumento. Io che provavo a gemere in silenzio, avendo paura di fare una figuraccia. Lui che entrava dentro di me, scalfendo anche in silenzio la mia anima. Io che gli dicevo “mi sto innamorando di te”, seppur in silenzio, senza confessarglielo sul serio, baciandolo mentre gemeva il mio nome, raggiungendo l’orgasmo.
 
E noi che ci svegliammo aggrovigliati, sorridendo, perché sembrava davvero un momento perfetto.
 
E lo era.
 
 
 
Ma poi, proprio come i tornado che iniziano, devastando ogni cosa che incontrano, finiscono, lasciando comunque impressa la loro presenza; la felicità inizia, per poi abbandonarti, lasciandoti quel vuoto, che mai nulla e nessuno potrà colmare, soprattutto se, l’unica persona che potrebbe farlo, è proprio la causa del tuo male.
 
 
Stavo andando da lui.
 
Ieri, era la penultima sera insieme e mi aveva mandato un’auto, in ritardo, perché mi stava preparando una sorpresa.
 
Io sapevo che era così.
 
Lo vedevo dal modo in cui aveva scalpitato tutto il giorno, non vedendo l’ora di lasciarmi a Milano, per correre da solo a casa e iniziare a preparare qualcosa di speciale.
Lo vedevo quando sorrideva come un ebete, mandando messaggi, coprendo lo schermo del cellulare, per fare in modo che non guardassi.
Lo vedevo per il modo assurdo in cui mi fissava.
 
Aveva insistito che lo accompagnassi a quell’ultimo giorno di fiera. Mi ha fatto sedere nel backstage e non ha lasciato il mio sguardo un attimo.
 
Quel “Grazie Italia”, che ha accompagnato i suoi saluti finali, era rivolto a me. Me lo aveva fatto capire, voltandosi verso di me, sorridendomi con quel suo modo assurdo, capace di far diventare il mio corpo gelatina.
 
E mi aveva lasciato a casa, raccomandandosi con Ludo di non farmi muovere da lì fino alle otto di sera.
 
Ludo che appoggiava ogni scelta di Grant, ovviamente. Ludo che era totalmente pro-Grant e mai pro-Betta. Ludo che aveva davvero avuto un colpo di fulmine con Liam, oramai inseparabili, ma che ancora pensava a me ed era al settimo cielo, sprecando del tempo ad appoggiare qualche piccola follia di Grant, invece di passare gli ultimi attimi col ragazzo per il quale aveva perso la testa.
 
Ludo che era un’amica fantastica.
 
 
Poi finalmente quella macchina era arrivata e quel viaggio verso Lumezzano non mi era sembrato mai così lungo. Senza Grant che parlava del suo cane, di football e di basket e ancora di football, facendomi amare uno sport del quale non conoscevo nemmeno le regole, e forse nemmeno m’interessavano, quel viaggio era estenuante.
 
Ma, poi, avevo notato il traffico e la lancetta che si allontanava dalle nove, così tanto... arrivando alle dieci, ma Grant non chiamava. Di solito se facevo una decina di minuti di ritardo, si preoccupava e mi telefonava, facendomi compagnia per il resto del viaggio.
 
Ma non era successo.
 
Non chiamava ed io non ho pensato a chiamarlo, avendo paura di disturbare i preparativi della sua sorpresa.
 
Poi finalmente sono arrivata e l’auto mi ha lasciato fuori la sua porta.
 
Il buio era l’unica cosa intorno a quella casa.
 
No. Non solo il buio.
 
C’erano delle urla. Tante. Così sembrava.
 
Ma, non me n’ero accorta fin quando non avevo inserito la chiave nella toppa, socchiudendo la porta, iniziando a sentire il rumore assordate che proveniva da quella casa.
 
Eh sì. Erano proprio urla.
 
Una donna urlava. Un uomo urlava.
 
Granturlava.
 
Urlava: “Stai dicendo un mare di cazzate!”
 
La donna urlava: “Ah sì? E perché questa puttanella ti sta sempre vicino in queste foto?”
 
Ed è così che ho capito.
 
Era Hannah.
 
Hannah era lì e stavano parlando di...
 
“Lei è Betta è una mia fan!” Urlava ancora Grant, cercando di giustificarsi.
 
...Stavano parlando di me.
 
E Grant provava a nascondermi, ovviamente. E mi stava bene. Non avrei mai chiesto il contrario.
 
Ma poi, ha iniziato a fare male, troppo.
 
“E’ una tua fan? Dillo che te la scopi!”
 
“NO!”
 
“Come se non ti conoscessi!” Urlava Hannah così forte, da farmi capire ogni parola, anche se strillava come un’oca, col suo ridicolo accento studiato e stridulo. 
 
“In ogni città in cui sei obbligato a stare per qualche tempo, hai questo modo assurdo, di trovarti un passatempo. Come hai fatto stavolta? Che scusa hai usato? Le hai chiesto di radunare dei fan, giusto? Hai usato la carta dell’idolo buono, che vuole passare del tempo con i suoi seguaci? E’ sempre la stessa scusa, no?”
 
Oh.
 
Era sempre la stessa scusa.
 
Quindi... l’aveva già usata. In un’altra città, con un'altra fan, con un’altra stupida che c’è cascata.
 
Quindi non sono speciale.
 
Quindi quella sorpresa era soltanto per salutarmi in modo gentile, qualunque essa fosse.
 
Quindi sono un idiota.
 
 
 
E poi, mentre le lacrime mi travolgevano e la vista mi si appannava, ho sentito dei passi di tacchi a spillo 15, arrivare verso di me e ho iniziato a correre.
 
 
Ho corso perché quello non era il mio posto.
 
Ho corso perché quella non era la mia vita.
 
Ho corso perché ho lasciato che accadesse.
 
Ho corso perché sapevo che sarebbe successo.
 
Ho corso perché Grant Gustin mi aveva spezzato il cuore.
 
Ho corso perché era ora di tornare alla realtà.
 
 
E non ho avuto i riflessi pronti.
 
 
Le lacrime avevano riempito i miei occhi, facendoli bruciare, portandomi a non vedere.
 
La delusione aveva riempito il mio cervello, facendolo spegnere, portandomi a non esitare.
 
Ho attraversato quella superstrada, vedendo ancora l’auto che mi ha accompagnato, fare retromarcia dall’altra parte, per tornare a Milano e volendo a tutti i costi fermarla, sono corsa verso di essa, senza prima aspettare.
 
 
E nemmeno quell’auto che andava a 120 chilometri orari ha aspettato.
 
 
Mi si è scaraventata addosso, fermandosi giusto in tempo, prima di passarmi sopra, schiacciandomi.
 
Ma non così in tempo, prima che volassi sul ciglio della strada, sbattendo la testa contro il marciapiede.
 
 
 
 Non così in tempo, da darmi un’altra possibilità.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
BRANT CORNER 
 
Ti ho scritto questo capitolo in mezza giornata. Le parole volavano e volavano e volavano.
Ti avevo promesso per fine mese ed è già qui, perché mi sentivo ispirata. Vorrei postare più spesso ma tra il lavoro e le due long a parte, non riesco.
 
Mi dispiace che tu sia in fin di vita, ma spero che prima di ti sia goduta il resto LOOL
 
Come avrai capito siamo quasi alla fine doveva essere di 10 cap e forse ci riesco al massimo 11.
 
Spero ti sia piaciuto, mi piace quando scleri.
 
Ah ringrazia mony ( su tw @_zucca ) che ha betato il capitolo e uh... le è piaciuto tanto, quindi abbiamo una fan.
 
E Grazie da parte Nostra agli altri che seguono.
 
Non so chi ha richiesto questa storia su fb ma era un profilo privato e non potevo rispondere, e l’ha fatto Betta per me.
 
Grazie anche a te chiunque tu sia.
 
Un bacino.
 
Ps Betta Ti adoro.
 
#Brantison
 
Vale ♥
   
 
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