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Autore: Boli    17/05/2013    0 recensioni
Ho la bocca piena di cibo, giurerei di essere riuscita a mischiare un bignè e un crostino, totalmente noncurante dell’accostamento dei sapori, quando sento quella voce.
La sua voce.
Mischiata ad altre quattro. Ma la riconoscerei mischiata ad altre migliaia.
Lo inquadrano.
E’ famoso, con stuoie di stupide oche che urlano non appena uno di loro gli tocca la mano. Ce l’ha fatta. Un senso di odio misto a disgusto mi pervade, mentre gli occhi mi iniziano a pizzicare.
Lui è li, intoccato da tutto ciò che è successo, e io qui, devastata e distrutta. Non lo trovo giusto.
Ora è in primo piano.
“I’ll be coming back
For you
Back for you”
Indica con una mano le telecamere mentre canta queste poche parole. Ha un tatuaggio sul polso.
Una piccola A.
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi guarda, fissandomi speranzoso, le braccia che non si stanno richiudendo.
Faccio per alzarmi e inizio a camminare pacatamente, resistendo in un modo a me sconosciuto dal non buttargli le braccia al collo, quando tutto intorno a me inizia a scorrere velocemente, come se girassi in macchina a 200 kilometri all’ora. Come se stessi guardando questa scena da un corpo esterno al mio.
Tutto ciò che è intorno a me inizia a girare vorticosamente, e poi un botto. L’unica cosa che riesco a vedere mentre corro sono le persone impietrite davanti a quella scena. La macchina accartocciata contro un albero.
Poi vedo la portiera della macchina aprirsi e Colin sbucare con un’espressione sconvolta.
Pietrificata, aspetto una frazione di secondo per aspettare Jack uscire dal posto del guidatore, ma non lo vedo. Sposto terrorizzata lo sguardo verso Colin e poi lo abbasso seguendo la sua figura, arrivando fino alle sue mani. E li incontro il viso di Jack, con gli occhi chiusi e le labbra boccheggianti.
Per un momento non so cosa fare, il mio cervello non riesce a formulare niente che abbia un senso, nemmeno allungare la mano fino a prendere il cellulare per chiamare l’ambulanza. Cosi rimango ferma, i polmoni vuoti, come se stessero per esplodere e inizio a tremare.
Non posso restare cosi ferma e inerte. Inizio a correre, e vado verso Jack che ne frattempo è sempre accasciato contro Colin che lo tiene per le ascelle, lo facciamo sdraiare per terra e io mi metto in ginocchio con la sua testa sulle gambe.
-Jack! Sveglia dai! Su…apri gli occhi!- gli dico in un modo che non riesco a classificare se un urlo o un sussurro, mentre gli accarezzo la fronte scostandogli i capelli e impastandoglieli con delle gocce di sangue.  Scostando una ciocca, si rivela un taglio profondo sopra il sopracciglio sinistro. Lo stesso identico punto dove io ora ho una lieve cicatrice. Premo subito forte la mano sulla ferita, cercando disperatamente di fermare l’emorragia e sbraito a quelli che mi stanno intono di chiamare i soccorsi, ma più urlo più le persone sembrano non accorgersi di quanto sia disperata la situazione.

Dopo pochi minuti, per fortuna, arriva l’ambulanza che velocemente lo carica, e ci porta via dopo che sono fulmineamente riuscita a sedermi accanto a Jack.
Il tragitto è interminabile, e i suoni emessi da un macchinario che si fanno sempre più radi non aiutano affatto a combattere l’ansia.
Appena arriviamo, ci separano nonostante le mie suppliche di farmi restare insieme a lui, mentre le lacrime inondano il mio viso.
-Desolato signorina- dice serio uno e chiude la porta dietro le sue spalle, lasciandomi sola in quella fredda sala d’aspetto.
Cosi rimango sola con me stessa, circondata unicamente da madri con i figli che hanno un braccio rotto o una distorsione alla caviglia e vecchietti che sono li per il controllo periodico.
Cerco la sedia più in disparte che c’è, quella che fa angolo con il muro, e mi siedo raccogliendo le ginocchia al petto e poggiandoci la fronte mentre inizio a sussultare per i miei singhiozzi.
E’ colpa mia. Mi è sembrato di sentire che hanno fatto cilecca i freni. Sarebbe dovuto essere il mio compito controllarli, non avrei mai dovuto lasciarli a Dean. E’ un idiota, e io di più. Ma io dico, come mi è saltato in mente? Una cosa cosi fondamentale poi! In questo momento vorrei esserci io al posto di Jack, non si merita die esserci stato lui in quella dannata macchina. Cosa diranno Margareth e Paul? Saranno distrutti, come faccio a tornare a casa dopo quello che ho fatto a loro figlio? Avevo trovato un minimo spiraglio di felicità, e l’ho distrutto. E’ tutta colpa mia. Come posso essere stata cosi stupida? Quando ho accettato di partecipare a quelle dannate corse, mi ero ripromessa che mai e poi mai avrei lasciato partire la macchina senza averla controllata personalmente da cima a fondo, e poi lascio fare a Dean solo perché “è quello nuovo e deve imparare” bell’apprendimento, sulla pelle degli altri! Mi detesto. Jack era il mio tutto, avevo trovato un altro punto di riferimento, un qualcosa da proteggere gelosamente, e ho distrutto il mio tesoro. Ma perché dico “era”? Jack è e sarà, Jack non era. Non rimarrà tutta la sua vita in un fottuto letto d’ospedale! Riprenditi Ally diamine!
Sento un tocco sulla mia spalla, e lentamente, come se un movimento cosi semplice fosse il più stancante e difficile del mondo, muovo la testa verso chi mi ha svegliato da quel cosi confortevole baratro di disastri che è la mia vita.
E incontro il dolce viso di Gas, e avverto un momento di pace.


Cassandra
La abbraccio teneramente, sussurrandole all’orecchio che andrà tutto bene, anche se non ne sono cosi certa. Ho visto che cosa è successo, e non sono cosi ottimista come vorrei farle credere. Ma detesto vederla cosi. Non se lo merita affatto. Ne ha passate di cotte e di crude, e ora anche questo…non mi sembra giusto.
-E’ colpa mia Gas- dice sconsolata mentre singhiozza.
-Ma cosa cavolo stai dicendo?! Cosa c’entri te se i freni non hanno funzionato?  E poi hai sentito i medici, è merito tuo perché hai fermato il sangue se Jack si salverà! Smettila di dire cosi!-
-Si invece!- inizia a alzare la voce staccandosi dalle mie braccia –Tutte le volte, prima di ogni dannata corsa controllavo personalmente che andasse tutto alla perfezione. Ma oggi, solo perché ho avuto la grande idea di perdere i sensi, il mio giro l’ha fatto quell’idiota di Dean!-
Non so che rispondere, quindi resto immobile a contemplare il suo viso. Rosso, nonostante la sua carnagione abbronzata. Ha gli zigomi rigati di rivoli di lacrime, lacrime che deve aver provato a asciugare con la mano con la quale accarezzava la fronte di Jack, perché sulla guancia sinistra ha una macchia di sangue secco. Gli occhi rossi, gonfi, che non smettono di gocciolare, con l’iride che è diventata un pozzo nero e profondo. La fronte corrugata in un’espressione di disperazione, alla quale la cicatrice obliqua sopra il sopracciglio sinistro conferisce un’aria ancora più triste. Le labbra, perfette ne troppo piene ne troppo sottili, incapaci di smettere di tremare, come il resto del corpo.
-Andrà tutto bene- le sussurro in un orecchio tornando a avvolgerla tra le mie braccia.
-NO! NON PUOI ESSERE ANCHE TE COSI STUPIDA! LE HAI VISTE LE FACCE DI QUELLI LI! NON PREANNUNCIANO NIENTE DI BUONO! IO...- e scoppia di nuovo a piangere.
Mi sento inutile, ed è una sensazione bruttissima. Non c’è niente di peggio di guardare impotente le persone che ami soffrire, vorrei poter in qualche modo sollevare da lei tutti i problemi e poterli mettere sulle mie spalle, solo per poter tornare a vedere quel sorriso che è stato per anni la mia fonte di forza, e che mi è tanto mancato.
-Come sta?- sento giungere una voce preoccupata alle mie spalle, e Ally si stacca velocemente dalle mie braccia e schizza fuori dalla sala d’aspetto tra i singhiozzi.


Niall
-Cos’ho detto?- cerco di giustificarmi da quell’occhiata al veleno che mi sta lanciando Cassandra.
Harry mi da una pacca sulla spalla e con lo sguardo mi dice di andare a cercarla.
Ancora un po’ scombussolato da tutti quegli avvenimenti accaduti cosi velocemente, mi giro e mi dirigo a passo spedito verso la tromba delle scale, separata dalla sala d’attesa da una porta di legno bianco con un rettangolo di vetro occultatore. E improvvisamente la vedo, in tutta la sua triste dolcezza mentre scende gli scalini a corsa barcollando, con una mano tiene la ringhiera per non cadere e con l’altra si tappa la bocca per attutire il rumore dei suoi singhiozzi. Provo a chiamarla, e lei accelera il passo, mentre io mantengo la mia andatura.
Scendo tutte le rampe di scale, e quando arrivo fuori trovo Al seduta sui vecchi e consumati scalini di marmo dell’entrata sud. Con le guance arrossate e gli occhi chiusi rivolti al cielo, se non fosse per il tremore del resto del corpo potrebbe sembrare in pace con se stessa. Ha il viso ancora sporco di terra, macchiato anche del sangue secco di Jack, cosi come le sue dita, le unghie mangiate fino a frizzare dal dolore. Continua a conficcare le sue unghie inesistenti nei palmi delle mani, pizzicandoli facendoli diventare di un colore rosso acceso, come le sue guance umide.
-Ehi- provo a chiamarla, rendendomi conto un secondo troppo tardi di aver detto la cosa più stupida del mondo. Come posso iniziare un argomento serio, mirato al fare pace con un cosi idiota “Ehi”. Sono un cretino. Cosa posso pretendere che mi risponda con un cosi insulso inizio di conversazione? Resto ad aspettare la sua risposta, non sorprendendomi del fatto che non giunga. Ma cosa volevo fare? Venire qui in un momento cosi e dire “Ciao! Sono l’essere che più odi al mondo ma ti voglio tanto bene! Ora che il tuo amico è in coma facciamo pace?”  No, sono sicuro che lei non mi odi. C’è una specie di contatto mentale tra noi, grazie al quale non ci siamo mai lasciati, mai. Proviamo le stesse emozioni, credo, e ora io non la odio affatto; anzi, vorrei che tornasse a far parte della mia vita come prima più di ogni altra cosa al mondo.
Sto per girare sui talloni, frustrato della sua totale indifferenza a un, seppur stupido, tentativo di approccio. Varco la soglia di marmo bianco striato di grigio e avvallata nel centro con un solo piede, quando mi giro per guardarla un’ultima volta e la vedo, con l’espressione quasi infastidita mentre distoglie il viso da quella sua posizione di quiete per guardarmi con gli occhi spalancati. Non sorpresi o altro, solo spalancati. Teniamo il contatto visivo per qualche istante, e poi lei abbassa lo sguardo lentamente, ponendolo in un punto accanto a lei. Malgrado la situazione tragica, non posso fare a meno di sentirmi come se toccassi il cielo con un dito, sollevato dal fatto che lei riesca a tollerare di avermi accanto.
-Ehi- mormora, increspando lievemente le sue labbra pallide, totalmente in contrasto con gli zigomi, mentre le lacrime continuano a scendere ininterrottamente e silenziose. Continua a guardarmi con gli occhi socchiusi, probabilmente in cerca di una qualche spiegazione che io non so darle.
-Io…- tento di iniziare, con la voce che strascica sull’ultima vocale, ma non ho il tempo di finire, che mi ha già avvolto le braccia al collo, in una presa stritolatrice mentre inizio a sentire dolore sulla nuca, perché ha catturato i miei capelli tra le mani tremolanti e ha iniziato a tirarli.
-Io…Io ti odio- continua a mormorare con la testa nell’incavo del mio collo –Come hai potuto?- continua a parlare quasi impercettibilmente, mentre io continuo ad accarezzarle le disordinatissime onde dei suoi capelli sussurrandole che mi dispiace, con gli occhi visibilmente umidi, e sollevo con facilità la sua esile figura per portarla a sedere sulle mie gambe, facendo aderire i nostri petti.
-Non hai idea di quanto tu mi sia mancato- mormora ancora tra i singhiozzi, ancora incapace di smettere di tremare tenendo le braccia allacciate intorno al mio collo –Lo so, e ti posso garantire che te mi sei mancata di più-
                                                                                                       Qui e ora noi siamo vivi, e giuro che siamo infinito.  S. Chbosky

Ally
“Come ha potuto uscirsene con una frase cosi?” penso mentre corro velocemente gli scalini. Sento chiamare il mio nome, alzo gli occhi e lo trovo tre o quattro rampe di scale più su di me, e accelero il passo per non farmi raggiungere, strusciandomi di tanto in tanto gli occhi per ripulirli dalle gocce di acqua salata che mi stanno bagnando le labbra. Continuo a camminare velocemente per la velocità che le mie gambe corte mi consentono  e scendo fino a uscire dall’androne, oltrepassando la soglia avvallata nel centro e andandomi a sedere sugli scalini di marmo beige bucherellati e smussati sugli spigoli.
-Ehi- lo sento dire, ma non distolgo il viso dal cielo. Nuvoloso, per fortuna. E’ un tempo che mette sonno, attutendo cosi i pensieri, e ti da la facoltà di non pensare, di mandare il cervello in folle e lasciare che la vita scorra. Non è buffo vedere come tutto vada avanti, anche quando te dentro stai morendo? Puoi restare tutto il giorno tra le lenzuola, ma questo non impedirà al sole di sorgere e tramontare come se nulla fosse, i pettirossi di cantare, alla sabbia in una clessidra scorrere, mentre ogni granello scandisce il passare di un attimo, un minuto, un’ora. Granelli insignificanti che ora stanno scandendo la mia vita. Le nostre vite.
Sento un rumore di passi che si allontanano, e capisco che Niall se ne sta andando. Ma è davvero questo ciò che voglio? Non ne sono più cosi sicura, ma prima che il mio cervello possa riflettere a fondo la mia bocca risponde con un saluto appena udibile. Lo vedo girarsi con un sorriso mentre gli indico con lo sguardo di sedersi accanto a me.  Si mette sullo scalino più in alto del mio e stende le sue gambe appoggiandole due scalini sotto mentre continua a rivolgermi un sorriso e faccio un disperato tentativo di alzare appena gli angoli delle mie labbra all’insù, vergognandomene subito dopo.
Prova a iniziare un discorso con un flebile –Io…- ma i miei nervi crollano prima che possa articolare un discorso più sensato, rompendo tutte le barriere di odio e indifferenza che avevo creato. Dio, come ho potuto essere così stupida da pensare di poter sopravvivere senza di lui, senza i suoi abbracci, senza il suo sorriso? Ogni volta che incrociavo il suo sguardo, era un’emozione unica dentro me, era la mia droga, e ogni volta che solo per rabbia dovevo guardare da un’altra parte era come fare della violenza a me stessa. Come ho potuto capirlo solo ora? No, sono convinta di esserne stata a conoscenza tutto il tempo, solo ero troppo orgogliosa per confessarmelo. Gli getto le braccia intorno al collo, afferrando in pugni i capelli della sua nuca nelle mie mani e chiudendole in pugni. Inizio a tirarglieli con forza, in preda a una tempesta di emozioni, perché forse voglio solo provare a provocargli un po’ di dolore, per quanto tempo sono stata arrabbiata con lui e un po’ perché vorrei stringere quell’abbraccio all’inverosimile, avere di lui ciò che mi è mancato in tutto questo tempo. E piango, mugolando nascondendo il viso tra il suo collo e la sua clavicola prominente. Continua a accarezzarmi i capelli sussurrandomi cose dolci, ma non lo ascolto perché sono troppo impegnata a perdermi nel suo profumo.

                
Le persone quando sono arrabbiate dicono cose brutte.
 Però devi amarle, proprio perchè si arrabbiano. Proprio perchè rimangono.
G.Macrì

  
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