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Autore: suni    04/12/2007    3 recensioni
Peter è ingenuo, generoso, sognatore.
Nathan è pratico, ambizioso, egoista.
Ma hanno qualcosa in comune.
Qualcosa che li porterebbe anche a morire uno per l'altro.
(NO incest)
Previsti SPOILER dopo il capitolo 10, ora che ho finito la season II mi posso sbizzarrire...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claire Bennet, Nathan Petrelli, Peter Petrelli
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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VI. Un povero pirla

(“troppo tardi” è un concetto insopportabile)

 

      Tuo fratello sta dormendo.

Tuo fratello sta dormendo, lì, in quel letto bianco e impersonale, con quei maledetti tubi che gli s’infilano nel corpo, anche nel naso per fargli scendere l’aria fino ai polmoni.

Vorresti poter respirare tu al suo posto, e passargli per osmosi la vita e la salute che ci sono dentro di te, vorresti strapparti via i polmoni e darli a lui per farlo sopravvivere meglio. Vorresti anche  alzarti ed urlare fino a quando non rimarrai senza fiato e ti brucerà la gola, e tirare pugni ai muri tanto da spaccarti le dita e i polsi, e fare a pezzi tutto quello che vedi, spezzare la gamba di quella dannata sedia e i vetri delle finestre, avventarti su quei maledetti schermi che mostrano attraverso stupide linee elettriche la lenta morte di tuo fratello, come se fosse lo schifoso grafico del tuo gradimento nei sondaggi tra gli elettori, e ridurli a un cumulo di merdose componenti elettroniche sbriciolate.

Ma non riesci a fare niente, nemmeno a pensare di muoverti. Come se non potendosi muovere lui fossi immobilizzato anche tu. Non riesci a smettere di guardarlo e sentirti morire lentamente anche tu, e di pensare che, cazzo, lo avevi detto a quella ragazza che non doveva dirgli dove andare. Che se gli voleva davvero bene doveva lasciar perdere o lui si sarebbe fatto ammazzare, che per la salute di tuo fratello lei poteva anche far finta di non sapere più nulla del quadro e la faccenda sarebbe morta lì, meglio evitare di assecondarlo. Ma no, invece lei ha dovuto andargli appresso e mandarlo a cercare la cheerleader – che poi quando mai si è visto un eroe salvare il mondo salvando una ragazza ponpon, che razza di idea assurda, proprio tipica di Peter, il re dei castelli in aria.

Beh, che ti potevi aspettare da lui? E’ Peter, se si è trovato una donna se la sarà trovata matta come un cavallo, come lui. Almeno così andranno d’accordo, sempre se riescono a sopravvivere l’uno all’altro per più di due settimane.

Sopravvivere.

Tuo fratello deve sopravvivere. Non può morire così, a ventisei anni, perché è svenuto.  Non può farti questo, non lo perdoneresti mai: proprio lui, che ha sempre messo gli altri prima di se stesso, te in particolare, non può volerti fare così tanto male, in modo così assoluto e irrimediabile, non riesci a credere che stia facendo questo a te. E’ anche se ti rendi conto che è un pensiero mostruosamente egoista non riesci a smettere di ripeterlo nella tua mente, come una preghiera: non farmi questo, non farmi questo.

Sei arrabbiato con lui, per quello che riesce a farti, che ti ha sempre fatto: con questa dannata storia che lui è più simile a papà hai sempre avuto paura che si scoprisse malato anche lui, un depresso. E ogni volta che sta male stai male, ma fai finta di niente perché non vuoi che lui lo veda, non vuoi che si accorga che sei debole anche tu e che smetta di guardarti con quell’ammirazione che gli spunta negli occhi ogni volta che ti vede, e che ti fa sentire l’uomo più potente del mondo.

Ma adesso Peter non ti può vedere, nemmeno volendo. E tu non ti sei mai sentito così solo.

Non t’importa più di mostrarti tutto d’un pezzo, di essere l’uomo brillante e ambizioso che tutti sanno, lo squalo che ami professare di essere: perché Peter forse sta morendo e qualunque altra cosa nel mondo è priva di significato. L’unica cosa che esiste è il volto bianco e spento di tuo fratello, occupa tutto il tuo campo visivo e ti schiaccia a terra facendoti troppo male. Non sei niente, non puoi fare niente. Se continuerà così a lungo diventerai pazzo, perché questa lenta impotenza ti sta facendo saltare i nervi e persino tua madre che continua a rivolgersi a tutti i grandi medici che le capitano a  tiro comincia a farti venire voglia di spaccarle qualche osso.

Sei arrabbiato. Sei arrabbiato con Simone perché non ti ha dato retta, ed ha fatto vedere a Peter la foto del quadro, dopo che tu ti eri dato tanta pena per entrarne in possesso e distruggerlo per evitargli guai, anche se questo ha significato il dover tradire la fiducia che lui riponeva in te e che adesso ti brucia addosso come veleno, perché non la meriti. Continui ad essere arrabbiato, anzi  furioso con lui e avresti voglia di dargli due belle sberle come quand’era piccolo, perché è un’incosciente, perché per te la sua vita è una delle cose più preziose che siano mai esistite e non riesci ad accettare che la metta a rischio così alla leggera, e se dovessi scegliere tra salvare il mondo e salvare Peter tu sceglieresti Peter. Ma lui no, per lui gli altri contano di più. Non si vuole molto bene, ed è anche colpa tua. Per questo quello con cui sei più incazzato sei proprio tu: tu che te ne freghi dei suoi problemi o fai di tutto per farglielo credere, tu che spesso dimentichi quanto la tua famiglia sia più importante della tua carriera, per poi trovarti qui a piangerti addosso come un povero pirla perché te la sei presa con tuo fratello rimproverandogli di volerti rovinare le elezioni, quando lui poteva solo più andare in giro con un maxischermo e sopra scritto “aiutami, Nathan”, ché in nessun altro modo è riuscito ad attirare la tua attenzione. E sei incazzato con te stesso perché quando sei arrivato alla polizia e lo hai visto, lì seduto su quel lettino, sconvolto e con la tosse, la maglietta bianca tutta sporca di sangue –Dio, era suo, quel sangue? Il tuo ha smesso di scorrere, a quella visione, e ti sei chiesto se era intero o se l’avevano ferito e nessuno te lo voleva dire- invece di ridere di gioia come è stato il tuo primo impulso fare, ti sei dovuto mostrare acido e scostante per restare nel fottuto personaggio che ti sei cucito addosso. E ti sei messo a fare il superiore e trattarlo come uno spostato o come un matto, mentre lui era lì che tossiva e barcollava –perché, perché stava a stento in piedi? Come mai sul momento non ci hai quasi fatto caso? Fai schifo, come fratello sei una totale nullità.

E te lo sei portato via mostrandogli per bene che in qualche modo ti vergognavi di lui e che lo consideravi un povero squilibrato, e soltanto svenendo è riuscito a farti smettere di delirare con le tue manie di grandezza. Ha dovuto andare giù a terra come un sacco perché tu ti rendessi conto che non stava bene, e sì che non aveva davvero una bella cera, perché tu smettessi di concentrati su te stesso e capissi che ad avere bisogno di appoggio era lui e non tu. Ti odi, vorresti prenderti a pugni fino a romperti la mascella o il naso, e poi ancora, perché questa è l’immagine di te che forse gli hai lasciato, quella di uno stronzo arrogante che di lui se ne sbatte. Complimenti, Nathan, davvero un ottimo lavoro.

E adesso ti tormenti, e ti sta bene, e continui a vederlo lì per terra, appoggiato alle tue braccia, smarrito e senza fiato, terrorizzato mentre tu balbettando gli chiedi di respirare e lui già non ti sente più. Lo rivedi così fragile, boccheggiante, che si regge in piedi a fatica mentre tu ironizzi sulle sue parole, e quelle confidenze che ti fa cercando di spiegarti la storia assurda che ha in testa non le stai nemmeno ad ascoltare, lo schernisci in un momento in cui lui è così debole –Cristo, non riusciva nemmeno a camminare, perché dovevi essere così stronzo? Perché non gli hai dato una mano? Cazzo, è tuo fratello.

Ti fai schifo. Stava delirando? Forse, anzi di certo. E allora? Sei comunque suo fratello e contava su di te, ha cominciato a parlare a macchinetta appena ti ha visto nonostante non avesse fiato, e anche se i suoi deliri su gente con strani poteri e poliziotti che leggono il pensiero erano folli, gli stavano a cuore. Dovevi starlo a sentire, Nathan, o almeno parlare con lui in modo normale. Ora te lo ripeti, ma è troppo tardi. Risenti le tue frasi feroci e cattive, sbeffeggianti. “Salvare il mondo? Per il momento mi accontenterei che tu camminassi dritto. Ti senti arrossire di rabbia e di vergogna. Era così debole, così fragile, e tu hai saputo soltanto dargli addosso.

Ti asciughi le lacrime, rendendoti conto che ti stavano sgorgando dagli occhi solo nel momento in cui senti le dita umide.

Quando ti sveglierai, Peter, tuo fratello ci sarà. Smetterà di pensare alle sue elezioni, davvero, si sforzerà di concentrarsi su qualcosa che non sia se stesso e ti darà una mano per venire a capo di questa storia. Ti stai sbagliando, Peter, tu non c’entri niente con questa bomba di cui parli. Tu non faresti male ad una mosca, sei talmente buono da sfiorare l’irrealtà e tuo fratello lo sa.

Gli ripeti questo, e tanto altro, stringendo la sua mano inerte nella tua. Gli ripeti che lo ami e che hai bisogno di lui, e non viceversa, gli riveli tutte le cose che da sveglio non potresti mai dirgli, che lo stimi e che sei orgoglioso di lui, che vorresti somigliargli di più. Che la sua generosità non è debolezza ma forza e che il fratello manchevole non è lui, ma tu. Quando si sveglierà e ritroverai la tua razionalità, negherai anche con te stesso di aver pensato cose del genere, ma adesso non hai tempo né energie da sprecare per banali questioni d’orgoglio e amor proprio.

Perché si sveglierà. Tu lo sai, si deve svegliare.

Si sveglierà

     E invece no.

I giorni passano e Peter non si sveglia. E dopo qualche altro giorno non hai più nemmeno la forza di essere arrabbiato, nemmeno con te stesso. Hai solo più la disperazione e la paura a sorreggerti. Cominci a guardare in faccia, davvero, l’ipotesi che tuo fratello non si sveglierà più, e ti senti annegare. Hai la barba da fare e l’aspetto di un cocainomane più che quello di un futuro membro del Congresso, ma quasi ti sei dimenticato del Congresso. Hai solo voglia di piangere, ma tua madre si tormenta già abbastanza senza che ceda anche tu. Stringi i denti, rimani composto e le intimi di non dire fesserie quando parla della morte di Peter, in modo aggressivo, rabbioso, perchè sono passate due settimane e le cose rimangono stazionarie.  Cominci a non sperare più nemmeno tu. Hai sonno, gli occhi cerchiati e gonfi di stanchezza, ma tanto sai che non puoi dormire.

E poi torna Simone. Con dei fiori che lascia a tua madre. Le ascolti parlare di febbre idiomatica cronica, di medici che non sanno che cosa lui abbia. Meccanicamente contraddici tua madre per l’ennesima volta quando accenna all’imminente morte di Peter e seccamente le suggerisci di lasciar lavorare i medici mentre lei ansiosa se ne va, probabilmente a richiedere un altro inutile consulto.

E’ la prima volta che rimani da solo con Simone. Tua madre non sa nulla e non potevi parlare liberamente in sua presenza. Di colpo ti torna la rabbia verso questa ragazza che ha mandato tuo fratello a morire. Pensi a qualcosa di maligno e sottile da dirle per rinfacciarle la sua colpa, come se questo potesse in qualche modo darti sollievo, ma lei ti previene e parla per prima.

“Se avessi saputo cosa sarebbe successo…” inizia, accarezzandogli il petto.

Ti senti svuotato, d’un tratto. Tu lo sapevi, ma nessuno ti ha dato retta. Invece l’unica cosa che sai adesso, è che tuo fratello sta morendo per una storia senza senso di poteri psichici e cheerleader che salvano il mondo.

“Appena prima di cadere in quello stato parlava del fatto che gli sembrava di stare assorbendo troppi poteri,” annunci, con calma ma senza celare una vena accusatoria. Hai la voce arrochita, strascicata.

Lei capisce a cosa ti riferisci, s’irrigidisce.

“Peter voleva vedere quel quadro,” ribatte tornando a voltarsi verso di lui.

“Avevo cercato di dirti di non farglielo vedere,” rispondi grave, spazientito. Tu lo conosci bene, Peter vuol fare spesso cose che la ragione imporrebbe di evitare. “Sapevi che avrebbe seguito quel quadro e che si sarebbe precipitato in Texas all’istante,” aggiungi freddamente. Lei ti guarda addolorata, e tu ti senti ribollire ulteriormente. “E’ mio fratello e gli voglio bene, ma sappiamo entrambi che non avrebbe dovuto essere lì,” specifichi con collera repressa.

“Era importante per lui,” ribatte Simone accarezzando il ragazzo con lo sguardo.

Daresti un pugno sul tavolo se ne avessi uno a portata di mano. Ma non ce l’hai. E allora ti sfoghi verbalmente, perché sì, cazzo, era importante per lui ma era una pazzia e bisognava impedirglielo, ma soprattutto, anche se non lo ammetteresti mai, perché ti fa rabbia che lei si sia accorta di quanto tutta la faccenda fosse davvero importante per Peter, mentre tu come al solito non l’hai preso sul serio. Lo tratti sempre come un ragazzino e questo è il risultato.

“Tu credi davvero a tutte queste cazzate?” la schernisci irato. “Pittori? Quadri?... La fine del mondo?” enumeri, calcando bene il tuo sarcastico scetticismo sull’ultimo punto dell’elenco. Lei si volta indignata vero di te. E la sua risposta ti fa sentire la più misera, schifosa tra tutte le creature che mai abbiano popolato il mondo.

“Io so che lui ci crede. E io credo in lui.

Un pugno nello stomaco. Ti accasceresti sulla sedia accartocciandoti su te stesso, se un ultimo barlume di dignità non te lo impedisse. Sbatti via il giornale che avevi in mano –nemmeno te n’eri reso conto- e ti alzi. Reagisci duramente per non mostrare quanto quella semplice frase ti ha fatto male. Perché chi se non tu, suo fratello, avrebbe dovuto credere in Peter? Non è questo essere fratelli, fornirsi appoggio incondizionato?

“Va bene. Dimostramelo,” la sfidi con sicurezza. “Siamo in ospedale da due settimane aspettando che succeda qualcosa. Impazzirei se dovessi ancora restare qui a guardare mio fratello morire,” le spieghi altero, con l’aria di non essere poi così distrutto. “Portami dall’artista. Voglio proprio vedere se ne è valsa la pena,” concludi infilandoti la giacca. Lei nemmeno risponde, si limita ad alzarsi a sua volta, annuendo appena.

Ti disinteressi per qualche secondo della presenza di lei accanto alla porta, pronta a fare quanto le hai chiesto. Ti avvicini a tuo fratello e ti chini su di lui, gli baci una guancia, fredda e immobile, vorresti abbracciarlo.

“Ti voglio bene,” lo saluti in un mormorio.

Dovresti dirglielo più spesso quando ti può sentire. Ti riprometti che lo farai.

E poi ti volti, sforzandoti di reagire al contraccolpo del dolore di staccarti da lui e non sapere con certezza che quando tornerai sarà ancora vivo. Ma già ti senti un pochino più leggero.

      Nascondilo pure a te stesso, se ti fa sentire meglio, ma il tuo proclama di voler verificare di persona è solo una montatura: quello che vuoi in realtà è entrare nel mondo di Peter, per poter credere in lui a tua volta. Quello che vuoi è riavvicinarti a tuo fratello e riguadagnarti la sua fiducia, e vederlo sorriderti quando sarà sveglio. Pensi che sarà semplice, Nathan. In qualche modo, pensi anche che comunque è tutto una fantasia, che lo farai ragionare.

Ti stai sbagliando, Nathan. E continuerai a sbagliare ancora.

Continuerai finché non vorrai davvero capire quel che Peter possiede, un altruismo spontaneo ed esente da ogni tipo di calcolo.

Avrai tempo per capire.

Forse.

O forse New York esploderà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note di chiusura:

Questa volta mi sono di nuovo concentrata esclusivamente su Nathan e sul suo punto di vista. E’ una specie di arringa rivolta a se stesso, mentre le ultime righe sono una specie di commento di un presunto narratore onnisciente.

Non c’è molto da dire. Come al solito il dialogo vi sembrerà forse leggermente diverso da quello che conoscete, se l’avete visto in italiano. Sinceramente non ne ho idea. C’è una frase che nella versione originale ha una resa bellissima, ed è il saluto che Nathan rivolge a Peter uscendo: “I love you, man”. Non sapevo come rendere il tono affettuoso e confidenziale che assume nella lingua originaria, per cui mi sono limitata a tradurla con “ti voglio bene”, che mi sembrava l’espressione più semplice ma anche la più affine.

Inoltre, vorrei precisare che il titolo del capitolo non costituisce in alcun modo un’espressione del mio giudizio sul personaggio, ma riprende un’espressione che lui stesso si rivolge nel delirio. Volevo che fosse chiaro, perché se no se ne travisa completamente il significato.

E’ tutto, mi pare.

Suni

 

   X Crazy Dark Queen: Grazie. In effetti quel che volevo trasmettere era proprio quella sensazione esagerata di mondo che ti crolla addosso… Nathan e Peter mi piacciono molto come fratelli. Rendono bene l’idea dell’affetto e dell’incomunicabilità che regolano spesso i rapporti fraterni, quelle voragini di cose non dette e non capite volontariamente nonostante l’importanza reciproca. A presto.

   X Shari_Aruna:… Spero che Nathan non risulti melenso nemmeno qui. Non era mia intenzione renderlo tale, ma immagino non siano state due settimane piacevoli quelle del coma di Peter. E Nathan non è poi quel blocco di marmo, in fin dei conti. Grazie per tutti quei complimenti, spero non sarai delusa. Ciao

   X Elly:… Ma guaaaarda… Anche tu qui! E’ un piacere ritrovare i commentatori nei fandom diversi! Che bello che ti piaccia sempre come scrivo… Comunque, riguardo a Nathan ci tengo a specificare che capisco e condivido certi suoi atteggiamenti, soprattutto per quanto riguarda il lato più personale, quello del family man… Non sto scrivendo con l’intenzione di mettere Peter né nessuno dalla parte “della ragione” e se invece sembra così devo aver sbagliato qualcosa… Quello che non mi piace di Nathan è più che altro caratteriale. Anche se, garantito, non è assolutamente uno dei personaggi che mi piacciono di meno… Almeno ha un suo perché. A presto!

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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