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Autore: Unsub    18/05/2013    3 recensioni
Qualcuno è un amico, qualcuno è un nemico, qualcuno è qui per aiutare, qualcuno è qui per fare del male. Decisioni difficile da prendere, fiducia mal riposta o meno, niente è quello che sembra e tutti hanno un secondo fine. Le regole a volte vanno infrante, ma cosa succede quando non conosci le regole del gioco?
La mia prima fanfiction, riveduta e corretta. Della storia originale rimane la trama e qualche spezzone, per il resto sono stati introdotti nuovi capitoli e le situazioni sono state approfondite. Ormai non mi soddisfaceva più come era all'inizio e ho deciso di riscriverla. Ringrazio Ronnie89 che mi fa da beta: sei sempre una grande! Enjoy!
Genere: Generale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Sarah Collins '
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capitolo10

Novembre 2007

 

Stazione di Polizia, New York

 

Hotch aveva chiesto a JJ di convocare le famiglie per interrogarle il giorno dopo e, quindi, la donna era tornata nella stanza dei fax . Reid continuava a concentrarsi sulla pianta della città, mentre alle sue spalle Rossi, Prentiss e Hotch stavano discutendo degli sviluppi forniti dal  medico legale.

-        Quindi non sappiamo ancora se il fatto che Hernandez fosse incinta sia rilevante. – Aaron era seduto a capotavola e guardava Rossi – Potrebbe essere una casualità.

-        L’unica cosa che possiamo fare è aspettare i referti delle analisi supplementari. – concordò Rossi – Certo questo darebbe all’asportazione dell’utero tutto un altro significato.

-        Non sappiamo neanche se l’ultima vittima volesse tenere il bambino. – constatò Emily continuando a guardare il lavoro di Reid – Come va’ con il profilo geografico?

Reid si girò e scrollò le spalle.

-        E’ difficile che giunga a qualche conclusione, visto che non sappiamo esattamente dove sono state rapite. – prese i fascicoli e cominciò a sfogliarli mentre ricapitolava quello che sapevano – L’ultima vittima è uscita dal lavoro la mattina prima del ritrovamento a Central Park, non sappiamo se è stata rapita subito o sia andata in un altro posto prima che l’S.I. la rapisse.

Gli altri tre della squadra presero a loro volta i dossier per seguire il riassunto di Spencer e poter intervenire.

-        Mary Farinacci era stata a lezione il martedì e poi è sparita, il corpo è stato ritrovato giovedì mattina da un avvocato che faceva jogging. Il medico ha potuto stabilire l’ora della morte approssimativamente fra le cinque e le dieci di mercoledì pomeriggio. – continuò il ragazzo – La O’Connor si era esibita in un concerto per pianoforte il venerdì sera, l’ora del decesso è stata fatta risalire alle prime ore della domenica mattina.

-        Tre vittime in poco più di una settimana. – intervenne Rossi con tono preoccupato – Il nostro soggetto ignoto si sta dando da fare.

-        Se mantiene la sua tabella di marcia, rapirà un’altra ragazza fra poche ore. Sempre che non l’abbia già fatto. – Hotch mise da parte i fascicoli e si rivolse alla squadra – Dobbiamo concentrarci sul caso se vogliamo riuscire a salvarla.

Rossi, attraverso i vetri della sala messa a loro disposizione, vide Collins e Morgan uscire dall’ascensore del distretto. I due avevano in mano dei bicchieri di polistirolo con il marchio dello Starbucks e stavano parlando tra loro con aria complice; lo sorprese soprattutto vedere Sarah sorridere al collega come se fossero amici di vecchia data.

-        Speriamo che Collins e Morgan abbiano scoperto qualcosa. – Aaron, che dava le spalle alla vetrata, continuava il suo discorso guardando l’orologio – Dovrebbero già essere rientrati.

-        Infatti stanno arrivando. – lo informò David.

Si girarono tutti a guardarli, mentre Derek sorrideva e scuoteva la testa con aria divertita.

-        Sembra che quei due abbiano fatto amicizia. – disse Prentiss con aria stupita.

-        Forse Morgan starà solo cercando di essere gentile con lei. – interloquì Reid, tornando a voltarsi verso la lavagna trasparente.

Emily lo guardò scettica, prima di tornare a fissare quei due. Sorrise, sperando che la ragazza avesse trovato qualcuno con cui aprirsi: aveva l’impressione che Sarah fosse una persona molto sola.

-        O forse Collins non è poi così male. – ribatté con un sorriso – Anche se quello che è successo questa mattina ci ha innervositi tutti, credo sia il caso di darle un’altra possibilità.

Hotch guardò Rossi e sospirò. Non si fidava di quella ragazza e non sopportava l’atteggiamento che spesso assumeva nei suoi confronti. Aveva sempre l’impressione che lo stesse sfidando, che volesse stuzzicarlo per vedere quale fosse il suo punto di rottura. Quella mattina ci era andato giù pesante in risposta all’attacco che l’ultima arrivata aveva fatto a JJ, ma anche perché si era permessa di scavalcarlo. Meditò che forse Prentiss aveva ragione: la ragazza non era abituata a lavorare in squadra e sarebbe stato un pessimo capo se non avesse provato ad indirizzarla sulla strada giusta.

 

Sarah studiò l’ambiente in cui si trovavano. Mentre il piano terra le era apparso come nei telefilm, con il lungo bancone in mogano dietro il quale un burbero poliziotto sovrappeso dava informazioni di malavoglia, il primo piano era completamente diverso. Appena uscita dall’ascensore si era ritrovata in un grande openspace, simile a quello che occupavano loro a Quantico, pieno di scrivanie e di gente impegnata a lavorare. Sul fondo dalle sale c’erano una serie di stanze più piccole separate fra di loro e dalla sala principale da pareti in legno e vetro che permettevano di vedere cosa succedeva all’interno di ognuna di esse, sempre che gli occupanti non si fossero presi la briga di tirare giù le veneziane. La sua ispezione fu interrotta dalla voce del collega.

-        Tu sei tutta matta. – Morgan sorrise e scosse la testa – Come ti vengono in mente certe analogie fra Hotch e il tuo gatto castrato?

-        Perché? Trovi che non fosse centrata? – Sarah sorrise a sua volta, bevendo un sorso di cioccolata.

-        Più che altro non l’ho trovata appropriata, ma suppongo che siano punti di vista. – si voltò e vide Jennifer da sola all’interno di una delle stanze più piccole – Un’altra cosa che non ho trovato appropriata è stata la scenata di questa mattina in sala riunioni.

-        Scommetto che non hai trovato appropriato neanche il modo in cui ho risposto a Garcia. – fissò il proprio bicchiere e sospirò – Non mi lascerai in pace finché non andrò a chiarirmi con l’agente Jareau, giusto?

-        Chiederle scusa sarebbe un buon primo passo. – le fece cenno verso la porta aperta della stanza dove si trovava la collega – Magari potresti chiederle di stampare le foto che abbiamo scattato, giusto per rompere il ghiaccio.

-        Posso anche andarglielo a chiedere e provare a parlarci, ma non mi scuserò. Non ho detto niente che non pensassi veramente.

-        Allora perché hai chiesto scusa a me? – si fermò e la studiò – Oppure erano solo parole?

-        E’ diverso e lo sappiamo entrambi. – si inumidì le labbra e gli si avvicinò, cominciando a parlare a voce bassa – Ti ho chiesto scusa perché ho usato qualcosa di tremendamente personale per ferirti, solo perché ero spaventata e avevo perso il controllo. L’agente Jareau invece…

-        L’hai aggredita perché hai perso il controllo. – provò Morgan.

-        No, l’ho aggredita perché ha messo in difficoltà la squadra nello svolgimento del nostro lavoro. Sono due cose diverse. E’ moralmente inaccettabile usare quelle cose contro di te, ma è giusto riprendere un collega che sta sbagliando e sta ostacolando le indagini.

-        Non toccava a te farlo.

-        Sei un disco rotto e non la smetterai finché non andrò là dentro, vero? – sbuffò strappando la macchina digitale dalla mano di Derek – Sarà sempre così? Mi farai la predica continuamente?

-        Solo quando reputerò che tu abbia sbagliato. – l’uomo le sorrise e si incamminò verso la sala occupata da Hotch e gli altri, lasciandola sola a rigirarsi la macchina fotografica fra le mani.

Dopo pochi passi si voltò di nuovo verso l’ultimo acquisto del team e la guardò con sguardo severo, mentre lei sostava accanto all’ultima fila di scrivanie.

-        Sarebbe una buona cosa se cercassi di chiarirti anche con Garcia, capisco che tu sia una persona riservata e che non voglia che gli altri sappiamo qualcosa del tuo passato, ma c’è modo e modo per dire le cose.

-        Abbiamo il paladino delle bionde. – alzò gli occhi al cielo e si avviò verso il supplizio di parlare con JJ.

 

Entrò nella stanza dove Jennifer, girata di spalle, era intenta a scrivere un messaggio con il cellulare. Per un momento la sua mente le fece uno strano scherzo: non si trovava in un ufficio della stazione di polizia, ma negli spogliatoi della palestra della scuola superiore. Aveva addosso la stessa sensazione di quando camminava verso il suo armadietto avvolta nell’accappatoio che copriva l’esile corpo di bambina, mentre tutte le sue compagne adolescenti scherzavano fra di loro e non provavano vergogna nel girare in reggiseno e mutandine. Per un momento ebbe la certezza che se si fosse voltava si sarebbe trovata davanti Mindy, il capo delle cheerleader, che la guardava con aria divertita e derisoria, intenta a pensare ad un nuovo “scherzo” per tormentarla.

Strinse le labbra e chiuse la porta in malo modo, rivelando la sua presenza a JJ che si girò a guardarla. Erano lì ferme in piedi, studiandosi a vicenda: Jennifer con uno sguardo interrogativo e Sarah piena di rabbia malcelata.

Collins chiuse gli occhi e prese un profondo respiro: non era più una ragazzina di dieci anni che si aggirava smarrita per i corridoi di una scuola superiore, era un agente federale ed era in grado di affrontare le persone. Sapeva che la scenata di quella mattina era giustificata dal comportamento non professionale della collega, ma si rendeva conto che la somiglianza fra l’agente Jareau e Mindy la portava ad essere prevenuta nei confronti di quella donna che conosceva a malapena.

-        Io e l’agente Morgan abbiamo scattato delle foto. – allungò il braccio per mostrare la macchina digitale – Dovrei stamparle, può aiutarmi?

-        Sì, certo. – rispose Jennifer, mettendo via il telefono – Mi dia la scheda di memoria e le stampo subito.

-        Grazie. – si avvicinò di qualche passo ed estrasse la card per poi dargliela – Le dispiace se resto qui? Vorrei portarle a Hotchner il prima possibile.

-        Avete trovato qualcosa? – JJ si mise a sedere davanti al computer ed inserì il chip nel lettore.

-        Forse. – fu la laconica risposta di Collins, che si mise in piedi alle sue spalle.

L’agente di collegamento ci mise pochi attimi prima di lanciare la stampa e poi si alzò per fronteggiare la strana ragazza. Rimase un attimo indecisa su cosa dirle o come dirlo, poi prese un respiro e si lanciò.

-        Mi dispiace se questa mattina lei abbia avuto l’impressione che io non sappia fare il mio lavoro…

-        La mia impressione è stata che lei stia trascurando i suoi doveri per questioni meramente personali. – si spostò verso la stampante in attesa che uscissero le foto – Sicuramente di solito è più attenta, ma non esistono casi in cui certe mancanze siano giustificate. Ogni vittima ha gli stessi diritti delle altre.

-        Lo so benissimo. – JJ cercò di rimanere calma e non cadere nelle provocazioni dell’altra – Ho già parlato con Hotch e abbiamo chiarito. Non succederà più.

-        Se sta pensando che abbia intenzioni di scusarmi è fuori strada. – si girò con le stampe in mano – So che tutti voi siete amici, oltre che colleghi, ma questo non mi riguarda. Io sono qui per fare un lavoro e voglio farlo bene. Spero capirà che non posso tollerare che qualcuno me lo renda più difficile di quanto già non sia.

-        Da come parla sembra quasi che il peso di questa indagine sia solo sulle sue spalle.

-        Proprio perché non è così ho fatto quella scenata questa mattina. – le sorrise sarcastica – Si rende conto che lei ha messo in seria difficoltà persone che chiama “amici”. Vuole un consiglio? Lasci il suo cellulare a casa o, quantomeno, chieda al bell’imbusto di turno di non mandarle messaggi mentre sta lavorando.

Jennifer sbarrò gli occhi, chiaramente sorpresa dell’affermazione di Collins.

-        Cosa le fa pensare che…?

-        Andiamo, sono una profiler. Ho visto come salta ogni volta che le arriva un messaggio e come si precipiti a leggerlo. Devo forse pensare che non si tratta di un uomo? – le fece l’occhiolino senza addolcire il sorriso che rimaneva ironico – Spero che almeno ne valga la pena.

-        La mia vita privata non la riguarda.

-        Neanche sono interessata a conoscerla, semplicemente non reputo corretto che lei la anteponga al suo lavoro.

Rimasero a fissarsi per qualche istante, nessuna delle due era pronta a cedere e abbassare lo sguardo. Collins si trovò, suo malgrado, a constatare che JJ non era quella ragazza dolce e indifesa che sembrava, aveva visto uomini sfuggire il suo sguardo quando si rendevano conto che lei non avrebbe smesso di fissarli per prima. Sorrise, avendo capito che l’agente Jareau usava il suo stesso trucco: in realtà non la stava guardando negli occhi, ma osservava il suo setto nasale. Sospirò arrendendosi all’evidenza che non si trovava davanti una sprovveduta.

-        D’accordo, cerchiamo di arrivare ad un compromesso per il bene della squadra e dell’indagine. – continuò infine.

JJ non le risposte, incrociò le braccia e rimase in attesa che l’altra proseguisse.

-        Noi non saremo mai amiche del cuore e la cosa, francamente, mi sta benissimo. – fece qualche passo avanti fino a trovarsi a pochi centimetri dalla sua antagonista – Reputo che non sia necessario intrattenere rapporti interpersonali per svolgere il proprio lavoro con professionalità, comunque mi rendo anche conto che le dinamiche interne alla vostra squadra sono diverse da quelle a cui sono abituata.

Guardò attraverso i vetri che dividevano i vari uffici e puntò i suoi occhi sugli altri membri del team. Invece di parlare fra di loro del caso erano tutti fermi a fissare le due donne, aspettando l’esito di quello scontro.

-        Possiamo continuare a guardarci in cagnesco e a stuzzicarci a vicenda, rendendo le cose più difficili…

-        Io non l’ho mai stuzzicata. – puntualizzò JJ.

-        Questo glielo concedo, ma sicuramente non le sono simpatica. Sono lieta di metterla al corrente che l’antipatia a pelle è reciproca. – incrociò le braccia a sua volta e fece una smorfia prima di continuare – Sia chiaro che la cosa non mi tange in nessun senso, ma certo questo clima di tensione fra di noi non giova alla squadra. Credo di stare parlando con una persona adulta e ragionevole, giusto?

Jennifer si limitò ad annuire.

-        Direi che non ci rimane altra scelta che sopportarci sul lavoro, per quanto riguarda la vita privata sono sicurissima che nessuna delle due abbia problemi ad evitare l’altra.

-        Sono pienamente d’accordo. – JJ sorrise, capendo che quel discorso contorto era una specie di richiesta di pace – Tregua?

-        Direi che una tregua non basta per appianare le cose. Bisognerebbe ricominciare da capo. – inaspettatamente tese la mano verso Jennifer e le fece un sorriso tirato – Piacere, sono il nuovo agente assegnato a questa unità. Mi chiamo Sarah Collins.

-        Piacere, sono l’agente di collegamento Jennifer Jareau. – le strinse la mano a sua volta, prima di darle una stoccata finale – Gli amici mi chiamano JJ.

-        Allora per me sarà l’agente Jareau. – rispose con tono annoiato.

JJ scosse la testa mentre Sarah la superava e apriva la porta per poi voltarsi di nuovo verso di lei.

-        Viene con me per la riunione di aggiornamento, oppure resta qui a rispondere ai messaggi che le arrivano sul cellulare?

L’agente di collegamento la guardò male, prese il telefono e lo spense per poi seguire quella ragazza indisponente.

 

Sarah entrò nella stanza seguita da JJ, sotto lo sguardo attento di Hotch che sembrava particolarmente teso e serio. Sarah lo fissò un attimo e gli sorrise in modo sarcastico prima di andare alla lavagna e cominciare a sistemare le foto che aveva fatto stampare.

-        Bene, ora che siamo tutti qui vorrei sapere se ci sono novità. – Hotch, seduto a capotavola, si voltò verso David e Emily – Cosa abbiamo?

-        L’anatomo patologa ci ha confermato la causa della morte ed il fatto che gli uteri siano stati asportati premorte. – cominciò Rossi con tono sicuro.

-        La dottoressa Black ci ha informati che la Hernandez era incinta. – si intromise Prentiss – Stanno facendo degli esami per appurare se lo fossero anche le altre due vittime.

Collins li osservava interessata mentre Reid guardava le foto che aveva appeso alla lavagna trasparente.

-        Questo spiegherebbe la presenza di Kokopelli sulle scene dei ritrovamenti. – interloquì il giovane dottore.

-        La presenza di chi? – chiese JJ avvicinandosi a lui.

Spencer si girò verso Collins che era rimasta di fianco alla lavagna e lo guardava parlare con il resto del team, come in cerca di approvazione e questa gli fece un cenno con la testa come invitandolo a proseguire.

Reid indicò la figura di un uomo stilizzato con un'accentuata curvatura della schiena, ritratto mentre danzava e suonava una specie di flauto.

-        Kokopelli è una divinità Navajo. – cominciò a spiegare il ragazzo – Nella mitologia dei nativi americani, questo Hopi trasporta i bambini non nati sulla sua schiena e li distribuisce alle donne della tribù[1].

-        Se le vittime erano veramente incinta, questo spiegherebbe anche i luoghi di abbandono. – intervenne Sarah facendo un passo avanti ed indicando le altre foto che avevano scattato con Morgan – Come potete vedere, Jessica Hernandez è stata trovata sotto un ponte a contatto con l’acqua di un ruscello, Mary Farinacci è stata lasciata sotto una delle panchine che circondano il lago[2]. Tutte le vittime erano vicino o a contatto dell’acqua, per la cultura dei nativi americani è un simbolo di vita.

-        Ma la seconda vittima non era in prossimità dell’acqua. – si intromise Morgan che aveva partecipato ai sopralluoghi – Era riversa vicino ad un albero.

-        Sbagliato. – gli sorrise Collins, prendendo un’altra foto dai fascicoli aperti sul tavolo – Ora non c’è acqua in quel posto, ma il nostro soggetto ignoto l’aveva abbandonata con la testa riversa in una pozzanghera.

Appese alla lavagna la foto che supportava la sua teoria.

-        Aspettiamo gli esiti degli esami. – Hotch si alzò, catalizzando l’attenzione degli altri – Prima di focalizzarci troppo su queste teorie appuriamo che fossero tutte e tre incinta. Direi che per oggi non possiamo fare nient’altro ed è quasi ora di cena.

-        Andiamo prima a cena o passiamo in albergo? – chiese Prentiss, massaggiandosi il collo.

-        Credo che sia meglio andare prima a mangiare. – propose Morgan.

-        Io sono molto stanca e non ho appetito. – Sarah cominciò a riordinare i dossier senza guardare nessuno di loro – Se non vi dispiace preferirei andare subito in albergo.

-        D’accordo, agente Collins. – le andò incontro Hotch – La accompagneremo prima in albergo e poi andremo a mangiare.

-        Non sarà necessario, signore. – la ragazza continuava ad evitare lo sguardo di tutti – Mi basterà prendere la valigia dal SUV. Non voglio costringervi a fare una deviazione non necessaria.

-        E’ sicura? – Aaron la fissò in silenzio, finché lei non alzò lo sguardo.

-        Sono sicura, sono solo molto stanca, signore.

Rimasero a fissarsi ancora un attimo, poi il caposquadra annuì e fece un gesto a Morgan.

-        Dalle le chiavi della macchina, tu verrai con me e JJ.

-        Sì, Hotch. – anche se riluttante Derek passò le chiavi a Sarah, ripromettendosi di farle un discorso sul fatto di “integrarsi” e “interagire” con la squadra.

 

Continua…

 

 



[1] Per maggiori informazioni: http://it.wikipedia.org/wiki/Kokopelli

[2] Ci sono vari specchi d’acqua all’interno di Central Park, il più grande è appunto The Lake.

   
 
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