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Autore: Virelei    18/05/2013    4 recensioni
Un giorno il Seirin si accorge dello strano comportamento di Kuroko, che si presenta agli allenamenti mostrando sempre più ferite. Sta nascondendo un segreto? Determinata a scoprirlo, la squadra del Seirin inizia a fare indagini sulla vita di Kuroko, per scoprire presto qualcosa di shockante. Ma la Generazione dei Miracoli ha già fatto la sua mossa. GdM iperprotettiva, AkaKuro, AoKise.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 8

La squadra del Seirin era stretta intorno ad un piccolo tavolo in un ristorantino. Erano tutti tesi, nervosi e pieni di aspettative. Stavano aspettando Shogo Haizaki.

Dopo le ricerche di Riko erano riusciti a trovare Haizaki del Teiko. Sembrava che adesso frequentasse un liceo con cui si sarebbero dovuti presto scontrare. Avevano trovato una sua foto, ed era spaventosa. Era un ragazzo alto, con i capelli grigi e dall’aspetto violento, bastava un’occhiata per rendersene conto. Il suo file diceva che era stato espulso da parecchie scuole per delle risse.

Kuroko frequentava un tipo come questo? Si domandarono tutti.

Haizaki aveva risposto alla mail di Riko dopo molte ore. Aveva accettato di incontrarli in quel piccolo ristorante.

“È in ritardo!” esclamò Teppei

“Di un’ora,” brontolò Kagami.

Hyuuga li guardò storto, “Siate pazienti.”

Koganei saltò su all’improvviso ed indicò, “Hey, quello non è lui?” Si girarono tutti verso la porta.

Ed infatti alla porta c’era proprio Shogo Haizaki, e stava chiaramente mettendo paura alla cameriera, che aveva iniziato a balbettare. La guardò male e lei scappò via con uno squittio. Il ragazzo violento osservò poi le persone presenti nel ristorante finchè non notò il loro tavolo.


“Siete voi il Seirin?” ringhiò.


Kuroko guardò disgustato il pasto che era davanti a lui. Il profumo era delizioso, ma lo stesso non valeva per il contenuto. Era un pasto americano: una bistecca grassa e succosa tagliata in piccoli pezzi, con un contorno di spinaci, una piccola porzione di purea di patate ed un bicchiere di acqua ghiacciata. Esatto, non c’era il the, che di solito era servito con il pranzo e la cena e che aiutava la digestione! Su un piatto più piccolo, vicino a quello con la portata principale, erano serviti broccoli e piselli.

Akashi guardava divertito l’espressione sul volto del più basso. Stava seduto sul bordo del letto, mentre Kuroko era al centro, con le gambe e le braccia incrociate ed aveva un vassoio abbastanza grande appoggiato sulle gambe. “Ho sentito dire che il cibo americano aiuta a prendere peso, – disse Akashi – Anche se non apprezzo alcuni piatti, posso comunque capire che questi siano più nutrienti di un pasto giapponese standard.”

 Kuroko spinse il vassoio lontano da lui, solo a guardarlo gli veniva la nausea. “Non voglio mangiarlo,” mormorò.

Akashi aggrottò le sopracciglia e gli riavvicinò il vassoio. “Mangerai tutto, – comandò – Senza scuse.”

Kuroko mise quasi il broncio. “Tutto?” Toccò la carne straniera, come per vedere se si sarebbe mossa. Non lo fece.

“Si, tutto. Mi aspetto di non vedere neanche una briciola, su entrambi i piatti.” Gettò un’occhiataccia a Kuroko, “Anche questo è parte della… punizione per avermi disobbedito.”

Le guance di Kuroko arrossirono e lui spostò lo sguardo di lato, vergognandosi. Quando quella mattina si era svegliato, Akashi lo stava aspettando ai piedi del letto, ed aveva subito iniziato a spiegargli dettagliatamente quali sarebbero state le sue ‘punizioni’per avergli disobbedito ed essere scappato. Prima di tutto non doveva lasciare il letto per nessun motivo se non per andare in bagno. Non importava se gli si fossero addormentate le gambe, intorpiditi i muscoli o anche se fosse stato semplicemente annoiato: Kuroko non doveva alzarsi. E se lo avesse fatto, uno della Generazione dei Miracoli lo avrebbe trascinato di nuovo a letto.

Akashi stava mantenendo la parola. Due ore prima, quando Kuroko era troppo irrequieto per essere stato a letto tutto il giorno, aveva provato ad uscire della stanza per prendere un po’ d’aria fresca. Per sua sfortuna, prima ancora che fosse arrivato in salotto, Akashi era comparso alle sue spalle e lo aveva portato di peso fino al letto.

Poi, un’ora dopo, Kuroko ci aveva riprovato, sicuro che Akashi fosse uscito per comprare qualcosa. Questa volta era stato Murasakibara a fermarlo.

Ora sapeva che era inutile, quindi aveva smesso di provare a fuggire.

La sua seconda ‘punizione’ era il dover mangiare tutto ciò che Akashi cucinava per lui; tutto, fino all’ultima briciola. E per il povero ragazzo era una vera tortura. Akashi preparava delle porzioni abbondanti e cucinava apposta dei cibi che a lui non piacevano, ma che gli avrebbero fatto bene. Gli aveva anche vietato i frappè alla vaniglia, i suoi preferiti, e questo lo aveva quasi ucciso.

Per finire, l’ultima delle punizioni era il doversi scusare con suo padre, cosa che Kuroko avrebbe comunque fatto. Sapeva che suo padre lavorava sodo per lui, ed odiava essere sempre un peso. Si sentiva colpevole per avergli fatto saltare il lavoro solo per la sua salute.

Kuroko si era assicurato di chiamare a mezzogiorno, perché sapeva che a quell’ora sua madre non era in casa. Aveva risposto suo padre, ed i due avevano fatto una lunga, tranquilla e rilassante chiacchierata.

“Non credo di riuscire a finire questo, Akashi-kun.”

“Lo finirai, – disse Akashi con fermezza – Mi sono assicurato di darti il giusto numero di porzioni.”

Kuroko iniziò mestamente a mangiare. Il rosso cercò di non sorridere all’espressione infantile del passatore. Si chinò e gli arruffò i capelli azzurri. Kuroko lo guardò spalancando gli occhi da cucciolo. Akashi si limitò a scuotere la testa e indicare il piatto.

Dopo quarantacinque minuti di tortura, Kuroko era riuscito a finire tutto. Aveva anche finito l’acqua ghiacciata, ma più che altro perché l’aveva bevuta nel disperato tentativo di disfarsi del gusto terribile di spinaci, broccoli e piselli.

“Ben fatto,” lo lodò Akashi, che gli diede un colpetto sulla fronte e poi raccolse il vassoio per lavarlo in cucina.

Kuroko si appoggiò indietro sui cuscini, massaggiandosi la fronte colpita. Si sentiva così pieno che il pensiero del cibo lo faceva star male. Gemette piano e si passò le mani pallide sulla faccia.  Perché aveva disobbedito ad Akashi? Al rosso non sfuggiva niente, quindi perché aveva anche solo pensato di scappare l’altro giorno?

Ai capricci di Kuroko, Akashi fece un sorrisetto. Sembra che Tetsuya stia iniziando a pentirsi delle sue scelte, osservò. Bene. Uscì dalla stanza e andò in cucina per posare i piatti nel lavandino. “Daiki,” chiamò.

Il ragazzo abbronzato apparve alla porta della cucina e , cosa imbarazzante, stava indossando dei vestiti da donna delle pulizie. Aveva un grembiule per pulire e una bandana in testa. Teneva in mano uno straccio. “Si, Akashi?” rispose stancamente.

Akashi studiò il ragazzo evidentemente esausto, quindi ebbe pietà di lui, “Lava questi piatti, poi per oggi hai finito.”

Gli occhi di Aomine si riempirono di sollievo. “Grazie a Dio,” mormorò. Oltrepassò il rosso per prepararsi a lavare i piatti. La sua giornata era andata di male in peggio a partire dal mattino. Akashi gli aveva prima fatto passare l’aspirapolvere in ogni stanza del suo appartamento assurdamente grande, poi spolverare ogni angolo del salotto. Dopo aveva pulito tutte le finestre fino a che ci si sarebbe potuti specchiare. Però sapeva che oggi gli era andata bene, Akashi non gli aveva ancora fatto pulire il bagno.

All’una era stato costretto ad andare all’asilo Yoshiro. Era entrato sicuro si sé, pensando che i bambini piccoli non potessero poi essere così male, e ne era uscito distrutto, stanco e sconvolto. Piantagrane, li aveva definiti Akashi, ma era un eufemismo. Erano più dei piccoli assistenti del Diavolo con le loro piccole uniformi ‘carine’ e dei cappellini gialli ‘carini’. Gli avevano sputato addosso, lo avevano usato per arrampicarsi, si erano lamentati, lo avevano morso e preso a calci.

Come farò a sopravvivere ad una settimana intera di volontariato con loro? Si lamentò Aomine.

Akashi lasciò Aomine, che svolgeva l’ultimo compito della giornata, e tornò in salotto. Il giorno dopo ci sarebbe stata la scuola, quindi Shintaro, Ryouta e Atsushi erano tornati a casa. Anche Daiki sarebbe presto andato, dopo aver finito di lavare i piatti.

Kuroko ed io saremo gli unici a restare qui, analizzò Akashi. Il che significa che devo sfruttare il tempo che ho adesso per occuparmi della mia faccenda.

Tirò fuori il cellulare e digitò un numero sconosciuto. La persona chiamata rispose dopo il primo squillo, “Seijuro-kun.”

“Kaoru, – rispose al suo conoscente di lunga data – Voglio che tu risponda ad una domanda.”

Yoshida Kaoru era un giovane uomo che Akashi aveva conosciuto tramite i suoi genitori. Era l’unica persona che, quando erano giovani, non obbediva a nessuno degli ordini ridicoli che Akashi dava ai suoi ‘amici’. Questo non significava che non temesse il rosso, era più che altro dovuto al fatto che i genitori di Akashi erano legati a quelli di Kaoru. Dal momento che aveva sei anni in più di lui, era ora sul punto di prendere il possesso di un piccolo ramo della grande azienda.

“Si?”

“Chi è il tuo capo?” chiese schiettamente Akashi.

“Il mio capo?” Fece una pausa, poi: “Seijuro-kun, lo sai che per ora i miei superiori sono i miei genitori.”

“No, ti sto chiedendo del proprietario. Stai per ereditare una piccola filiale, giusto? Chi è il proprietario di tutte le filiali, inclusa la principale?”

 Kaoru non rispose subito, e Akashi lo potè sentire mentre spostava dei fogli. “Sarebbe… Suzuki Akihiko, – rispose – E’ il proprietario di tutta l’azienda.”

Proprietario. Hm, doveva voler dire che Kaoru non aveva ancora visto il suo ‘capo’ se pensava che fosse un lui. “Interessante,” mormorò Akashi, prendendo un block notes e una penna.

“Akashi, sto uscendo,” annunciò Daiki mentre lasciava la cucina, indossando di nuovo i suoi soliti vestiti.

Il rosso si limitò ad annuire. “Kaoru, mi sillaberesti il nome?” Kaoru ripetè ogni lettera ed Akashi scrisse i caratteri giapponesi del nome, osservandolo poi con attenzione.


Sulle sue labbra comparve un sorrisetto. Di nuovo un nome maschile.


Kuroko provò a dormire; era l’unica cosa che poteva fare, oltre a leggere. Ma i libri che Akashi gli aveva portato erano incredibilmente monotoni e noiosi. Sentì dei mormorii da oltre la porta chiusa e pensò che Akashi fosse occupato a parlare con qualcuno.

Si stese facendo un respiro profondo. Com’era successo? Ancora una volta dipendeva dalla Generazione dei Miracoli. Sin dalla prima volta che si era fatto male, al primo anno delle medie, ognuno dei componenti della prima squadra lo aveva aiutato, protetto, curato. Per una volta voleva essere lui a fare qualcosa per loro; per Midorima-kun, Murasakibara-kun, Aomine-kun, Kise-kun, ma soprattutto per Akashi-kun, che aveva fatto per lui molto più di quello che si meritava.

Kuroko arrossì al pensiero di Akashi. Nell’ultimo periodo il suo ex capitano era stato più affettuoso del solito con lui. Anche se non lo avrebbe ammesso, Kuroko teneva molto ad Akashi. Era stato il primo a tendergli una mano quando era picchiato, il primo ad aver scoperto il suo talento, ed il primo ad aver capito il rapporto tra lui e sua madre.

Una vibrazione lo face quasi sobbalzare. Prese il cellulare, chiedendosi chi fosse a chiamarlo a quell’ora; ma, stupidamente, non controllò prima di rispondere: “Pronto? Qui Kuroko.”

“Tetsu-kun,” disse una voce familiare e temuta. Kuroko spalancò gli occhi e si immobilizzò. “Sei un bravo ragazzo, Tetsu-kun; hai risposto al telefono. Mi sei mancato così tanto.”

Kuroko iniziò ad entrare nel panico: la mano che teneva il cellulare sbiancò, perché lo stingeva troppo forte. Era talmente spaventato da non riuscire nemmeno a tremare. La sua bocca rifiutò di aprirsi e la lingua rimase incollata al palato. Sembrava una statua, bloccata e seduta contro i cuscini con un cellulare tenuto incollato all’orecchio da una sua mano.

“Come vanno le ferite?” canticchiò Ibuki, che non aspettò di ricevere una risposta, “Ho visto che l’altro giorno all’allenamento zoppicavi. Povero piccolo mio, stai bene?”

Non ti interessa, non ti interessa, non ti interessa si ripeteva Kuroko. Riaggancia, riaggancia, riaggancia–

“A proposito, – il tono di sua madre si fece minaccioso – L’altro giorno c’era un ragazzo che mi ha sfidata… Ha persino minacciato me, la tua cara mamma. Qualcuno gli dovrebbe impartire una lezione –“

“Non far del male ad Akashi-kun,” Kuroko riuscì finalmente ad urlare. Quando aveva pensato ad Akashi era stato di nuovo in grado di muoversi, ed il suo unico pensiero era quello di difendere e proteggere il rosso. “L-Lui non c’entra niente con questo!”

Ibuki rimase in silenzio, pensando a quel che Kuroko aveva detto. “Oh? Mi stai davvero ordinando di fare qualcosa?”sibilò poi. “Sembra che questo ‘Akashi’ sia importante per te.”

Kuroko non riuscì a rispondere, non ne ebbe l’occasione, perché la porta della camera si spalancò ed apparve il diavolo in persona: Akashi. “Tetsuya, cos’è stato? Con chi stai parlando?”

Kuroko si voltò per guardare Akashi. In quel momento iniziò a tremare, gli si riempirono gli occhi di lacrime e delle gocce iniziarono a cadergli sulle guance.

“Aka…shi-kun, – bisbigliò – L-Lei.. okaa-san …m-male…te-telefono… minacce… non ci riesco…non ci riesco.” Il ragazzo piangeva e non riusciva a formare una frase completa. Akashi stette un momento fermo, shockato, poi si gli avvicinò, gli occhi fissi sul cellulare.

“Tetsu-kun, stai piangendo? – lo derise Ibuki – Oh, come vorrei vedere quelle bellissime lacrime…”

Il telefono fu strappato della mani di Kuroko. Un braccio forte circondò le sue spalle e lo spinse contro un corpo muscoloso; il calore era invitante. Con Kuroko accucciato contro di lui, Akashi portò il telefono al suo orecchio e disse ad alta voce: “Kuroko Ibuki. Come sta?”

Ibuki strillò dall’altra parte della linea. “Sei tu, vero? Vero? Sei quel moccioso ribelle che ha osato sfidarmi! E minacciarmi! Come osi portarmi via Tetsu, la pagherai!”

“Io? Io, Akashi Seijuro, pagherò? Povera donna, – mormorò con voce setosa al telefono – Sarà lei a pentirsi delle sue decisioni, Kuroko Ibuki. Non mi importa del suo potere né della sua influenza. Mi basta solo un suo segreto per poterla distruggere.”

La madre di Kuroko non fece trapelare la paura nella sua voce. “Cosa hai intenzione di fare, ragazzo? Sei solo un moccioso. Akashi Seijuro, hai detto? I tuoi genitori sono miei conoscenti.”

“Non sarebbe saggio coinvolgere mio padre e mia madre, – l’avvertì Akashi – Non importa quante conoscenze lei abbia, i miei genitori sono i migliori nel campo della legge. Non cadranno nelle sue trappole.” Ibuki non rispose, quindi lui aggiunse, “Spero che sia pronta per la lunga battaglia che ho preparato, Kuroko Ibuki. Non intendo essere sconfitto così facilmente.” Riattaccò.

“N-No Akashi-kun, – disse Kuroko tra le lacrime – Ti farà del male.” Ora che aveva finito di parlare, Akashi concentrò tutta la sua attenzione sul ragazzo che piangeva. Lo sollevò facilmente e lo mise a sedere di fronte alle sue gambe aperte. Kuroko sedette in silenzio e le sue lacrime continuavano a cadere abbondanti sulle lenzuola costose. Akashi tese le braccia verso di lui, senza parlare.

Le braccia di Akashi furono subito travolte dal fragile ragazzo. La sua maglia rossa fu inumidita da Kuroko, che piangeva contro la sua spalla. Strinse più forte il ragazzo e sentì che lui gli strinse forte la maglia sulla schiena. Questa volta i singhiozzi di Kuroko non erano forti e addolorati, ma leggeri e silenziosi, come se si stesse tenendo tutto dentro. Akashi gli diede dei colpetti sulla testa azzurra.

Kuroko Ibuki, sai quanto dolore sai causando? Si chiese Akashi amaramente. O forse ne sei consapevole, ma ne godi per tuo divertimento personale.

“Va tutto bene, – disse piano – Sei al sicuro, lei non è qui e non ci sarà per il prossimo paio di giorni.” Il pianto di Kuroko non si fermò, anzi strinse Akashi ancora più forte. “Tetsuya.” Akashi decise di cambiare tattica.  La sua figura ‘dispotica’ ed autoritaria sarebbe tornata utile in questa situazione. Liberò a forza Kuroko dalle sue braccia e gli afferrò il mento, bagnato dalle lacrime. “Guardami.”

Kuroko lo fece, con gli occhi lacrimosi ed un’espressione tristissima, che fece deglutire nervosamente Akashi. Lui però restò risoluto, “Smetti di piangere.” Due pollici si mossero sulle sue guance per asciugare le lacrime, continuando a muoversi finchè queste smisero di cadere. Quello che era rimasto era un Kuroko esausto. Delle mani presero il posto dei pollici, tenendogli il viso pallido da entrambi i lati. Kuroko vi ci si appoggiò. “Nessuno ha il permesso di farti piangere. Solo io ce l’ho. Sono l’unico ad avere il diritto di causarti dolore, lacrime e sofferenze. Nessun altro può. Tu sei mio, Tetsuya.

Kuroko non protestò.







NdT: Salve a tutti! Con questo capitolo abbiamo raggiunto un terzo della storia :)
Quando l’ho letta io, arrivata a questo punto mi era fatta un’idea su Ibuki, (idea che poi era completamente sbagliata, ma vabbeh!)
Quindi voglio sapere quali sono le vostre ipotesi; vediamo se qualcuno si avvicina alla verità, o se qualcuno ha per caso la stessa strana impressione che ho avuto anch’io… ;)
Detto questo, come al solito ringrazio tutti!
A presto, Nienor_11


   
 
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